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Ius corrigendi e suoi limiti nel reato di abuso dei mezzi di correzione e disciplina ex articolo 571 Codice Penale

L’anacronismo della fattispecie dell’abuso di mezzi di correzione disciplinata dall’art. 571 c.p. appare evidenziato dalla sua incompatibilità con l’evoluzione dei rapporti familiari e sociali alla luce del quadro costituzionale e degli interventi normativi internazionali. La Corte di Cassazione con un peculiare pronuncia del 3 maggio 2005 n.16491, oltre a condannare ogni forma di abuso su minori, propone una lettura necessariamente aggiornata dell’art. 571 c.p., vista l’inerzia del Legislatore nell’assenza di adattamento normativo ai mutamenti sociali e familiari.

Sommario:

1. Ratio della norma dell’abuso di mezzi di correzione.

2. Soggetto attivo e fatto tipico dell’art. 571 c.p..

3. La condizione di punibilità prevista dal comma 1 art. 571 c.p..

4. Il reato aggravato dall’evento del comma 2 art. 571 c.p..

5. Ius corrigendi: sua evoluzione giurisprudenziale.

6. Dolo dello ius corrigendi.

7. Differenza tra l’abuso di mezzi di correzione ed il reato di maltrattamenti in famiglia.

8.Commento a Cassazione Penale, Sez. VI, 3 maggio 2005 n. 16491.

1. Ratio della norma dell’abuso si mezzi di correzione

L’art. 571 c.p. reprime la condotta di coloro che in forza della loro autorità abusano dei mezzi di correzione e di disciplina nei confronti della persona loro sottoposta o a loro affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia o per l’esercizio di una professione o di un’arte, se dal fatto deriva un pericolo al corpo o alla mente. I soggetto agenti interessati sono una schiera di soggetti (dal personale della scuola, al maestro di bottega, al personale sanitario o penitenziario) titolari di un famigerato ius corrigendi sul cui significato ruota l’intera fattispecie.

Nel codice Zanardelli questa fattispecie era collocata nel novero dei delitti contro la persona all’art. 390 c.p., ora nel codice Rocco è collocata nel Capo IV nel contesto dei delitti contro l’assistenza familiare del Titolo XI dei delitti contro la famiglia.

L’aver spostato la collocazione topografica della norma ai delitti contro la famiglia nel titolo XI del Libro II del codice Rocco non può avere il significato di attribuire ai soggetti menzionati un indiscusso potere di supremazia nei confronti dei sottoposti soggetti passivi.

La ratio della norma dovrebbe essere, alla luce della collocazione topografica, rinvenuta nel dovere - potere di assistenza familiare, volto alla sviluppo psico-fisico, morale sociale, per uno sviluppo armonico ed equilibrato del soggetto preposto. Quindi per i genitori tale norma dovrebbe tutelare un potere per i minori, per le altre figure la funzione di delega e di ausilio in vacanza dei genitori (PITTARO, Il delitto di abuso di mezzi di correzione e disciplina, in Studium Iuris, 1998, pag. 1238).

Quindi valorizzando la sua collocazione, in un primo tempo, il bene protetto era la famiglia in linea con i valori tutelati dall’ordinamento fascista.

Ma proprio – come si è accennato – l’impropria collocazione sistematica della norma e l’evoluzione sociale e culturale, oltre alla legislazione internazionale, hanno portato a considerare come bene protetto dalla norma l’incolumità psico – fisica del soggetto passivo ovvero la libera manifestazione del pensiero o anche l’inviolabilità della libertà personale.

2. Soggetto attivo, fatto tipico

Il reato di abuso di mezzi di correzione è un reato proprio potendo essere commesso solo da soggetti legati al soggetto passivo da un vincolo che hanno in ragione di una particolare forma di autorità che sostanzia nello ius corrigendi. Tali soggetti sono i genitori riguardo i minori conviventi, gli insegnanti nei confronti degli alunni, gli artigiani o datori di lavoro in rapporto agli apprendisti o garzoni, medici o infermieri rispetto ai ricoverati per ragioni di cura o di custodia.

La condotta incrimina l’abuso dei mezzi di correzione o di disciplina.

3.La condizione obiettiva di punibilità prevista dal comma 1 dell’art. 571 c.p.

L’abuso dei mezzi di correzione viene punito se dal fatto deriva un pericolo di una malattia nel corpo o nella mente.

La giurisprudenza ha sancito che il concetto di malattia è inteso in senso restrittivo, intendendo con detto termine qualsiasi lacerazione, contusione, ma anche se si tratta di una lesione lievissima all’integrità fisica. Tale pericolo può necessitare di una perizia medica per il suo accertamento, ma può derivare anche da presunzioni derivanti dal tipo di abuso perpetrato in danno del minore.

Il citato inciso viene qualificato come una condizione obiettiva di punibilità.

La dottrina e la giurisprudenza si è dibattuta sulla natura estrinseca o intrinseca di tale condizione obiettiva di punibilità. La differenza appare rimarchevole: alla luce dei principi generali la condizione obiettiva di punibilità ex art. 44 c.p. richiede il reato perfetto in tutti i suoi elementi, ma è solo una valutazione di politica criminale a condizionarne la punibilità ad un evento successivo. Si posto l’interrogativo se questa fosse l’intenzione del Legislatore oppure se questi abbia voluto intendere considerare la condizione come un elementi interno del fatto tipico.

La questione è particolarmente dibattuta perché trattasi di una scelta di valori.

La migliore dottrina si è chiesta se il disvalore del fatto stia nell’abuso dei mezzi o se invece consti in quel particolare abuso che ha comportato la malattia nella mente o nel corpo. Questa considerazione ha degli evidenti strascichi sull’elemento soggettivo del reato: nella prima ipotesi è sufficiente la coscienza e volontà dell’abuso; nella seconda la volontà di mettere in pericolo il corpo o la mente.

Si ritiene quasi unanimemente che oggetto della volontà e consapevolezza del soggetto agente sia il distorto uso di tale diritto - dovere, cioè sia l’abuso ad essere sanzionato. E’ una scelta di politica criminale subordinarlo al pericolo nel corpo e nella mente.

Il pericolo non deve attuarsi concretamente altrimenti si ricadrebbe nel comma 2 dell’art. 571 c.p., che sanziona con le pene previste dall’art. 582 e 583 c.p. ridotte di un terzo se deriva una lesione personale; invece se ne deriva la morte si applica la reclusione da tre a otto anni.

4. Il reato aggravato dall’evento del comma 2 dell’art. 571 c.p.

Se dal fatto deriva una lesione personale si applicano le norme degli art. 582 e 583 c.p. ridotte di un terzo; se dal fatto deriva la morte si applica la reclusione da tre a otto anni.

Secondo la maggior parte della dottrina tale fattispecie integra un delitto aggravato dall’evento.

I delitti aggravati dall’evento sono quei delitti che subiscono un aumento di pena dal fatto base si verifica un diverso ed ulteriore evento.

Questi tipi di delitti possono avere due forme: in un caso l’evento più grave è indifferente che sia voluto o meno dal soggetto agente; nel secondo caso il soggetto non deve assolutamente aver voluto l’evento più grave perché altrimenti si ricadrebbe nella forma dolosa di quell’evento.

Si ritiene che l’art. 571 c.p. ricada in questa seconda tipologia: l’agente che ha abusato dei mezzi di correzione o disciplinari e dalla sua condotta sia derivata la lesione o la morte non deve aver voluto tale ulteriore evento neanche sotto la forma del dolo eventuale perché altrimenti risponderebbe dei delitti di lesione ex artt. 582 e 583 o di omicidio volontario.

L’evento aggravatore viene considerato come una circostanza in senso tecnico. Da ciò si evincono due importanti conseguenze secondo la dottrina.

Prima di tutto ai sensi dell’art. 69 comma 4 c.p. tale circostanza entra nel giudizio di bilanciamento delle circostanze eterogenee. Quindi l’aggravante relativa alle lesioni potrebbe equivalere o soccombere dinanzi ad una circostanza attenuante. Un’assurdità giuridica perché contraria alla finalità della norma.

In secondo luogo ai sensi dell’art. 59 comma 2 c.p. le circostanze che aggravano la pena sono valutate a carico dell’agente solamente se dai lui conosciute ovvero ignorate per colpa o ritenute inesistenti per errore determinato dal colpa. Ciò è esattamente il contrario di quanto la norma esige.

Alla luce di queste problematiche insormontabili si ritiene che la lesione o la morte non possa entrare nel giudizio di bilanciamento fra circostanze e che l’evento aggravatore non deve essere né previsto né voluto neppure sotto la forma del dolo eventuale.

5. Ius corrigendi: su evoluzione giurisprudenziale

Il concetto di abuso deriva linguisticamente da un cattivo uso. Il fulcro della norma è da sempre considerato quello ius corrigendi che è oggetto di un dibattito sia dottrinale che giurisprudenziale.

Per aversi abuso occorrerebbe un uso lecito: tale uso dovrebbe essere assegnato – secondo la norma - a particolari soggetti in funzione del diritto – dovere di correggere particolari soggetti preposti.

La giurisprudenza ha sottolineato che l’uso della violenza non può mai avere scopo educativo.

Infatti l’ordinamento attribuisce dignità alla persona anche se minore e la considera a tutti gli effetti titolare di diritti. Deve essere considerato come superato il concetto di minore oggetto solo di protezione da parte degli adulti. La valenza negativa della violenza è stata quindi bandita come finalità e perseguimento dello sviluppo armonico ed equilibrato del minore. Appare quindi anacronistica una educazione fondata sulla vis modica come strumento di correzione (come espresso nella relazione al codice penale del 1930).

Le norme vanno interpretate alla luce delle normative internazionali e nazionali.

Indiscutibilmente centrale è la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del bambino del 1989 che espressamente riconosce “al bambino il diritto al pieno ed armonico sviluppo della personalità, ad essere allevato, istruito e curato nello spirito di pace, dignità e tolleranza”.

Tale Convenzione riconosce anche i diritti dei genitori ed i loro doveri vengono puntualizzati: l’assolvimento del compito educativo di questi deve essere il criterio guida per l’educazione dei figli. Da questa Convenzione sono di immediata applicabilità tutte le norme aventi un contenuto preciso e determinato ed in particolare quelle che stabiliscono l’interesse superiore del bambino come vincolo per il Legislatore sul piano della normazione interna.

Alla luce di queste norme la “correzione del bambino” va estromessa da ogni riferimento gerarchico e autoritativo e letto in relazione alla responsabilità ed all’impegno delle persone preposte alla loro educazione. Quindi l’eccesso dei mezzi di correzione violenti non rientra nell’art. 571 c.p. perché l’abuso è ipotizzabile se lecito è l’uso. Tale reato non sarà configurabile qualora vengano usati mezzi illeciti per natura e potenzialità.

6. Dolo dello ius corrigendi

Un contrasto deciso si deve individuare anche per quanto concerne l’elemento soggettivo di questo reato. Una parte della dottrina propende per il dolo generico, mentre altri in giurisprudenza per il dolo specifico consistente nell’animus di eserciate lo ius corrigendi (Cass. Pen. Sez.VI 29 giugno 1977 in Cassazione Penale, 1978, pag.1336).

La tesi del dolo generico implica la consapevolezza dell’abuso e della natura correzionale del mezzo usato. Non sarebbe necessario un quid pluris.

Nella fattispecie il dolo generico consiste nella coscienza e volontà di sottoporre il soggetto passivo ad una serie di vessazioni e sofferenze psico – fiche in modo da frustare ed avvilire la vittima.

Secondo la giurisprudenza nell’art. 571 c.p. il dolo funge da elemento che unifica una pluralità di fatti ed ha una connotazione unitaria, che deve abbracciare il complesso dei fatti lesivi posti in essere nel tempo dal soggetto agente (Cass. Pen., Sez. VI 22 settembre 2005 n. 39927, in Diritto e Giustizia, n. 43, pag. 65; Cass.Pen., Sez. VI 28 dicembre 2002, in Diritto e Giustizia, n.5 pag. 611).

7. Differenza tra abuso di mezzi di correzione e maltrattamenti in famiglia

Il criterio che differenzia gli art. 571 c.p. e 1’art. 572 c.p., cioè i maltrattamenti in famiglia, è stato oggetto di una evoluzione giurisprudenziale.

La norma sui maltrattamenti in famiglia disciplinata dall’art. 572 c.p. sanziona chiunque, fuori dall’art. 571 c.p., maltratta una persona della famiglia, o un minore degli anni 14, o una persona sottoposta alla sua autorità, o a lui affidata per ragione di educazione, istruzione, cura, vigilanza, o custodia o e per l’esercizio di una professione o di un’arte. Se dal fatto deriva una malattia, si applica la pena da quattro a otto anni, se deriva la morte la reclusione da dodici a venti anni.

La giurisprudenza più risalente riteneva che l’elemento discretivo tra le due norme fosse l’elemento soggettivo.

Si richiedeva all’art. 571 una finalità ulteriore, quella correttiva, di un comportamento censurabile tenuto dalla vittima e quindi un dolo specifico che esplicava nello ius corrigendi. Se tale finalità non era prevista e voluta dalla condotta del soggetto agente il reato era quello dei maltrattamenti in famiglia. Quindi il fine educativo avrebbe contraddistinto l’abuso dei mezzi di correzione e sarebbe estraneo ai maltrattamenti in famiglia (DOSI, Ora il padre-padrone rischia grosso, ma la piena tutela dei minori è lontana, in Diritto e Giustizia, 2005, n. 43 pag. 64 ss).

Secondo la più recente giurisprudenza la differenza tra i due delitti risiede nell’elemento oggettivo, ovvero nella natura del mezzo utilizzato, lecito, ma abusato nel caso dell’art. 571 c.p.; illecito in sé nel caso dell’art. 572 c.p.

L’impostazione tradizionale è stata superata grazie al mutato clima culturale e sociale, al nuovo assetto normativo interno all’ordinamento, in seguito alla riforma del diritto di famiglia del 1975 ed alle normative internazionali in materia (in primis la Convenzione di New York del 1989 ratificata in Italia con Legge n. 176/1991).

La valutazione del mezzo e del fine utilizzato deve essere fondata su di un criterio oggettivo, con riferimento al contesto culturale ed al complesso normativo fornito dall’ordinamento giuridico e dall’intenzione dell’agente.

Il ricorso ad un mezzo oggettivamente non consentito, anche se utilizzato per scopo emendativi, non rientra nell’art. 571 c.p., ma realizza altre ipotesi incriminatrici. Secondo questa intepretazione l’animus corrigendi va tenuto distinto dalla materialità del delitto dovendosi abiurare la tesi che individua nella protezione soggettiva dell’agente una sorta di legittimazione del mezzo usato (Cass. Pen., Sez. VI 22 settembre 2005 n. 39927, cit.).

7. Commento a Cassazione Penale, Sez. VI, 3 maggio 2005 n. 16491

Il fatto.

Un padre, per un anno, esercita violenza psico –fisica nei confronti del figlio. Questi abusi iniziano quando il minore ha solo 18 mesi e sono caratterizzati da una crudeltà gratuita e da atti di sadismo, come ad esempio tenere il piccolo legato ad una sedia, bendato durante la proiezione dei catoni animati, chiuderlo al buio etc. Condotte che hanno portato il bambino in uno stato di terrore nei confronti del padre.

Decisione della Cassazione.

Questa sentenza segna una tappa nell’interpretazione del concetto di ius corrigendi e nell’analisi ermeneutica dell’art. 571 c.p. in generale.

Netto è il rifiuto dei Giudici della Suprema Corte di interpretare questa norma con i canoni socio – culturali del 1930. Infatti una interpretazione risalente, ma consolidata permetteva di rendere ammissibili l’uso della violenza nell’ambito di particolari relazioni tra individui, purché nei limiti di una vis modica non determinanti il pericolo di una malattia nel corpo o nella mente (Cass. Pen. Sez. VI 11 aprile 1996 in Guida al diritto, 1996, n,23, pag. 87; Cass. Pen. Sez. VI 8 maggio 1990 in Cassazione Penale, 1992, 2339). Questa interpretazione è palesemente anacronistica con l’attuale contesto socio – familiare e delle relazioni interpersonali.

Oltre al mutato clima storico, la Corte sottolinea gli interventi normativi nazionali ed internazionali.

Per gli interventi nazionali, è la stessa Costituzione a tutelate il minore con gli artt. 2, 3, 30 e 31.

Sul piano internazionale giova ricordare la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989 che riconosce al minore il diritto ad uno sviluppo armonico della personalità e ad essere educato nel rispetto dei valori di tolleranza, dignità e ad essere tutelato da ogni forma di violenza fisica o mentale (SACCUCCI, Riflessioni sulla tutela internazionale dei diritti dei minori, in Giur.it, 2000, 222).

L’interpretazione dell’art. 571 c.p. non può essere scevra da questo mutato quadro culturale e normativo.

Sulla scia delle più recenti interpretazioni che hanno preconizzato una nuova lettura della norma, viene bandito l’utilizzo della violenza come sistema educativo (Cass. Pen., Sez. VI 18 marzo 1996, in Diritto penale e processo, 1996, 1130; Cass. Pen., Sez. VI 7 novembre 1997 in Cass. Pen., 2000, 32).

Lo ius corrigendi ha senso solo se affiancato dal concetto dell’educazione: così intesa la correzione-educazione appare incompatibile con l’impiego della violenza.

La Cassazione, nella sua pronuncia, è particolarmente aderente al dato letterale delle norma e si sofferma anche sulla sua esegesi per comprenderne il necessario mutamento intepretativo.

La norma, infatti, si occupa di abusi di mezzi di correzione. La Corte, facendo propri gli insegnamenti della scienza criminologica e psicologica, comprende in questo concetto non solo le violenze materiali, ma anche i comportamenti passivi e omissivi di cure e violenze psicologiche.

Sempre dall’analisi testuale, la Corte puntualizza che “il pericolo al corpo ed alla mente” sussiste quando si realizza il rischio concreto di rilevanti conseguenze sulla salute psichica del soggetto. Sottolineando la dannosità dei metodi di educazione rigidi ed autoritari sulla salute psichica del minore estende la fattispecie fino a comprendere ogni metodo educativo violento tale da compromettere lo sviluppo armonico dello stesso.

In ordine all’elemento soggettivo, la Corte ribadisce che si tratta di dolo generico non essendo richiesto dalla norma una finalità ulteriore rispetto al fatto costitutivo, cioè la realizzazione della condotta di abuso. Viene quindi abbandonato definitivamente l’orientamento che considerava come dolo specifico l’elemento soggettivo dell’art. 571 c.p.: l’ammissibilità del dolo specifico permetteva di ammettere tutti i mezzi di correzione compatibili con lo scopo educativo del minore.

Con questa pronuncia la Corte compie un notevole passo avanti adeguando l’art. 571 c.p..

L’abuso non è solo un abuso fisico, ma anche psichico; e la condizione di punibilità di “derivare pericolo al corpo ed alla mente “ viene spostato sul secondo dei due.

Nell’attesa di una radicale modifica della norma, quindi, la Corte, superando l’inerzia del Legislatore, adegua l’anacronistica fattispecie al mutato clima sociale e culturale in cui tale fattispecie viene realizzata.

L’anacronismo della fattispecie dell’abuso di mezzi di correzione disciplinata dall’art. 571 c.p. appare evidenziato dalla sua incompatibilità con l’evoluzione dei rapporti familiari e sociali alla luce del quadro costituzionale e degli interventi normativi internazionali. La Corte di Cassazione con un peculiare pronuncia del 3 maggio 2005 n.16491, oltre a condannare ogni forma di abuso su minori, propone una lettura necessariamente aggiornata dell’art. 571 c.p., vista l’inerzia del Legislatore nell’assenza di adattamento normativo ai mutamenti sociali e familiari.

Sommario:

1. Ratio della norma dell’abuso di mezzi di correzione.

2. Soggetto attivo e fatto tipico dell’art. 571 c.p..

3. La condizione di punibilità prevista dal comma 1 art. 571 c.p..

4. Il reato aggravato dall’evento del comma 2 art. 571 c.p..

5. Ius corrigendi: sua evoluzione giurisprudenziale.

6. Dolo dello ius corrigendi.

7. Differenza tra l’abuso di mezzi di correzione ed il reato di maltrattamenti in famiglia.

8.Commento a Cassazione Penale, Sez. VI, 3 maggio 2005 n. 16491.

1. Ratio della norma dell’abuso si mezzi di correzione

L’art. 571 c.p. reprime la condotta di coloro che in forza della loro autorità abusano dei mezzi di correzione e di disciplina nei confronti della persona loro sottoposta o a loro affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia o per l’esercizio di una professione o di un’arte, se dal fatto deriva un pericolo al corpo o alla mente. I soggetto agenti interessati sono una schiera di soggetti (dal personale della scuola, al maestro di bottega, al personale sanitario o penitenziario) titolari di un famigerato ius corrigendi sul cui significato ruota l’intera fattispecie.

Nel codice Zanardelli questa fattispecie era collocata nel novero dei delitti contro la persona all’art. 390 c.p., ora nel codice Rocco è collocata nel Capo IV nel contesto dei delitti contro l’assistenza familiare del Titolo XI dei delitti contro la famiglia.

L’aver spostato la collocazione topografica della norma ai delitti contro la famiglia nel titolo XI del Libro II del codice Rocco non può avere il significato di attribuire ai soggetti menzionati un indiscusso potere di supremazia nei confronti dei sottoposti soggetti passivi.

La ratio della norma dovrebbe essere, alla luce della collocazione topografica, rinvenuta nel dovere - potere di assistenza familiare, volto alla sviluppo psico-fisico, morale sociale, per uno sviluppo armonico ed equilibrato del soggetto preposto. Quindi per i genitori tale norma dovrebbe tutelare un potere per i minori, per le altre figure la funzione di delega e di ausilio in vacanza dei genitori (PITTARO, Il delitto di abuso di mezzi di correzione e disciplina, in Studium Iuris, 1998, pag. 1238).

Quindi valorizzando la sua collocazione, in un primo tempo, il bene protetto era la famiglia in linea con i valori tutelati dall’ordinamento fascista.

Ma proprio – come si è accennato – l’impropria collocazione sistematica della norma e l’evoluzione sociale e culturale, oltre alla legislazione internazionale, hanno portato a considerare come bene protetto dalla norma l’incolumità psico – fisica del soggetto passivo ovvero la libera manifestazione del pensiero o anche l’inviolabilità della libertà personale.

2. Soggetto attivo, fatto tipico

Il reato di abuso di mezzi di correzione è un reato proprio potendo essere commesso solo da soggetti legati al soggetto passivo da un vincolo che hanno in ragione di una particolare forma di autorità che sostanzia nello ius corrigendi. Tali soggetti sono i genitori riguardo i minori conviventi, gli insegnanti nei confronti degli alunni, gli artigiani o datori di lavoro in rapporto agli apprendisti o garzoni, medici o infermieri rispetto ai ricoverati per ragioni di cura o di custodia.

La condotta incrimina l’abuso dei mezzi di correzione o di disciplina.

3.La condizione obiettiva di punibilità prevista dal comma 1 dell’art. 571 c.p.

L’abuso dei mezzi di correzione viene punito se dal fatto deriva un pericolo di una malattia nel corpo o nella mente.

La giurisprudenza ha sancito che il concetto di malattia è inteso in senso restrittivo, intendendo con detto termine qualsiasi lacerazione, contusione, ma anche se si tratta di una lesione lievissima all’integrità fisica. Tale pericolo può necessitare di una perizia medica per il suo accertamento, ma può derivare anche da presunzioni derivanti dal tipo di abuso perpetrato in danno del minore.

Il citato inciso viene qualificato come una condizione obiettiva di punibilità.

La dottrina e la giurisprudenza si è dibattuta sulla natura estrinseca o intrinseca di tale condizione obiettiva di punibilità. La differenza appare rimarchevole: alla luce dei principi generali la condizione obiettiva di punibilità ex art. 44 c.p. richiede il reato perfetto in tutti i suoi elementi, ma è solo una valutazione di politica criminale a condizionarne la punibilità ad un evento successivo. Si posto l’interrogativo se questa fosse l’intenzione del Legislatore oppure se questi abbia voluto intendere considerare la condizione come un elementi interno del fatto tipico.

La questione è particolarmente dibattuta perché trattasi di una scelta di valori.

La migliore dottrina si è chiesta se il disvalore del fatto stia nell’abuso dei mezzi o se invece consti in quel particolare abuso che ha comportato la malattia nella mente o nel corpo. Questa considerazione ha degli evidenti strascichi sull’elemento soggettivo del reato: nella prima ipotesi è sufficiente la coscienza e volontà dell’abuso; nella seconda la volontà di mettere in pericolo il corpo o la mente.

Si ritiene quasi unanimemente che oggetto della volontà e consapevolezza del soggetto agente sia il distorto uso di tale diritto - dovere, cioè sia l’abuso ad essere sanzionato. E’ una scelta di politica criminale subordinarlo al pericolo nel corpo e nella mente.

Il pericolo non deve attuarsi concretamente altrimenti si ricadrebbe nel comma 2 dell’art. 571 c.p., che sanziona con le pene previste dall’art. 582 e 583 c.p. ridotte di un terzo se deriva una lesione personale; invece se ne deriva la morte si applica la reclusione da tre a otto anni.

4. Il reato aggravato dall’evento del comma 2 dell’art. 571 c.p.

Se dal fatto deriva una lesione personale si applicano le norme degli art. 582 e 583 c.p. ridotte di un terzo; se dal fatto deriva la morte si applica la reclusione da tre a otto anni.

Secondo la maggior parte della dottrina tale fattispecie integra un delitto aggravato dall’evento.

I delitti aggravati dall’evento sono quei delitti che subiscono un aumento di pena dal fatto base si verifica un diverso ed ulteriore evento.

Questi tipi di delitti possono avere due forme: in un caso l’evento più grave è indifferente che sia voluto o meno dal soggetto agente; nel secondo caso il soggetto non deve assolutamente aver voluto l’evento più grave perché altrimenti si ricadrebbe nella forma dolosa di quell’evento.

Si ritiene che l’art. 571 c.p. ricada in questa seconda tipologia: l’agente che ha abusato dei mezzi di correzione o disciplinari e dalla sua condotta sia derivata la lesione o la morte non deve aver voluto tale ulteriore evento neanche sotto la forma del dolo eventuale perché altrimenti risponderebbe dei delitti di lesione ex artt. 582 e 583 o di omicidio volontario.

L’evento aggravatore viene considerato come una circostanza in senso tecnico. Da ciò si evincono due importanti conseguenze secondo la dottrina.

Prima di tutto ai sensi dell’art. 69 comma 4 c.p. tale circostanza entra nel giudizio di bilanciamento delle circostanze eterogenee. Quindi l’aggravante relativa alle lesioni potrebbe equivalere o soccombere dinanzi ad una circostanza attenuante. Un’assurdità giuridica perché contraria alla finalità della norma.

In secondo luogo ai sensi dell’art. 59 comma 2 c.p. le circostanze che aggravano la pena sono valutate a carico dell’agente solamente se dai lui conosciute ovvero ignorate per colpa o ritenute inesistenti per errore determinato dal colpa. Ciò è esattamente il contrario di quanto la norma esige.

Alla luce di queste problematiche insormontabili si ritiene che la lesione o la morte non possa entrare nel giudizio di bilanciamento fra circostanze e che l’evento aggravatore non deve essere né previsto né voluto neppure sotto la forma del dolo eventuale.

5. Ius corrigendi: su evoluzione giurisprudenziale

Il concetto di abuso deriva linguisticamente da un cattivo uso. Il fulcro della norma è da sempre considerato quello ius corrigendi che è oggetto di un dibattito sia dottrinale che giurisprudenziale.

Per aversi abuso occorrerebbe un uso lecito: tale uso dovrebbe essere assegnato – secondo la norma - a particolari soggetti in funzione del diritto – dovere di correggere particolari soggetti preposti.

La giurisprudenza ha sottolineato che l’uso della violenza non può mai avere scopo educativo.

Infatti l’ordinamento attribuisce dignità alla persona anche se minore e la considera a tutti gli effetti titolare di diritti. Deve essere considerato come superato il concetto di minore oggetto solo di protezione da parte degli adulti. La valenza negativa della violenza è stata quindi bandita come finalità e perseguimento dello sviluppo armonico ed equilibrato del minore. Appare quindi anacronistica una educazione fondata sulla vis modica come strumento di correzione (come espresso nella relazione al codice penale del 1930).

Le norme vanno interpretate alla luce delle normative internazionali e nazionali.

Indiscutibilmente centrale è la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del bambino del 1989 che espressamente riconosce “al bambino il diritto al pieno ed armonico sviluppo della personalità, ad essere allevato, istruito e curato nello spirito di pace, dignità e tolleranza”.

Tale Convenzione riconosce anche i diritti dei genitori ed i loro doveri vengono puntualizzati: l’assolvimento del compito educativo di questi deve essere il criterio guida per l’educazione dei figli. Da questa Convenzione sono di immediata applicabilità tutte le norme aventi un contenuto preciso e determinato ed in particolare quelle che stabiliscono l’interesse superiore del bambino come vincolo per il Legislatore sul piano della normazione interna.

Alla luce di queste norme la “correzione del bambino” va estromessa da ogni riferimento gerarchico e autoritativo e letto in relazione alla responsabilità ed all’impegno delle persone preposte alla loro educazione. Quindi l’eccesso dei mezzi di correzione violenti non rientra nell’art. 571 c.p. perché l’abuso è ipotizzabile se lecito è l’uso. Tale reato non sarà configurabile qualora vengano usati mezzi illeciti per natura e potenzialità.

6. Dolo dello ius corrigendi

Un contrasto deciso si deve individuare anche per quanto concerne l’elemento soggettivo di questo reato. Una parte della dottrina propende per il dolo generico, mentre altri in giurisprudenza per il dolo specifico consistente nell’animus di eserciate lo ius corrigendi (Cass. Pen. Sez.VI 29 giugno 1977 in Cassazione Penale, 1978, pag.1336).

La tesi del dolo generico implica la consapevolezza dell’abuso e della natura correzionale del mezzo usato. Non sarebbe necessario un quid pluris.

Nella fattispecie il dolo generico consiste nella coscienza e volontà di sottoporre il soggetto passivo ad una serie di vessazioni e sofferenze psico – fiche in modo da frustare ed avvilire la vittima.

Secondo la giurisprudenza nell’art. 571 c.p. il dolo funge da elemento che unifica una pluralità di fatti ed ha una connotazione unitaria, che deve abbracciare il complesso dei fatti lesivi posti in essere nel tempo dal soggetto agente (Cass. Pen., Sez. VI 22 settembre 2005 n. 39927, in Diritto e Giustizia, n. 43, pag. 65; Cass.Pen., Sez. VI 28 dicembre 2002, in Diritto e Giustizia, n.5 pag. 611).

7. Differenza tra abuso di mezzi di correzione e maltrattamenti in famiglia

Il criterio che differenzia gli art. 571 c.p. e 1’art. 572 c.p., cioè i maltrattamenti in famiglia, è stato oggetto di una evoluzione giurisprudenziale.

La norma sui maltrattamenti in famiglia disciplinata dall’art. 572 c.p. sanziona chiunque, fuori dall’art. 571 c.p., maltratta una persona della famiglia, o un minore degli anni 14, o una persona sottoposta alla sua autorità, o a lui affidata per ragione di educazione, istruzione, cura, vigilanza, o custodia o e per l’esercizio di una professione o di un’arte. Se dal fatto deriva una malattia, si applica la pena da quattro a otto anni, se deriva la morte la reclusione da dodici a venti anni.

La giurisprudenza più risalente riteneva che l’elemento discretivo tra le due norme fosse l’elemento soggettivo.

Si richiedeva all’art. 571 una finalità ulteriore, quella correttiva, di un comportamento censurabile tenuto dalla vittima e quindi un dolo specifico che esplicava nello ius corrigendi. Se tale finalità non era prevista e voluta dalla condotta del soggetto agente il reato era quello dei maltrattamenti in famiglia. Quindi il fine educativo avrebbe contraddistinto l’abuso dei mezzi di correzione e sarebbe estraneo ai maltrattamenti in famiglia (DOSI, Ora il padre-padrone rischia grosso, ma la piena tutela dei minori è lontana, in Diritto e Giustizia, 2005, n. 43 pag. 64 ss).

Secondo la più recente giurisprudenza la differenza tra i due delitti risiede nell’elemento oggettivo, ovvero nella natura del mezzo utilizzato, lecito, ma abusato nel caso dell’art. 571 c.p.; illecito in sé nel caso dell’art. 572 c.p.

L’impostazione tradizionale è stata superata grazie al mutato clima culturale e sociale, al nuovo assetto normativo interno all’ordinamento, in seguito alla riforma del diritto di famiglia del 1975 ed alle normative internazionali in materia (in primis la Convenzione di New York del 1989 ratificata in Italia con Legge n. 176/1991).

La valutazione del mezzo e del fine utilizzato deve essere fondata su di un criterio oggettivo, con riferimento al contesto culturale ed al complesso normativo fornito dall’ordinamento giuridico e dall’intenzione dell’agente.

Il ricorso ad un mezzo oggettivamente non consentito, anche se utilizzato per scopo emendativi, non rientra nell’art. 571 c.p., ma realizza altre ipotesi incriminatrici. Secondo questa intepretazione l’animus corrigendi va tenuto distinto dalla materialità del delitto dovendosi abiurare la tesi che individua nella protezione soggettiva dell’agente una sorta di legittimazione del mezzo usato (Cass. Pen., Sez. VI 22 settembre 2005 n. 39927, cit.).

7. Commento a Cassazione Penale, Sez. VI, 3 maggio 2005 n. 16491

Il fatto.

Un padre, per un anno, esercita violenza psico –fisica nei confronti del figlio. Questi abusi iniziano quando il minore ha solo 18 mesi e sono caratterizzati da una crudeltà gratuita e da atti di sadismo, come ad esempio tenere il piccolo legato ad una sedia, bendato durante la proiezione dei catoni animati, chiuderlo al buio etc. Condotte che hanno portato il bambino in uno stato di terrore nei confronti del padre.

Decisione della Cassazione.

Questa sentenza segna una tappa nell’interpretazione del concetto di ius corrigendi e nell’analisi ermeneutica dell’art. 571 c.p. in generale.

Netto è il rifiuto dei Giudici della Suprema Corte di interpretare questa norma con i canoni socio – culturali del 1930. Infatti una interpretazione risalente, ma consolidata permetteva di rendere ammissibili l’uso della violenza nell’ambito di particolari relazioni tra individui, purché nei limiti di una vis modica non determinanti il pericolo di una malattia nel corpo o nella mente (Cass. Pen. Sez. VI 11 aprile 1996 in Guida al diritto, 1996, n,23, pag. 87; Cass. Pen. Sez. VI 8 maggio 1990 in Cassazione Penale, 1992, 2339). Questa interpretazione è palesemente anacronistica con l’attuale contesto socio – familiare e delle relazioni interpersonali.

Oltre al mutato clima storico, la Corte sottolinea gli interventi normativi nazionali ed internazionali.

Per gli interventi nazionali, è la stessa Costituzione a tutelate il minore con gli artt. 2, 3, 30 e 31.

Sul piano internazionale giova ricordare la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989 che riconosce al minore il diritto ad uno sviluppo armonico della personalità e ad essere educato nel rispetto dei valori di tolleranza, dignità e ad essere tutelato da ogni forma di violenza fisica o mentale (SACCUCCI, Riflessioni sulla tutela internazionale dei diritti dei minori, in Giur.it, 2000, 222).

L’interpretazione dell’art. 571 c.p. non può essere scevra da questo mutato quadro culturale e normativo.

Sulla scia delle più recenti interpretazioni che hanno preconizzato una nuova lettura della norma, viene bandito l’utilizzo della violenza come sistema educativo (Cass. Pen., Sez. VI 18 marzo 1996, in Diritto penale e processo, 1996, 1130; Cass. Pen., Sez. VI 7 novembre 1997 in Cass. Pen., 2000, 32).

Lo ius corrigendi ha senso solo se affiancato dal concetto dell’educazione: così intesa la correzione-educazione appare incompatibile con l’impiego della violenza.

La Cassazione, nella sua pronuncia, è particolarmente aderente al dato letterale delle norma e si sofferma anche sulla sua esegesi per comprenderne il necessario mutamento intepretativo.

La norma, infatti, si occupa di abusi di mezzi di correzione. La Corte, facendo propri gli insegnamenti della scienza criminologica e psicologica, comprende in questo concetto non solo le violenze materiali, ma anche i comportamenti passivi e omissivi di cure e violenze psicologiche.

Sempre dall’analisi testuale, la Corte puntualizza che “il pericolo al corpo ed alla mente” sussiste quando si realizza il rischio concreto di rilevanti conseguenze sulla salute psichica del soggetto. Sottolineando la dannosità dei metodi di educazione rigidi ed autoritari sulla salute psichica del minore estende la fattispecie fino a comprendere ogni metodo educativo violento tale da compromettere lo sviluppo armonico dello stesso.

In ordine all’elemento soggettivo, la Corte ribadisce che si tratta di dolo generico non essendo richiesto dalla norma una finalità ulteriore rispetto al fatto costitutivo, cioè la realizzazione della condotta di abuso. Viene quindi abbandonato definitivamente l’orientamento che considerava come dolo specifico l’elemento soggettivo dell’art. 571 c.p.: l’ammissibilità del dolo specifico permetteva di ammettere tutti i mezzi di correzione compatibili con lo scopo educativo del minore.

Con questa pronuncia la Corte compie un notevole passo avanti adeguando l’art. 571 c.p..

L’abuso non è solo un abuso fisico, ma anche psichico; e la condizione di punibilità di “derivare pericolo al corpo ed alla mente “ viene spostato sul secondo dei due.

Nell’attesa di una radicale modifica della norma, quindi, la Corte, superando l’inerzia del Legislatore, adegua l’anacronistica fattispecie al mutato clima sociale e culturale in cui tale fattispecie viene realizzata.