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La moral suasion del fisco

L’adozione di misure di contrasto all’evasione fiscale è una tentazione alla quale nessun Governo Italiano e, quindi, nessuna maggioranza politica, indipendentemente da dove si colloca il “centro”, unico fattor comune agli schieramenti politici presenti in Italia, è in grado di resistere.

Sembrano misure straordinarie, destinate alle emergenze, ma, di fatto, sono sistematicamente “ripresentate” in ogni legislatura così da poter ormai essere definite come ordinarie.

Ovviamente, l’evasione fiscale è una materia molto delicata che non può essere banalizzata; tuttavia proprio la categoricità delle azioni, con le quali i Governi si sono proposti e si propongono di contrastarla, impone di comprendere come mai sia un fenomeno così corrente nella popolazione e ricorrente nei propositi dei soggetti, cui spetta il nobile compito dell’organizzazione della società civile, da sembrare tema sempre attuale e perennemente giovane.

E’ opinamento di scrive che sia difficile capire se le radici del problema siano da ricercarsi unicamente nella “idoneità” del prodotto normativo a svolgere la sua funzione preventiva e/o repressiva o se non risiedano piuttosto in un certo “habitus” mentale, pregiudizialmente avulso all’obbligo fiscale, forgiato sulla nevrosi indotta da una legiferazione quotidiana in materia di fisco e di contrasto allo stesso.

Non preme qui risolvere tale questione, quanto piuttosto, essendo trascorso un tempo sufficiente, tentare di svolgere un’analisi a posteriori della produzione normativa, anche per capire quale prestazione, in termini di adempimenti agli obblighi fiscali, sia ragionevole attendersi e quali ulteriori mezzi per il perseguimento dell’interesse collettivo potrebbero essere adottati.

La morfologia delle azioni intraprese dallo Stato Italiano, a partire dagli anni settanta, per contrastare la varietà di forme che l’evasione ha assunto ed assume può essere così ricostruita, seppur per macrolinee.

Anteriormente alla riforma del 1972, che modificò completamente il sistema impositivo italiano, la corresponsione delle imposte avveniva previa emanazione di un atto nel quale veniva indicato l’ammontare del tributo calcolato in via autoritativa sulla base di imponibili determinati con l’utilizzo di formule induttive e sintetiche.

La citata riforma, tesa a dare un nuovo volto al fisco ed a coinvolgere il contribuente nel momento genetico di applicazione del tributo, prevedeva essenzialmente per tutti i contribuenti l’obbligo della dichiarazione dei redditi, per i professionisti l’obbligo di tenuta delle scritture contabili, il principio della tassazione del reddito effettivo determinato con criteri analitici sulla base delle scritture contabili, l’eliminazione degli strumenti forfetari di determinazione del reddito, come il concordato.

Inoltre, prima dell’entrata in vigore della legge di riforma, venne varato un condono fiscale.

Negli anni 80 il sistema fiscale e contributivo, nonostante gli auspici che avevano accompagnato la riforma introdotta nel precedente decennio, presentava ancora alti livelli di evasione e questo determinò una copiosa produzione normativa. In particolare, si emanarono nuove norme che prevedevano un rigido sistema sanzionatorio, attuato anche attraverso il ricorso alle sanzioni penali, con l’introduzione della legge 7 agosto 1982, n. 516, più nota come la legge “manette agli evasori”. In ordine a tale legge, mi limito ad osservare che non registrò, sul piano dell’effettiva prevenzione e repressione degli inadempimenti degli obblighi tributari, il successo sperato, anzi l’ampiezza e la pluralità delle fattispecie penali previste generò una enorme quantità di processi per reati tributari che contribuirono ad ingolfare i tribunali. La conseguenza, nei fatti, fu che l’intero sistema repressivo, anziché rinforzato, ne uscì indebolito.

Merita, tuttavia, ricordare che vi fu un aumento del numero dei controlli attraverso vari criteri tra i quali l’innovativo “accertamento parziale nelle imposte sui redditi e nell’IVA” istituito con il D.P.R. 14 aprile 1982, n 309.

Seguirono numerose decretazioni volte ad introdurre criteri induttivi, da utilizzare da parte dell’Amministrazione finanziaria per l’accertamento parziale sintetico dei redditi delle persone fisiche, nonché il ricorso a numerosi condoni.

Negli anni 90 tra un condono tombale ed un condono, con l’introduzione del contributo diretto lavorativo, la famosa minimum tax, nacque un nuovo sistema di accertamento che si affiancò a quello già esistente che operava in base ai coefficienti presuntivi. Tale sistema, che si basava sul contributo diretto lavorativo, era volto a determinare un reddito minimo al di sotto del quale il contribuente non poteva scendere.

Gli anni 90, tuttavia, si caratterizzarono per la comparsa degli studi di settore, uno strumento molto più complesso dei coefficienti presuntivi e che avrebbe dovuto sostituirli gradualmente sino alla loro definitiva entrata in vigore, dopo diverse proroghe, nel 1998.

Non ultimo, va ricordato il Decreto Legislativo 30 luglio 1999, n. 300, con il quale sono state istituite le Agenzia fiscali.

Negli anni 2000 il volto del fisco continua a mutare e finalmente prende corpo l’attesa riforma dei reati tributari con il Decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 recante la “nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, a norma dell’articolo 9 della legge 25 giugno 1999, n. 205”.

Tecnicamente dei meriti vanno riconosciuti al legislatore. Di vero l’impianto di tale decretazione si sviluppa secondo un quadro omogeneo, proprio delle legislazioni organiche, comprendente un complesso di norme ridotto, appena 25. La logica di ispirazione di tale decreto è quella della depenalizzazione, con l’attribuzione alla competenza dell’autorità amministrativa delle ipotesi di violazioni formali “prodromiche” all’evasione.

Sempre nel 2000 viene emanata la legge 27 luglio 2002, n. 212 recante “Disposizioni in materia di statuto dei diritti dei contribuenti” con la quale, tra l’altro, viene istituita la figura del Garante del contribuente con funzioni di vigilanza sul corretto rapporto fisco - contribuente.

Il 2001 è l’anno dell’innovativo “scudo fiscale”, strumento volto a favorire il rientro in Italia e la regolarizzazione dei capitali detenuti all’estero, che sarà ripetuto anche successivamente.

Nel 2002 il Dipartimento per le politiche fiscali del Ministero dell’economia e delle finanze acquista l’intero capitale sociale della SOGEI – Società Generale d’Informatica S.p.A. che, cuore digitale dell’Amministrazione finanziaria presso la quale è “custodito” e opera il sistema informativo della fiscalità, assicura ai contribuenti servizi di massima qualità, affinché gli stessi possano adempiere ai propri obblighi fiscali in un contesto di efficienza, integrità ed equità.

La legge 27 dicembre 2002, n. 289 recante “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2003)”, prevedeva una serie di sanatorie che riguardavano un ambito assai vasto comprendente l’Irpeg, l’Irpef, l’IVA, l’imposta di registro, l’imposta ipotecaria e catastale, etc..

Riguardo agli strumenti di controllo, sempre nel 2003 assume rilevanza il “concordato preventivo” introdotto con la legge 7 aprile 2003 “Delega al Governo per la riforma del sistema fiscale statale”.

Nelle intenzioni del legislatore il concordato preventivo avrebbe dovuto avere le caratteristiche di un accordo individuale tra fisco e contribuente; successivamente, invece, con la legge 30 dicembre 2004, n. 311 “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2005)” il “concordato preventivo” si è trasformato nella “pianificazione fiscale concordata”, istituto connesso con la disciplina degli “studi di settore”.

La finanziaria 2005 contiene una serie di previsioni normative finalizzate a rafforzare il ruolo degli “studi di settore”, nonché disposizioni volte a favorire l’Agenzia delle entrate e la Guardia di finanza nell’espletamento delle indagini bancarie.

Infine, è con il decreto legge 30 settembre 2005, n. 203 “Misure di contrasto all’evasione fiscale e disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria”, collegato alla finanziaria 2006, convertito con modificazioni dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248, che vengono approvate nuove misure di contrasto al fenomeno evasivo.

Tra le varie novità di rilievo, si impongono l’atteso coinvolgimento o, se vogliamo, la partecipazione dei Comuni all’accertamento fiscale e la cessazione del sistema di affidamento in concessione del servizio nazionale della riscossione.

Infatti, la decretazione in oggetto prevede che le attività di riscossione vengano esercitate da un’apposita società dal nome emblematico “Riscossione S.p.A.”, recentemente ribattezzata in Equitalia S.p.A..

Il resto è storia dei giorni nostri.

Senza alcuna pretesa di esaustività, si è cercato di ricostruire i momenti fondanti che hanno determinato la nascita e l’evoluzione del sistema fiscale italiano.

E’ evidente come il fenomeno dell’evasione fiscale, nonostante il lungo e articolato percorso seguito dal sistema fiscale nell’agevolare l’adempimento e contrastare le pratiche scorrette, continui a prosperare e ad essere materia ed argomento prioritario per il governo.

Probabilmente, tale resistenza del fenomeno deve essere ricondotta anche ad un fattore culturale, e questo non vuol dire che l’evasione debba considerarsi una specie del più ampio genus dell’illegalità con la quale dover convivere, ma un fenomeno a cui rivolgersi, per un rapporto biunivoco (contribuente - ente impositore e viceversa) e non più univoco (ente impositore - contribuente) partendo non dal presupposto che determina l’imposizione dell’adempimento tributario, ma, al contrario dal presupposto che forma nella coscienza il dovere di garantire l’adempimento tributario.

La sostanza del problema, ad opinamento di chi scrive, è molto più semplice di quello che sembra non trattandosi di iperuranio concettuale, ma di rispettare la norma per un bene superindividuale o collettivo, che dati alla mano sull’evasione fiscale sembra avere contorni indefiniti.

Ebbene, la sottrazione d’imposta, quale che sia, colpisce proprio la collettività che si confronta con le minori risorse percepite a causa della sottrazione e che, tradotte nella pratica quotidiana, solo per il gusto di definirne i contorni, prendono le sembianze dei servizi sanitari, dei servizi sociali, etc.. Infatti, l’evasione fiscale o meglio l’effetto della “perdita di gettito”, incidendo sulla redistribuzione delle risorse, colpisce proprio la qualità della spesa sociale indebolendo l’efficacia l’intero sistema.

Conscio che il problema dell’evasione fiscale è intimamente connesso all’economia ed al lavoro sommerso - che in tale sede non è però neppure sfiorato - nonché del fatto che il problema non riguarda l’intera forza produttiva, ma solo una parte della stessa, ne deriva che coloro che la parte “adempiente”. per un verso è affetta da un senso di frustrazione, quale risultato dell’adempimento di un dovere di civiltà, “la contribuzione fiscale”, dall’altro è il vero garante della tutela dei diritti e delle libertà dei cittadini. Come affermato anche dal Prof. Carlo Fusaro nella sua presentazione al saggio: “Il costo dei diritti – Perché la libertà dipende dalle tasse”, di Stephen Holmes (professore di Political Science and Law a Princeton e professor of Law alla New York School of Law) e di Cass S. Sunstein (professor of Jurisprudence alla Law School di Chicago) nella quale ricorda che “i diritti, intesi in quanto interessi giuridicamente protetti, non solo esistono nella stretta misura in cui l’ordinamento considerato effettivamente li riconosce e li tutela (sul che ogni positivista europeo sarebbe d’accordo), ma per immediata e diretta conseguenza dipendono altrettanto strettamente dalle risorse che l’ordinamento è disposto a devolvere a tale scopo. Dunque dipendono dalla quota di danaro raccolto a carico dei cittadini contribuenti e che ad essi è destinata. Perciò, come recita il sottotitolo, la libertà, anzi, al plurale, le libertà dipendono dalle tasse”.

Le misure repressive messe in campo dallo Stato, ultime in ordine di tempo quelle contenute nella Finanziaria 2007, per intervenire incisivamente sui meccanismi dell’evasione fiscale, non sono i soli compiti di uno Stato moderno, come argomentato, con impareggiabile semplicità, dai citati autori i quali affermano che “per scoraggiare le frodi, lo stato deve essere interventista e ben finanziato. […] Lo stato non deve solamente reprimere la violenza e la frode, investire in infrastrutture e professionalità, tutelare i diritti dei titolari di azioni, vigilare sulla compravendita dei titoli, proteggere i brevetti e i marchi d’impresa: deve anche definire chiaramente lo status giuridico delle garanzie di credito, deve disciplinare il settore bancario e i mercati finanziari per impedire che si formino meccanismi a piramide, e per assicurare che il credito fluisca stabilmente verso le imprese piuttosto che verso pochi eletti. Anche l’applicazione delle norme antitrust è cruciale. Perché questi servizi siano garantiti, i mercati esigono l’intervento dello Stato, che a spese del contribuente deve promuovere l’innovazione, incoraggiare gli investimenti, incentivare la produttività dei lavoratori, innalzare i livelli di produzione, e stimolare l’impiego migliore di risorse limitate. […] Non è un compito facile, né poco costoso. Per fare tutto questo, uno Stato deve innanzi tutto raccogliere denaro attraverso il prelievo fiscale e poi ridistribuirlo in modo intelligente e responsabile”.

La finalità di un “sistema paese” moderno, per un’inversione di marcia verso la strada della legalità fiscale, passa anche, adottando il concetto economico di uno dei più celebri maestri dell’economia Paul Samuelson, attraverso un costo opportunità individuato, sacrificando alcune delle numerose opportunità di cui dispone lo Stato per perseguire l’onestà contributiva, nell’educazione fiscale, prevedendo specifici percorsi formativi, per diffondere la cultura contributiva e quindi agendo in funzione preventiva, prima ancora che repressiva, al fine di evitare, come ricordato dal Vice Ministro dell’Economia del Governo Prodi, una sorta di circolo vizioso per cui le tasse non si pagano perché si sa che tutti non le pagano.

L’adozione di misure di contrasto all’evasione fiscale è una tentazione alla quale nessun Governo Italiano e, quindi, nessuna maggioranza politica, indipendentemente da dove si colloca il “centro”, unico fattor comune agli schieramenti politici presenti in Italia, è in grado di resistere.

Sembrano misure straordinarie, destinate alle emergenze, ma, di fatto, sono sistematicamente “ripresentate” in ogni legislatura così da poter ormai essere definite come ordinarie.

Ovviamente, l’evasione fiscale è una materia molto delicata che non può essere banalizzata; tuttavia proprio la categoricità delle azioni, con le quali i Governi si sono proposti e si propongono di contrastarla, impone di comprendere come mai sia un fenomeno così corrente nella popolazione e ricorrente nei propositi dei soggetti, cui spetta il nobile compito dell’organizzazione della società civile, da sembrare tema sempre attuale e perennemente giovane.

E’ opinamento di scrive che sia difficile capire se le radici del problema siano da ricercarsi unicamente nella “idoneità” del prodotto normativo a svolgere la sua funzione preventiva e/o repressiva o se non risiedano piuttosto in un certo “habitus” mentale, pregiudizialmente avulso all’obbligo fiscale, forgiato sulla nevrosi indotta da una legiferazione quotidiana in materia di fisco e di contrasto allo stesso.

Non preme qui risolvere tale questione, quanto piuttosto, essendo trascorso un tempo sufficiente, tentare di svolgere un’analisi a posteriori della produzione normativa, anche per capire quale prestazione, in termini di adempimenti agli obblighi fiscali, sia ragionevole attendersi e quali ulteriori mezzi per il perseguimento dell’interesse collettivo potrebbero essere adottati.

La morfologia delle azioni intraprese dallo Stato Italiano, a partire dagli anni settanta, per contrastare la varietà di forme che l’evasione ha assunto ed assume può essere così ricostruita, seppur per macrolinee.

Anteriormente alla riforma del 1972, che modificò completamente il sistema impositivo italiano, la corresponsione delle imposte avveniva previa emanazione di un atto nel quale veniva indicato l’ammontare del tributo calcolato in via autoritativa sulla base di imponibili determinati con l’utilizzo di formule induttive e sintetiche.

La citata riforma, tesa a dare un nuovo volto al fisco ed a coinvolgere il contribuente nel momento genetico di applicazione del tributo, prevedeva essenzialmente per tutti i contribuenti l’obbligo della dichiarazione dei redditi, per i professionisti l’obbligo di tenuta delle scritture contabili, il principio della tassazione del reddito effettivo determinato con criteri analitici sulla base delle scritture contabili, l’eliminazione degli strumenti forfetari di determinazione del reddito, come il concordato.

Inoltre, prima dell’entrata in vigore della legge di riforma, venne varato un condono fiscale.

Negli anni 80 il sistema fiscale e contributivo, nonostante gli auspici che avevano accompagnato la riforma introdotta nel precedente decennio, presentava ancora alti livelli di evasione e questo determinò una copiosa produzione normativa. In particolare, si emanarono nuove norme che prevedevano un rigido sistema sanzionatorio, attuato anche attraverso il ricorso alle sanzioni penali, con l’introduzione della legge 7 agosto 1982, n. 516, più nota come la legge “manette agli evasori”. In ordine a tale legge, mi limito ad osservare che non registrò, sul piano dell’effettiva prevenzione e repressione degli inadempimenti degli obblighi tributari, il successo sperato, anzi l’ampiezza e la pluralità delle fattispecie penali previste generò una enorme quantità di processi per reati tributari che contribuirono ad ingolfare i tribunali. La conseguenza, nei fatti, fu che l’intero sistema repressivo, anziché rinforzato, ne uscì indebolito.

Merita, tuttavia, ricordare che vi fu un aumento del numero dei controlli attraverso vari criteri tra i quali l’innovativo “accertamento parziale nelle imposte sui redditi e nell’IVA” istituito con il D.P.R. 14 aprile 1982, n 309.

Seguirono numerose decretazioni volte ad introdurre criteri induttivi, da utilizzare da parte dell’Amministrazione finanziaria per l’accertamento parziale sintetico dei redditi delle persone fisiche, nonché il ricorso a numerosi condoni.

Negli anni 90 tra un condono tombale ed un condono, con l’introduzione del contributo diretto lavorativo, la famosa minimum tax, nacque un nuovo sistema di accertamento che si affiancò a quello già esistente che operava in base ai coefficienti presuntivi. Tale sistema, che si basava sul contributo diretto lavorativo, era volto a determinare un reddito minimo al di sotto del quale il contribuente non poteva scendere.

Gli anni 90, tuttavia, si caratterizzarono per la comparsa degli studi di settore, uno strumento molto più complesso dei coefficienti presuntivi e che avrebbe dovuto sostituirli gradualmente sino alla loro definitiva entrata in vigore, dopo diverse proroghe, nel 1998.

Non ultimo, va ricordato il Decreto Legislativo 30 luglio 1999, n. 300, con il quale sono state istituite le Agenzia fiscali.

Negli anni 2000 il volto del fisco continua a mutare e finalmente prende corpo l’attesa riforma dei reati tributari con il Decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 recante la “nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, a norma dell’articolo 9 della legge 25 giugno 1999, n. 205”.

Tecnicamente dei meriti vanno riconosciuti al legislatore. Di vero l’impianto di tale decretazione si sviluppa secondo un quadro omogeneo, proprio delle legislazioni organiche, comprendente un complesso di norme ridotto, appena 25. La logica di ispirazione di tale decreto è quella della depenalizzazione, con l’attribuzione alla competenza dell’autorità amministrativa delle ipotesi di violazioni formali “prodromiche” all’evasione.

Sempre nel 2000 viene emanata la legge 27 luglio 2002, n. 212 recante “Disposizioni in materia di statuto dei diritti dei contribuenti” con la quale, tra l’altro, viene istituita la figura del Garante del contribuente con funzioni di vigilanza sul corretto rapporto fisco - contribuente.

Il 2001 è l’anno dell’innovativo “scudo fiscale”, strumento volto a favorire il rientro in Italia e la regolarizzazione dei capitali detenuti all’estero, che sarà ripetuto anche successivamente.

Nel 2002 il Dipartimento per le politiche fiscali del Ministero dell’economia e delle finanze acquista l’intero capitale sociale della SOGEI – Società Generale d’Informatica S.p.A. che, cuore digitale dell’Amministrazione finanziaria presso la quale è “custodito” e opera il sistema informativo della fiscalità, assicura ai contribuenti servizi di massima qualità, affinché gli stessi possano adempiere ai propri obblighi fiscali in un contesto di efficienza, integrità ed equità.

La legge 27 dicembre 2002, n. 289 recante “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2003)”, prevedeva una serie di sanatorie che riguardavano un ambito assai vasto comprendente l’Irpeg, l’Irpef, l’IVA, l’imposta di registro, l’imposta ipotecaria e catastale, etc..

Riguardo agli strumenti di controllo, sempre nel 2003 assume rilevanza il “concordato preventivo” introdotto con la legge 7 aprile 2003 “Delega al Governo per la riforma del sistema fiscale statale”.

Nelle intenzioni del legislatore il concordato preventivo avrebbe dovuto avere le caratteristiche di un accordo individuale tra fisco e contribuente; successivamente, invece, con la legge 30 dicembre 2004, n. 311 “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2005)” il “concordato preventivo” si è trasformato nella “pianificazione fiscale concordata”, istituto connesso con la disciplina degli “studi di settore”.

La finanziaria 2005 contiene una serie di previsioni normative finalizzate a rafforzare il ruolo degli “studi di settore”, nonché disposizioni volte a favorire l’Agenzia delle entrate e la Guardia di finanza nell’espletamento delle indagini bancarie.

Infine, è con il decreto legge 30 settembre 2005, n. 203 “Misure di contrasto all’evasione fiscale e disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria”, collegato alla finanziaria 2006, convertito con modificazioni dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248, che vengono approvate nuove misure di contrasto al fenomeno evasivo.

Tra le varie novità di rilievo, si impongono l’atteso coinvolgimento o, se vogliamo, la partecipazione dei Comuni all’accertamento fiscale e la cessazione del sistema di affidamento in concessione del servizio nazionale della riscossione.

Infatti, la decretazione in oggetto prevede che le attività di riscossione vengano esercitate da un’apposita società dal nome emblematico “Riscossione S.p.A.”, recentemente ribattezzata in Equitalia S.p.A..

Il resto è storia dei giorni nostri.

Senza alcuna pretesa di esaustività, si è cercato di ricostruire i momenti fondanti che hanno determinato la nascita e l’evoluzione del sistema fiscale italiano.

E’ evidente come il fenomeno dell’evasione fiscale, nonostante il lungo e articolato percorso seguito dal sistema fiscale nell’agevolare l’adempimento e contrastare le pratiche scorrette, continui a prosperare e ad essere materia ed argomento prioritario per il governo.

Probabilmente, tale resistenza del fenomeno deve essere ricondotta anche ad un fattore culturale, e questo non vuol dire che l’evasione debba considerarsi una specie del più ampio genus dell’illegalità con la quale dover convivere, ma un fenomeno a cui rivolgersi, per un rapporto biunivoco (contribuente - ente impositore e viceversa) e non più univoco (ente impositore - contribuente) partendo non dal presupposto che determina l’imposizione dell’adempimento tributario, ma, al contrario dal presupposto che forma nella coscienza il dovere di garantire l’adempimento tributario.

La sostanza del problema, ad opinamento di chi scrive, è molto più semplice di quello che sembra non trattandosi di iperuranio concettuale, ma di rispettare la norma per un bene superindividuale o collettivo, che dati alla mano sull’evasione fiscale sembra avere contorni indefiniti.

Ebbene, la sottrazione d’imposta, quale che sia, colpisce proprio la collettività che si confronta con le minori risorse percepite a causa della sottrazione e che, tradotte nella pratica quotidiana, solo per il gusto di definirne i contorni, prendono le sembianze dei servizi sanitari, dei servizi sociali, etc.. Infatti, l’evasione fiscale o meglio l’effetto della “perdita di gettito”, incidendo sulla redistribuzione delle risorse, colpisce proprio la qualità della spesa sociale indebolendo l’efficacia l’intero sistema.

Conscio che il problema dell’evasione fiscale è intimamente connesso all’economia ed al lavoro sommerso - che in tale sede non è però neppure sfiorato - nonché del fatto che il problema non riguarda l’intera forza produttiva, ma solo una parte della stessa, ne deriva che coloro che la parte “adempiente”. per un verso è affetta da un senso di frustrazione, quale risultato dell’adempimento di un dovere di civiltà, “la contribuzione fiscale”, dall’altro è il vero garante della tutela dei diritti e delle libertà dei cittadini. Come affermato anche dal Prof. Carlo Fusaro nella sua presentazione al saggio: “Il costo dei diritti – Perché la libertà dipende dalle tasse”, di Stephen Holmes (professore di Political Science and Law a Princeton e professor of Law alla New York School of Law) e di Cass S. Sunstein (professor of Jurisprudence alla Law School di Chicago) nella quale ricorda che “i diritti, intesi in quanto interessi giuridicamente protetti, non solo esistono nella stretta misura in cui l’ordinamento considerato effettivamente li riconosce e li tutela (sul che ogni positivista europeo sarebbe d’accordo), ma per immediata e diretta conseguenza dipendono altrettanto strettamente dalle risorse che l’ordinamento è disposto a devolvere a tale scopo. Dunque dipendono dalla quota di danaro raccolto a carico dei cittadini contribuenti e che ad essi è destinata. Perciò, come recita il sottotitolo, la libertà, anzi, al plurale, le libertà dipendono dalle tasse”.

Le misure repressive messe in campo dallo Stato, ultime in ordine di tempo quelle contenute nella Finanziaria 2007, per intervenire incisivamente sui meccanismi dell’evasione fiscale, non sono i soli compiti di uno Stato moderno, come argomentato, con impareggiabile semplicità, dai citati autori i quali affermano che “per scoraggiare le frodi, lo stato deve essere interventista e ben finanziato. […] Lo stato non deve solamente reprimere la violenza e la frode, investire in infrastrutture e professionalità, tutelare i diritti dei titolari di azioni, vigilare sulla compravendita dei titoli, proteggere i brevetti e i marchi d’impresa: deve anche definire chiaramente lo status giuridico delle garanzie di credito, deve disciplinare il settore bancario e i mercati finanziari per impedire che si formino meccanismi a piramide, e per assicurare che il credito fluisca stabilmente verso le imprese piuttosto che verso pochi eletti. Anche l’applicazione delle norme antitrust è cruciale. Perché questi servizi siano garantiti, i mercati esigono l’intervento dello Stato, che a spese del contribuente deve promuovere l’innovazione, incoraggiare gli investimenti, incentivare la produttività dei lavoratori, innalzare i livelli di produzione, e stimolare l’impiego migliore di risorse limitate. […] Non è un compito facile, né poco costoso. Per fare tutto questo, uno Stato deve innanzi tutto raccogliere denaro attraverso il prelievo fiscale e poi ridistribuirlo in modo intelligente e responsabile”.

La finalità di un “sistema paese” moderno, per un’inversione di marcia verso la strada della legalità fiscale, passa anche, adottando il concetto economico di uno dei più celebri maestri dell’economia Paul Samuelson, attraverso un costo opportunità individuato, sacrificando alcune delle numerose opportunità di cui dispone lo Stato per perseguire l’onestà contributiva, nell’educazione fiscale, prevedendo specifici percorsi formativi, per diffondere la cultura contributiva e quindi agendo in funzione preventiva, prima ancora che repressiva, al fine di evitare, come ricordato dal Vice Ministro dell’Economia del Governo Prodi, una sorta di circolo vizioso per cui le tasse non si pagano perché si sa che tutti non le pagano.