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Bullismo come mobbing: profili giuridici

Introduzione

Di recente, il fenomeno del bullismo ha avuto un’espansione impensata e preoccupante, fino a riempire quotidianamente le prime pagine dei giornali.

Si tratta di un fenomeno di prevaricazione che porta, nella sostanza, un soggetto a comportarsi in modo illecito (o illegittimo) verso un altro soggetto, tendenzialmente più debole (per condizione fisica, sociale, psicologica, economica, ecc.); il bullismo viene tradizionalmente considerato un fenomeno orizzontale, perchè si concreta nell’ambito di rapporti tra soggetti formalmente appartenenti al medesimo contesto relazionale e paritario (come nel caso di compagni di scuola e diversamente dal rapporto tra docente e discente, che viene definito verticale).

Vi è, quindi, un contesto formale comune, a cui fa capo un contesto sostanziale asimmetrico, in quanto un soggetto è più debole degli altri e finisce per divenire vittima di fenomeni di bullismo.

Inoltre, si suole distinguere il bullismo [per un’analisi esaustiva sul tema del bullismo dal punto di vista giuridico, si rinvia a ASCIONE, Bullismo, tutela giuridica alla luce della Direttiva Ministeriale n. 16/2007, Matelica (MC), 2007] in diretto ed indiretto, dove il primo è caratterizzato dal comportamento univocamente direzionato del soggetto attivo (o soggetti attivi) verso la vittima designata, mentre il secondo riguarda, per lo più, comportamenti che danneggiano in modo mediato la vittima, come nel caso di soggetti che diffondono voci infondate sulla vittima, ovvero deridono la vittima al suo passaggio nei corridoi.

Di fronte a queste tematiche relativamente nuove, il giurista si è trovato di fronte al problema interpretativo relativo alla qualificazione di detta fattispecie: si tratta di un fenomeno simile al mobbing? Quale norma può trovare applicazione nell’ambito di situazioni di bullismo?

Tesi del bullismo come mobbing

Secondo una prima ricostruzione, il problema posto ben potrebbe essere risolto in termini positivi, con la conseguenza di poter applicare, mutatis mutandis, le evoluzioni giurisprudenziali [Si veda la sentenza della Cassazione civile 4774/2006, su diritto-in-rete.com, 2006, Url: http://www.diritto-in-rete.com/sentenza.asp?id=49] in tema di mobbing [sul tema del mobbing, si veda STAIANO, Dequalificazione professionale e mobbing, Matelica (MC), 2006. Si veda anche LOMBARDO, Mobbing: un possibile intreccio tra titoli di responsabilità, in Il Nuovo Diritto, 4/2005, pag. 205, nonché VIOLA, Il mobbing dal basso verso l’alto, in Studium Iuris, 12/2006. Si veda, altresì, MONATERI, BONA, ULIVA, Mobbing, vessazioni sul lavoro, Milano, 2000] anche al bullismo, al fine di perimetrarne correttamente l’ambito di illiceità.

In particolare, il bullismo, al pari del mobbing, sembrerebbe riguardare una condotta ripetuta nel tempo (soprattutto nel caso di bullismo indiretto) posta in essere ai danni di un soggetto più debole, con atteggiamento vessatorio e finalità emulative; il bullismo avrebbe proprio ad oggetto un comportamento vessatorio.

In effetti, il soggetto attivo del bullismo, come nell’ipotesi classica del datore di lavoro, si trova in una situazione giuridica di asimmetria del potere, nel senso che un soggetto è, in concreto, molto più forte di un altro e ne approfitta per danneggiare il più debole; il contesto giuridico scatenante il bullismo, quindi, è al pari del mobbing [La responsabilità da mobbing viene considerata contrattuale; sul punto si veda Cass. Civ. 8438/2004, in diritto-in-rete.com, 2004, Url: http://www.diritto-in-rete.com/sentenza.asp?id=10], fondato su un’asimmetria del potere (da verificare in concreto e non in astratto [L’asimmetria del potere andrebbe vista in concreto, tanto che potrebbe sussistere un mobbing del dipendente (o dipendenti) di lavoro verso il datore, come ipotizzato in VIOLA, Il mobbing del debole verso il forte, in Il Nuovo Diritto, 9/10-2006]) che si esprime attraverso forme di prevaricazione.

Inoltre, viene detto, anche l’elemento psicologico sarebbe comune alle due fattispecie prese in esame, in quanto ben potrebbe sussistere la finalità emulativa ovvero dolo intenzionale [sul concetto di dolo intenzionale, si veda ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, Milano, 1999], che si traduce nella volontà di danneggiare la vittima senza alcun vantaggio personale (che possa ritenersi ragionevole e serio).

In questo senso, allora, il bullismo, al pari del mobbing, ben potrebbe essere un comportamento vessatorio, ripetuto nel tempo, con finalità emulative a danno di un soggetto più debole (per condizione sociale, economica, culturale, ecc.).

Tesi preferibile del bullismo come fattispecie autonoma

Invero, secondo altra ricostruzione, che sembra preferibile, il problema posto andrebbe risolto in termini negativi, nel senso, cioè, che l’inquadramento giuridico del bullismo sarebbe ben diverso da quello relativo al mobbing.

Il referente normativo del mobbing, innanzitutto, non sarebbe estensibile alle ipotesi del bullismo; in particolare, l’art. 2087 c.c., che viene considerato l’articolo più idoneo a perimetrare il mobbing [STAIANO, Dequalificazione professionale e mobbing, già cit.], riguarda il datore di lavoro, nel senso che quest’ultimo deve impegnarsi ad adottare le misure che sono necessarie a tutelare la personalità morale del prestatore di lavoro, mentre nulla viene detto con riferimento al soggetto attivo del bullismo.

In termini più chiari, i destinatari dell’art. 2087 c.c. sono i datori di lavoro e non i soggetti attivi del bullismo (cc.dd. bulli), con la conseguenza logico-deduttiva che la suddetta norma sarà applicabile limitatamente ai rapporti di lavoro e non a rapporti orizzontali tra amici o compagni di scuola; id est, l’articolo 2087 c.c. riguarda il datore di lavoro e non il ragazzo bullo.

Inoltre, la condotta del bullo, a rigore, non sarebbe uguale o equivalente a quella del mobber perché non sarebbe necessaria la ripetitività del fatto, essendo sufficiente, nel bullismo, anche un solo episodio idoneo a cagionare un danno, fisico e/o psichico, esistenziale e/o morale, alla vittima; nel bullismo non sarebbe necessario un minimum di reiterazione nel tempo del comportamento antigiuridico come nel caso di mobbing [sul punto, si veda anche STAIANO in Atti del convegno, Università degli studi della Basilicata, Mobbing: osservato speciale, 21-11-2006, in fase di pubblicazione].

Altresì, ulteriore elemento differenziale tra bullismo e mobbing, sembra emergere dall’analisi dell’elemento psicologico, in quanto nel primo caso non sembra si possa parlare di dolo intenzionale, come nel secondo caso [si ricorda che la giurisprudenza più recente in tema di mobbing, ha individuato l’elemento psicologico del mobber nella finalità emulativa che, si traduce, in base alle categorie più classiche del dolo, in dolo intenzionale. Si veda, Cassazione civile 4774/2006, su diritto-in-rete.com, 2006, Url: http://www.diritto-in-rete.com/sentenza.asp?id=49]; specificatamente, il bullo non sembra agire allo scopo esclusivo di danneggiare la vittima, quanto piuttosto allo scopo di ridere con amici (c.d. bullismo di gruppo) ovvero dimostrare a se e ad altri di essere il più forte, quasi in una “incosciente attività ludica”.

A titolo meramente esemplificativo basti pensare al problema del cyberbullismo, dove i bulli di turno diffondono on-line [sul problema della diffamazione via web, si rinvia a CULTRERA, Diffamazione, internet e libertà di stampa, Matelica (MC), 2006] le immagini del loro comportamento lesivo della vittima, proprio allo scopo di auto-elogiarsi e far sapere a tutti i compagni della loro “bravata”; non vi è, come nel mobbing, un comportamento formalmente lecito ma sostanzialmente illecito, nonché velato e nascosto, quanto piuttosto un comportamento formalmente e sostanzialmente illecito, realizzato in modo tale da renderlo pubblico.

Nel mobbing, quindi, vi è un dolo diverso che nel bullismo; nel primo, vi è una finalità diretta a danneggiare il soggetto passivo, mentre nel bullismo vi è una finalità diretta ad auto-elogiarsi e ridere, accettando il rischio di cagionare un danno alla vittima.

In termini diversi, nel mobbing l’agente agirebbe al fine di danneggiare la vittima, mentre nel bullismo l’agente agirebbe al fine di divertirsi, lato sensu, accettando il rischio di cagionare un danno alla vittima, con il corollario applicativo che nel primo caso vi sarebbe un dolo intenzionale, mentre nel secondo caso un dolo eventuale [per un approfondimento su queste distinzioni relative all’elemento psicologico, prese “in prestito” dal diritto penale, si rinvia a ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, già cit.; si veda anche CONTENTO, Corso di diritto penale, Bari, 1997. Si veda anche VIOLA, Dolo eventuale e colpa cosciente, con particolare riferimento al contagio da virus HIV in caso di rapporto sessuale non protetto, in overlex.com, 2005, Url: http://www.overlex.com/leggiarticolo.asp?id=210] (dolo indiretto).

Semplicisticamente, tralasciando le innumerevoli dispute dottrinali e giurisprudenziali sulla definizione di dolo eventuale, si può dire che nel mobbing il dolo è diretto a danneggiare, mentre nel bullismo si accetta il rischio di cagionare un danno (dolo indiretto), fermo restando che, naturalmente, il bullo potrebbe anche ritenere, presuntivamente ed erroneamente, di non cagionare danni effettivi alla vittima (colpa cosciente); id est, il dolo del mobbing è diverso da quello presente nelle condotte di bullismo.

Infine, nella problematica del bullismo emerge il problema, soventemente, della minore età del bullo, diversamente dal mobbing.

Infatti, il soggetto attivo del bullismo spesso è minorenne, con la conseguenza che il fatto antigiuridico dovrà essere imputato ai genitori [per una trattazione esaustiva sul punto, si rinvia all’ottimo testo ASCIONE, Bullismo, tutela giuridica, già cit.] (culpa in educando), ex art. 2048 c.c., ovvero alla scuola ed ai docenti [di massima, la responsabilità dell’insegnante per i comportamenti dei propri allievi viene definita “da contatto sociale qualificato”; per un approfondimento sul punto si rinvia a VIOLA, TESTINI, La responsabilità da contatto con la Pubblica Amministrazione, Matelica (MC), 2005].

Si tratterebbe, cioè, di una prospettiva di responsabilità del tutto diversa da quella del mobbing: il mobber, se datore di lavoro, risponde in via contrattuale verso il dipendente mobbizzato (mobbing verticale), mentre in via extracontrattuale [si veda LOMBARDO, Mobbing: un possibile intreccio tra titoli di responsabilità, già cit.] se il mobbing si realizza tra colleghi (mobbing orizzontale), diversamente dal problema giuridico del bullismo, dove non vi è mai un bullismo verticale ovvero un datore di lavoro che vuole mobbizzare i suoi dipendenti o docente di scuola che vuole danneggiare gli studenti (al più solo un problema di posizione di garanzia).

Pertanto, alla luce di quanto detto, sembra giuridicamente più corretto distinguere il fenomeno del bullismo da quello del mobbing, perché il referente normativo sembrerebbe diverso, nonché la condotta richiesta ed il relativo elemento psicologico, con la conseguenza logico-applicativa di non poterne estendere analogicamente le evoluzioni giurisprudenziali e dottrinali.

Brevi riflessioni conclusive

Il problema del bullismo pone, invero, significativi problemi di responsabilità in ordine alla culpa in educando [Sul problema della famiglia di fatto, si rinvia a MASCIA, Famiglia di fatto: riconoscimento e tutela, Matelica (MC), 2006] dei genitori (estensibile, per taluni profili, anche al personale docente) nonché alla culpa in vigilando [per un’analisi completa, si rinvia ad ASCIONE, Bullismo, tutela giuridica, già cit.] dei professori; si tratta di problematiche del tutto diverse da quelle del mobbing, dove, non vi è traccia di culpa in educando.

Altresì, sarebbe ipotizzabile, nel bullismo scolastico, anche una certa culpa in organizzando nella misura in cui l’organizzazione strutturale della scuola non permetta il monitoraggio continuo sui comportamenti degli studenti, ovvero non predisponga consultori o uffici ad hoc, affinché esperti del settore possano prevenire fenomeni di bullismo, prima che il malessere del singolo bullo “sfoci” in comportamenti prevaricatori verso altri compagni ed altamente lesivi della loro dignità [soprattutto alla luce del fenomeno del cyberbullismo], e prima che la vittima subisca danni irreparabili, sotto il profilo psichico ed esistenziale [sul concetto di danno esistenziale, sia consentito il rinvio a VIOLA, Il danno esistenziale come mancato guadagno non patrimoniale, in altalex.com, 2005, Url: http://www.altalex.com/index.php?idnot=9855, nonché a VIOLA, Il mancato guadagno esistenziale, in Studium Iuris, 2/2006].

Introduzione

Di recente, il fenomeno del bullismo ha avuto un’espansione impensata e preoccupante, fino a riempire quotidianamente le prime pagine dei giornali.

Si tratta di un fenomeno di prevaricazione che porta, nella sostanza, un soggetto a comportarsi in modo illecito (o illegittimo) verso un altro soggetto, tendenzialmente più debole (per condizione fisica, sociale, psicologica, economica, ecc.); il bullismo viene tradizionalmente considerato un fenomeno orizzontale, perchè si concreta nell’ambito di rapporti tra soggetti formalmente appartenenti al medesimo contesto relazionale e paritario (come nel caso di compagni di scuola e diversamente dal rapporto tra docente e discente, che viene definito verticale).

Vi è, quindi, un contesto formale comune, a cui fa capo un contesto sostanziale asimmetrico, in quanto un soggetto è più debole degli altri e finisce per divenire vittima di fenomeni di bullismo.

Inoltre, si suole distinguere il bullismo [per un’analisi esaustiva sul tema del bullismo dal punto di vista giuridico, si rinvia a ASCIONE, Bullismo, tutela giuridica alla luce della Direttiva Ministeriale n. 16/2007, Matelica (MC), 2007] in diretto ed indiretto, dove il primo è caratterizzato dal comportamento univocamente direzionato del soggetto attivo (o soggetti attivi) verso la vittima designata, mentre il secondo riguarda, per lo più, comportamenti che danneggiano in modo mediato la vittima, come nel caso di soggetti che diffondono voci infondate sulla vittima, ovvero deridono la vittima al suo passaggio nei corridoi.

Di fronte a queste tematiche relativamente nuove, il giurista si è trovato di fronte al problema interpretativo relativo alla qualificazione di detta fattispecie: si tratta di un fenomeno simile al mobbing? Quale norma può trovare applicazione nell’ambito di situazioni di bullismo?

Tesi del bullismo come mobbing

Secondo una prima ricostruzione, il problema posto ben potrebbe essere risolto in termini positivi, con la conseguenza di poter applicare, mutatis mutandis, le evoluzioni giurisprudenziali [Si veda la sentenza della Cassazione civile 4774/2006, su diritto-in-rete.com, 2006, Url: http://www.diritto-in-rete.com/sentenza.asp?id=49] in tema di mobbing [sul tema del mobbing, si veda STAIANO, Dequalificazione professionale e mobbing, Matelica (MC), 2006. Si veda anche LOMBARDO, Mobbing: un possibile intreccio tra titoli di responsabilità, in Il Nuovo Diritto, 4/2005, pag. 205, nonché VIOLA, Il mobbing dal basso verso l’alto, in Studium Iuris, 12/2006. Si veda, altresì, MONATERI, BONA, ULIVA, Mobbing, vessazioni sul lavoro, Milano, 2000] anche al bullismo, al fine di perimetrarne correttamente l’ambito di illiceità.

In particolare, il bullismo, al pari del mobbing, sembrerebbe riguardare una condotta ripetuta nel tempo (soprattutto nel caso di bullismo indiretto) posta in essere ai danni di un soggetto più debole, con atteggiamento vessatorio e finalità emulative; il bullismo avrebbe proprio ad oggetto un comportamento vessatorio.

In effetti, il soggetto attivo del bullismo, come nell’ipotesi classica del datore di lavoro, si trova in una situazione giuridica di asimmetria del potere, nel senso che un soggetto è, in concreto, molto più forte di un altro e ne approfitta per danneggiare il più debole; il contesto giuridico scatenante il bullismo, quindi, è al pari del mobbing [La responsabilità da mobbing viene considerata contrattuale; sul punto si veda Cass. Civ. 8438/2004, in diritto-in-rete.com, 2004, Url: http://www.diritto-in-rete.com/sentenza.asp?id=10], fondato su un’asimmetria del potere (da verificare in concreto e non in astratto [L’asimmetria del potere andrebbe vista in concreto, tanto che potrebbe sussistere un mobbing del dipendente (o dipendenti) di lavoro verso il datore, come ipotizzato in VIOLA, Il mobbing del debole verso il forte, in Il Nuovo Diritto, 9/10-2006]) che si esprime attraverso forme di prevaricazione.

Inoltre, viene detto, anche l’elemento psicologico sarebbe comune alle due fattispecie prese in esame, in quanto ben potrebbe sussistere la finalità emulativa ovvero dolo intenzionale [sul concetto di dolo intenzionale, si veda ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, Milano, 1999], che si traduce nella volontà di danneggiare la vittima senza alcun vantaggio personale (che possa ritenersi ragionevole e serio).

In questo senso, allora, il bullismo, al pari del mobbing, ben potrebbe essere un comportamento vessatorio, ripetuto nel tempo, con finalità emulative a danno di un soggetto più debole (per condizione sociale, economica, culturale, ecc.).

Tesi preferibile del bullismo come fattispecie autonoma

Invero, secondo altra ricostruzione, che sembra preferibile, il problema posto andrebbe risolto in termini negativi, nel senso, cioè, che l’inquadramento giuridico del bullismo sarebbe ben diverso da quello relativo al mobbing.

Il referente normativo del mobbing, innanzitutto, non sarebbe estensibile alle ipotesi del bullismo; in particolare, l’art. 2087 c.c., che viene considerato l’articolo più idoneo a perimetrare il mobbing [STAIANO, Dequalificazione professionale e mobbing, già cit.], riguarda il datore di lavoro, nel senso che quest’ultimo deve impegnarsi ad adottare le misure che sono necessarie a tutelare la personalità morale del prestatore di lavoro, mentre nulla viene detto con riferimento al soggetto attivo del bullismo.

In termini più chiari, i destinatari dell’art. 2087 c.c. sono i datori di lavoro e non i soggetti attivi del bullismo (cc.dd. bulli), con la conseguenza logico-deduttiva che la suddetta norma sarà applicabile limitatamente ai rapporti di lavoro e non a rapporti orizzontali tra amici o compagni di scuola; id est, l’articolo 2087 c.c. riguarda il datore di lavoro e non il ragazzo bullo.

Inoltre, la condotta del bullo, a rigore, non sarebbe uguale o equivalente a quella del mobber perché non sarebbe necessaria la ripetitività del fatto, essendo sufficiente, nel bullismo, anche un solo episodio idoneo a cagionare un danno, fisico e/o psichico, esistenziale e/o morale, alla vittima; nel bullismo non sarebbe necessario un minimum di reiterazione nel tempo del comportamento antigiuridico come nel caso di mobbing [sul punto, si veda anche STAIANO in Atti del convegno, Università degli studi della Basilicata, Mobbing: osservato speciale, 21-11-2006, in fase di pubblicazione].

Altresì, ulteriore elemento differenziale tra bullismo e mobbing, sembra emergere dall’analisi dell’elemento psicologico, in quanto nel primo caso non sembra si possa parlare di dolo intenzionale, come nel secondo caso [si ricorda che la giurisprudenza più recente in tema di mobbing, ha individuato l’elemento psicologico del mobber nella finalità emulativa che, si traduce, in base alle categorie più classiche del dolo, in dolo intenzionale. Si veda, Cassazione civile 4774/2006, su diritto-in-rete.com, 2006, Url: http://www.diritto-in-rete.com/sentenza.asp?id=49]; specificatamente, il bullo non sembra agire allo scopo esclusivo di danneggiare la vittima, quanto piuttosto allo scopo di ridere con amici (c.d. bullismo di gruppo) ovvero dimostrare a se e ad altri di essere il più forte, quasi in una “incosciente attività ludica”.

A titolo meramente esemplificativo basti pensare al problema del cyberbullismo, dove i bulli di turno diffondono on-line [sul problema della diffamazione via web, si rinvia a CULTRERA, Diffamazione, internet e libertà di stampa, Matelica (MC), 2006] le immagini del loro comportamento lesivo della vittima, proprio allo scopo di auto-elogiarsi e far sapere a tutti i compagni della loro “bravata”; non vi è, come nel mobbing, un comportamento formalmente lecito ma sostanzialmente illecito, nonché velato e nascosto, quanto piuttosto un comportamento formalmente e sostanzialmente illecito, realizzato in modo tale da renderlo pubblico.

Nel mobbing, quindi, vi è un dolo diverso che nel bullismo; nel primo, vi è una finalità diretta a danneggiare il soggetto passivo, mentre nel bullismo vi è una finalità diretta ad auto-elogiarsi e ridere, accettando il rischio di cagionare un danno alla vittima.

In termini diversi, nel mobbing l’agente agirebbe al fine di danneggiare la vittima, mentre nel bullismo l’agente agirebbe al fine di divertirsi, lato sensu, accettando il rischio di cagionare un danno alla vittima, con il corollario applicativo che nel primo caso vi sarebbe un dolo intenzionale, mentre nel secondo caso un dolo eventuale [per un approfondimento su queste distinzioni relative all’elemento psicologico, prese “in prestito” dal diritto penale, si rinvia a ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, già cit.; si veda anche CONTENTO, Corso di diritto penale, Bari, 1997. Si veda anche VIOLA, Dolo eventuale e colpa cosciente, con particolare riferimento al contagio da virus HIV in caso di rapporto sessuale non protetto, in overlex.com, 2005, Url: http://www.overlex.com/leggiarticolo.asp?id=210] (dolo indiretto).

Semplicisticamente, tralasciando le innumerevoli dispute dottrinali e giurisprudenziali sulla definizione di dolo eventuale, si può dire che nel mobbing il dolo è diretto a danneggiare, mentre nel bullismo si accetta il rischio di cagionare un danno (dolo indiretto), fermo restando che, naturalmente, il bullo potrebbe anche ritenere, presuntivamente ed erroneamente, di non cagionare danni effettivi alla vittima (colpa cosciente); id est, il dolo del mobbing è diverso da quello presente nelle condotte di bullismo.

Infine, nella problematica del bullismo emerge il problema, soventemente, della minore età del bullo, diversamente dal mobbing.

Infatti, il soggetto attivo del bullismo spesso è minorenne, con la conseguenza che il fatto antigiuridico dovrà essere imputato ai genitori [per una trattazione esaustiva sul punto, si rinvia all’ottimo testo ASCIONE, Bullismo, tutela giuridica, già cit.] (culpa in educando), ex art. 2048 c.c., ovvero alla scuola ed ai docenti [di massima, la responsabilità dell’insegnante per i comportamenti dei propri allievi viene definita “da contatto sociale qualificato”; per un approfondimento sul punto si rinvia a VIOLA, TESTINI, La responsabilità da contatto con la Pubblica Amministrazione, Matelica (MC), 2005].

Si tratterebbe, cioè, di una prospettiva di responsabilità del tutto diversa da quella del mobbing: il mobber, se datore di lavoro, risponde in via contrattuale verso il dipendente mobbizzato (mobbing verticale), mentre in via extracontrattuale [si veda LOMBARDO, Mobbing: un possibile intreccio tra titoli di responsabilità, già cit.] se il mobbing si realizza tra colleghi (mobbing orizzontale), diversamente dal problema giuridico del bullismo, dove non vi è mai un bullismo verticale ovvero un datore di lavoro che vuole mobbizzare i suoi dipendenti o docente di scuola che vuole danneggiare gli studenti (al più solo un problema di posizione di garanzia).

Pertanto, alla luce di quanto detto, sembra giuridicamente più corretto distinguere il fenomeno del bullismo da quello del mobbing, perché il referente normativo sembrerebbe diverso, nonché la condotta richiesta ed il relativo elemento psicologico, con la conseguenza logico-applicativa di non poterne estendere analogicamente le evoluzioni giurisprudenziali e dottrinali.

Brevi riflessioni conclusive

Il problema del bullismo pone, invero, significativi problemi di responsabilità in ordine alla culpa in educando [Sul problema della famiglia di fatto, si rinvia a MASCIA, Famiglia di fatto: riconoscimento e tutela, Matelica (MC), 2006] dei genitori (estensibile, per taluni profili, anche al personale docente) nonché alla culpa in vigilando [per un’analisi completa, si rinvia ad ASCIONE, Bullismo, tutela giuridica, già cit.] dei professori; si tratta di problematiche del tutto diverse da quelle del mobbing, dove, non vi è traccia di culpa in educando.

Altresì, sarebbe ipotizzabile, nel bullismo scolastico, anche una certa culpa in organizzando nella misura in cui l’organizzazione strutturale della scuola non permetta il monitoraggio continuo sui comportamenti degli studenti, ovvero non predisponga consultori o uffici ad hoc, affinché esperti del settore possano prevenire fenomeni di bullismo, prima che il malessere del singolo bullo “sfoci” in comportamenti prevaricatori verso altri compagni ed altamente lesivi della loro dignità [soprattutto alla luce del fenomeno del cyberbullismo], e prima che la vittima subisca danni irreparabili, sotto il profilo psichico ed esistenziale [sul concetto di danno esistenziale, sia consentito il rinvio a VIOLA, Il danno esistenziale come mancato guadagno non patrimoniale, in altalex.com, 2005, Url: http://www.altalex.com/index.php?idnot=9855, nonché a VIOLA, Il mancato guadagno esistenziale, in Studium Iuris, 2/2006].