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La tassazione delle sentenze di omologa di concordato preventivo con cessio bonorum

Il problema della tassazione delle sentenze di omologa di concordato preventivo con cessione dei beni ai creditori è ormai annoso ed oggetto di frequenti pronunce della giurisprudenza sia delle Commissioni Tributarie che della Corte di Cassazione.

Il nocciolo della questione concerne il fatto se le suddette sentenze di omologa debbano essere tassate in misura fissa ex art 8 lettera g) della Tariffa Parte Prima, del T.U. dell’imposta di registro, come ribadito dalla dottrina più autorevole e dalle recenti pronunce giurisprudenziali, o in misura proporzionale ex art. 8 lettera a) della medesima Tariffa, riservando la misura fissa alle sole disposizioni del provvedimento concernenti operazioni soggette ad Iva, come sostenuto dalle Agenzie delle Entrate.

Trattasi di un problema con notevoli riflessi pratici in considerazione del fatto che la tassa fissa è pari ad € 153,60, mentre la tassazione proporzionale sul passivo non soggetto ad Iva porta il concordato ad un esborso per imposta di registro che spesso è di varie migliaia di euro e che va a gravare sul passivo del medesimo.

Già nel periodo di vigenza della L. del 1926 sull’imposta di registro la dottrina e la giurisprudenza prevalente erano concordi nel ritenere che la cessio bonorum di cui all’art. 160 della Legge fallimentare fosse assoggettata alla sola tassa fissa di cui all’art. 26 T.A., anche se la Finanza in un primo momento riteneva che la cessio fallimentare dovesse essere soggetta al regime del concordato e cioè all’aliquota del 2% (art. 32 T.A del 1926), affermando che l’art. 26 T.A., prevedendo la tassazione in misura fissa, si riferisse solo alla cessio di cui all’art. 1977 del c.c.

A conforto di tale tesi la Finanza invocava due sentenze della Cassazione del 4/08/1941 e del 16/06/1943, che, peraltro, decidevano fattispecie verificatesi anteriormente al 1942 e che pertanto non potevano essere riferite nè all’art. 1977 c.c. nè all’art. 160 L.F.

Il problema veniva affrontato e risolto dalla dottrina più autorevole dell’epoca [A. UKMAR, “Il diritto tributario”, la legge del registro, Cedam, vol. II 1958 p. 110], che sottolineava come non potesse essere accolta la presunta differenza tra la cessio di cui alla L.F. e la cessio contemplata dall’art. 1977 cod. civ., assoggettata alla sola tassa fissa. Entrambi i contratti, infatti, non trasferivano né trasferiscono beni ai creditori ma conferiscono agli stessi un mandato a liquidare. Trattandosi di un mandato senza corrispettivo risultava dovuta la sola tassa fissa, mentre sulle vendite poste in essere dai creditori doveva essere versata la normale imposta proporzionale.

Invero nulla rileva che la cessio di cui alla L.F. sia riferita ad un “concordato”: il concordato strettamente detto, ovvero quello con garanzia, infatti, era ed è sottoposto alla tassa in misura proporzionale perché contiene l’obbligo di pagare determinate somme, mentre la cessio bonorum non contiene alcuna obbligazione pecuniaria.

Al contrario ancor oggi le Agenzie delle entrate ritengono che le due tipologie di concordato (con garanzia e con cessio bonorum) comportino i medesimi effetti giuridici con soltanto una diversa modalità di soddisfacimento dei creditori e che, di conseguenza, la sentenza di omologa abbia natura di atto autoritativo causante modificazioni nei rapporti creditori tra le parti creando una nuova situazione giuridica.

Nelle numerose vertenze che si sono succedute sulla materia la difesa dei legali dei concordati si è sempre centrata sull’assunto che la sentenza che omologa il concordato preventivo con cessione dei beni, diversamente da quella che omologa il concordato con garanzia, sia carente di un contenuto novativo rispetto alla situazione obbligatoria pregressa [Cass. 11.Giugno 1997 n.2957; Comm. Trib. Centr. 17.Gennaio-12 Aprile 1994 n. 1015; Comm.Trib.II gr. di Firenze 2 Marzo 1985 n. 286; Comm. Trib. I gr. di Prato 10 Dicembre 1983 n.2681; Comm. Trib. Prov. di Piacenza 11 Giugno 2003 n. 33], atteso che manca del tutto un effetto traslativo dei beni del debitore concordatario, i quali, appunto, rimangono di sua proprietà, ancorché assoggettati ad un vincolo di destinazione in favore dei creditori. Tutto ciò fa sì che l’istituto superi l’ambito dei soggetti concordatari, attinendo non alla fase della costituzione delle obbligazioni, ma a quella del pagamento che ne determina l’estinzione (Comm. Trib. Centr. 27.Gennaio-12 Febbraio 1994 n. 494) donde la necessità della tassazione in misura fissa.

Viceversa le Agenzie delle Entrate, probabilmente equivocando sul contenuto della terminologia, ritengono che la “cessio bonorum” comporti un effetti traslativo dei beni del debitore che, invece, manca del tutto.

La dottrina più recente si è sempre espressa in senso conforme alla tesi sostenuta da Ukmar.

G. Rago, per esempio, nel suo trattato sulla esecuzione del concordato preventivo, sulla scorta delle considerazioni di cui sopra, ritiene che il Commissario Giudiziale debba prevedere un apposito accantonamento per l’imposta proporzionale di registro 3% solo nel caso dei concordati garantiti (sia preventivi che fallimentari) mentre è da ritenersi che l’imposta debba essere applicata nella misura fissa negli altri casi [G. RAGO, “L’Esecuzione del concordato preventivo”, Cedam, Padova, 1996 pag. 285].

Altro autore sottolinea come occorra fare riferimento al concetto di intrinseca natura della sentenza di omologazione: nel caso di un provvedimento di omologa di concordato preventivo con cessio bonorum non si può far risalire ad essa l’origine degli effetti giuridici. L’omologa, infatti, costituisce solo la condizione legale perché tali effetti si producano, mentre, d’altro canto, i creditori mantengono la titolarità delle loro ragioni, alle quali si è sostituito un patto remissorio che non crea una nuova obbligazione e quindi una novazione. Tanto più che la sentenza non dispone trasferimenti di diritti o di beni, ma dispone solo che essi possano avvenire in seguito, previa autorizzazione del giudice Delegato. E, solo in questo caso, potrà l’amministrazione applicare le relative imposte sui trasferimenti, secondo quanto prescrivono le singole norme tributarie in materia [G. LAMBERT, in “il Fisco”, n. 12/93, p. 3854].

Particolarmente esauriente il breve saggio in materia di Gabriella Fiandaca [G. FIANDACA, in “Il Fisco”, n. 46/94, Pag. 11039] la quale ribadisce che la nuova normativa in materia di imposta di registro non si è discostata, in materia di concordati, alla precedente regolamentazione (l. 30.12.1923, n. 3269), che assoggettava ad imposizione in misura proporzionale “...le convenzioni o concordati tra creditori ed il loro debitore, stipulati sia prima che dopo la dichiarazione di fallimento, se contenenti obbligazioni di somme (vedi art. 32 della T.A.), ed ad imposizione in misura fissa le sentenze di omologa non contenenti obblighi di pagamento a somme determinate (art. 26 T.A.).

Sottolinea l’autore che “poiché nel concordato preventivo molte obbligazioni ivi contenute sono esenti o sono state già sottoposte ad imposizione fiscale agli effetti, per esempio, dell’imposta del valore aggiunto, non potendosi d’altro verso registrare con esso concordato alcun nuovo trasferimento di ricchezza rispetto al dato preesistente da sottoporre ad imposizione fiscale, allorquando si volesse affermare la soggezione ad imposizione agli effetti della legge di registro in misura proporzionale, si finirebbe con il violare il principio del divieto della doppia imposizione”. E non solo. “ poiché nell’ambito del concordato con cessio bonorum non può rinvenirsi alcuna novazione oggettiva, ma solo il parziale ristoro dei diritti dei creditori attraverso realizzi, recuperi, vendite di beni ad opera del debitore concordatario sotto il controllo del C.G. all’uopo nominato, ne deriva che la natura enunciativa delle pattuizioni definite in tale contesto, costituisce l’aspetto più significativo ed inequivoco di assenza di un nuovo rapporto. In tale veste, dunque, l’omologazione si pone come un momento di verifica o controllo giurisdizionale di conformità alla legge di una proposta motivata e documentata, di un atto o di un accordo cui vanno riconosciuti determinati effetti nell’ordinamento giuridico non prevedendo atti diversi dall’assunzione dell’obbligo di pagamento”.

La tesi sostenuta dalla dottrina sopra citata è suffragata anche dall’ interpretazione della Corte Costituzionale che, con sentenza del 15.07.1975 n. 212, aveva dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, dell’art. 32 del R.D. 30.12.1923 n. 3269 , nella parte in cui prevedeva, per i concordati fallimentari con cui il debitore si obbligava a pagare una percentuale del passivo, una tassa proporzionale del 2% sull’ammontare della somma dovuta, mentre l’art. 26 del medesimo regio decreto assoggettava i concordati con cessione dei beni solo a tassa fissa.

La Corte Costituzionale nella citata sentenza ha sottolineato che i due negozi giuridici hanno diversa natura, dato che “il primo (concordato con garanzia) implica l’obbligazione al pagamento di una somma determinata, mentre la cessione per la vendita conferisce ai creditori soltanto la facoltà della vendita nell’interesse comune”...e, ancora, la Corte ne ribadisce la diversità anche da un punto di vista sostanziale in quanto “ mentre la cessione dei beni porta alla cessazione dell’impresa, l’altra ne permette la continuazione... il fatto stesso che un debitore abbia potuto reperire i mezzi ed ottenere le garanzie necessarie a rendere accettabile l’obbligazione di un adempimento, sia pure parziale, sta a dimostrare una capacità contributiva ben diversa da quella dell’altro debitore che per ottenere lo stesso scopo, deve cedere ogni suo avere”.

Anche la Corte di Cassazione ha più volte ribadito il fatto che il concordato con cessione dei beni ai creditori non comporta alcun effetto novativo in quanto, fino al momento della alienazione, i beni del debitore concordatario restano oggetto di sua esclusiva proprietà, a differenza del concordato con garanzia il quale implica l’obbligo, a carico del debitore, del pagamento di somme determinate. La mancanza di effetto novativo fa sì che l’istituto del concordato con cessione dei beni superi l’ambito dei soggetti concordatari, attenendo non alla fase della costituzione delle obbligazioni, ma a quella del pagamento che ne determina l’estinzione; donde la tassazione in misura fissa. Nonostante più volte la giurisprudenza abbia ribadito il concetto per cui nel concordato con cessione dei beni ai creditori non possa rinvenirsi alcuna novazione oggettiva di obbligazione, ma solo il parziale ristoro dei diritti dei creditori attraverso realizzi, recuperi, vendite di beni ad opera del debitore concordatario, le Agenzie delle Entrate non si adeguano a tale interpretazione [Comm. Trib. Centr.271_12.2.1994 n.494 in “Il Fisco” pag. 3516; Cass. I Grado di Foggia 21.10.91 n. 6099].

E’ chiaro, peraltro, agli operatori del diritto che l’affermazione secondo la quale si dovrebbe attribuire alla sentenza di omologazione una specie di valore innovativo dei rapporti pregressi tra le parti non può condividersi in quanto nel concordato preventivo il titolo che il creditore esperisce è sempre quello anteriore che non solo non è mai oggetto di una indagine da parte del giudice, ma non lo è neppure ai fini della formazione della maggioranza, dove ogni statuizione non fa stato sull’esistenza e consistenza del diritto [Comm. Trib. I grado di Pisa n. 125 del 11.06.1992 in “Il Fisco”, 1993 pag. 3854].

La giurisprudenza recente si è espressa costantemente in senso conforme alla tesi a favore dei concordati: “non si può identificare nella sentenza di omologa del concordato preventivo alcun negozio che possa essere soggetto ad imposta proporzionale, in quanto essa non racchiude altra disposizione oltre alla determinazione della percentuale delle somme da distribuire tra i creditori chirografari...” (Comm. Trib. Centrale, sez. V, 03.10.1986, n. 7462); ed ancora “ il concordato preventivo con cessio bonorum non costituisce un negozio patrimoniale autonomo ma fa parte di un procedimento complesso per cui la sentenza di omologa va assoggettata a tassa fissa e non ad imposta proporzionale” (Comm. Trib. Centrale sez. XXIV, 12.02.1994, n. 494), fino alla sentenze più recenti “... in tema di imposta di registro la sentenza di omologazione del concordato preventivo con cessione dei beni ai creditori va assoggettata all’imposta in misura fissa ai sensi dell’art. 8, lettera f....atteso che, rimanendo i beni del debitore concordatario oggetto di sua proprietà, anche se assoggettati ad un vincolo di destinazione al quale non possono essere sottratti, dalla sentenza di omologazione non deriva alcun trasferimento” (Cass. Civ. sez. I, 20.03.1998 n. 2957); ed ancora “ il concordato preventivo con cessione dei beni, a differenza del concordato per garanzia, rientra nell’ambito della figura della cessio bonorum di cui all’art. 1977 c.c . mediante il quale il debitore incarica i propri creditori di liquidare tutte le sue attività patrimoniali e di ripartirne il ricavato in soddisfacimento dei loro crediti. L’istituto, non producendo alcun effetto traslativo, non è assoggettabile all’imposta proporzionale di registro ma alla sola tassa fissa.”(Comm. Trib. Bari, 30.11.2004).

La tesi dell’agenzia delle Entrate, se accolta, porterebbe alla aberrante conseguenza di una doppia tassazione, la prima in fase di registrazione della sentenza di omologa del concordato preventivo, pur mancando una reale cessione della proprietà dei beni, e la seconda, con IVA, allorquando i beni venissero effettivamente ceduti a terzi (terzi che saranno ovviamente diversi dai creditori i quali ultimi non sono proprietari dei beni).

Anche la Commissione Provinciale di Piacenza, con sentenza n. 66/2005 ha accolto la tesi sostenuta dalla difesa del concordato e, conseguentemente, il ricorso della società ricorrente ribadendo il principio per cui “dalla cessione concordataria non si ha un trasferimento dei beni in favore dei creditori, con conseguente liberazione dell’imprenditore, ma soltanto un mandato irrevocabile mediante il quale viene conferito agli organi della procedura concordataria il diritto a disporre dei beni ceduti, rimanendo i beni del debitore concordatario di proprietà del medesimo, ancorché assoggettati ad un vincolo di destinazione dal quale non possono essere sottratti.” Da qui la pronuncia della Commissione adita nel senso che “alla sentenza di omologazione del concordato preventivo con cessione dei beni si applichi l’imposta fissa di registro e non quella proporzionale”.

Il problema della tassazione delle sentenze di omologa di concordato preventivo con cessione dei beni ai creditori è ormai annoso ed oggetto di frequenti pronunce della giurisprudenza sia delle Commissioni Tributarie che della Corte di Cassazione.

Il nocciolo della questione concerne il fatto se le suddette sentenze di omologa debbano essere tassate in misura fissa ex art 8 lettera g) della Tariffa Parte Prima, del T.U. dell’imposta di registro, come ribadito dalla dottrina più autorevole e dalle recenti pronunce giurisprudenziali, o in misura proporzionale ex art. 8 lettera a) della medesima Tariffa, riservando la misura fissa alle sole disposizioni del provvedimento concernenti operazioni soggette ad Iva, come sostenuto dalle Agenzie delle Entrate.

Trattasi di un problema con notevoli riflessi pratici in considerazione del fatto che la tassa fissa è pari ad € 153,60, mentre la tassazione proporzionale sul passivo non soggetto ad Iva porta il concordato ad un esborso per imposta di registro che spesso è di varie migliaia di euro e che va a gravare sul passivo del medesimo.

Già nel periodo di vigenza della L. del 1926 sull’imposta di registro la dottrina e la giurisprudenza prevalente erano concordi nel ritenere che la cessio bonorum di cui all’art. 160 della Legge fallimentare fosse assoggettata alla sola tassa fissa di cui all’art. 26 T.A., anche se la Finanza in un primo momento riteneva che la cessio fallimentare dovesse essere soggetta al regime del concordato e cioè all’aliquota del 2% (art. 32 T.A del 1926), affermando che l’art. 26 T.A., prevedendo la tassazione in misura fissa, si riferisse solo alla cessio di cui all’art. 1977 del c.c.

A conforto di tale tesi la Finanza invocava due sentenze della Cassazione del 4/08/1941 e del 16/06/1943, che, peraltro, decidevano fattispecie verificatesi anteriormente al 1942 e che pertanto non potevano essere riferite nè all’art. 1977 c.c. nè all’art. 160 L.F.

Il problema veniva affrontato e risolto dalla dottrina più autorevole dell’epoca [A. UKMAR, “Il diritto tributario”, la legge del registro, Cedam, vol. II 1958 p. 110], che sottolineava come non potesse essere accolta la presunta differenza tra la cessio di cui alla L.F. e la cessio contemplata dall’art. 1977 cod. civ., assoggettata alla sola tassa fissa. Entrambi i contratti, infatti, non trasferivano né trasferiscono beni ai creditori ma conferiscono agli stessi un mandato a liquidare. Trattandosi di un mandato senza corrispettivo risultava dovuta la sola tassa fissa, mentre sulle vendite poste in essere dai creditori doveva essere versata la normale imposta proporzionale.

Invero nulla rileva che la cessio di cui alla L.F. sia riferita ad un “concordato”: il concordato strettamente detto, ovvero quello con garanzia, infatti, era ed è sottoposto alla tassa in misura proporzionale perché contiene l’obbligo di pagare determinate somme, mentre la cessio bonorum non contiene alcuna obbligazione pecuniaria.

Al contrario ancor oggi le Agenzie delle entrate ritengono che le due tipologie di concordato (con garanzia e con cessio bonorum) comportino i medesimi effetti giuridici con soltanto una diversa modalità di soddisfacimento dei creditori e che, di conseguenza, la sentenza di omologa abbia natura di atto autoritativo causante modificazioni nei rapporti creditori tra le parti creando una nuova situazione giuridica.

Nelle numerose vertenze che si sono succedute sulla materia la difesa dei legali dei concordati si è sempre centrata sull’assunto che la sentenza che omologa il concordato preventivo con cessione dei beni, diversamente da quella che omologa il concordato con garanzia, sia carente di un contenuto novativo rispetto alla situazione obbligatoria pregressa [Cass. 11.Giugno 1997 n.2957; Comm. Trib. Centr. 17.Gennaio-12 Aprile 1994 n. 1015; Comm.Trib.II gr. di Firenze 2 Marzo 1985 n. 286; Comm. Trib. I gr. di Prato 10 Dicembre 1983 n.2681; Comm. Trib. Prov. di Piacenza 11 Giugno 2003 n. 33], atteso che manca del tutto un effetto traslativo dei beni del debitore concordatario, i quali, appunto, rimangono di sua proprietà, ancorché assoggettati ad un vincolo di destinazione in favore dei creditori. Tutto ciò fa sì che l’istituto superi l’ambito dei soggetti concordatari, attinendo non alla fase della costituzione delle obbligazioni, ma a quella del pagamento che ne determina l’estinzione (Comm. Trib. Centr. 27.Gennaio-12 Febbraio 1994 n. 494) donde la necessità della tassazione in misura fissa.

Viceversa le Agenzie delle Entrate, probabilmente equivocando sul contenuto della terminologia, ritengono che la “cessio bonorum” comporti un effetti traslativo dei beni del debitore che, invece, manca del tutto.

La dottrina più recente si è sempre espressa in senso conforme alla tesi sostenuta da Ukmar.

G. Rago, per esempio, nel suo trattato sulla esecuzione del concordato preventivo, sulla scorta delle considerazioni di cui sopra, ritiene che il Commissario Giudiziale debba prevedere un apposito accantonamento per l’imposta proporzionale di registro 3% solo nel caso dei concordati garantiti (sia preventivi che fallimentari) mentre è da ritenersi che l’imposta debba essere applicata nella misura fissa negli altri casi [G. RAGO, “L’Esecuzione del concordato preventivo”, Cedam, Padova, 1996 pag. 285].

Altro autore sottolinea come occorra fare riferimento al concetto di intrinseca natura della sentenza di omologazione: nel caso di un provvedimento di omologa di concordato preventivo con cessio bonorum non si può far risalire ad essa l’origine degli effetti giuridici. L’omologa, infatti, costituisce solo la condizione legale perché tali effetti si producano, mentre, d’altro canto, i creditori mantengono la titolarità delle loro ragioni, alle quali si è sostituito un patto remissorio che non crea una nuova obbligazione e quindi una novazione. Tanto più che la sentenza non dispone trasferimenti di diritti o di beni, ma dispone solo che essi possano avvenire in seguito, previa autorizzazione del giudice Delegato. E, solo in questo caso, potrà l’amministrazione applicare le relative imposte sui trasferimenti, secondo quanto prescrivono le singole norme tributarie in materia [G. LAMBERT, in “il Fisco”, n. 12/93, p. 3854].

Particolarmente esauriente il breve saggio in materia di Gabriella Fiandaca [G. FIANDACA, in “Il Fisco”, n. 46/94, Pag. 11039] la quale ribadisce che la nuova normativa in materia di imposta di registro non si è discostata, in materia di concordati, alla precedente regolamentazione (l. 30.12.1923, n. 3269), che assoggettava ad imposizione in misura proporzionale “...le convenzioni o concordati tra creditori ed il loro debitore, stipulati sia prima che dopo la dichiarazione di fallimento, se contenenti obbligazioni di somme (vedi art. 32 della T.A.), ed ad imposizione in misura fissa le sentenze di omologa non contenenti obblighi di pagamento a somme determinate (art. 26 T.A.).

Sottolinea l’autore che “poiché nel concordato preventivo molte obbligazioni ivi contenute sono esenti o sono state già sottoposte ad imposizione fiscale agli effetti, per esempio, dell’imposta del valore aggiunto, non potendosi d’altro verso registrare con esso concordato alcun nuovo trasferimento di ricchezza rispetto al dato preesistente da sottoporre ad imposizione fiscale, allorquando si volesse affermare la soggezione ad imposizione agli effetti della legge di registro in misura proporzionale, si finirebbe con il violare il principio del divieto della doppia imposizione”. E non solo. “ poiché nell’ambito del concordato con cessio bonorum non può rinvenirsi alcuna novazione oggettiva, ma solo il parziale ristoro dei diritti dei creditori attraverso realizzi, recuperi, vendite di beni ad opera del debitore concordatario sotto il controllo del C.G. all’uopo nominato, ne deriva che la natura enunciativa delle pattuizioni definite in tale contesto, costituisce l’aspetto più significativo ed inequivoco di assenza di un nuovo rapporto. In tale veste, dunque, l’omologazione si pone come un momento di verifica o controllo giurisdizionale di conformità alla legge di una proposta motivata e documentata, di un atto o di un accordo cui vanno riconosciuti determinati effetti nell’ordinamento giuridico non prevedendo atti diversi dall’assunzione dell’obbligo di pagamento”.

La tesi sostenuta dalla dottrina sopra citata è suffragata anche dall’ interpretazione della Corte Costituzionale che, con sentenza del 15.07.1975 n. 212, aveva dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, dell’art. 32 del R.D. 30.12.1923 n. 3269 , nella parte in cui prevedeva, per i concordati fallimentari con cui il debitore si obbligava a pagare una percentuale del passivo, una tassa proporzionale del 2% sull’ammontare della somma dovuta, mentre l’art. 26 del medesimo regio decreto assoggettava i concordati con cessione dei beni solo a tassa fissa.

La Corte Costituzionale nella citata sentenza ha sottolineato che i due negozi giuridici hanno diversa natura, dato che “il primo (concordato con garanzia) implica l’obbligazione al pagamento di una somma determinata, mentre la cessione per la vendita conferisce ai creditori soltanto la facoltà della vendita nell’interesse comune”...e, ancora, la Corte ne ribadisce la diversità anche da un punto di vista sostanziale in quanto “ mentre la cessione dei beni porta alla cessazione dell’impresa, l’altra ne permette la continuazione... il fatto stesso che un debitore abbia potuto reperire i mezzi ed ottenere le garanzie necessarie a rendere accettabile l’obbligazione di un adempimento, sia pure parziale, sta a dimostrare una capacità contributiva ben diversa da quella dell’altro debitore che per ottenere lo stesso scopo, deve cedere ogni suo avere”.

Anche la Corte di Cassazione ha più volte ribadito il fatto che il concordato con cessione dei beni ai creditori non comporta alcun effetto novativo in quanto, fino al momento della alienazione, i beni del debitore concordatario restano oggetto di sua esclusiva proprietà, a differenza del concordato con garanzia il quale implica l’obbligo, a carico del debitore, del pagamento di somme determinate. La mancanza di effetto novativo fa sì che l’istituto del concordato con cessione dei beni superi l’ambito dei soggetti concordatari, attenendo non alla fase della costituzione delle obbligazioni, ma a quella del pagamento che ne determina l’estinzione; donde la tassazione in misura fissa. Nonostante più volte la giurisprudenza abbia ribadito il concetto per cui nel concordato con cessione dei beni ai creditori non possa rinvenirsi alcuna novazione oggettiva di obbligazione, ma solo il parziale ristoro dei diritti dei creditori attraverso realizzi, recuperi, vendite di beni ad opera del debitore concordatario, le Agenzie delle Entrate non si adeguano a tale interpretazione [Comm. Trib. Centr.271_12.2.1994 n.494 in “Il Fisco” pag. 3516; Cass. I Grado di Foggia 21.10.91 n. 6099].

E’ chiaro, peraltro, agli operatori del diritto che l’affermazione secondo la quale si dovrebbe attribuire alla sentenza di omologazione una specie di valore innovativo dei rapporti pregressi tra le parti non può condividersi in quanto nel concordato preventivo il titolo che il creditore esperisce è sempre quello anteriore che non solo non è mai oggetto di una indagine da parte del giudice, ma non lo è neppure ai fini della formazione della maggioranza, dove ogni statuizione non fa stato sull’esistenza e consistenza del diritto [Comm. Trib. I grado di Pisa n. 125 del 11.06.1992 in “Il Fisco”, 1993 pag. 3854]. >Il problema della tassazione delle sentenze di omologa di concordato preventivo con cessione dei beni ai creditori è ormai annoso ed oggetto di frequenti pronunce della giurisprudenza sia delle Commissioni Tributarie che della Corte di Cassazione.

Il nocciolo della questione concerne il fatto se le suddette sentenze di omologa debbano essere tassate in misura fissa ex art 8 lettera g) della Tariffa Parte Prima, del T.U. dell’imposta di registro, come ribadito dalla dottrina più autorevole e dalle recenti pronunce giurisprudenziali, o in misura proporzionale ex art. 8 lettera a) della medesima Tariffa, riservando la misura fissa alle sole disposizioni del provvedimento concernenti operazioni soggette ad Iva, come sostenuto dalle Agenzie delle Entrate.

Trattasi di un problema con notevoli riflessi pratici in considerazione del fatto che la tassa fissa è pari ad € 153,60, mentre la tassazione proporzionale sul passivo non soggetto ad Iva porta il concordato ad un esborso per imposta di registro che spesso è di varie migliaia di euro e che va a gravare sul passivo del medesimo.

Già nel periodo di vigenza della L. del 1926 sull’imposta di registro la dottrina e la giurisprudenza prevalente erano concordi nel ritenere che la cessio bonorum di cui all’art. 160 della Legge fallimentare fosse assoggettata alla sola tassa fissa di cui all’art. 26 T.A., anche se la Finanza in un primo momento riteneva che la cessio fallimentare dovesse essere soggetta al regime del concordato e cioè all’aliquota del 2% (art. 32 T.A del 1926), affermando che l’art. 26 T.A., prevedendo la tassazione in misura fissa, si riferisse solo alla cessio di cui all’art. 1977 del c.c.

A conforto di tale tesi la Finanza invocava due sentenze della Cassazione del 4/08/1941 e del 16/06/1943, che, peraltro, decidevano fattispecie verificatesi anteriormente al 1942 e che pertanto non potevano essere riferite nè all’art. 1977 c.c. nè all’art. 160 L.F.

Il problema veniva affrontato e risolto dalla dottrina più autorevole dell’epoca [A. UKMAR, “Il diritto tributario”, la legge del registro, Cedam, vol. II 1958 p. 110], che sottolineava come non potesse essere accolta la presunta differenza tra la cessio di cui alla L.F. e la cessio contemplata dall’art. 1977 cod. civ., assoggettata alla sola tassa fissa. Entrambi i contratti, infatti, non trasferivano né trasferiscono beni ai creditori ma conferiscono agli stessi un mandato a liquidare. Trattandosi di un mandato senza corrispettivo risultava dovuta la sola tassa fissa, mentre sulle vendite poste in essere dai creditori doveva essere versata la normale imposta proporzionale.

Invero nulla rileva che la cessio di cui alla L.F. sia riferita ad un “concordato”: il concordato strettamente detto, ovvero quello con garanzia, infatti, era ed è sottoposto alla tassa in misura proporzionale perché contiene l’obbligo di pagare determinate somme, mentre la cessio bonorum non contiene alcuna obbligazione pecuniaria.

Al contrario ancor oggi le Agenzie delle entrate ritengono che le due tipologie di concordato (con garanzia e con cessio bonorum) comportino i medesimi effetti giuridici con soltanto una diversa modalità di soddisfacimento dei creditori e che, di conseguenza, la sentenza di omologa abbia natura di atto autoritativo causante modificazioni nei rapporti creditori tra le parti creando una nuova situazione giuridica.

Nelle numerose vertenze che si sono succedute sulla materia la difesa dei legali dei concordati si è sempre centrata sull’assunto che la sentenza che omologa il concordato preventivo con cessione dei beni, diversamente da quella che omologa il concordato con garanzia, sia carente di un contenuto novativo rispetto alla situazione obbligatoria pregressa [Cass. 11.Giugno 1997 n.2957; Comm. Trib. Centr. 17.Gennaio-12 Aprile 1994 n. 1015; Comm.Trib.II gr. di Firenze 2 Marzo 1985 n. 286; Comm. Trib. I gr. di Prato 10 Dicembre 1983 n.2681; Comm. Trib. Prov. di Piacenza 11 Giugno 2003 n. 33], atteso che manca del tutto un effetto traslativo dei beni del debitore concordatario, i quali, appunto, rimangono di sua proprietà, ancorché assoggettati ad un vincolo di destinazione in favore dei creditori. Tutto ciò fa sì che l’istituto superi l’ambito dei soggetti concordatari, attinendo non alla fase della costituzione delle obbligazioni, ma a quella del pagamento che ne determina l’estinzione (Comm. Trib. Centr. 27.Gennaio-12 Febbraio 1994 n. 494) donde la necessità della tassazione in misura fissa.

Viceversa le Agenzie delle Entrate, probabilmente equivocando sul contenuto della terminologia, ritengono che la “cessio bonorum” comporti un effetti traslativo dei beni del debitore che, invece, manca del tutto.

La dottrina più recente si è sempre espressa in senso conforme alla tesi sostenuta da Ukmar.

G. Rago, per esempio, nel suo trattato sulla esecuzione del concordato preventivo, sulla scorta delle considerazioni di cui sopra, ritiene che il Commissario Giudiziale debba prevedere un apposito accantonamento per l’imposta proporzionale di registro 3% solo nel caso dei concordati garantiti (sia preventivi che fallimentari) mentre è da ritenersi che l’imposta debba essere applicata nella misura fissa negli altri casi [G. RAGO, “L’Esecuzione del concordato preventivo”, Cedam, Padova, 1996 pag. 285].

Altro autore sottolinea come occorra fare riferimento al concetto di intrinseca natura della sentenza di omologazione: nel caso di un provvedimento di omologa di concordato preventivo con cessio bonorum non si può far risalire ad essa l’origine degli effetti giuridici. L’omologa, infatti, costituisce solo la condizione legale perché tali effetti si producano, mentre, d’altro canto, i creditori mantengono la titolarità delle loro ragioni, alle quali si è sostituito un patto remissorio che non crea una nuova obbligazione e quindi una novazione. Tanto più che la sentenza non dispone trasferimenti di diritti o di beni, ma dispone solo che essi possano avvenire in seguito, previa autorizzazione del giudice Delegato. E, solo in questo caso, potrà l’amministrazione applicare le relative imposte sui trasferimenti, secondo quanto prescrivono le singole norme tributarie in materia [G. LAMBERT, in “il Fisco”, n. 12/93, p. 3854].

Particolarmente esauriente il breve saggio in materia di Gabriella Fiandaca [G. FIANDACA, in “Il Fisco”, n. 46/94, Pag. 11039] la quale ribadisce che la nuova normativa in materia di imposta di registro non si è discostata, in materia di concordati, alla precedente regolamentazione (l. 30.12.1923, n. 3269), che assoggettava ad imposizione in misura proporzionale “...le convenzioni o concordati tra creditori ed il loro debitore, stipulati sia prima che dopo la dichiarazione di fallimento, se contenenti obbligazioni di somme (vedi art. 32 della T.A.), ed ad imposizione in misura fissa le sentenze di omologa non contenenti obblighi di pagamento a somme determinate (art. 26 T.A.).

Sottolinea l’autore che “poiché nel concordato preventivo molte obbligazioni ivi contenute sono esenti o sono state già sottoposte ad imposizione fiscale agli effetti, per esempio, dell’imposta del valore aggiunto, non potendosi d’altro verso registrare con esso concordato alcun nuovo trasferimento di ricchezza rispetto al dato preesistente da sottoporre ad imposizione fiscale, allorquando si volesse affermare la soggezione ad imposizione agli effetti della legge di registro in misura proporzionale, si finirebbe con il violare il principio del divieto della doppia imposizione”. E non solo. “ poiché nell’ambito del concordato con cessio bonorum non può rinvenirsi alcuna novazione oggettiva, ma solo il parziale ristoro dei diritti dei creditori attraverso realizzi, recuperi, vendite di beni ad opera del debitore concordatario sotto il controllo del C.G. all’uopo nominato, ne deriva che la natura enunciativa delle pattuizioni definite in tale contesto, costituisce l’aspetto più significativo ed inequivoco di assenza di un nuovo rapporto. In tale veste, dunque, l’omologazione si pone come un momento di verifica o controllo giurisdizionale di conformità alla legge di una proposta motivata e documentata, di un atto o di un accordo cui vanno riconosciuti determinati effetti nell’ordinamento giuridico non prevedendo atti diversi dall’assunzione dell’obbligo di pagamento”.

La tesi sostenuta dalla dottrina sopra citata è suffragata anche dall’ interpretazione della Corte Costituzionale che, con sentenza del 15.07.1975 n. 212, aveva dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, dell’art. 32 del R.D. 30.12.1923 n. 3269 , nella parte in cui prevedeva, per i concordati fallimentari con cui il debitore si obbligava a pagare una percentuale del passivo, una tassa proporzionale del 2% sull’ammontare della somma dovuta, mentre l’art. 26 del medesimo regio decreto assoggettava i concordati con cessione dei beni solo a tassa fissa.

La Corte Costituzionale nella citata sentenza ha sottolineato che i due negozi giuridici hanno diversa natura, dato che “il primo (concordato con garanzia) implica l’obbligazione al pagamento di una somma determinata, mentre la cessione per la vendita conferisce ai creditori soltanto la facoltà della vendita nell’interesse comune”...e, ancora, la Corte ne ribadisce la diversità anche da un punto di vista sostanziale in quanto “ mentre la cessione dei beni porta alla cessazione dell’impresa, l’altra ne permette la continuazione... il fatto stesso che un debitore abbia potuto reperire i mezzi ed ottenere le garanzie necessarie a rendere accettabile l’obbligazione di un adempimento, sia pure parziale, sta a dimostrare una capacità contributiva ben diversa da quella dell’altro debitore che per ottenere lo stesso scopo, deve cedere ogni suo avere”.

Anche la Corte di Cassazione ha più volte ribadito il fatto che il concordato con cessione dei beni ai creditori non comporta alcun effetto novativo in quanto, fino al momento della alienazione, i beni del debitore concordatario restano oggetto di sua esclusiva proprietà, a differenza del concordato con garanzia il quale implica l’obbligo, a carico del debitore, del pagamento di somme determinate. La mancanza di effetto novativo fa sì che l’istituto del concordato con cessione dei beni superi l’ambito dei soggetti concordatari, attenendo non alla fase della costituzione delle obbligazioni, ma a quella del pagamento che ne determina l’estinzione; donde la tassazione in misura fissa. Nonostante più volte la giurisprudenza abbia ribadito il concetto per cui nel concordato con cessione dei beni ai creditori non possa rinvenirsi alcuna novazione oggettiva di obbligazione, ma solo il parziale ristoro dei diritti dei creditori attraverso realizzi, recuperi, vendite di beni ad opera del debitore concordatario, le Agenzie delle Entrate non si adeguano a tale interpretazione [Comm. Trib. Centr.271_12.2.1994 n.494 in “Il Fisco” pag. 3516; Cass. I Grado di Foggia 21.10.91 n. 6099].

E’ chiaro, peraltro, agli operatori del diritto che l’affermazione secondo la quale si dovrebbe attribuire alla sentenza di omologazione una specie di valore innovativo dei rapporti pregressi tra le parti non può condividersi in quanto nel concordato preventivo il titolo che il creditore esperisce è sempre quello anteriore che non solo non è mai oggetto di una indagine da parte del giudice, ma non lo è neppure ai fini della formazione della maggioranza, dove ogni statuizione non fa stato sull’esistenza e consistenza del diritto [Comm. Trib. I grado di Pisa n. 125 del 11.06.1992 in “Il Fisco”, 1993 pag. 3854].

La giurisprudenza recente si è espressa costantemente in senso conforme alla tesi a favore dei concordati: “non si può identificare nella sentenza di omologa del concordato preventivo alcun negozio che possa essere soggetto ad imposta proporzionale, in quanto essa non racchiude altra disposizione oltre alla determinazione della percentuale delle somme da distribuire tra i creditori chirografari...” (Comm. Trib. Centrale, sez. V, 03.10.1986, n. 7462); ed ancora “ il concordato preventivo con cessio bonorum non costituisce un negozio patrimoniale autonomo ma fa parte di un procedimento complesso per cui la sentenza di omologa va assoggettata a tassa fissa e non ad imposta proporzionale” (Comm. Trib. Centrale sez. XXIV, 12.02.1994, n. 494), fino alla sentenze più recenti “... in tema di imposta di registro la sentenza di omologazione del concordato preventivo con cessione dei beni ai creditori va assoggettata all’imposta in misura fissa ai sensi dell’art. 8, lettera f....atteso che, rimanendo i beni del debitore concordatario oggetto di sua proprietà, anche se assoggettati ad un vincolo di destinazione al quale non possono essere sottratti, dalla sentenza di omologazione non deriva alcun trasferimento” (Cass. Civ. sez. I, 20.03.1998 n. 2957); ed ancora “ il concordato preventivo con cessione dei beni, a differenza del concordato per garanzia, rientra nell’ambito della figura della cessio bonorum di cui all’art. 1977 c.c . mediante il quale il debitore incarica i propri creditori di liquidare tutte le sue attività patrimoniali e di ripartirne il ricavato in soddisfacimento dei loro crediti. L’istituto, non producendo alcun effetto traslativo, non è assoggettabile all’imposta proporzionale di registro ma alla sola tassa fissa.”(Comm. Trib. Bari, 30.11.2004).

La tesi dell’agenzia delle Entrate, se accolta, porterebbe alla aberrante conseguenza di una doppia tassazione, la prima in fase di registrazione della sentenza di omologa del concordato preventivo, pur mancando una reale cessione della proprietà dei beni, e la seconda, con IVA, allorquando i beni venissero effettivamente ceduti a terzi (terzi che saranno ovviamente diversi dai creditori i quali ultimi non sono proprietari dei beni).

Anche la Commissione Provinciale di Piacenza, con sentenza n. 66/2005 ha accolto la tesi sostenuta dalla difesa del concordato e, conseguentemente, il ricorso della società ricorrente ribadendo il principio per cui “dalla cessione concordataria non si ha un trasferimento dei beni in favore dei creditori, con conseguente liberazione dell’imprenditore, ma soltanto un mandato irrevocabile mediante il quale viene conferito agli organi della procedura concordataria il diritto a disporre dei beni ceduti, rimanendo i beni del debitore concordatario di proprietà del medesimo, ancorché assoggettati ad un vincolo di destinazione dal quale non possono essere sottratti.” Da qui la pronuncia della Commissione adita nel senso che “alla sentenza di omologazione del concordato preventivo con cessione dei beni si applichi l’imposta fissa di registro e non quella proporzionale”.