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Il nuovo articolo 2645 ter Codice Civile ed il negozio fiduciario

L’introduzione nel nostro codice civile dell’articolo 2645 ter (ex articolo 39 novies del d.l. 30-12-2005 n.273, convertito in legge 23-2-2006, n.51) che per la prima volta tipizza il negozio di destinazione come schema generale, impone una radicale rimeditazione dommatica della causa, della struttura e dell’efficacia del negozio fiduciario, anche in relazione alla questione dell’ammissibilità della cosiddetta proprietà fiduciaria.

1.a. - Definizione del negozio fiduciario.

Il negozio fiduciario, secondo la tradizionale definizione della più autorevole dottrina (Santoro-Passarelli, Dottrine generali del diritto civile, 179), si caratterizza per un’eccedenza o sproporzione del mezzo prescelto dalle parti rispetto all’intento pratico che le stesse perseguono.

Viene infatti definito come il negozio con il quale un soggetto (il fiduciario) viene investito da un altro (fiduciante) di una posizione reale, efficace cioè erga omnes, ma limitata nei rapporti interni dall’assunzione di un’obbligazione del primo verso quest’ultimo (cosiddetto pactum fiduciae).

In particolare il fiduciante trasferisce al fiduciario uno o più beni non già per realizzare il tipico effetto traslativo, bensì per conferire l’incarico al fiduciario di amministrare il bene secondo le sue direttive ovvero di ritrasferirlo allo stesso su sua semplice richiesta ovvero, ancora, di trasferirlo ad un terzo previamente indicato (in quest’ultimo caso si realizza la fattispecie dell’interposizione reale di persona).

Si ricorre a tale strumento qualora il fiduciante voglia spogliarsi solo formalmente di un bene allo scopo di evitare un sequestro o una confisca in periodi di persecuzioni razziali o politiche (Gazzoni, Manuale di diritto privato, 918), allo scopo di eludere la normativa fiscale, allo scopo di fornire al creditore /fiduciario una garanzia per l’adempimento del debito che ha nei suoi confronti il debitore/fiduciante ovvero, ancora, qualora versi nell’impossibilità temporanea di amministrare un bene; all’interposizione reale di persona si ricorreva anche per eludere i tradizionali divieti di donazione ex articoli 780 e 781 codice civile (Bianca, Il contratto, 3, 711).

La fiducia si distingue in romanistica e germanistica (Petrelli, La trascrizione degli atti di destinazione, in Rivista di diritto civile, 2006, II, 161 ss.) : entrambe implicano un trasferimento della proprietà, ma solo la seconda risulta caratterizzata dall’opponibilità ai terzi (e costituisce un fenomeno eccezionale nel nostro ordinamento essendo circoscritto alla sola intestazione fiduciaria di azioni e quote sociali), mentre la seconda è fondata sull’esistenza del menzionato pactum fiduciae, avente un’efficacia meramente obbligatoria e non incidente in alcun modo sulla posizione reale di cui è investito il fiduciario di fronte ai terzi.

Secondo altri autori (Gazzoni, cit., 919), invece, la fiducia germanistica non determinerebbe mai un effetto traslativo, bensì esclusivamente l’attribuzione della mera legittimazione all’esercizio del diritto che, quindi, rimane in capo al fiduciante.

Nell’ambito della fiducia di tipo romano si suole distinguere (per tutte Cassazione 18-10-1991, n.11025) tra fiducia statica e dinamica : la prima risulta connotata dal trasferimento del diritto dal fiduciante al fiduciario, seguito dal pactum fiduciae, la seconda dal fatto che il fiduciario è già titolare della situazione giuridica attiva che lo stesso si obbliga a modificare nel senso voluto dal fiduciante.

1.b. - La causa fiduciae.

La causa del negozio fiduciario può essere ravvisata in una fantomatica fiducia? Può cioè il pactum fiduciae, di per sè solo, giustificare causalmente il trasferimento dal fiduciario al fiduciante (nelle ipotesi di fiducia dinamica)?

Autorevole dottrina (Santoro-Passarelli, cit., 180) ha decisamente optato per la risposta negativa, adducendo la sottile e convincente argomentazione secondo la quale la causa fiduciae si risolverebbe in un’arbitraria e non consentita astrazione parziale dalla causa del negozio tipico. In particolare poi si rileva (Pugliatti, Fiducia e rappresentanza indiretta, in Diritto civile. Saggi, 201 ss.) come la causa fiduciaria importi un trasferimento provvisorio della proprietà, in contrasto con il carattere perpetuo della stessa.

Come detto, infatti, l’operatività della causa tipica del negozio utilizzato (ad esempio la vendita) viene limitata e ridimensionata dall’intento pratico che le parti perseguono nel caso concreto, che con la causa stessa risulta incompatibile (le parti non vogliono che lo scambio tra prezzo e cosa si realizzi compiutamente).

La rilevanza del fine ulteriore delle parti, così come accade per il negozio indiretto, viene in tal modo confinata nell’alveo dei motivi soggettivi, irrilevanti fino a quando non inficiano la validità del negozio a cagione della loro illiceità (ad esempio, l’alienazione in garanzia al fiduciario potrebbe eludere il divieto del patto commissorio).

La causa del negozio fiduciario viene conseguentemente individuata di volta in volta nella causa del mandato (fiducia cum amico) ovvero in quella di garanzia (fiducia cum creditore).

Ad una più attenta valutazione, tuttavia, con riferimento alla fiducia dinamica, un problema di causa può porsi solo riguardo al pactum fiduciae e non anche al negozio fiduciario di trasferimento, che avrà la sua autonoma causa tipica, seppure limitata, come detto.

Un’altra parte della dottrina (Grassetti, Del negozio fiduciario, e della sua ammissibilità nel nostro ordinamento giuridico, in Rivista diritto commerciale, 1936, I, 345; Carnevali, Negozio fiduciario, in Enciclopedia giuridica Treccani, XX, 4-5) e della giurisprudenza (Cassazione 91/11025 citata; Cassazione 27-3-97, n. 2756 e Cassazione 15-5-98, n. 4911 relative all’interposizione reale di persona) sembra invece riconoscere cittadinanza nel nostro ordinamento ad un’autonoma causa fiduciae, suscettibile di giustificare non solo il pactum fiduciae, bensì l’intera vicenda negoziale nel suo complesso, compreso l’eventuale trasferimento del diritto in capo al fiduciario.

1.c. – La causa di destinazione e la separazione patrimoniale.

Una particolare species del genus “negozio fiduciario” è costituita dal negozio di destinazione, a mezzo del quale il fiduciante vincola uno o più beni di sua proprietà ovvero previamente trasferiti al fiduciario alla realizzazione di un determinato scopo a beneficio di soggetti determinati o quantomeno determinabili.

Allo scopo di consentire la detta finalità si determina quale effetto principale la separazione dei beni vincolati dal resto del patrimonio del proprietario; vale a dire che i beni vincolati ed i loro frutti oltre a poter essere impiegati esclusivamente per il conseguimento del fine di destinazione, possono costituire oggetto di azione esecutiva da parte dei creditori solo per debiti contratti per la realizzazione dello stesso.

E’ opportuno ricordare che la separazione descritta è quella cosiddetta unidirezionale , rimanendo ferma la facoltà dei creditori di agire esecutivamente anche sui beni non vincolati per i debiti afferenti il fine di destinazione. Qualora ciò sia precluso espressamente, la separazione è definita bidirezionale; in tal caso si suole parlare altresì di segregazione , ovvero di incomunicabilità bidirezionale tra il patrimonio separato ed il soggetto che ne è titolare (Lupoi, Trusts, 565, il quale, tra l’altro, sottolinea come questa a differenza della prima possa avere ad oggetto anche singoli beni e non necessariamente tutto il patrimonio).

La separazione patrimoniale, dunque, pregiudica i creditori che vedono limitata la garanzia generica offerta dal patrimonio del loro debitore, in deroga all’articolo 2740 codice civile.

Per tale motivo, fino all’introduzione dell’articolo 2645 ter, il legislatore ha sempre dimostrato una certa ritrosia nel concepire una pluralità di masse patrimoniali in capo ad un unico soggetto, preferendo o soggettivizzare il patrimonio (come è avvenuto per il riconoscimento della costituzione unilaterale della s.r.l. prima e della s.p.a. poi) ovvero procedere in via esclusiva ad una valutazione della meritevolezza dell’interesse in gioco rispetto a quello dei creditori, riconoscendo ipotesi specifiche e tassative di destinazione (come è avvenuto per il fondo patrimoniale e per i patrimoni destinati ad uno specifico affare) e precludendo così una tale possibilità all’autonomia privata.

Un attento autore (La Porta, Destinazione dei beni allo scopo, strumenti attuali e tecniche innovative, 261 ss) , dopo aver descritto il detto modo di approcciarsi del legislatore nella materia de qua, ha opportunamente avvertito che la causa del negozio di destinazione non può ravvisarsi unicamente nella separazione patrimoniale, non potendo sottrarsi altrimenti al giudizio di illiceità per violazione dell’articolo 2740 codice civile.

La separazione non è la causa, ma soltanto la conseguenza della destinazione, la cui giustificazione causale va, invece, rinvenuta altrove, vale a dire negli interessi e nelle esigenze che con la costituzione del vincolo di destinazione si sono volute soddisfare.

Ed in effetti le finalità possono essere le più varie: la tutela di persone diversamente abili, la crescita del minore, la sovvenzione dello studio o della formazione professionale, la sovvenzione e lo sviluppo di attività culturali, il soddisfacimento dei bisogni della famiglia, etc.

Già prima dell’introduzione dell’articolo 2645 ter codice civile, il citato autore sosteneva la sufficienza della detta causa a giustificare l’eventuale trasferimento dal fiduciante al fiduciario, la possibilità di rinvenire la fonte della destinazione anche nell’autonomia privata e, addirittura, legittimava la stessa a dispiegarsi liberamente mediante la creazione di una separazione patrimoniale connotata da efficacia reale, operante cioè erga omnes, compresi gli aventi causa dal fiduciario che avesse alienato i beni in dispregio del vincolo di destinazione.

Dottrina e giurisprudenza hanno invece sempre negato cittadinanza nel nostro ordinamento alla proprietà fiduciaria, ad una proprietà cioè fortemente limitata e compressa dal vincolo di destinazione (per non dire una proprietà meramente formale), nonchè circoscritta nel tempo (dovendo il fiduciario trasferire il bene al fiduciante o ad un terzo, come visto); ad un diritto dominicale insomma che non assume più i connotati suoi tipici della perpetuità, pienezza ed assolutezza, in violazione del principio generale, la cui esistenza è oramai sostenuta dalla unanime giurisprudenza, del numerus clausus dei diritti reali.

Per tale motivo si è sempre attribuito al pactum fiduciae efficacia meramente obbligatoria (inter partes) ed al negozio di trasferimento del diritto a favore del fiduciario piena efficacia reale (erga omnes). Cosicchè gli effetti di atti di violazione del vincolo da parte del fiduciario venivano ad essere sempre circoscritti nel contesto di una responsabilità debitoria e niente più, rimanendo il fiduciante l’unico e solo proprietario.

1.d. - L’articolo 2645 ter codice civile.

Nell’ambito delle discussioni sopra riportate, la nuova disposizione codicistica produce un effetto devastante.

Risulta finalmente tipizzato il negozio di destinazione, ma non più come fattispecie specifica, bensì come schema generale ed astratto che saranno poi le parti a curarsi di riempire, seppure all’interno di determinati confini.

Così dispone l’articolo 2645 ter : ”Gli atti in forma pubblica con cui beni immobili o beni mobili iscritti in pubblici registri sono destinati, per un periodo non superiore a novanta anni o per la durata della vita della persona fisica beneficiaria, alla realizzazione di interessi meritevoli di tutela riferibili a persone con disabilità, a pubbliche amministrazioni, o ad altri enti o persone fisiche ai sensi dell’articolo 1322, secondo comma, possono essere trascritti al fine di rendere opponibile ai terzi il vincolo di destinazione; per la realizzazione di tali interessi può agire, oltre al conferente, qualsiasi interessato anche durante la vita del conferente stesso. I beni conferiti e i loro frutti possono essere impiegati solo per la realizzazione del fine di destinazione e possono costituire oggetto di esecuzione, salvo quanto previsto dall’articolo 2915, primo comma, solo per debiti contratti per tale scopo”.

La considerevole portata innovativa, tuttavia, avrebbe meritato una puntuale, compiuta e più dettagliata disciplina sostanziale dell’istituto, che invece sembra essere stata dettata en passant, confondendola per altro in una norma ed in un contesto topografico specifico concernenti la pubblicità (l’utilizzo di questa bizzarra tecnica legislativa è stata decisamente criticata da Petrelli, cit. e Gazzoni, Osservazioni sull’art. 2645 ter).

In tale sede non è dato soffermarsi su tutte le molteplici questioni interpretative che sorgono dalla nuova norma.

Vanno sottolineati però gli aspetti più innovativi.

Anzitutto viene conferita dignità di causa autonoma e sufficiente alla causa fiduciae ed, in particolare, alla causa di destinazione, capace così anche di giustificare il trasferimento del diritto dal fiduciante al fiduciario. Vengono così recise tutte le discussioni ed i dibattiti sul punto, sopra sintetizzati.

C’è di più.

Il vincolo di destinazione viene arricchito di una rivoluzionaria opponibilità ai terzi mediante la trascrizione dello stesso; ciò significa che l’eventuale atto di disposizione del bene in violazione del vincolo di destinazione non è più solo fonte di responsabilità per il fiduciario. Infatti l’atto è sì valido, ma inefficace rispetto ai beneficiari della destinazione (in tal senso Petrelli, cit.).

Inoltre qualunque interessato può agire per la realizzazione degli interessi dei beneficiari, eventualmente facendo valere l’inefficacia stessa.

Riconoscendo efficacia erga omnes al vincolo, il legislatore sembra allora aver creato addirittura un nuovo diritto reale, una nuova forma di diritto di proprietà funzionalizzata al perseguimento di specifici interessi meritevoli di tutela (Petrelli, cit.) e perciò compressa rispetto al contenuto suo tipico.

Non è più possibile allora barricarsi dietro il “paravento” del principio del numerus clausus dei diritti reali: deve ammettersi che è nata nel nostro ordinamento la proprietà fiduciaria. Quindi non sarà dato più parlare del collegamento tra due negozi, uno obbligatorio e ad efficacia interna (pactum fiduciae) ed uno traslativo ad efficacia esterna, ciascuno con una propria differente causa.

Sarà rinvenibile un unico negozio fiduciario, con un unico effetto (esterno) e con un’unica causa fiduciae, la quale non connota più il solo pactum fiduciae (come sopra detto), bensì il negozio nel suo complesso, trasferimento compreso.

1.e. – Cenni sul trust.

In tale sede non è opportuno dilungarsi sulle intricate questioni interpretative afferenti l’istituto del trust (che rappresenta il negozio di destinazione per antonomasia), in quanto in alcun modo la disposizione in oggetto risolve la problematica dell’esistenza del trust nel nostro ordinamento nè tantomeno quella della configurabilità di un trust interno, avente cioè come unico elemento di estraneità rispetto al nostro ordinamento la legge applicabile.

E’ stato sostenuto (Petrelli, cit.) che la norma prescrive i requisiti sostanziali del negozio di destinazione italiano, ma non del trust anglosassone che continua a vivere di vita propria.

Questo significa che un trust riconosciuto in Italia in conformità alla convenzione dell’Aja del 1° luglio 1985, resa esecutiva in Italia con legge 16-10-1989, n. 364 è trascrivibile ai sensi del combinato disposto di cui all’articolo 12 della detta legge e dell’articolo 2645 ter, anche se non presenti i requisiti di sostanza e forma ricavabili dalla disposizione in oggetto.

Quindi il nuovo articolo si limita a risolvere in senso positivo la vexata quaestio della trascrivibilità del trust. L’introduzione nel nostro codice civile dell’articolo 2645 ter (ex articolo 39 novies del d.l. 30-12-2005 n.273, convertito in legge 23-2-2006, n.51) che per la prima volta tipizza il negozio di destinazione come schema generale, impone una radicale rimeditazione dommatica della causa, della struttura e dell’efficacia del negozio fiduciario, anche in relazione alla questione dell’ammissibilità della cosiddetta proprietà fiduciaria.

1.a. - Definizione del negozio fiduciario.

Il negozio fiduciario, secondo la tradizionale definizione della più autorevole dottrina (Santoro-Passarelli, Dottrine generali del diritto civile, 179), si caratterizza per un’eccedenza o sproporzione del mezzo prescelto dalle parti rispetto all’intento pratico che le stesse perseguono.

Viene infatti definito come il negozio con il quale un soggetto (il fiduciario) viene investito da un altro (fiduciante) di una posizione reale, efficace cioè erga omnes, ma limitata nei rapporti interni dall’assunzione di un’obbligazione del primo verso quest’ultimo (cosiddetto pactum fiduciae).

In particolare il fiduciante trasferisce al fiduciario uno o più beni non già per realizzare il tipico effetto traslativo, bensì per conferire l’incarico al fiduciario di amministrare il bene secondo le sue direttive ovvero di ritrasferirlo allo stesso su sua semplice richiesta ovvero, ancora, di trasferirlo ad un terzo previamente indicato (in quest’ultimo caso si realizza la fattispecie dell’interposizione reale di persona).

Si ricorre a tale strumento qualora il fiduciante voglia spogliarsi solo formalmente di un bene allo scopo di evitare un sequestro o una confisca in periodi di persecuzioni razziali o politiche (Gazzoni, Manuale di diritto privato, 918), allo scopo di eludere la normativa fiscale, allo scopo di fornire al creditore /fiduciario una garanzia per l’adempimento del debito che ha nei suoi confronti il debitore/fiduciante ovvero, ancora, qualora versi nell’impossibilità temporanea di amministrare un bene; all’interposizione reale di persona si ricorreva anche per eludere i tradizionali divieti di donazione ex articoli 780 e 781 codice civile (Bianca, Il contratto, 3, 711).

La fiducia si distingue in romanistica e germanistica (Petrelli, La trascrizione degli atti di destinazione, in Rivista di diritto civile, 2006, II, 161 ss.) : entrambe implicano un trasferimento della proprietà, ma solo la seconda risulta caratterizzata dall’opponibilità ai terzi (e costituisce un fenomeno eccezionale nel nostro ordinamento essendo circoscritto alla sola intestazione fiduciaria di azioni e quote sociali), mentre la seconda è fondata sull’esistenza del menzionato pactum fiduciae, avente un’efficacia meramente obbligatoria e non incidente in alcun modo sulla posizione reale di cui è investito il fiduciario di fronte ai terzi.

Secondo altri autori (Gazzoni, cit., 919), invece, la fiducia germanistica non determinerebbe mai un effetto traslativo, bensì esclusivamente l’attribuzione della mera legittimazione all’esercizio del diritto che, quindi, rimane in capo al fiduciante.

Nell’ambito della fiducia di tipo romano si suole distinguere (per tutte Cassazione 18-10-1991, n.11025) tra fiducia statica e dinamica : la prima risulta connotata dal trasferimento del diritto dal fiduciante al fiduciario, seguito dal pactum fiduciae, la seconda dal fatto che il fiduciario è già titolare della situazione giuridica attiva che lo stesso si obbliga a modificare nel senso voluto dal fiduciante.

1.b. - La causa fiduciae.

La causa del negozio fiduciario può essere ravvisata in una fantomatica fiducia? Può cioè il pactum fiduciae, di per sè solo, giustificare causalmente il trasferimento dal fiduciario al fiduciante (nelle ipotesi di fiducia dinamica)?

Autorevole dottrina (Santoro-Passarelli, cit., 180) ha decisamente optato per la risposta negativa, adducendo la sottile e convincente argomentazione secondo la quale la causa fiduciae si risolverebbe in un’arbitraria e non consentita astrazione parziale dalla causa del negozio tipico. In particolare poi si rileva (Pugliatti, Fiducia e rappresentanza indiretta, in Diritto civile. Saggi, 201 ss.) come la causa fiduciaria importi un trasferimento provvisorio della proprietà, in contrasto con il carattere perpetuo della stessa.

Come detto, infatti, l’operatività della causa tipica del negozio utilizzato (ad esempio la vendita) viene limitata e ridimensionata dall’intento pratico che le parti perseguono nel caso concreto, che con la causa stessa risulta incompatibile (le parti non vogliono che lo scambio tra prezzo e cosa si realizzi compiutamente).

La rilevanza del fine ulteriore delle parti, così come accade per il negozio indiretto, viene in tal modo confinata nell’alveo dei motivi soggettivi, irrilevanti fino a quando non inficiano la validità del negozio a cagione della loro illiceità (ad esempio, l’alienazione in garanzia al fiduciario potrebbe eludere il divieto del patto commissorio).

La causa del negozio fiduciario viene conseguentemente individuata di volta in volta nella causa del mandato (fiducia cum amico) ovvero in quella di garanzia (fiducia cum creditore).

Ad una più attenta valutazione, tuttavia, con riferimento alla fiducia dinamica, un problema di causa può porsi solo riguardo al pactum fiduciae e non anche al negozio fiduciario di trasferimento, che avrà la sua autonoma causa tipica, seppure limitata, come detto.

Un’altra parte della dottrina (Grassetti, Del negozio fiduciario, e della sua ammissibilità nel nostro ordinamento giuridico, in Rivista diritto commerciale, 1936, I, 345; Carnevali, Negozio fiduciario, in Enciclopedia giuridica Treccani, XX, 4-5) e della giurisprudenza (Cassazione 91/11025 citata; Cassazione 27-3-97, n. 2756 e Cassazione 15-5-98, n. 4911 relative all’interposizione reale di persona) sembra invece riconoscere cittadinanza nel nostro ordinamento ad un’autonoma causa fiduciae, suscettibile di giustificare non solo il pactum fiduciae, bensì l’intera vicenda negoziale nel suo complesso, compreso l’eventuale trasferimento del diritto in capo al fiduciario.

1.c. – La causa di destinazione e la separazione patrimoniale.

Una particolare species del genus “negozio fiduciario” è costituita dal negozio di destinazione, a mezzo del quale il fiduciante vincola uno o più beni di sua proprietà ovvero previamente trasferiti al fiduciario alla realizzazione di un determinato scopo a beneficio di soggetti determinati o quantomeno determinabili.

Allo scopo di consentire la detta finalità si determina quale effetto principale la separazione dei beni vincolati dal resto del patrimonio del proprietario; vale a dire che i beni vincolati ed i loro frutti oltre a poter essere impiegati esclusivamente per il conseguimento del fine di destinazione, possono costituire oggetto di azione esecutiva da parte dei creditori solo per debiti contratti per la realizzazione dello stesso.

E’ opportuno ricordare che la separazione descritta è quella cosiddetta unidirezionale , rimanendo ferma la facoltà dei creditori di agire esecutivamente anche sui beni non vincolati per i debiti afferenti il fine di destinazione. Qualora ciò sia precluso espressamente, la separazione è definita bidirezionale; in tal caso si suole parlare altresì di segregazione , ovvero di incomunicabilità bidirezionale tra il patrimonio separato ed il soggetto che ne è titolare (Lupoi, Trusts, 565, il quale, tra l’altro, sottolinea come questa a differenza della prima possa avere ad oggetto anche singoli beni e non necessariamente tutto il patrimonio).

La separazione patrimoniale, dunque, pregiudica i creditori che vedono limitata la garanzia generica offerta dal patrimonio del loro debitore, in deroga all’articolo 2740 codice civile.

Per tale motivo, fino all’introduzione dell’articolo 2645 ter, il legislatore ha sempre dimostrato una certa ritrosia nel concepire una pluralità di masse patrimoniali in capo ad un unico soggetto, preferendo o soggettivizzare il patrimonio (come è avvenuto per il riconoscimento della costituzione unilaterale della s.r.l. prima e della s.p.a. poi) ovvero procedere in via esclusiva ad una valutazione della meritevolezza dell’interesse in gioco rispetto a quello dei creditori, riconoscendo ipotesi specifiche e tassative di destinazione (come è avvenuto per il fondo patrimoniale e per i patrimoni destinati ad uno specifico affare) e precludendo così una tale possibilità all’autonomia privata.

Un attento autore (La Porta, Destinazione dei beni allo scopo, strumenti attuali e tecniche innovative, 261 ss) , dopo aver descritto il detto modo di approcciarsi del legislatore nella materia de qua, ha opportunamente avvertito che la causa del negozio di destinazione non può ravvisarsi unicamente nella separazione patrimoniale, non potendo sottrarsi altrimenti al giudizio di illiceità per violazione dell’articolo 2740 codice civile.

La separazione non è la causa, ma soltanto la conseguenza della destinazione, la cui giustificazione causale va, invece, rinvenuta altrove, vale a dire negli interessi e nelle esigenze che con la costituzione del vincolo di destinazione si sono volute soddisfare.

Ed in effetti le finalità possono essere le più varie: la tutela di persone diversamente abili, la crescita del minore, la sovvenzione dello studio o della formazione professionale, la sovvenzione e lo sviluppo di attività culturali, il soddisfacimento dei bisogni della famiglia, etc.

Già prima dell’introduzione dell’articolo 2645 ter codice civile, il citato autore sosteneva la sufficienza della detta causa a giustificare l’eventuale trasferimento dal fiduciante al fiduciario, la possibilità di rinvenire la fonte della destinazione anche nell’autonomia privata e, addirittura, legittimava la stessa a dispiegarsi liberamente mediante la creazione di una separazione patrimoniale connotata da efficacia reale, operante cioè erga omnes, compresi gli aventi causa dal fiduciario che avesse alienato i beni in dispregio del vincolo di destinazione.

Dottrina e giurisprudenza hanno invece sempre negato cittadinanza nel nostro ordinamento alla proprietà fiduciaria, ad una proprietà cioè fortemente limitata e compressa dal vincolo di destinazione (per non dire una proprietà meramente formale), nonchè circoscritta nel tempo (dovendo il fiduciario trasferire il bene al fiduciante o ad un terzo, come visto); ad un diritto dominicale insomma che non assume più i connotati suoi tipici della perpetuità, pienezza ed assolutezza, in violazione del principio generale, la cui esistenza è oramai sostenuta dalla unanime giurisprudenza, del numerus clausus dei diritti reali.

Per tale motivo si è sempre attribuito al pactum fiduciae efficacia meramente obbligatoria (inter partes) ed al negozio di trasferimento del diritto a favore del fiduciario piena efficacia reale (erga omnes). Cosicchè gli effetti di atti di violazione del vincolo da parte del fiduciario venivano ad essere sempre circoscritti nel contesto di una responsabilità debitoria e niente più, rimanendo il fiduciante l’unico e solo proprietario.

1.d. - L’articolo 2645 ter codice civile.

Nell’ambito delle discussioni sopra riportate, la nuova disposizione codicistica produce un effetto devastante.

Risulta finalmente tipizzato il negozio di destinazione, ma non più come fattispecie specifica, bensì come schema generale ed astratto che saranno poi le parti a curarsi di riempire, seppure all’interno di determinati confini.

Così dispone l’articolo 2645 ter : ”Gli atti in forma pubblica con cui beni immobili o beni mobili iscritti in pubblici registri sono destinati, per un periodo non superiore a novanta anni o per la durata della vita della persona fisica beneficiaria, alla realizzazione di interessi meritevoli di tutela riferibili a persone con disabilità, a pubbliche amministrazioni, o ad altri enti o persone fisiche ai sensi dell’articolo 1322, secondo comma, possono essere trascritti al fine di rendere opponibile ai terzi il vincolo di destinazione; per la realizzazione di tali interessi può agire, oltre al conferente, qualsiasi interessato anche durante la vita del conferente stesso. I beni conferiti e i loro frutti possono essere impiegati solo per la realizzazione del fine di destinazione e possono costituire oggetto di esecuzione, salvo quanto previsto dall’articolo 2915, primo comma, solo per debiti contratti per tale scopo”.

La considerevole portata innovativa, tuttavia, avrebbe meritato una puntuale, compiuta e più dettagliata disciplina sostanziale dell’istituto, che invece sembra essere stata dettata en passant, confondendola per altro in una norma ed in un contesto topografico specifico concernenti la pubblicità (l’utilizzo di questa bizzarra tecnica legislativa è stata decisamente criticata da Petrelli, cit. e Gazzoni, Osservazioni sull’art. 2645 ter).

In tale sede non è dato soffermarsi su tutte le molteplici questioni interpretative che sorgono dalla nuova norma.

Vanno sottolineati però gli aspetti più innovativi.

Anzitutto viene conferita dignità di causa autonoma e sufficiente alla causa fiduciae ed, in particolare, alla causa di destinazione, capace così anche di giustificare il trasferimento del diritto dal fiduciante al fiduciario. Vengono così recise tutte le discussioni ed i dibattiti sul punto, sopra sintetizzati.

C’è di più.

Il vincolo di destinazione viene arricchito di una rivoluzionaria opponibilità ai terzi mediante la trascrizione dello stesso; ciò significa che l’eventuale atto di disposizione del bene in violazione del vincolo di destinazione non è più solo fonte di responsabilità per il fiduciario. Infatti l’atto è sì valido, ma inefficace rispetto ai beneficiari della destinazione (in tal senso Petrelli, cit.).

Inoltre qualunque interessato può agire per la realizzazione degli interessi dei beneficiari, eventualmente facendo valere l’inefficacia stessa.

Riconoscendo efficacia erga omnes al vincolo, il legislatore sembra allora aver creato addirittura un nuovo diritto reale, una nuova forma di diritto di proprietà funzionalizzata al perseguimento di specifici interessi meritevoli di tutela (Petrelli, cit.) e perciò compressa rispetto al contenuto suo tipico.

Non è più possibile allora barricarsi dietro il “paravento” del principio del numerus clausus dei diritti reali: deve ammettersi che è nata nel nostro ordinamento la proprietà fiduciaria. Quindi non sarà dato più parlare del collegamento tra due negozi, uno obbligatorio e ad efficacia interna (pactum fiduciae) ed uno traslativo ad efficacia esterna, ciascuno con una propria differente causa.

Sarà rinvenibile un unico negozio fiduciario, con un unico effetto (esterno) e con un’unica causa fiduciae, la quale non connota più il solo pactum fiduciae (come sopra detto), bensì il negozio nel suo complesso, trasferimento compreso.

1.e. – Cenni sul trust.

In tale sede non è opportuno dilungarsi sulle intricate questioni interpretative afferenti l’istituto del trust (che rappresenta il negozio di destinazione per antonomasia), in quanto in alcun modo la disposizione in oggetto risolve la problematica dell’esistenza del trust nel nostro ordinamento nè tantomeno quella della configurabilità di un trust interno, avente cioè come unico elemento di estraneità rispetto al nostro ordinamento la legge applicabile.

E’ stato sostenuto (Petrelli, cit.) che la norma prescrive i requisiti sostanziali del negozio di destinazione italiano, ma non del trust anglosassone che continua a vivere di vita propria.

Questo significa che un trust riconosciuto in Italia in conformità alla convenzione dell’Aja del 1° luglio 1985, resa esecutiva in Italia con legge 16-10-1989, n. 364 è trascrivibile ai sensi del combinato disposto di cui all’articolo 12 della detta legge e dell’articolo 2645 ter, anche se non presenti i requisiti di sostanza e forma ricavabili dalla disposizione in oggetto.

Quindi il nuovo articolo si limita a risolvere in senso positivo la vexata quaestio della trascrivibilità del trust.