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Le Zone Franche Urbane in Italia

L’esperienza francese, rilievi critici e spunti di riflessione[1]
Premessa

Entro il 15 maggio 2007, spetterà alle Regioni del Sud Italia proporre al Governo nazionale le prime aree individuate sui rispettivi territori, di concerto con enti locali e associazioni di categoria, per la sperimentazione delle Zone Franche Urbane, all’interno delle quali attuare, prevedibilmente a partire dal 2008, politiche tributarie agevolative e di recupero urbano, tese allo sviluppo e alla ripresa socio-economica. L’appuntamento, fissato al termine della riunione del Tavolo di Concertazione per il Mezzogiorno del 26 aprile, rappresenterà dunque una tappa decisiva verso l’attuazione, ai sensi dei commi 340-343 dell’art. 1 della L. n. 296/2006 (Legge Finanziaria 2007), di una tra le nuove misure fiscali e contributive di vantaggio e di favore obiettivamente più interessanti.

Secondo il documento illustrato dal Governo alle parti sociali, all’interno delle Zone Franche Urbane, sulla scorta dell’esperienza francese, le imprese godrebbero di condizioni di vantaggio mediante agevolazioni, esenzioni e riduzioni di tipo contributivo e fiscale[2], quali un rilevante credito d’imposta in cifra fissa sulla nuova occupazione e l’esonero (almeno per cinque anni) dalle imposte sul reddito d’impresa e dall’imposta sui fabbricati, nonchè attraverso il sostegno allo start up, e anche per mezzo di un abbattimento delle aliquote ICI., che si ipotizza quale forma di compartecipazione finanziaria da parte dei Comuni; le Regioni dovrebbero invece cofinanziare per almeno il 50% con risorse proprie, a fronte di un Fondo nazionale previsto in Legge Finanziaria 2007 di 100 milioni di euro complessivi, ripartiti a metà negli anni 2008 e 2009.

L’obiettivo del Governo sarebbe quello di approdare entro il mese di giugno 2007 alla stesura e alla pubblicazione del decreto ministeriale di cui al comma 342, e di cui in seguito si dirà, e quindi all’avvio delle Zone Franche Urbane, una volta superato il vaglio del CIPE[3] e il severo esame dell’Unione Europea. I tempi per l’individuazione delle aree e per la previsione e l’attuazione della specifica disciplina fiscale al loro interno dovrebbero pertanto essere brevi.

Il caso delle Zones Franches Urbaines in Francia: basi concettuali, disciplina e effetti

Le Zone Franche Urbane, come si è accennato, se rappresentano un inedito a livello nazionale, non costituiscono di certo una novità a livello comunitario e internazionale: è infatti la Francia a vantare in materia un’esperienza ormai decennale, e un’analisi del caso francese può senz’altro essere d’aiuto a comprendere, anche sotto il profilo giuridico teorico e pratico, oltre che economico e lato sensu politico, la reale natura e l’effettiva portata, i possibili esiti e le similitudini, ma anche la collocazione teorica e normativa, del nuovo dispositivo introdotto dalla Legge Finanziaria 2007, aspetti dei quali l’attuale dibattito, serrato e intenso soprattutto a livello locale, ha rivelato una conoscenza diffusa non sempre puntuale.

L’istituto delle Zones Franches Urbaines è stato introdotto in Francia con la L. n. 987 del 14 novembre 1996 (Pacte de Relance pour la Ville), un provvedimento che, nell’ambito di politiche di sviluppo e integrazione socio-economica in favore di aree urbane svantaggiate, depresse e caratterizzate da fenomeni di ineguaglianza e esclusione sociale, si basa concettualmente su una sorta di “geografia prioritaria” (accanto alle Zones Franches Urbaines, sono previste ad esempio Zones Urbaines Sensibles e Zones de Redynamisation Urbaine, già presenti nella legislazione e rilanciate appunto dal “Patto per la Città”), con l’obiettivo di individuare e delimitare porzioni di territorio, normalmente quartieri urbani “sensibili” che necessitano di interventi eccezionali per la ripresa socio-economica e il miglioramento della qualità della vita, all’interno delle quali attuare vantaggiose politiche fiscali e contributive, variamente graduate in base a una gerarchia, a una “discrimination positive” (appunto, a seconda che si tratti di ZFU o ZUS o ancora di ZRU).

Per quanto concerne le Zones Franches Urbaines, ciò si realizza attraverso la previsione di varie forme di esenzione, inerenti diversi elementi della complessiva imposizione tributaria e della contribuzione sociale, variamente modulate nel tempo e anche in relazione alla data di istituzione e avvio delle ZFU e di installazione al loro interno delle imprese.

La già citata legge del 1996 (istitutiva delle prime 44 ZFU) è applicabile alle imprese già presenti, create o impiantate all’interno delle aree individuate tra il 1° gennaio 1997 e il 31 dicembre 2001, ma con la L. n. 1576 del 30 dicembre 2002 le misure sono state estese e, a partire dal 1° gennaio 2003, di esse possono beneficiare anche le imprese create o impiantate nelle ZFU nel successivo periodo tra il 1° gennaio 2002 e il 31 dicembre 2007.

E’ importante sottolineare già in questa fase dell’analisi, anche ai fini di una migliore comprensione dell’analogo processo in itinere in Italia, come per il diritto comunitario le deroghe e le esenzioni concesse in ZFU si configurino come veri e propri aiuti finanziati dal bilancio statale e, in quanto tali, necessitino della approvazione della Commissione Europea (ex art. 88 del Trattato CE) a garanzia e tutela della libera concorrenza, contro possibili distorsioni dovute a discipline eccezionali eventualmente non giustificate o non adeguatamente strutturate.

Infatti, tanto l’istituzione delle prime 44 ZFU, quanto la successiva proroga, sono state oggetto di due distinte decisioni (Aiuto di Stato n. 159/96 e Aiuto di Stato n. 766/02), al pari della estensione (con modifiche) del dispositivo a nuove 41 ZFU (seconda generazione, per un totale di 85 ZFU comprese quelle nei Dipartimenti d’Oltre Mare), istituite con la L. n. 710 del 1° agosto 2003 (Loi d’orientation et de programmation pour la ville et la rénovation urbaine), approvata con decisione n. 211/2003, per le imprese create o impiantate durante il quinquennio tra il 1° gennaio 2004 e il 31 dicembre 2008.

Una recente legge, la n. 396 del 31 marzo 2006 (Loi pour l’égalité des chances), ha ampliato i confini di 29 delle 85 ZFU esistenti, ne ha introdotte altre 15 e ha esteso le discipline agevolative attuate all’interno di tutte le ZFU alle imprese create o impiantate entro il 31 dicembre 2011 (Aiuto di Stato n. 70/A/2006).

Si noti che, in virtù del sovrapporsi di norme istitutive e di condizioni di volta in volta modificate o imposte dalla Commissione Europea o dettate dagli orientamenti generali dell’Unione in materia di concorrenza e politiche regionali, il quadro si presenta complesso e articolato, con discipline scadute o vigenti che differiscono in maniera più o meno rilevante non solo tra le diverse “generazioni” di ZFU ma anche, all’interno di una stessa Zone, tra imprese create o impiantate in periodi diversi. Di ciò hanno preso coscienza gli addetti ai lavori, tanto che già nel febbraio 2006, in un Rapporto della Camera di Commercio di Parigi (Chambre de Commerce et d’Industrie de Paris) sulla allora imminente Loi pour l’égalité des chances, si promuoveva l’allineamento delle discipline delle più risalenti ZFU e di quelle più recenti, in modo da far fronte alle difficoltà legate alla sovrapposizione dei diversi regimi succedutisi nel tempo dal 1996. E così è avvenuto con la Loi pour l’égalité des chances del 2006, che ha armonizzato le discipline delle tre diverse generazioni di ZFU (ovvero allineandole a quella prevista per le 15 nuove ZFU), per le imprese che vi sono create o impiantate tra il 1° gennaio 2006 e, appunto, il 31 dicembre 2011. Dunque, alla data odierna, convivono (parzialmente) diversi regimi specifici.

E’ bene specificare, sotto il profilo procedurale, che le ZFU istituite per legge sono di volta in volta delimitate per decreto ministeriale o interministeriale[4] e che l’approvazione da parte della Commissione Europea, su notifica dello Stato, non è necessaria solo per la creazione di nuove ZFU o per l’estensione delle discipline, ma anche per ogni possibile modifica (sia solo, per esempio, un allargamento dei confini di una singola ZFU) che richieda una verifica degli effetti sul mercato e del rispetto dei presupposti dell’aiuto precedentemente autorizzato.

Delineato, sia pure sommariamente, il percorso legislativo e regolamentare che ha condotto all’attuale geografia delle Zones Franches Urbaines in Francia, vale la pena di rivolgere l’attenzione alle politiche di vantaggio concretamente attuate, alla loro disciplina e alla loro evoluzione, con l’avvertenza che, salvo specifiche previsioni e particolari limiti, e sottintesa la convivenza tra differenti misure applicabili fino all’allineamento che vale per le imprese installate dal 1° gennaio 2006 in poi, i termini finali dei periodi di creazione o installazione di imprese e stabilimenti di volta in volta indicati sono da intendersi prorogati al 31 dicembre 2011 (come visto, dalla legge del 2006).

La selezione dei quartieri destinati a ZFU avviene sulla base di diversi parametri: numero di abitanti, tasso di disoccupazione, proporzione di giovani di età inferiore ai 25 anni, livello di scolarizzazione, potenziale fiscale per abitante. Deve trattarsi di quartieri con più di 10.000 abitanti (il limite scende a 8.500 con le ZFU di terza generazione e la legge del 2006) e all’interno di essi vengono accordate esenzioni fiscali e sociali a imprese già presenti o che vi si impiantano (esclusi gli altri enti privati e pubblici[5], ad eccezione delle associazioni che, entro certi limiti[6], usufruiscono delle agevolazioni in ZFU), purchè con 50 dipendenti o meno, con contratto a tempo indeterminato o, se determinato, con durata non inferiore ai 12 mesi[7], e a condizione che sia riservato un terzo delle assunzioni o degli impieghi a abitanti della stessa ZFU e dei quartieri classificati nelle Zone Urbane Sensibili (ZUS), insistenti nello stesso agglomerato urbano. Le imprese devono appartenere al novero delle micro o piccole imprese così come classificate dall’Unione Europea (Raccomandazione della Commissione del 20 maggio 2003) e, indipendentemente dalla forma giuridica, esercitare attività diverse da quelle non rilevanti ai fini delle esenzioni (a titolo esemplificativo, sono “non rilevanti”: costruzioni di automobili, costruzione navale, siderurgia e altre).

Per quanto concerne le ZFU di seconda generazione estese con la legge del 2006 (29 ZFU) e quelle di terza generazione, per le imprese già presenti prima della delimitazione delle ZFU, vige un limite agli aiuti di 100.000 euro per un periodo di 36 mesi (aiuto c.d. “de minimis” ai sensi del Regolamento Comunitario n. 69/2001 della Commissione Europea, che esenta lo Stato dall’obbligo di notifica degli aiuti, purchè compatibili con le regole concorrenza). Lo stesso vale per le imprese già esistenti al 1° gennaio 2004 nelle ZFU di seconda generazione.

Le esenzioni, cuore della disciplina, riguardano cinque categorie di tributi e contributi: i contributi sociali a carico del datore di lavoro (premi di assicurazione sociale, assegno familiare, infortuni sul lavoro, contributi al Fondo nazionale di sostegno per gli alloggi)[8], i contributi sociali personali per malattia e maternità, la tassa professionale, la tassa fondiaria sugli immobili e l’imposta sugli utili.

Delle esenzioni dai contributi sociali a carico del datore di lavoro, beneficiano le imprese che impiegano al massimo 50 dipendenti al 1° gennaio 1997 (per le ZFU 1997, istituite nel 1996) o al 1° gennaio 2004 (per le ZFU 2004, istituite nel 2003) o, alla data della creazione dell’azienda, se questa è posteriore, purchè anteriore al 1° gennaio 2008 (ZFU 1997[9]) o al 1° gennaio 2009 (ZFU 2004), con riferimento ai dipendenti a tempo pieno indeterminato o determinato (ma per almeno 12 mesi) la cui attività reale, regolare ed indispensabile all’esecuzione del contratto di lavoro si eserciti in tutto o in parte in una ZFU; tale esenzione non è cumulabile con altri aiuti concessi per lo stesso lavoratore nel corso dello stesso mese (principe de non-cumul, principio che informa di sè vari aspetti della disciplina) e si applica ai dipendenti presenti alla data della creazione o insediamento dell’impresa nella ZFU, trasferiti in ZFU prima del 1° gennaio 2008 (ZFU 1997) o del 1° gennaio 2009 (ZFU 2004) o assunti nei 5 anni che seguono la creazione o insediamento dell’impresa nella ZFU; di particolare rilievo è la previsione della clausola di assunzione locale (clause d’embauche locale), secondo cui a partire dalla terza assunzione (tra quelle con diritto all’esenzione), sono obbligatori l’assunzione e l’impiego di almeno il 33% dei dipendenti fra gli abitanti della stessa ZFU o dei quartieri classificati come Zone Urbane Sensibili (ZUS) della stessa unità urbana in cui si trova la ZFU[10] (la clausola prevedeva invece una quota del 20% per le imprese esistenti in ZFU di prima generazione alla data del 1° gennaio 2002), con durata di lavoro settimanale minima di 16 ore; l’esenzione dura 5 anni al 100% dei contributi, nel limite mensile del 150% del salario minimo di crescita per dipendente (salario minimo orario moltiplicato per il numero di ore di lavoro remunerato), e sempre sottinteso il tetto dei 50 dipendenti, limite ridotto al 140% con l’intervento legislativo del 2006 per le remunerazioni versate a partire dal 1° gennaio 2006.[11]

Per quanto attiene i contributi sociali per maternità e malattia, ne sono esenti alcune categorie di lavoratori indipendenti (non le professioni liberali), per le attività esistenti all’interno della ZFU dal 1° gennaio 1997 (ZFU 1997) e dal 1° gennaio 2004 (ZFU 2004) o avviate in ZFU prima del 1° gennaio 2008 (ZFU 1997) o del 1° gennaio 2009 (ZFU 2004); anche in questo caso, l’esenzione dura 5 anni, con un limite annuale di utile esentato.

Dell’esenzione dalla tassa professionale usufruiscono le imprese che impiegano, anche qui, al massimo 50 dipendenti al 1° gennaio 1997 (ZFU 1997) o al 1° gennaio 2004 (ZFU 2004) o alla data della creazione dell’azienda, se questa è posteriore alla delimitazione della ZFU; ne beneficiano gli stabilimenti impiantati nella ZFU prima del 1° gennaio 2008 (ZFU 1997) e se esistenti al 1° gennaio 2004, creati o oggetto di cambio di gestore prima del 1° gennaio 2009 (ZFU 2004); l’esenzione è valida per 5 anni, con un tetto annuale di base netta esentata (innalzata a seguito della legge del 2006); il plafond annuale esonerato, per il 2007, è di euro 343.234.

Gli obbligati alla tassa sugli immobili, invece, sono esentati se proprietari di immobili situati in ZFU destinati per la prima volta, fra il 1° gennaio 1997 ed il 1° gennaio 2008 (ZFU 1997) o fra il 1° gennaio 2004 ed il 1° gennaio 2009 (ZFU 2004) (limiti temporali, si rammenta, prorogati al 31 dicembre 2011 dalla legge del 2006), ad un’attività professionale che beneficia dell’esenzione della tassa professionale; l’esenzione totale è per 5 anni.

Dell’esenzione dall’imposta sugli utili possono avvantaggiarsi le imprese create o insediate prima del 1° gennaio 2008 (ZFU 1997) o presenti al 1° gennaio 2004, create o insediate prima del 1° gennaio 2009 (ZFU 2004) e che impiegano meno di 50 dipendenti durante il periodo d’esenzione; dal 1° gennaio 2004, l’esenzione dall’imposta sugli utili in ZFU si applica ai contribuenti la cui attività non sia stabile o non sia esercitata completamente nello stabilimento che si trova nella ZSU, se si tratta dell’unico stabilimento dell’impresa in ZFU, purchè il contribuente impieghi, nei suoi locali insediati in ZFU e destinati all’attività, almeno un dipendente stabile, a tempo pieno o equivalente, e realizzi almeno il 25% del suo giro d’affari con clienti situati in ZFU; l’esenzione, che riguarda anche i redditi locativi delle imprese proprietarie di immobili destinati ad attività professionali in ZFU, vale per un tetto di utile fissato per periodi di 12 mesi (esclusi i redditi finanziari o eccezionali), innalzato da 61000 a 100000 euro con la legge del 2006, con una maggiorazione di 5.000 euro per ogni impiegato assunto ed una esenzione a tasso decrescente per 9 anni.

Trascorsi i 5 anni di esenzione al 100%, l’impresa beneficia di un’uscita progressiva dall’insieme delle esenzioni (ad eccezione della tassa sugli immobili), della durata di 3 anni o 9 anni a seconda che, allo scadere, l’impresa impieghi più o meno di 5 dipendenti: in caso di 5 o più dipendenti, 3 anni a tasso decrescente (rispettivamente, 60%, 40% e 20%), in caso di meno di 5 dipendenti, 9 anni a tasso decrescente (60% durante i successivi 5 anni, 40% nel 6° e 7° anno, 20% per l’8° e il 9° anno). Questa uscita progressiva si applica allo stesso modo all’esenzione dai contributi sociali personali per malattia e maternità dei lavoratori indipendenti.

Occorre altresì evidenziare che l’intervento legislativo del 2003, per le imprese in ZFU delimitate a partire dal 1° gennaio 2004, ha previsto che le esenzioni si applichino nei casi in cui il volume d’affari annuale o il totale di bilancio non eccedano i 10 milioni di euro, calcolati all’inizio di ciascun esercizio (ovvero ai casi di piccole imprese, così come classificate in sede comunitaria).

Secondo il documento “Zone Franches Urbaines – Mode d’emploi” della Délégation Interministérielle à la Ville, il sistema delle esenzioni vigente, tenuto conto dei limiti e dei casi d’eccezione di cui si è detto e che si considerano come qui riportati (in particolare, il limite de minimis per le imprese già esistenti al 1° gennaio 2006 nelle ZFU di terza generazione e nelle 29 ZFU di seconda generazione estese nel 2006 o al 1° gennaio 2004 nelle ZFU di seconda generazione, che riguarda in particolare le esenzioni dai contributi sociali a carico del datore di lavoro e dalle imposte sugli utili, e il limite massimo dei 10 milioni di euro di volume d’affari o di totale di bilancio), può essere così schematizzato:

1) esenzione dalla tassa professionale: ne beneficiano le imprese con un massimo di 50 dipendenti alla data di delimitazione della ZFU o della loro creazione o installazione, se posteriore; gli stabilimenti creati o installati non oltre il 31 dicembre 2011; entro un plafond annuale di 343.234 euro per il 2007;

2) esenzione dalla tassa fondiaria: ne beneficiano i proprietari di immobili situati in ZFU prima del 31 dicembre 2011, purchè destinati alle attività che godono del beneficio dell’esenzione dalla tassa professionale, con un plafond annuale di base netta esentata (337 713 € per il 2006);

3) esenzione dall’imposta sugli utili: ne beneficiano le imprese che impiegano non oltre 50 dipendenti, create o installate entro il 31 dicembre 2011, nel limite di un ammontare esonerato pari a 100000 euro e per periodi di 12 mesi, ammontare maggiorato di 5000 euro per ogni nuovo lavoratore assunto dal 1° gennaio 2006, se a tempo pieno e per almeno 12 mesi, domiciliato nella ZFU o in una ZUS;

4) esenzione dai contributi sociali a carico del datore di lavoro: ne beneficiano le imprese con un numero non superiore ai 50 dipendenti (alla data di delimitazione della ZFU o della loro creazione o installazione anteriore al 31 dicembre 2011) presenti alla data di creazione o installazione o trasferimento dell’impresa in ZFU entro il 31 dicembre 2011, o assunti nei 5 anni che seguono la creazione o l’installazione dell’impresa, a condizione che si tratti di contratti a tempo indeterminato o determinato con durata non inferiore ai 12 mesi e entro un limite del 140% del salario minimo e che, per le imprese installate dopo il 1° gennaio 2002, a partire dalla terza assunzione con diritto alle esenzioni, almeno un terzo dei dipendenti sia abitante di una ZUS della stessa unità urbana della ZFU; ne beneficiano le associazioni create o installate non oltre il 31 dicembre 2011, alle stesse condizioni previste per i dipendenti delle imprese, entro un massimo di 15 impiegati;

5) esenzione dai contributi sociali personali di maternità e malattia: ne beneficiano artigiani, commercianti e capi d’azienda aventi la qualità di lavoratori indipendenti (escluse le professioni liberali) per le attività esistenti alla data di delimitazione della ZFU o create o installate entro il 31 dicembre 2011, entro un plafond esonerato di 25.157 euro per il 2007.

A margine della rivisitazione della disciplina complessiva delle ZFU francesi, e data la rilevanza della notizia per la configurazione delle future ZFU italiane, si segnala che la Commissione Europea, con Regolamento n. 1998/2006 del 15 dicembre 2006, ha stabilito che, dal 1° gennaio 2007, il limite degli aiuti c.d. “de minimis” entro il quale lo Stato membro è esentato dall’obbligo di notifica è elevato da 100000 euro a 200000 euro e, eccezion fatta per gli ambiti per i quali vigono discipline specifiche sugli aiuti di Stato, quali pesca e agricoltura, e il settore del trasporto su strada per il quale permane il limite dei 100000 euro, le imprese potranno usufruire degli aiuti sotto forma di esenzioni fiscali entro questo nuovo tetto[12].

Tralasciando ogni giudizio di merito sul sistema delle ZFU, che non compete all’autore, poichè comporterebbe valutazioni di tipo economico e politico anche complesse e non avulse da posizioni di parte, le quali non potrebbero tra l’altro prescindere da uno studio della situazione socio-economica francese e dalla peculiarità delle politiche nazionali e locali[13], si osservi solamente che oggi le ZFU sono 100 e contano oltre 1.600.000 abitanti, cioè poco più del 2,6% dell’intera popolazione francese, e che, secondo il Ministero per la Coesione Sociale, il numero di imprese nelle ZFU di prima generazione è praticamente raddoppiato nell’arco di cinque anni (da 11000 a 21000 secondo la Commissione Europea e i rapporti dell’Onzus, Observatoire national des zones urbaines sensibles) mentre triplicato è risultato il numero dei lavoratori impiegati (e ulteriori risultati positivi si sono avuti con la proroga del 2003); la crescita economica nelle ZFU di seconda generazione è stata di cinque volte superiore a quella del resto del territorio, con effetti positivi sull’occupazione (13900 imprese o stabilimenti interessati dalle esenzioni a fronte di 67700 lavoratori) e aspettative sempre migliori per la terza generazione di ZFU (l’obiettivo è quello di creare 100000 posti di lavoro entro il 2011).

Riproduzione del modello francese in Italia: opportunità, condizioni e limiti di una scelta

E’ di tutta evidenza che l’analisi del caso francese, sia sotto il profilo giuridico tributario che, in senso ampio e generico, socio-economico e politico, per non risolversi in un mero esercizio di conoscenza, va confrontata nei suoi tratti essenziali con il sistema che si va delineando in questa fase interlocutoria del processo di creazione delle ZFU in Italia, per comprendere innanzitutto se e come il modello francese possa essere riprodotto e adattato e se in effetti l’impostazione italiana, così come emerge dalla Legge Finanziaria 2007 e dagli esiti del Tavolo di Concertazione per il Mezzogiorno, sia destinata ad essere pienamente e positivamente apprezzata dalla Commissione Europea, che è sostanzialmente il “centro decisionale”. E ciò non tanto perché una riproduzione sic et simpliciter del dispositivo francese garantisca di per sé il successo (è sottinteso che i contesti sono in parte differenti per molteplici ragioni di tipo culturale, sociale, economico e politico e che la Commissione deciderà discrezionalmente sul caso specifico), ma in quanto è nelle decisioni di approvazione degli aiuti attuati nelle ZFU francesi, nelle motivazioni e nelle condizioni poste e osservate, considerati naturalmente gli orientamenti comunitari in materia, che si possono riconoscere le linee guida per la creazione delle future Zone Franche Urbane italiane, ovvero i caratteri che potrebbero agevolare il loro riconoscimento e l’approvazione delle esenzioni al loro interno.

Si ritiene che possa essere utile riferirsi innanzitutto alla decisione n. 70/A/2006, con cui la Commissione Europea ha approvato l’intervento francese del 2006. In particolare, rilevano i passaggi in cui la Commissione pone l’accento sulla dimensione “urbana” del provvedimento (“L’objectif de ce régime est la promotion et le développement de quartiers urbains défavorisés”), condivide e rilancia l’obiettivo di risollevare economicamente le sorti di queste aree urbane attraverso il sostegno alla piccola impresa (“Les mesures notifiées visent à renforcer le tissu économique de proximité de ces quartiers, composé essentiellement de petites entreprises, en permettant de nouvelles implantations et créations d’entreprises, avec des incitations sous forme d’un régime spécifique d’exonérations fiscales et sociales favorables à l’emploi.“), si dimostra favorevole a limitare appunto il regime di aiuti alle micro e alle piccole imprese.

Assumendo per valido il modello francese, le misure agevolative non dovrebbero avere valenza “strutturale” ma devono essere il più possibile concepite come risposte a situazioni eccezionali di crisi, non solo strettamente economica ma anche sociale. Da ciò discendono: l’importanza di prevedere dei parametri oggettivi particolarmente stringenti (cioè rivelatori della eccezionalità della situazione e della necessità dell’intervento particolare) e l’opportunità di accentuare lo spirito sociale dell’iniziativa.

Devono quindi essere misure ben limitate nel tempo (salva la possibilità di proroga e/o di uscita graduale dal beneficio delle esenzioni) e inserite nell’ottica e nel campo di un intervento generale di recupero (anche urbano) e di creazione di un tessuto e di un sistema sociale dinamico e libero, solidale e equo; deve trattarsi inoltre di misure limitate nello spazio (è difficile immaginare che la Commissione approvi aiuti destinati a interi Comuni o Province, come si è addirittura ipotizzato in alcune realtà locali) o comunque delimitate tenendo conto della densità abitativa (si ricordi che in Francia ben 100 ZFU contano appena il 2,6% della popolazione nazionale), e ciò per ovvie ragioni di rispetto dei principi di libera concorrenza e non distorsione del mercato, ivi compreso quello c.d. “del lavoro”.

Decisiva è anche la predisposizione di un adeguato sistema di controllo e valutazione, esattamente come avviene in Francia (dove è apprezzata dalla Commissione Europea l’attività dell’Observatoire national des zones urbaines sensibles), attraverso commissioni, enti e osservatori, che garantiscano trasparenza, efficacia e efficienza.

Sembra fondamentale poi che le Zone Franche Urbane siano “urbane” in senso stretto.

Da un lato è vero che l’utilizzo in Italia della terminologia francese, sicuramente di grosso impatto simbolico, non deve trarre in inganno: in Francia la denominazione trova fondamento in ragioni sociali e politiche che nel caso italiano sono almeno parzialmente diverse (se in Francia si pone al centro dell’intervento la questione dell’esclusione sociale e dell’integrazione, in Italia l’accento è su fattori prevalentemente economici e meno legati al problema delle periferie metropolitane). E non pare proprio che si possa dire, legislazione e orientamenti comunitari alla mano, che per la concessione di aiuti di Stato, ove se ne riconosca l’esigenza, l’appartenenza di un territorio ad un’area urbana sia un fattore discriminante in assoluto fondamentale (tant’è che proprio in Francia sono previste zone speciali “rurali”, accanto a quelle “urbane”, e, come noto, esistono discipline comunitarie in materia di aiuti indifferenti al requisito dell’appartenenza ad un’area urbana).

Ma dall’altro lato il legislatore nazionale ha comunque inteso, come si vedrà di qui a breve, riprodurre sostanzialmente l’impostazione francese, limitando l’intervento ad “aree e quartieri degradati nelle città del Mezzogiorno”.

Qualche confusione può essere ingenerata dalla circostanza che, stando a quanto si è appreso pubblicamente, il documento predisposto dal Governo e presentato alle parti del Tavolo per il Mezzogiorno avrebbe annunciato che ZFU potranno essere aree nelle quali sperimentare attività nel campo nella nuova economia, dei porti, ed anche di interesse culturale con teatri, cinema e progetti di recupero di ex aree industriali: al di là del problema della compatibilità di questo impianto con la previsione della Legge Finanziaria 2007 (facilmente risolvibile mantenendo intatta la caratterizzazione “urbana”), dal dibattito in corso emerge che il riferimento a porti e aree industriali induce non di rado all’equivoco che le ZFU siano qualcosa di simile alle Zone Franche di diritto doganale, finalizzate all’incentivazione dei commerci internazionali, o addirittura a veri e propri regimi (fictiones) di extra-territorialità, figure che esulano non solo dalla natura esclusivamente fiscale del dispositivo ZFU col quale hanno ben poco in comune, ma anche dalla dimensione “urbana”: sono state formulate infatti numerose proposte, presumibilmente destinate a decadere, di istituzione di ZFU su intere città, province o aree portuali e persino comunità montane.

Come di seguito si vedrà, proprio in riferimento a questi ultimi aspetti, non mancano spunti problematici sul fondamento giuridico (comunitario) delle agevolazioni fiscali nelle ZFU italiane.

In attesa di conoscere il contenuto delle comunicazioni ufficiali delle Regioni al Governo e successivamente di poter apprendere e studiare la specifica disciplina di vantaggio per le Zone Franche Urbane (sottinteso, a condizione di superare positivamente l’esame comunitario), è doveroso prendere le mosse dal dettato dei commi 340-343 dell’art. 1 della L. n. 296/2006.

Il comma 340 esordisce così: “Per favorire lo sviluppo economico e sociale, anche tramite interventi di recupero urbano, di aree e quartieri degradati nelle città del Mezzogiorno, identificati quali zone franche urbane…”. Come si è appena sopra accennato, è palese (e condivisibile) l’intento di attribuire alle Zone Franche Urbane un carattere di eccezionalità, limitatezza e specificità, sia da un punto di vista geografico e spaziale che sotto il profilo della motivazione.

Il comma 341, infatti, stabilisce che “le aree di cui al comma 340 devono essere caratterizzate da fenomeni di particolare degrado ed esclusione sociale”. Stando alla lettera della norma, quindi, non dovrebbero essere prese in considerazione aree extra-urbane ma nemmeno aree urbane in cui il basso sviluppo economico non sia accompagnato anche da fenomeni sociali di particolare gravità. Nessuna forma più o meno indiretta e indiscriminata di “finanziamenti a pioggia” o di “fiscalità di compensazione” su larga scala dovrebbe entrare a far parte del sistema.

Risulta allora comprensibile la necessità della definizione dei “parametri socio-economici”, di cui al comma 342, che il CIPE dovrà porre a fondamento delle proprie determinazioni sull’allocazione delle risorse: si tenga presente che il comma 340 istituisce “un apposito Fondo con una dotazione di 50 milioni di euro per ciascuno degli anni 2008 e 2009” per provvedere “al cofinanziamento di programmi regionali di intervento” e che il comma 342 stabilisce che “con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sono definite le modalità e le procedure per la concessione del cofinanziamento in favore dei programmi regionali e sono individuate le eventuali riduzioni di cui al comma 340 concedibili, secondo le modalità previste dal medesimo decreto, nei limiti delle risorse del Fondo a tal fine vincolate”. Sulla base degli stessi parametri, sarà sempre il CIPE a decidere su identificazione, perimetrazione e selezione delle Zone Franche Urbane, su proposta del Ministro dello sviluppo economico, formulata sentite le regioni interessate (come detto, il 15 maggio 2007 dovrebbe essere il giorno decisivo proprio a questo scopo).

Si può notare come il dispositivo sia nell’ottica di una generale programmazione in materia di sviluppo su base regionale: da ciò si desume anche la convenienza di una adeguata cornice programmatica, da parte delle Regioni, entro cui presentare anche la singola proposta di delimitazione di Zona Franca Urbana.

Sembra dunque che il modello, nei suoi elementi caratterizzanti, si avvicini di molto a quello francese, come dimostra anche il comma 343, a norma del quale “il Nucleo di valutazione e verifica del Ministero dello sviluppo economico, anche in coordinamento con i nuclei di valutazione delle regioni interessate, provvede al monitoraggio ed alla valutazione di efficacia degli interventi e presenta a tal fine al CIPE una relazione annuale sugli esiti delle predette attivita’”, con ciò puntando il legislatore a soddisfare l’esigenza (avvertita soprattutto dalla Commissione Europea) di un monitoraggio per la trasparenza, l’efficacia e l’efficienza del sistema delle Zone Franche Urbane.

Le Zone Franche Urbane italiane nella cornice comunitaria: quale fondamento giuridico?

E’ opportuno, almeno in linea di massima, prevedere in cosa si potranno sostanziare (per meglio dire: a quali condizioni, entro quali limiti, con quale fondamento giuridico) gli interventi di favore in Zona Franca Urbana.

Afferma il comma 341 che “le agevolazioni concedibili per effetto dei programmi e delle riduzioni di cui al comma 340 sono disciplinate in conformità e nei limiti previsti dagli Orientamenti in materia di aiuti di Stato a finalità regionale 2007-2013, pubblicati nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea C 54 del 4 marzo 2006, per quanto riguarda in particolare quelli riferiti al sostegno delle piccole imprese di nuova costituzione”.

Secondo la sezione 6 degli Orientamenti 2007-2013, dedicata proprio al sostegno alle piccole imprese di nuova costituzione, occorre che gli aiuti alle piccole imprese “siano mirati in maniera efficace […] modulati in base alle difficoltà incontrate da ciascuna categoria di regione. Inoltre, per evitare l’inaccettabile rischio di distorsioni della concorrenza, compreso il rischio di spiazzamento delle imprese esistenti, essi dovrebbero, almeno per un periodo iniziale, essere strettamente destinati alle piccole imprese, avere ammontare limitato e decrescente” (art. 85). Se si considera che la Legge Finanziaria 2007 prevede uno stanziamento di 100 milioni di euro in 2 anni per un numero massimo di 15 ZFU previste per la fase sperimentale, non resta che attendere di conoscere la configurazione delle esenzioni e delle riduzioni per valutare se e come tali orientamenti, richiamati dallo stesso comma 341, siano rispettati. Le autorità francesi avevano previsto per il 2006 e per tutte le 100 ZFU un budget totale di 35 milioni di euro, una media per ZFU sensibilmente inferiore.

Prosegue il documento: “la Commissione approverà pertanto i regimi che prevedono aiuti fino ad un totale di 2 milioni di EUR ad impresa per le piccole imprese che svolgono la loro attività economica nelle regioni ammissibili alla deroga di cui all’articolo 87, paragrafo 3, lettera a) e fino a 1 milione di EUR ad impresa per le piccole imprese che svolgono la loro attività economica nelle regioni ammissibili alla deroga di cui all’articolo 87, paragrafo 3, lettera c)” (art. 86).

Si ricordi che l’art. 87 del Trattato che istituisce la Comunità europea dichiara gli aiuti concessi dagli Stati sono incompatibili con il mercato comune, in quanto falsano la concorrenza. Lo stesso articolo però prevede deroghe a questa norma generale, in particolare in materia di: aiuti destinati a favorire lo sviluppo economico delle regioni ove il tenore di vita sia anormalmente basso, oppure si abbia una grave forma di sottoccupazione [articolo 87, par. 3, lett. a)] e aiuti destinati ad agevolare lo sviluppo di talune attività o di talune regioni economiche, sempre che non alterino le condizioni degli scambi in misura contraria al comune interesse [articolo 87, par. 3, lett. c)]. Nel primo caso, si tratterebbe delle Regioni comprese nell’Obiettivo 1 dei Fondi Strutturali.

Una statuizione particolarmente inerente il caso italiano, per come prospettato, è quella contenuta nell’art. 87: “le spese ammissibili sono […] tasse (diverse dall’IVA e dalle imposte sul reddito d’impresa) e […] oneri sociali obbligatori […] a condizione che i relativi investimenti o le misure per la creazione di posti di lavoro e le assunzioni non abbiano beneficiato di altre forme d’aiuto”. E’ da verificare come si atteggerà l’esecutivo nazionale, dato che il documento del Governo sembrerebbe invece aver previsto una esenzione dalle imposte sul reddito d’impresa.

Seguono, agli artt. 88, 89 e 90, orientamenti e indicazioni su massimali e intensità degli aiuti. Si avverte che, “in particolare, gli aiuti previsti nella presente sezione non potranno essere cumulati con altri aiuti pubblici (comprese le misure de minimis) per eludere i previsti massimali relativi agli importi o alle intensità degli aiuti” (art. 90).

A questo ultimo proposito, il regime delle ZFU italiane, se sarà ancorato dalla Commissione Europea, come da comma 341 dell’art. 1 della Legge Finanziaria 2007, agli orientamenti sugli aiuti alle piccole imprese di nuova costituzione, potrebbe differire da quello francese: molte delle imprese delle ZFU francesi, infatti, sono sottoposte al regime di aiuti “de minimis” (100000 euro su 36 mesi, limite di recente innalzato a 200000 dal Regolamento n. 1998/2006).

Specifica poi una nota che le imprese ammissibili sono le piccole imprese ai sensi dell’articolo 2 dell’allegato I al regolamento (CE) n. 364/2004 della Commissione, che siano autonome e costituite da meno di cinque anni, cioè “imprese che occupano meno di 250 persone, il cui fatturato annuo non supera i 50 milioni di EUR oppure il cui totale di bilancio annuo non supera i 43 milioni di EUR. Nella categoria delle PMI si definisce piccola impresa un’impresa che occupa meno di 50 persone e realizza un fatturato annuo o un totale di bilancio annuo non superiori a 10 milioni di EUR. Nella categoria delle PMI si definisce microimpresa un’impresa che occupa meno di 10 persone e realizza un fatturato annuo oppure un totale di bilancio annuo non superiori a 2 milioni di EUR”.

La stessa Commissione afferma, all’art. 106, che “poiché devono essere coerenti con la carta degli aiuti a finalità regionale, le notifiche dei regimi di aiuti […] da concedere dopo il 31 dicembre 2006 non possono di regola essere considerate complete fino all’adozione per lo Stato membro interessato della carta degli aiuti a finalità regionale”; identico criterio si applica ai regimi di aiuti alle piccole imprese di nuova costituzione di cui si è appena trattato. L’Italia ha inviato la propria proposta alla Direzione Generale Concorrenza della Commissione Europea il 30 marzo 2007.

Gli Orientamenti sugli aiuti alle piccole imprese di nuova costituzione, espressamente richiamati dal comma 341 della Legge Finanziaria 2007, sono inseriti nel quadro generale degli Orientamenti in materia di aiuti di Stato a finalità regionale, da applicare “a tutti gli aiuti a finalità regionale da concedere dopo il 31 dicembre 2006” (art. 105), documento sintetico ma molto dettagliato, riferito in linea generale, si noti, alle grandi e medie imprese in difficoltà e situate in regioni particolarmente svantaggiate, che esplicita i criteri adottati dalla Commissione ai fini della concessione degli aiuti di Stato ammissibili “ai sensi dell’articolo 87, paragrafo 3, lettere a) e c), del trattato, […] compatibili con il mercato comune […] per favorire lo sviluppo economico di determinate zone svantaggiate all’interno dell’Unione europea […] destinati a regioni specifiche al fine di riequilibrare disparità regionali” (art. 1), aiuti “volti a colmare gli svantaggi delle regioni sfavorite” (art. 2), “tramite un sostegno agli investimenti e alla creazione di posti di lavoro […], in particolare incoraggiando le imprese ad insediarvi nuovi stabilimenti” (art. 3), che “possono svolgere un ruolo efficace solo se utilizzati in modo parsimonioso e proporzionato” (art. 5).

Il documento fornisce preziose indicazioni sul campo di applicazione degli orientamenti, sulla delimitazione delle regioni favorite, su forma, massimali e spese ammissibili tra gli aiuti all’investimento e al funzionamento delle imprese.

Di particolare interesse è sottolineare che “di regola, gli aiuti a finalità regionale dovrebbero essere concessi nel contesto di un regime di aiuti multisettoriale che sia parte integrante di una strategia di sviluppo regionale, con obiettivi chiaramente definiti” (art. 10) e che “alla luce del principio del carattere derogatorio degli aiuti a finalità regionale, la Commissione ritiene che la copertura totale in termini di popolazione nelle regioni assistite nella Comunità debba restare significativamente inferiore a quella delle regioni non assistite. “ (art. 12). Inoltre: “L’articolo 87, paragrafo 3, lettera a) statuisce che possono considerarsi compatibili con il mercato comune gli aiuti destinati a favorire lo sviluppo economico delle regioni ove il tenore di vita sia anormalmente basso oppure si abbia una grave forma di sottoccupazione. Come sottolinea la Corte di giustizia delle Comunità europee, «l’uso dei termini» anormalmente «e» grave «nella deroga contenuta nella lettera a) [dell’articolo 87, paragrafo 3] dimostra che questa riguarda solo le regioni nelle quali la situazione economica è estremamente sfavorevole rispetto alla Comunità nel suo complesso»” (art. 15) e “la Commissione ritiene di conseguenza che le condizioni fissate siano soddisfatte se la regione, corrispondente ad un’unità geografica di livello II della NUTS[14], ha un prodotto interno lordo (PIL) pro capite, misurato in standard di potere d’acquisto (SPA), inferiore al 75 % della media comunitaria. Il PIL pro capite di ogni regione e la media comunitaria da utilizzare nell’analisi sono stabiliti dall’Ufficio statistico delle Comunità europee. Onde garantire la maggiore coerenza possibile tra la designazione delle regioni ammissibili alla deroga prevista dall’articolo 87, paragrafo 3, lettera a) nel quadro dei presenti orientamenti e le regioni ammissibili all’obiettivo della convergenza nel quadro delle norme relative ai fondi strutturali, la Commissione ha utilizzato il medesimo PIL pro capite per designare le regioni ex articolo 87, paragrafo 3, lettera a) e le regioni della convergenza ai sensi della normativa sui fondi strutturali.” (art. 16).

Sulla deroga prevista dall’art. 87, paragrafo 3, lett. c), “La Corte di giustizia, nella causa 248/84, si è pronunciata nei seguenti termini sulla gamma dei problemi relativi a detta deroga e sul quadro di riferimento dell’analisi: «Invece, la deroga di cui [all’articolo 87, paragrafo 3,] lettera c) ha una portata più ampia in quanto consente lo sviluppo di determinate regioni, senza essere limitata dalle condizioni economiche contemplate dalla lettera a), purché gli aiuti che vi sono destinati» non alterino le condizioni degli scambi in misura contraria al comune interesse. Questa disposizione attribuisce alla Commissione il potere di autorizzare sovvenzioni destinate a promuovere lo sviluppo economico delle regioni di uno Stato membro che sono sfavorite rispetto alla media nazionale».” (art. 21); “Gli aiuti a finalità regionale che possono beneficiare della deroga di cui all’articolo 87, paragrafo 3, lettera c) devono tuttavia iscriversi nel quadro di una politica regionale ben definita dello Stato membro e rispettare il principio di concentrazione geografica. Considerando che tali aiuti sono destinati a regioni meno svantaggiate di quelle di cui all’articolo 87, paragrafo 3, lettera a), sia la portata geografica della deroga che l’intensità di aiuto devono essere rigorosamente limitati. Di conseguenza, soltanto una piccola parte del territorio nazionale di uno Stato membro potrà di norma beneficiare degli aiuti in questione. “ (art. 22).

Gli artt. 30 e 31, poi, rendono conto dei criteri di ammissibilità, che “devono essere sufficientemente flessibili da permettere un’ampia varietà di situazioni nelle quali la concessione di aiuti a finalità regionale può potenzialmente essere giustificata, ma devono essere nel contempo trasparenti e fornire sufficienti garanzie del fatto che la concessione di aiuti a finalità regionale non comporterà una distorsione degli scambi e della concorrenza in misura contraria al comune interesse” (art. 30). Segue una indicazione dettagliata dei criteri di ammissione in base al grado di sviluppo economico, alla densità di popolazione, al PIL pro capite, alla vicinanza o contiguità a regioni particolarmente svantaggiate e così via. E’ di rilievo in questa sede che “per consentire agli Stati membri maggiore flessibilità per far fronte a disparità regionali molto localizzate, al di sotto del livello NUTS-III, gli Stati membri possono anche individuare altre aree più piccole che non soddisfano le condizioni di cui sopra, purché abbiano una popolazione minima di 20 000 abitanti. Spetterà agli Stati membri che desiderano avvalersi di questa possibilità dimostrare che le aree proposte hanno proporzionalmente un bisogno maggiore di sviluppo economico rispetto ad altre aree di tale regione, utilizzando indicatori economici riconosciuti come il PIL pro capite, il livello di occupazione o di disoccupazione, indicatori relativi alla produttività locale o alle qualificazioni professionali. La Commissione approverà in queste aree aiuti a finalità regionale a favore delle PMI” (art. 31).

Per quanto riguarda la forma degli aiuti, rilevante ai fini della presente analisi è la loro ammissibilità sotto forma di esenzioni o riduzioni fiscali.

L’esame della Commissione Europea: possibili spunti problematici

Tutto ciò considerato, è d’obbligo vagliare alcune problematiche che emergono dalla lettura incrociata delle disposizioni della Legge Finanziaria 2007, degli Orientamenti dell’Unione Europea sugli aiuti a finalità regionale, a cui la Legge Finanziaria 2007 rinvia con particolare riguardo agli aiuti alle piccole imprese di nuova costituzione appena analizzati nei passaggi di maggiore interesse, e della decisione n. 70/A/2006 con cui la Commissione ha approvato l’iniziativa legislativa francese del 2006.

Motivando la propria decisione, la Commissione ha attribuito agli aiuti nelle ZFU il crisma della “compatibilità” con la deroga ex art. 87 par. 3 lett. c) del Trattato istitutivo, motivando come di seguito si riassume: gli aiuti sono finanziati dal bilancio pubblico e poichè, essendo destinati a favorire solo alcune imprese situate in determinati territori, sono potenzialmente lesivi della libera concorrenza, è necessario analizzare le misure agevolative alla luce dell’art. 87 del Trattato; quest’ultimo, al par. 3, attribuisce alla Commissione un potere discrezionale in ordine alla valutazione di forme di esenzione da parte dello Stato membro (richieste e notificate ai sensi dell’art. 88 del Trattato), che incontra un limite e una guida fondamentali nei principi comunitari espressi nei testi in vigore, in particolare negli Orientamenti in materia di aiuti di Stato; ciò premesso, la Commissione rileva che, nonostante alcuni tratti generici comuni, non è agli Orientamenti sugli aiuti a finalità regionale che vanno ricollegati gli aiuti di cui al dispositivo francese, in quanto gli uni sono primariamente finalizzati allo sviluppo economico, mentre gli altri all’annullamento della esclusione territoriale e sociale, i primi si riferiscono a unità territoriali ben più ampie e articolate rispetto ai secondi, diverse sono anche la natura degli aiuti previsti e la tipologia delle imprese destinatarie; né risultano applicabili gli Orientamenti in materia di aiuti alle piccole imprese di nuova creazione, poichè questi non tengono conto degli aiuti successivi ai cinque anni, ovvero nel periodo in cui, nel sistema francese, si assiste a un’uscita progressiva dalle esenzioni che può durare anche 9 anni; non applicabili si considerano poi gli orientamenti e i regolamenti in materia di aiuti all’impiego (dato nel sistema francese non rileva lo status di disoccupato ma la residenza del lavoratore assunto, secondo un approccio geografico al problema), in materia di aiuti alle piccole e medie imprese (anche qui per via dell’approccio geografico esclusivo) e in materia di aiuti de minimis (principalmente perché in molti casi si supera la soglia); la Commissione ricorda tuttavia che con decisione del 2 ottobre 1996, pubblicata il 14 maggio 1997, era entrata in vigore una disciplina degli aiuti di Stato alle imprese nei quartieri urbani svantaggiati, poi scaduta il 14 maggio 2002 e non prorogata (per sostanziale inapplicabilità di fatto, ritenute le condizioni poste troppo restrittive): la mancata proroga, però, e questo è il passaggio decisivo, non implica che in certi casi e a certe condizioni non possano essere concessi e approvati aiuti di Stato in favore di quartieri urbani svantaggiati o degradati, potendo e dovendo questi aiuti essere giudicati come compatibili con l’art. 87, par. 3, lett. c) del Trattato CE (si può ritenere che sia stata esclusa a priori l’ipotesi di compatibilità con l’art. 87, par. 3, lett. a), concernendo questa deroga regioni di livello NUTS II e non certo di dimensioni contenute anche oltre il livello NUTS III).

Pertanto, gli aiuti francesi alle imprese in ZFU sono stati dichiarati ammissibili e compatibili con l’art. 87, par. 3, lett. c) del Trattato in quanto: necessari, rispettosi dei principi e proporzionati rispetto agli obiettivi comunitari (coesione economica e sociale, principi ispiratori dei Fondi strutturali e delle iniziative Urban e Urban II) e nel contempo non contrari all’interesse comune e alla libera concorrenza (piccola e piccolissima dimensione delle imprese avvantaggiate, scarsa copertura geografica e demografica, rigorosa delimitazione dei quartieri interessati, selezione delle aree, contenuto specifico delle esenzioni concesse, accento sugli aspetti sociali).

Riflessioni conclusive e previsioni

Quanto sopra non può non indurre a qualche riflessione di fondo sulle ZFU di prossima istituzione nel nostro Paese, destinata a trovare risposta solo con le iniziative ufficiali del Governo italiano e con i riscontri che verranno dalla Commissione Europea: v’è da chiedersi se il richiamo esplicito in Legge Finanziaria 2007 agli Orientamenti in materia di aiuti a finalità regionale, che la Commissione ritiene non applicabili al caso delle ZFU francesi, possa o meno rappresentare uno sbarramento alla approvazione degli aiuti previsti in Italia, oppure se possa invece deporre a favore il tenore più economico e meno sociale del modello italiano; e ancora, quale sarebbe la sorte della prevista esenzione dalle imposte sul reddito d’impresa se la Commissione dovesse accettare l’indicazione della Legge Finanziaria 2007, che “aggancia” le ZFU alla disciplina degli aiuti alle piccole imprese di nuova costituzione, il cui art. 87, però, come visto, esclude esplicitamente proprio l’imposta dal reddito d’impresa dal novero delle spese ammissibili; permane il dubbio, quindi, sulla effettiva e piena compatibilità del sistema previsto per le ZFU italiane (che pare avvicinarsi di molto al modello francese) con i testi comunitari che però è la stessa Legge Finanziaria 2007 a richiamare; sarà interessante osservare sotto quale luce la Commissione esaminerà gli aiuti notificati dall’Italia e se e quanto peserà, sulla soluzione del problema del fondamento giuridico, il fatto che una parte delle Regioni che stanno avanzando proposte rientrino nell’Obiettivo 1 dei Fondi Strutturali e siano quindi unità di livello NUTS II (quelle che beneficiano della deroga ex art. 87, par. 3, lett. a) del Trattato), mentre non tutte le Regioni interessate rientrano nell’Obiettivo 1 e il dettato normativo del comma 340 si riferisce a quartieri e aree urbane ben delimitate al di sotto del livello NUTS III, elemento che avvicina semmai le ZFU italiane alle fattispecie di cui alla lettera c); sarà da verificare, in conclusione, se tutto ciò costituirà un fattore ostativo oppure se la Commissione Europea avrà prevalente riguardo alla concreta disciplina di cui al decreto ministeriale previsto dal comma 342 dell’art. 1 della L. n. 296/2006 e approverà gli aiuti alle imprese in ZFU sulla base, magari, di un differente fondamento giuridico comunitario, anche solo per compatibilità con l’art. 87, par. 3, lett. c) oppure in virtù della “deroga” ex art. 31 degli Orientamenti sugli aiuti a finalità regionale, ma in tal caso sarebbe opportuno che le proposte avanzate rispettassero le rigide condizioni (20000 abitanti, prevenzione dello spill-over), innanzitutto geografiche e demografiche, imposte sia dagli orientamenti stessi che, in definitiva, dalla stessa lettera della Legge Finanziaria 2007.

Ogni ipotesi, in assenza di un testo ufficiale e definitivo, sarebbe quantomeno ardita, ma si può prevedere che quanto maggiore risulterà, già in fase di proposta di perimetrazione delle aree, l’aderenza al modello francese nel senso sopra specificato e articolato (limitando l’intervento a quelle realtà e a quelle situazioni che all’esperienza francese possono essere concettualmente e idealmente associate, evitando il più possibile pericolose variazioni sul tema), tanto più alte saranno le possibilità che la Commissione Europea approvi il sistema di esenzioni e riduzioni in Zona Franca Urbana.



[1] Fonti on line: www.europa.eu; www.zones-franches.org; www.fisconelmondo.it; www.travail.gouv.fr; www.ccielyon.com; www.localtis.info; www.cohesionsociale.gouv.fr; www.assocamerestero.it; www.elysee.fr; www.ville.gouv.fr; www.ladocumentationfrancaise.fr; www.urssaf.fr; observatoire.ism.asso.fr; www.legifrance.gouv.fr; www.senat.fr; www.ccip.fr; www.apce.fr; www.confindustriasicilia.it; www.premier-ministre.gouv.fr; www.cite.org; www.maire-info.com; www.svimez.it; www.camera.it; www.senato.it; www.governo.it; www.sviluppoeconomico.gov.it; www.sergiodantoni.it; www.camcom.it; www.regioni.it; agenzie, quotidiani, portali di informazione on line nazionali ed internazionali.

[2] Variabili a seconda delle caratteristiche socio-economiche delle aree individuate, comunque tutte recanti situazioni di disagio e potenzialità di sviluppo, aree di valenza strategica per la portualità e la logistica, aree in cui sia possibile sviluppare attività di ricerca o sperimentare attività nel campo nella nuova economia, oppure ancora aree industriali dismesse o in disuso.

[3] Il CIPE valuterà, oltre agli aspetti economici, anche l’osservanza dei criteri di individuazione basati su parametri oggettivi: dalla densità abitativa, alla dimensione media delle attività economiche, al reddito d’impresa.

[4] I decreti n. 1154 e n. 1155 del 26 dicembre 1996, modificati dai decreti n. 1322 e n. 1323 del 31 dicembre 1997, n. 126 del 12 febbraio 1997 e n. 706 del 31 luglio 2001, hanno delimitato le ZFU istituite dalla legge del 1996; il decreto n. 219 del 12 marzo 2004, modificato dal decreto n. 557 del 27 maggio 2005, ha delimitato le ZFU istituite nel 2003; i decreti n. 930 del 28 luglio 2006 e n. 1623 del 19 dicembre 2006 hanno creato e delimitato le ZFU istituite nel 2006.

[5] Per esempio Enti Locali, Sindacati, Camere Consolari e Professionali e, dal 2004, le imprese con una quota del 25% o superiore del capitale o dei diritti di voto controllate direttamente o indirettamente da una o più società con 250 dipendenti o più e il cui volume d’affari annuale superi i 50 milioni di euro o il cui totale di bilancio superi i 43 milioni di euro (in sintesi, si tratta di dimensioni oltre quelle delle piccole imprese così come classificate dall’Unione Europea).

[6] Dal gennaio 2004, tutte le associazioni create o impiantate in ZFU possono applicare le esenzioni ai soli residenti in ZRU, in ZFU o, a partire dal gennaio 2005, ai dipendenti che risiedono in una ZUS situata nella stessa circoscrizione urbana, nel limite di 15 dipendenti; ma già secondo una circolare interministeriale del 30 luglio 2004, le associazioni impiantate prima del 1° gennaio 2009 in ZFU beneficiano dell’esenzione dai contributi sociali a carico del datore di lavoro nel limite del 150% del salario minimo di crescita per dipendente, per non oltre 15 dipendenti, purchè in possesso dei requisiti previsti per i dipendenti delle imprese commerciali, industriali o artigianali.

[7] 50 dipendenti calcolati in media nei 12 mesi antecedenti la delimitazione della ZFU, per le imprese già esistenti, o la creazione dell’impresa all’interno di ZFU già delimitate, escluse dal conteggio alcune categorie quali i titolari di contratti di formazione o professionalizzazione o i dipendenti che sono trasferiti da uno stabilimento all’altro della stessa impresa nella ZFU o che hanno consentito al proprio datore di lavoro, nei 5 anni precedenti, di godere di esenzioni in Zone de revitalisation rurale (ZRR) o in Zone de redynamisation urbaine (ZRU).

[8] Sono esclusi dalle esenzioni i premi salariali della sicurezza sociale, il contributo sociale generalizzato (Csg), il contributo per il rimborso del debito sociale (Crds), il contributo di solidarietà per l’autonomia ed eventualmente la tassa di previdenza.

[9] Per “ZFU 1997” e “ZFU 2004” si intenda riferirsi d’ora in poi rispettivamente alle ZFU istituite nel 1996 e delimitate nel 1997 e a quelle istituite nel 2003 e delimitate nel 2004.

[10] Residenti o domiciliati da 3 mesi consecutivi: alla data di delimitazione della ZFU per i lavoratori presenti nell’impresa già impiantata in ZFU, alla data della creazione dell’impresa, se posteriore, se il lavoratore è impiegato a quella data, alla data effettiva di assunzione o di trasferimento del lavoratore se posteriore.

[11] Per ulteriori disposizioni, riguardo l’armonizzazione e l’uniformazione delle discipline a seguito della nuova istituzione di ZFU del 2006, si veda la Circolare n. 89 del 2006 della Direction de la Réglementation du Recouvrement et du Service.

[12] Si veda Circolare Urssaf del 15 marzo 2007; l’Urssaf, Unions de Recouvrement des Cotisations de Sécurité Sociale et d’Allocations Familiales, è un organismo para-statale che si occupa di previdenza sociale e assegni familiari, con importanti competenze e ruoli di assistenza e responsabilità nel campo dell’occupazione anche in ambito di ZFU.

[13] La fiscalità di vantaggio è infatti accompagnata, in un quadro generale di azioni volte al miglioramento della qualità della vita e alla lotta all’esclusione sociale, da programmi e interventi locali su: rinnovo urbano, formazione professionale, servizi pubblici, sviluppo del commercio e dei servizi e altri ambiti.

[14] Regolamento (CE) n. 1059/2003 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 maggio 2003, relativo all’istituzione

di una classificazione comune delle unità territoriali per la statistica (NUTS), GU L 154 del 21.6.2003, secondo il quale le regioni di livello NUTS II e III, in Italia, corrispondono rispettivamente alle unità amministrative “Regioni” e “Comuni”.

Premessa

Entro il 15 maggio 2007, spetterà alle Regioni del Sud Italia proporre al Governo nazionale le prime aree individuate sui rispettivi territori, di concerto con enti locali e associazioni di categoria, per la sperimentazione delle Zone Franche Urbane, all’interno delle quali attuare, prevedibilmente a partire dal 2008, politiche tributarie agevolative e di recupero urbano, tese allo sviluppo e alla ripresa socio-economica. L’appuntamento, fissato al termine della riunione del Tavolo di Concertazione per il Mezzogiorno del 26 aprile, rappresenterà dunque una tappa decisiva verso l’attuazione, ai sensi dei commi 340-343 dell’art. 1 della L. n. 296/2006 (Legge Finanziaria 2007), di una tra le nuove misure fiscali e contributive di vantaggio e di favore obiettivamente più interessanti.

Secondo il documento illustrato dal Governo alle parti sociali, all’interno delle Zone Franche Urbane, sulla scorta dell’esperienza francese, le imprese godrebbero di condizioni di vantaggio mediante agevolazioni, esenzioni e riduzioni di tipo contributivo e fiscale[2], quali un rilevante credito d’imposta in cifra fissa sulla nuova occupazione e l’esonero (almeno per cinque anni) dalle imposte sul reddito d’impresa e dall’imposta sui fabbricati, nonchè attraverso il sostegno allo start up, e anche per mezzo di un abbattimento delle aliquote ICI., che si ipotizza quale forma di compartecipazione finanziaria da parte dei Comuni; le Regioni dovrebbero invece cofinanziare per almeno il 50% con risorse proprie, a fronte di un Fondo nazionale previsto in Legge Finanziaria 2007 di 100 milioni di euro complessivi, ripartiti a metà negli anni 2008 e 2009.

L’obiettivo del Governo sarebbe quello di approdare entro il mese di giugno 2007 alla stesura e alla pubblicazione del decreto ministeriale di cui al comma 342, e di cui in seguito si dirà, e quindi all’avvio delle Zone Franche Urbane, una volta superato il vaglio del CIPE[3] e il severo esame dell’Unione Europea. I tempi per l’individuazione delle aree e per la previsione e l’attuazione della specifica disciplina fiscale al loro interno dovrebbero pertanto essere brevi.

Il caso delle Zones Franches Urbaines in Francia: basi concettuali, disciplina e effetti

Le Zone Franche Urbane, come si è accennato, se rappresentano un inedito a livello nazionale, non costituiscono di certo una novità a livello comunitario e internazionale: è infatti la Francia a vantare in materia un’esperienza ormai decennale, e un’analisi del caso francese può senz’altro essere d’aiuto a comprendere, anche sotto il profilo giuridico teorico e pratico, oltre che economico e lato sensu politico, la reale natura e l’effettiva portata, i possibili esiti e le similitudini, ma anche la collocazione teorica e normativa, del nuovo dispositivo introdotto dalla Legge Finanziaria 2007, aspetti dei quali l’attuale dibattito, serrato e intenso soprattutto a livello locale, ha rivelato una conoscenza diffusa non sempre puntuale.

L’istituto delle Zones Franches Urbaines è stato introdotto in Francia con la L. n. 987 del 14 novembre 1996 (Pacte de Relance pour la Ville), un provvedimento che, nell’ambito di politiche di sviluppo e integrazione socio-economica in favore di aree urbane svantaggiate, depresse e caratterizzate da fenomeni di ineguaglianza e esclusione sociale, si basa concettualmente su una sorta di “geografia prioritaria” (accanto alle Zones Franches Urbaines, sono previste ad esempio Zones Urbaines Sensibles e Zones de Redynamisation Urbaine, già presenti nella legislazione e rilanciate appunto dal “Patto per la Città”), con l’obiettivo di individuare e delimitare porzioni di territorio, normalmente quartieri urbani “sensibili” che necessitano di interventi eccezionali per la ripresa socio-economica e il miglioramento della qualità della vita, all’interno delle quali attuare vantaggiose politiche fiscali e contributive, variamente graduate in base a una gerarchia, a una “discrimination positive” (appunto, a seconda che si tratti di ZFU o ZUS o ancora di ZRU).

Per quanto concerne le Zones Franches Urbaines, ciò si realizza attraverso la previsione di varie forme di esenzione, inerenti diversi elementi della complessiva imposizione tributaria e della contribuzione sociale, variamente modulate nel tempo e anche in relazione alla data di istituzione e avvio delle ZFU e di installazione al loro interno delle imprese.

La già citata legge del 1996 (istitutiva delle prime 44 ZFU) è applicabile alle imprese già presenti, create o impiantate all’interno delle aree individuate tra il 1° gennaio 1997 e il 31 dicembre 2001, ma con la L. n. 1576 del 30 dicembre 2002 le misure sono state estese e, a partire dal 1° gennaio 2003, di esse possono beneficiare anche le imprese create o impiantate nelle ZFU nel successivo periodo tra il 1° gennaio 2002 e il 31 dicembre 2007.

E’ importante sottolineare già in questa fase dell’analisi, anche ai fini di una migliore comprensione dell’analogo processo in itinere in Italia, come per il diritto comunitario le deroghe e le esenzioni concesse in ZFU si configurino come veri e propri aiuti finanziati dal bilancio statale e, in quanto tali, necessitino della approvazione della Commissione Europea (ex art. 88 del Trattato CE) a garanzia e tutela della libera concorrenza, contro possibili distorsioni dovute a discipline eccezionali eventualmente non giustificate o non adeguatamente strutturate.

Infatti, tanto l’istituzione delle prime 44 ZFU, quanto la successiva proroga, sono state oggetto di due distinte decisioni (Aiuto di Stato n. 159/96 e Aiuto di Stato n. 766/02), al pari della estensione (con modifiche) del dispositivo a nuove 41 ZFU (seconda generazione, per un totale di 85 ZFU comprese quelle nei Dipartimenti d’Oltre Mare), istituite con la L. n. 710 del 1° agosto 2003 (Loi d’orientation et de programmation pour la ville et la rénovation urbaine), approvata con decisione n. 211/2003, per le imprese create o impiantate durante il quinquennio tra il 1° gennaio 2004 e il 31 dicembre 2008.

Una recente legge, la n. 396 del 31 marzo 2006 (Loi pour l’égalité des chances), ha ampliato i confini di 29 delle 85 ZFU esistenti, ne ha introdotte altre 15 e ha esteso le discipline agevolative attuate all’interno di tutte le ZFU alle imprese create o impiantate entro il 31 dicembre 2011 (Aiuto di Stato n. 70/A/2006).

Si noti che, in virtù del sovrapporsi di norme istitutive e di condizioni di volta in volta modificate o imposte dalla Commissione Europea o dettate dagli orientamenti generali dell’Unione in materia di concorrenza e politiche regionali, il quadro si presenta complesso e articolato, con discipline scadute o vigenti che differiscono in maniera più o meno rilevante non solo tra le diverse “generazioni” di ZFU ma anche, all’interno di una stessa Zone, tra imprese create o impiantate in periodi diversi. Di ciò hanno preso coscienza gli addetti ai lavori, tanto che già nel febbraio 2006, in un Rapporto della Camera di Commercio di Parigi (Chambre de Commerce et d’Industrie de Paris) sulla allora imminente Loi pour l’égalité des chances, si promuoveva l’allineamento delle discipline delle più risalenti ZFU e di quelle più recenti, in modo da far fronte alle difficoltà legate alla sovrapposizione dei diversi regimi succedutisi nel tempo dal 1996. E così è avvenuto con la Loi pour l’égalité des chances del 2006, che ha armonizzato le discipline delle tre diverse generazioni di ZFU (ovvero allineandole a quella prevista per le 15 nuove ZFU), per le imprese che vi sono create o impiantate tra il 1° gennaio 2006 e, appunto, il 31 dicembre 2011. Dunque, alla data odierna, convivono (parzialmente) diversi regimi specifici.

E’ bene specificare, sotto il profilo procedurale, che le ZFU istituite per legge sono di volta in volta delimitate per decreto ministeriale o interministeriale[4] e che l’approvazione da parte della Commissione Europea, su notifica dello Stato, non è necessaria solo per la creazione di nuove ZFU o per l’estensione delle discipline, ma anche per ogni possibile modifica (sia solo, per esempio, un allargamento dei confini di una singola ZFU) che richieda una verifica degli effetti sul mercato e del rispetto dei presupposti dell’aiuto precedentemente autorizzato.

Delineato, sia pure sommariamente, il percorso legislativo e regolamentare che ha condotto all’attuale geografia delle Zones Franches Urbaines in Francia, vale la pena di rivolgere l’attenzione alle politiche di vantaggio concretamente attuate, alla loro disciplina e alla loro evoluzione, con l’avvertenza che, salvo specifiche previsioni e particolari limiti, e sottintesa la convivenza tra differenti misure applicabili fino all’allineamento che vale per le imprese installate dal 1° gennaio 2006 in poi, i termini finali dei periodi di creazione o installazione di imprese e stabilimenti di volta in volta indicati sono da intendersi prorogati al 31 dicembre 2011 (come visto, dalla legge del 2006).

La selezione dei quartieri destinati a ZFU avviene sulla base di diversi parametri: numero di abitanti, tasso di disoccupazione, proporzione di giovani di età inferiore ai 25 anni, livello di scolarizzazione, potenziale fiscale per abitante. Deve trattarsi di quartieri con più di 10.000 abitanti (il limite scende a 8.500 con le ZFU di terza generazione e la legge del 2006) e all’interno di essi vengono accordate esenzioni fiscali e sociali a imprese già presenti o che vi si impiantano (esclusi gli altri enti privati e pubblici[5], ad eccezione delle associazioni che, entro certi limiti[6], usufruiscono delle agevolazioni in ZFU), purchè con 50 dipendenti o meno, con contratto a tempo indeterminato o, se determinato, con durata non inferiore ai 12 mesi[7], e a condizione che sia riservato un terzo delle assunzioni o degli impieghi a abitanti della stessa ZFU e dei quartieri classificati nelle Zone Urbane Sensibili (ZUS), insistenti nello stesso agglomerato urbano. Le imprese devono appartenere al novero delle micro o piccole imprese così come classificate dall’Unione Europea (Raccomandazione della Commissione del 20 maggio 2003) e, indipendentemente dalla forma giuridica, esercitare attività diverse da quelle non rilevanti ai fini delle esenzioni (a titolo esemplificativo, sono “non rilevanti”: costruzioni di automobili, costruzione navale, siderurgia e altre).

Per quanto concerne le ZFU di seconda generazione estese con la legge del 2006 (29 ZFU) e quelle di terza generazione, per le imprese già presenti prima della delimitazione delle ZFU, vige un limite agli aiuti di 100.000 euro per un periodo di 36 mesi (aiuto c.d. “de minimis” ai sensi del Regolamento Comunitario n. 69/2001 della Commissione Europea, che esenta lo Stato dall’obbligo di notifica degli aiuti, purchè compatibili con le regole concorrenza). Lo stesso vale per le imprese già esistenti al 1° gennaio 2004 nelle ZFU di seconda generazione.

Le esenzioni, cuore della disciplina, riguardano cinque categorie di tributi e contributi: i contributi sociali a carico del datore di lavoro (premi di assicurazione sociale, assegno familiare, infortuni sul lavoro, contributi al Fondo nazionale di sostegno per gli alloggi)[8], i contributi sociali personali per malattia e maternità, la tassa professionale, la tassa fondiaria sugli immobili e l’imposta sugli utili.

Delle esenzioni dai contributi sociali a carico del datore di lavoro, beneficiano le imprese che impiegano al massimo 50 dipendenti al 1° gennaio 1997 (per le ZFU 1997, istituite nel 1996) o al 1° gennaio 2004 (per le ZFU 2004, istituite nel 2003) o, alla data della creazione dell’azienda, se questa è posteriore, purchè anteriore al 1° gennaio 2008 (ZFU 1997[9]) o al 1° gennaio 2009 (ZFU 2004), con riferimento ai dipendenti a tempo pieno indeterminato o determinato (ma per almeno 12 mesi) la cui attività reale, regolare ed indispensabile all’esecuzione del contratto di lavoro si eserciti in tutto o in parte in una ZFU; tale esenzione non è cumulabile con altri aiuti concessi per lo stesso lavoratore nel corso dello stesso mese (principe de non-cumul, principio che informa di sè vari aspetti della disciplina) e si applica ai dipendenti presenti alla data della creazione o insediamento dell’impresa nella ZFU, trasferiti in ZFU prima del 1° gennaio 2008 (ZFU 1997) o del 1° gennaio 2009 (ZFU 2004) o assunti nei 5 anni che seguono la creazione o insediamento dell’impresa nella ZFU; di particolare rilievo è la previsione della clausola di assunzione locale (clause d’embauche locale), secondo cui a partire dalla terza assunzione (tra quelle con diritto all’esenzione), sono obbligatori l’assunzione e l’impiego di almeno il 33% dei dipendenti fra gli abitanti della stessa ZFU o dei quartieri classificati come Zone Urbane Sensibili (ZUS) della stessa unità urbana in cui si trova la ZFU[10] (la clausola prevedeva invece una quota del 20% per le imprese esistenti in ZFU di prima generazione alla data del 1° gennaio 2002), con durata di lavoro settimanale minima di 16 ore; l’esenzione dura 5 anni al 100% dei contributi, nel limite mensile del 150% del salario minimo di crescita per dipendente (salario minimo orario moltiplicato per il numero di ore di lavoro remunerato), e sempre sottinteso il tetto dei 50 dipendenti, limite ridotto al 140% con l’intervento legislativo del 2006 per le remunerazioni versate a partire dal 1° gennaio 2006.[11]

Per quanto attiene i contributi sociali per maternità e malattia, ne sono esenti alcune categorie di lavoratori indipendenti (non le professioni liberali), per le attività esistenti all’interno della ZFU dal 1° gennaio 1997 (ZFU 1997) e dal 1° gennaio 2004 (ZFU 2004) o avviate in ZFU prima del 1° gennaio 2008 (ZFU 1997) o del 1° gennaio 2009 (ZFU 2004); anche in questo caso, l’esenzione dura 5 anni, con un limite annuale di utile esentato.

Dell’esenzione dalla tassa professionale usufruiscono le imprese che impiegano, anche qui, al massimo 50 dipendenti al 1° gennaio 1997 (ZFU 1997) o al 1° gennaio 2004 (ZFU 2004) o alla data della creazione dell’azienda, se questa è posteriore alla delimitazione della ZFU; ne beneficiano gli stabilimenti impiantati nella ZFU prima del 1° gennaio 2008 (ZFU 1997) e se esistenti al 1° gennaio 2004, creati o oggetto di cambio di gestore prima del 1° gennaio 2009 (ZFU 2004); l’esenzione è valida per 5 anni, con un tetto annuale di base netta esentata (innalzata a seguito della legge del 2006); il plafond annuale esonerato, per il 2007, è di euro 343.234.

Gli obbligati alla tassa sugli immobili, invece, sono esentati se proprietari di immobili situati in ZFU destinati per la prima volta, fra il 1° gennaio 1997 ed il 1° gennaio 2008 (ZFU 1997) o fra il 1° gennaio 2004 ed il 1° gennaio 2009 (ZFU 2004) (limiti temporali, si rammenta, prorogati al 31 dicembre 2011 dalla legge del 2006), ad un’attività professionale che beneficia dell’esenzione della tassa professionale; l’esenzione totale è per 5 anni.

Dell’esenzione dall’imposta sugli utili possono avvantaggiarsi le imprese create o insediate prima del 1° gennaio 2008 (ZFU 1997) o presenti al 1° gennaio 2004, create o insediate prima del 1° gennaio 2009 (ZFU 2004) e che impiegano meno di 50 dipendenti durante il periodo d’esenzione; dal 1° gennaio 2004, l’esenzione dall’imposta sugli utili in ZFU si applica ai contribuenti la cui attività non sia stabile o non sia esercitata completamente nello stabilimento che si trova nella ZSU, se si tratta dell’unico stabilimento dell’impresa in ZFU, purchè il contribuente impieghi, nei suoi locali insediati in ZFU e destinati all’attività, almeno un dipendente stabile, a tempo pieno o equivalente, e realizzi almeno il 25% del suo giro d’affari con clienti situati in ZFU; l’esenzione, che riguarda anche i redditi locativi delle imprese proprietarie di immobili destinati ad attività professionali in ZFU, vale per un tetto di utile fissato per periodi di 12 mesi (esclusi i redditi finanziari o eccezionali), innalzato da 61000 a 100000 euro con la legge del 2006, con una maggiorazione di 5.000 euro per ogni impiegato assunto ed una esenzione a tasso decrescente per 9 anni.

Trascorsi i 5 anni di esenzione al 100%, l’impresa beneficia di un’uscita progressiva dall’insieme delle esenzioni (ad eccezione della tassa sugli immobili), della durata di 3 anni o 9 anni a seconda che, allo scadere, l’impresa impieghi più o meno di 5 dipendenti: in caso di 5 o più dipendenti, 3 anni a tasso decrescente (rispettivamente, 60%, 40% e 20%), in caso di meno di 5 dipendenti, 9 anni a tasso decrescente (60% durante i successivi 5 anni, 40% nel 6° e 7° anno, 20% per l’8° e il 9° anno). Questa uscita progressiva si applica allo stesso modo all’esenzione dai contributi sociali personali per malattia e maternità dei lavoratori indipendenti.

Occorre altresì evidenziare che l’intervento legislativo del 2003, per le imprese in ZFU delimitate a partire dal 1° gennaio 2004, ha previsto che le esenzioni si applichino nei casi in cui il volume d’affari annuale o il totale di bilancio non eccedano i 10 milioni di euro, calcolati all’inizio di ciascun esercizio (ovvero ai casi di piccole imprese, così come classificate in sede comunitaria).

Secondo il documento “Zone Franches Urbaines – Mode d’emploi” della Délégation Interministérielle à la Ville, il sistema delle esenzioni vigente, tenuto conto dei limiti e dei casi d’eccezione di cui si è detto e che si considerano come qui riportati (in particolare, il limite de minimis per le imprese già esistenti al 1° gennaio 2006 nelle ZFU di terza generazione e nelle 29 ZFU di seconda generazione estese nel 2006 o al 1° gennaio 2004 nelle ZFU di seconda generazione, che riguarda in particolare le esenzioni dai contributi sociali a carico del datore di lavoro e dalle imposte sugli utili, e il limite massimo dei 10 milioni di euro di volume d’affari o di totale di bilancio), può essere così schematizzato:

1) esenzione dalla tassa professionale: ne beneficiano le imprese con un massimo di 50 dipendenti alla data di delimitazione della ZFU o della loro creazione o installazione, se posteriore; gli stabilimenti creati o installati non oltre il 31 dicembre 2011; entro un plafond annuale di 343.234 euro per il 2007;

2) esenzione dalla tassa fondiaria: ne beneficiano i proprietari di immobili situati in ZFU prima del 31 dicembre 2011, purchè destinati alle attività che godono del beneficio dell’esenzione dalla tassa professionale, con un plafond annuale di base netta esentata (337 713 € per il 2006);

3) esenzione dall’imposta sugli utili: ne beneficiano le imprese che impiegano non oltre 50 dipendenti, create o installate entro il 31 dicembre 2011, nel limite di un ammontare esonerato pari a 100000 euro e per periodi di 12 mesi, ammontare maggiorato di 5000 euro per ogni nuovo lavoratore assunto dal 1° gennaio 2006, se a tempo pieno e per almeno 12 mesi, domiciliato nella ZFU o in una ZUS;

4) esenzione dai contributi sociali a carico del datore di lavoro: ne beneficiano le imprese con un numero non superiore ai 50 dipendenti (alla data di delimitazione della ZFU o della loro creazione o installazione anteriore al 31 dicembre 2011) presenti alla data di creazione o installazione o trasferimento dell’impresa in ZFU entro il 31 dicembre 2011, o assunti nei 5 anni che seguono la creazione o l’installazione dell’impresa, a condizione che si tratti di contratti a tempo indeterminato o determinato con durata non inferiore ai 12 mesi e entro un limite del 140% del salario minimo e che, per le imprese installate dopo il 1° gennaio 2002, a partire dalla terza assunzione con diritto alle esenzioni, almeno un terzo dei dipendenti sia abitante di una ZUS della stessa unità urbana della ZFU; ne beneficiano le associazioni create o installate non oltre il 31 dicembre 2011, alle stesse condizioni previste per i dipendenti delle imprese, entro un massimo di 15 impiegati;

5) esenzione dai contributi sociali personali di maternità e malattia: ne beneficiano artigiani, commercianti e capi d’azienda aventi la qualità di lavoratori indipendenti (escluse le professioni liberali) per le attività esistenti alla data di delimitazione della ZFU o create o installate entro il 31 dicembre 2011, entro un plafond esonerato di 25.157 euro per il 2007.

A margine della rivisitazione della disciplina complessiva delle ZFU francesi, e data la rilevanza della notizia per la configurazione delle future ZFU italiane, si segnala che la Commissione Europea, con Regolamento n. 1998/2006 del 15 dicembre 2006, ha stabilito che, dal 1° gennaio 2007, il limite degli aiuti c.d. “de minimis” entro il quale lo Stato membro è esentato dall’obbligo di notifica è elevato da 100000 euro a 200000 euro e, eccezion fatta per gli ambiti per i quali vigono discipline specifiche sugli aiuti di Stato, quali pesca e agricoltura, e il settore del trasporto su strada per il quale permane il limite dei 100000 euro, le imprese potranno usufruire degli aiuti sotto forma di esenzioni fiscali entro questo nuovo tetto[12].

Tralasciando ogni giudizio di merito sul sistema delle ZFU, che non compete all’autore, poichè comporterebbe valutazioni di tipo economico e politico anche complesse e non avulse da posizioni di parte, le quali non potrebbero tra l’altro prescindere da uno studio della situazione socio-economica francese e dalla peculiarità delle politiche nazionali e locali[13], si osservi solamente che oggi le ZFU sono 100 e contano oltre 1.600.000 abitanti, cioè poco più del 2,6% dell’intera popolazione francese, e che, secondo il Ministero per la Coesione Sociale, il numero di imprese nelle ZFU di prima generazione è praticamente raddoppiato nell’arco di cinque anni (da 11000 a 21000 secondo la Commissione Europea e i rapporti dell’Onzus, Observatoire national des zones urbaines sensibles) mentre triplicato è risultato il numero dei lavoratori impiegati (e ulteriori risultati positivi si sono avuti con la proroga del 2003); la crescita economica nelle ZFU di seconda generazione è stata di cinque volte superiore a quella del resto del territorio, con effetti positivi sull’occupazione (13900 imprese o stabilimenti interessati dalle esenzioni a fronte di 67700 lavoratori) e aspettative sempre migliori per la terza generazione di ZFU (l’obiettivo è quello di creare 100000 posti di lavoro entro il 2011).

Riproduzione del modello francese in Italia: opportunità, condizioni e limiti di una scelta

E’ di tutta evidenza che l’analisi del caso francese, sia sotto il profilo giuridico tributario che, in senso ampio e generico, socio-economico e politico, per non risolversi in un mero esercizio di conoscenza, va confrontata nei suoi tratti essenziali con il sistema che si va delineando in questa fase interlocutoria del processo di creazione delle ZFU in Italia, per comprendere innanzitutto se e come il modello francese possa essere riprodotto e adattato e se in effetti l’impostazione italiana, così come emerge dalla Legge Finanziaria 2007 e dagli esiti del Tavolo di Concertazione per il Mezzogiorno, sia destinata ad essere pienamente e positivamente apprezzata dalla Commissione Europea, che è sostanzialmente il “centro decisionale”. E ciò non tanto perché una riproduzione sic et simpliciter del dispositivo francese garantisca di per sé il successo (è sottinteso che i contesti sono in parte differenti per molteplici ragioni di tipo culturale, sociale, economico e politico e che la Commissione deciderà discrezionalmente sul caso specifico), ma in quanto è nelle decisioni di approvazione degli aiuti attuati nelle ZFU francesi, nelle motivazioni e nelle condizioni poste e osservate, considerati naturalmente gli orientamenti comunitari in materia, che si possono riconoscere le linee guida per la creazione delle future Zone Franche Urbane italiane, ovvero i caratteri che potrebbero agevolare il loro riconoscimento e l’approvazione delle esenzioni al loro interno.

Si ritiene che possa essere utile riferirsi innanzitutto alla decisione n. 70/A/2006, con cui la Commissione Europea ha approvato l’intervento francese del 2006. In particolare, rilevano i passaggi in cui la Commissione pone l’accento sulla dimensione “urbana” del provvedimento (“L’objectif de ce régime est la promotion et le développement de quartiers urbains défavorisés”), condivide e rilancia l’obiettivo di risollevare economicamente le sorti di queste aree urbane attraverso il sostegno alla piccola impresa (“Les mesures notifiées visent à renforcer le tissu économique de proximité de ces quartiers, composé essentiellement de petites entreprises, en permettant de nouvelles implantations et créations d’entreprises, avec des incitations sous forme d’un régime spécifique d’exonérations fiscales et sociales favorables à l’emploi.“), si dimostra favorevole a limitare appunto il regime di aiuti alle micro e alle piccole imprese.

Assumendo per valido il modello francese, le misure agevolative non dovrebbero avere valenza “strutturale” ma devono essere il più possibile concepite come risposte a situazioni eccezionali di crisi, non solo strettamente economica ma anche sociale. Da ciò discendono: l’importanza di prevedere dei parametri oggettivi particolarmente stringenti (cioè rivelatori della eccezionalità della situazione e della necessità dell’intervento particolare) e l’opportunità di accentuare lo spirito sociale dell’iniziativa.

Devono quindi essere misure ben limitate nel tempo (salva la possibilità di proroga e/o di uscita graduale dal beneficio delle esenzioni) e inserite nell’ottica e nel campo di un intervento generale di recupero (anche urbano) e di creazione di un tessuto e di un sistema sociale dinamico e libero, solidale e equo; deve trattarsi inoltre di misure limitate nello spazio (è difficile immaginare che la Commissione approvi aiuti destinati a interi Comuni o Province, come si è addirittura ipotizzato in alcune realtà locali) o comunque delimitate tenendo conto della densità abitativa (si ricordi che in Francia ben 100 ZFU contano appena il 2,6% della popolazione nazionale), e ciò per ovvie ragioni di rispetto dei principi di libera concorrenza e non distorsione del mercato, ivi compreso quello c.d. “del lavoro”.

Decisiva è anche la predisposizione di un adeguato sistema di controllo e valutazione, esattamente come avviene in Francia (dove è apprezzata dalla Commissione Europea l’attività dell’Observatoire national des zones urbaines sensibles), attraverso commissioni, enti e osservatori, che garantiscano trasparenza, efficacia e efficienza.

Sembra fondamentale poi che le Zone Franche Urbane siano “urbane” in senso stretto.

Da un lato è vero che l’utilizzo in Italia della terminologia francese, sicuramente di grosso impatto simbolico, non deve trarre in inganno: in Francia la denominazione trova fondamento in ragioni sociali e politiche che nel caso italiano sono almeno parzialmente diverse (se in Francia si pone al centro dell’intervento la questione dell’esclusione sociale e dell’integrazione, in Italia l’accento è su fattori prevalentemente economici e meno legati al problema delle periferie metropolitane). E non pare proprio che si possa dire, legislazione e orientamenti comunitari alla mano, che per la concessione di aiuti di Stato, ove se ne riconosca l’esigenza, l’appartenenza di un territorio ad un’area urbana sia un fattore discriminante in assoluto fondamentale (tant’è che proprio in Francia sono previste zone speciali “rurali”, accanto a quelle “urbane”, e, come noto, esistono discipline comunitarie in materia di aiuti indifferenti al requisito dell’appartenenza ad un’area urbana).

Ma dall’altro lato il legislatore nazionale ha comunque inteso, come si vedrà di qui a breve, riprodurre sostanzialmente l’impostazione francese, limitando l’intervento ad “aree e quartieri degradati nelle città del Mezzogiorno”.

Qualche confusione può essere ingenerata dalla circostanza che, stando a quanto si è appreso pubblicamente, il documento predisposto dal Governo e presentato alle parti del Tavolo per il Mezzogiorno avrebbe annunciato che ZFU potranno essere aree nelle quali sperimentare attività nel campo nella nuova economia, dei porti, ed anche di interesse culturale con teatri, cinema e progetti di recupero di ex aree industriali: al di là del problema della compatibilità di questo impianto con la previsione della Legge Finanziaria 2007 (facilmente risolvibile mantenendo intatta la caratterizzazione “urbana”), dal dibattito in corso emerge che il riferimento a porti e aree industriali induce non di rado all’equivoco che le ZFU siano qualcosa di simile alle Zone Franche di diritto doganale, finalizzate all’incentivazione dei commerci internazionali, o addirittura a veri e propri regimi (fictiones) di extra-territorialità, figure che esulano non solo dalla natura esclusivamente fiscale del dispositivo ZFU col quale hanno ben poco in comune, ma anche dalla dimensione “urbana”: sono state formulate infatti numerose proposte, presumibilmente destinate a decadere, di istituzione di ZFU su intere città, province o aree portuali e persino comunità montane.

Come di seguito si vedrà, proprio in riferimento a questi ultimi aspetti, non mancano spunti problematici sul fondamento giuridico (comunitario) delle agevolazioni fiscali nelle ZFU italiane.

In attesa di conoscere il contenuto delle comunicazioni ufficiali delle Regioni al Governo e successivamente di poter apprendere e studiare la specifica disciplina di vantaggio per le Zone Franche Urbane (sottinteso, a condizione di superare positivamente l’esame comunitario), è doveroso prendere le mosse dal dettato dei commi 340-343 dell’art. 1 della L. n. 296/2006.

Il comma 340 esordisce così: “Per favorire lo sviluppo economico e sociale, anche tramite interventi di recupero urbano, di aree e quartieri degradati nelle città del Mezzogiorno, identificati quali zone franche urbane…”. Come si è appena sopra accennato, è palese (e condivisibile) l’intento di attribuire alle Zone Franche Urbane un carattere di eccezionalità, limitatezza e specificità, sia da un punto di vista geografico e spaziale che sotto il profilo della motivazione.

Il comma 341, infatti, stabilisce che “le aree di cui al comma 340 devono essere caratterizzate da fenomeni di particolare degrado ed esclusione sociale”. Stando alla lettera della norma, quindi, non dovrebbero essere prese in considerazione aree extra-urbane ma nemmeno aree urbane in cui il basso sviluppo economico non sia accompagnato anche da fenomeni sociali di particolare gravità. Nessuna forma più o meno indiretta e indiscriminata di “finanziamenti a pioggia” o di “fiscalità di compensazione” su larga scala dovrebbe entrare a far parte del sistema.

Risulta allora comprensibile la necessità della definizione dei “parametri socio-economici”, di cui al comma 342, che il CIPE dovrà porre a fondamento delle proprie determinazioni sull’allocazione delle risorse: si tenga presente che il comma 340 istituisce “un apposito Fondo con una dotazione di 50 milioni di euro per ciascuno degli anni 2008 e 2009” per provvedere “al cofinanziamento di programmi regionali di intervento” e che il comma 342 stabilisce che “con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sono definite le modalità e le procedure per la concessione del cofinanziamento in favore dei programmi regionali e sono individuate le eventuali riduzioni di cui al comma 340 concedibili, secondo le modalità previste dal medesimo decreto, nei limiti delle risorse del Fondo a tal fine vincolate”. Sulla base degli stessi parametri, sarà sempre il CIPE a decidere su identificazione, perimetrazione e selezione delle Zone Franche Urbane, su proposta del Ministro dello sviluppo economico, formulata sentite le regioni interessate (come detto, il 15 maggio 2007 dovrebbe essere il giorno decisivo proprio a questo scopo).

Si può notare come il dispositivo sia nell’ottica di una generale programmazione in materia di sviluppo su base regionale: da ciò si desume anche la convenienza di una adeguata cornice programmatica, da parte delle Regioni, entro cui presentare anche la singola proposta di delimitazione di Zona Franca Urbana.

Sembra dunque che il modello, nei suoi elementi caratterizzanti, si avvicini di molto a quello francese, come dimostra anche il comma 343, a norma del quale “il Nucleo di valutazione e verifica del Ministero dello sviluppo economico, anche in coordinamento con i nuclei di valutazione delle regioni interessate, provvede al monitoraggio ed alla valutazione di efficacia degli interventi e presenta a tal fine al CIPE una relazione annuale sugli esiti delle predette attivita’”, con ciò puntando il legislatore a soddisfare l’esigenza (avvertita soprattutto dalla Commissione Europea) di un monitoraggio per la trasparenza, l’efficacia e l’efficienza del sistema delle Zone Franche Urbane.

Le Zone Franche Urbane italiane nella cornice comunitaria: quale fondamento giuridico?

E’ opportuno, almeno in linea di massima, prevedere in cosa si potranno sostanziare (per meglio dire: a quali condizioni, entro quali limiti, con quale fondamento giuridico) gli interventi di favore in Zona Franca Urbana.

Afferma il comma 341 che “le agevolazioni concedibili per effetto dei programmi e delle riduzioni di cui al comma 340 sono disciplinate in conformità e nei limiti previsti dagli Orientamenti in materia di aiuti di Stato a finalità regionale 2007-2013, pubblicati nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea C 54 del 4 marzo 2006, per quanto riguarda in particolare quelli riferiti al sostegno delle piccole imprese di nuova costituzione”.

Secondo la sezione 6 degli Orientamenti 2007-2013, dedicata proprio al sostegno alle piccole imprese di nuova costituzione, occorre che gli aiuti alle piccole imprese “siano mirati in maniera efficace […] modulati in base alle difficoltà incontrate da ciascuna categoria di regione. Inoltre, per evitare l’inaccettabile rischio di distorsioni della concorrenza, compreso il rischio di spiazzamento delle imprese esistenti, essi dovrebbero, almeno per un periodo iniziale, essere strettamente destinati alle piccole imprese, avere ammontare limitato e decrescente” (art. 85). Se si considera che la Legge Finanziaria 2007 prevede uno stanziamento di 100 milioni di euro in 2 anni per un numero massimo di 15 ZFU previste per la fase sperimentale, non resta che attendere di conoscere la configurazione delle esenzioni e delle riduzioni per valutare se e come tali orientamenti, richiamati dallo stesso comma 341, siano rispettati. Le autorità francesi avevano previsto per il 2006 e per tutte le 100 ZFU un budget totale di 35 milioni di euro, una media per ZFU sensibilmente inferiore.

Prosegue il documento: “la Commissione approverà pertanto i regimi che prevedono aiuti fino ad un totale di 2 milioni di EUR ad impresa per le piccole imprese che svolgono la loro attività economica nelle regioni ammissibili alla deroga di cui all’articolo 87, paragrafo 3, lettera a) e fino a 1 milione di EUR ad impresa per le piccole imprese che svolgono la loro attività economica nelle regioni ammissibili alla deroga di cui all’articolo 87, paragrafo 3, lettera c)” (art. 86).

Si ricordi che l’art. 87 del Trattato che istituisce la Comunità europea dichiara gli aiuti concessi dagli Stati sono incompatibili con il mercato comune, in quanto falsano la concorrenza. Lo stesso articolo però prevede deroghe a questa norma generale, in particolare in materia di: aiuti destinati a favorire lo sviluppo economico delle regioni ove il tenore di vita sia anormalmente basso, oppure si abbia una grave forma di sottoccupazione [articolo 87, par. 3, lett. a)] e aiuti destinati ad agevolare lo sviluppo di talune attività o di talune regioni economiche, sempre che non alterino le condizioni degli scambi in misura contraria al comune interesse [articolo 87, par. 3, lett. c)]. Nel primo caso, si tratterebbe delle Regioni comprese nell’Obiettivo 1 dei Fondi Strutturali.

Una statuizione particolarmente inerente il caso italiano, per come prospettato, è quella contenuta nell’art. 87: “le spese ammissibili sono […] tasse (diverse dall’IVA e dalle imposte sul reddito d’impresa) e […] oneri sociali obbligatori […] a condizione che i relativi investimenti o le misure per la creazione di posti di lavoro e le assunzioni non abbiano beneficiato di altre forme d’aiuto”. E’ da verificare come si atteggerà l’esecutivo nazionale, dato che il documento del Governo sembrerebbe invece aver previsto una esenzione dalle imposte sul reddito d’impresa.

Seguono, agli artt. 88, 89 e 90, orientamenti e indicazioni su massimali e intensità degli aiuti. Si avverte che, “in particolare, gli aiuti previsti nella presente sezione non potranno essere cumulati con altri aiuti pubblici (comprese le misure de minimis) per eludere i previsti massimali relativi agli importi o alle intensità degli aiuti” (art. 90).

A questo ultimo proposito, il regime delle ZFU italiane, se sarà ancorato dalla Commissione Europea, come da comma 341 dell’art. 1 della Legge Finanziaria 2007, agli orientamenti sugli aiuti alle piccole imprese di nuova costituzione, potrebbe differire da quello francese: molte delle imprese delle ZFU francesi, infatti, sono sottoposte al regime di aiuti “de minimis” (100000 euro su 36 mesi, limite di recente innalzato a 200000 dal Regolamento n. 1998/2006).

Specifica poi una nota che le imprese ammissibili sono le piccole imprese ai sensi dell’articolo 2 dell’allegato I al regolamento (CE) n. 364/2004 della Commissione, che siano autonome e costituite da meno di cinque anni, cioè “imprese che occupano meno di 250 persone, il cui fatturato annuo non supera i 50 milioni di EUR oppure il cui totale di bilancio annuo non supera i 43 milioni di EUR. Nella categoria delle PMI si definisce piccola impresa un’impresa che occupa meno di 50 persone e realizza un fatturato annuo o un totale di bilancio annuo non superiori a 10 milioni di EUR. Nella categoria delle PMI si definisce microimpresa un’impresa che occupa meno di 10 persone e realizza un fatturato annuo oppure un totale di bilancio annuo non superiori a 2 milioni di EUR”.

La stessa Commissione afferma, all’art. 106, che “poiché devono essere coerenti con la carta degli aiuti a finalità regionale, le notifiche dei regimi di aiuti […] da concedere dopo il 31 dicembre 2006 non possono di regola essere considerate complete fino all’adozione per lo Stato membro interessato della carta degli aiuti a finalità regionale”; identico criterio si applica ai regimi di aiuti alle piccole imprese di nuova costituzione di cui si è appena trattato. L’Italia ha inviato la propria proposta alla Direzione Generale Concorrenza della Commissione Europea il 30 marzo 2007.

Gli Orientamenti sugli aiuti alle piccole imprese di nuova costituzione, espressamente richiamati dal comma 341 della Legge Finanziaria 2007, sono inseriti nel quadro generale degli Orientamenti in materia di aiuti di Stato a finalità regionale, da applicare “a tutti gli aiuti a finalità regionale da concedere dopo il 31 dicembre 2006” (art. 105), documento sintetico ma molto dettagliato, riferito in linea generale, si noti, alle grandi e medie imprese in difficoltà e situate in regioni particolarmente svantaggiate, che esplicita i criteri adottati dalla Commissione ai fini della concessione degli aiuti di Stato ammissibili “ai sensi dell’articolo 87, paragrafo 3, lettere a) e c), del trattato, […] compatibili con il mercato comune […] per favorire lo sviluppo economico di determinate zone svantaggiate all’interno dell’Unione europea […] destinati a regioni specifiche al fine di riequilibrare disparità regionali” (art. 1), aiuti “volti a colmare gli svantaggi delle regioni sfavorite” (art. 2), “tramite un sostegno agli investimenti e alla creazione di posti di lavoro […], in particolare incoraggiando le imprese ad insediarvi nuovi stabilimenti” (art. 3), che “possono svolgere un ruolo efficace solo se utilizzati in modo parsimonioso e proporzionato” (art. 5).

Il documento fornisce preziose indicazioni sul campo di applicazione degli orientamenti, sulla delimitazione delle regioni favorite, su forma, massimali e spese ammissibili tra gli aiuti all’investimento e al funzionamento delle imprese.

Di particolare interesse è sottolineare che “di regola, gli aiuti a finalità regionale dovrebbero essere concessi nel contesto di un regime di aiuti multisettoriale che sia parte integrante di una strategia di sviluppo regionale, con obiettivi chiaramente definiti” (art. 10) e che “alla luce del principio del carattere derogatorio degli aiuti a finalità regionale, la Commissione ritiene che la copertura totale in termini di popolazione nelle regioni assistite nella Comunità debba restare significativamente inferiore a quella delle regioni non assistite. “ (art. 12). Inoltre: “L’articolo 87, paragrafo 3, lettera a) statuisce che possono considerarsi compatibili con il mercato comune gli aiuti destinati a favorire lo sviluppo economico delle regioni ove il tenore di vita sia anormalmente basso oppure si abbia una grave forma di sottoccupazione. Come sottolinea la Corte di giustizia delle Comunità europee, «l’uso dei termini» anormalmente «e» grave «nella deroga contenuta nella lettera a) [dell’articolo 87, paragrafo 3] dimostra che questa riguarda solo le regioni nelle quali la situazione economica è estremamente sfavorevole rispetto alla Comunità nel suo complesso»” (art. 15) e “la Commissione ritiene di conseguenza che le condizioni fissate siano soddisfatte se la regione, corrispondente ad un’unità geografica di livello II della NUTS[14], ha un prodotto interno lordo (PIL) pro capite, misurato in standard di potere d’acquisto (SPA), inferiore al 75 % della media comunitaria. Il PIL pro capite di ogni regione e la media comunitaria da utilizzare nell’analisi sono stabiliti dall’Ufficio statistico delle Comunità europee. Onde garantire la maggiore coerenza possibile tra la designazione delle regioni ammissibili alla deroga prevista dall’articolo 87, paragrafo 3, lettera a) nel quadro dei presenti orientamenti e le regioni ammissibili all’obiettivo della convergenza nel quadro delle norme relative ai fondi strutturali, la Commissione ha utilizzato il medesimo PIL pro capite per designare le regioni ex articolo 87, paragrafo 3, lettera a) e le regioni della convergenza ai sensi della normativa sui fondi strutturali.” (art. 16).

Sulla deroga prevista dall’art. 87, paragrafo 3, lett. c), “La Corte di giustizia, nella causa 248/84, si è pronunciata nei seguenti termini sulla gamma dei problemi relativi a detta deroga e sul quadro di riferimento dell’analisi: «Invece, la deroga di cui [all’articolo 87, paragrafo 3,] lettera c) ha una portata più ampia in quanto consente lo sviluppo di determinate regioni, senza essere limitata dalle condizioni economiche contemplate dalla lettera a), purché gli aiuti che vi sono destinati» non alterino le condizioni degli scambi in misura contraria al comune interesse. Questa disposizione attribuisce alla Commissione il potere di autorizzare sovvenzioni destinate a promuovere lo sviluppo economico delle regioni di uno Stato membro che sono sfavorite rispetto alla media nazionale».” (art. 21); “Gli aiuti a finalità regionale che possono beneficiare della deroga di cui all’articolo 87, paragrafo 3, lettera c) devono tuttavia iscriversi nel quadro di una politica regionale ben definita dello Stato membro e rispettare il principio di concentrazione geografica. Considerando che tali aiuti sono destinati a regioni meno svantaggiate di quelle di cui all’articolo 87, paragrafo 3, lettera a), sia la portata geografica della deroga che l’intensità di aiuto devono essere rigorosamente limitati. Di conseguenza, soltanto una piccola parte del territorio nazionale di uno Stato membro potrà di norma beneficiare degli aiuti in questione. “ (art. 22).

Gli artt. 30 e 31, poi, rendono conto dei criteri di ammissibilità, che “devono essere sufficientemente flessibili da permettere un’ampia varietà di situazioni nelle quali la concessione di aiuti a finalità regionale può potenzialmente essere giustificata, ma devono essere nel contempo trasparenti e fornire sufficienti garanzie del fatto che la concessione di aiuti a finalità regionale non comporterà una distorsione degli scambi e della concorrenza in misura contraria al comune interesse” (art. 30). Segue una indicazione dettagliata dei criteri di ammissione in base al grado di sviluppo economico, alla densità di popolazione, al PIL pro capite, alla vicinanza o contiguità a regioni particolarmente svantaggiate e così via. E’ di rilievo in questa sede che “per consentire agli Stati membri maggiore flessibilità per far fronte a disparità regionali molto localizzate, al di sotto del livello NUTS-III, gli Stati membri possono anche individuare altre aree più piccole che non soddisfano le condizioni di cui sopra, purché abbiano una popolazione minima di 20 000 abitanti. Spetterà agli Stati membri che desiderano avvalersi di questa possibilità dimostrare che le aree proposte hanno proporzionalmente un bisogno maggiore di sviluppo economico rispetto ad altre aree di tale regione, utilizzando indicatori economici riconosciuti come il PIL pro capite, il livello di occupazione o di disoccupazione, indicatori relativi alla produttività locale o alle qualificazioni professionali. La Commissione approverà in queste aree aiuti a finalità regionale a favore delle PMI” (art. 31).

Per quanto riguarda la forma degli aiuti, rilevante ai fini della presente analisi è la loro ammissibilità sotto forma di esenzioni o riduzioni fiscali.

L’esame della Commissione Europea: possibili spunti problematici

Tutto ciò considerato, è d’obbligo vagliare alcune problematiche che emergono dalla lettura incrociata delle disposizioni della Legge Finanziaria 2007, degli Orientamenti dell’Unione Europea sugli aiuti a finalità regionale, a cui la Legge Finanziaria 2007 rinvia con particolare riguardo agli aiuti alle piccole imprese di nuova costituzione appena analizzati nei passaggi di maggiore interesse, e della decisione n. 70/A/2006 con cui la Commissione ha approvato l’iniziativa legislativa francese del 2006.

Motivando la propria decisione, la Commissione ha attribuito agli aiuti nelle ZFU il crisma della “compatibilità” con la deroga ex art. 87 par. 3 lett. c) del Trattato istitutivo, motivando come di seguito si riassume: gli aiuti sono finanziati dal bilancio pubblico e poichè, essendo destinati a favorire solo alcune imprese situate in determinati territori, sono potenzialmente lesivi della libera concorrenza, è necessario analizzare le misure agevolative alla luce dell’art. 87 del Trattato; quest’ultimo, al par. 3, attribuisce alla Commissione un potere discrezionale in ordine alla valutazione di forme di esenzione da parte dello Stato membro (richieste e notificate ai sensi dell’art. 88 del Trattato), che incontra un limite e una guida fondamentali nei principi comunitari espressi nei testi in vigore, in particolare negli Orientamenti in materia di aiuti di Stato; ciò premesso, la Commissione rileva che, nonostante alcuni tratti generici comuni, non è agli Orientamenti sugli aiuti a finalità regionale che vanno ricollegati gli aiuti di cui al dispositivo francese, in quanto gli uni sono primariamente finalizzati allo sviluppo economico, mentre gli altri all’annullamento della esclusione territoriale e sociale, i primi si riferiscono a unità territoriali ben più ampie e articolate rispetto ai secondi, diverse sono anche la natura degli aiuti previsti e la tipologia delle imprese destinatarie; né risultano applicabili gli Orientamenti in materia di aiuti alle piccole imprese di nuova creazione, poichè questi non tengono conto degli aiuti successivi ai cinque anni, ovvero nel periodo in cui, nel sistema francese, si assiste a un’uscita progressiva dalle esenzioni che può durare anche 9 anni; non applicabili si considerano poi gli orientamenti e i regolamenti in materia di aiuti all’impiego (dato nel sistema francese non rileva lo status di disoccupato ma la residenza del lavoratore assunto, secondo un approccio geografico al problema), in materia di aiuti alle piccole e medie imprese (anche qui per via dell’approccio geografico esclusivo) e in materia di aiuti de minimis (principalmente perché in molti casi si supera la soglia); la Commissione ricorda tuttavia che con decisione del 2 ottobre 1996, pubblicata il 14 maggio 1997, era entrata in vigore una disciplina degli aiuti di Stato alle imprese nei quartieri urbani svantaggiati, poi scaduta il 14 maggio 2002 e non prorogata (per sostanziale inapplicabilità di fatto, ritenute le condizioni poste troppo restrittive): la mancata proroga, però, e questo è il passaggio decisivo, non implica che in certi casi e a certe condizioni non possano essere concessi e approvati aiuti di Stato in favore di quartieri urbani svantaggiati o degradati, potendo e dovendo questi aiuti essere giudicati come compatibili con l’art. 87, par. 3, lett. c) del Trattato CE (si può ritenere che sia stata esclusa a priori l’ipotesi di compatibilità con l’art. 87, par. 3, lett. a), concernendo questa deroga regioni di livello NUTS II e non certo di dimensioni contenute anche oltre il livello NUTS III).

Pertanto, gli aiuti francesi alle imprese in ZFU sono stati dichiarati ammissibili e compatibili con l’art. 87, par. 3, lett. c) del Trattato in quanto: necessari, rispettosi dei principi e proporzionati rispetto agli obiettivi comunitari (coesione economica e sociale, principi ispiratori dei Fondi strutturali e delle iniziative Urban e Urban II) e nel contempo non contrari all’interesse comune e alla libera concorrenza (piccola e piccolissima dimensione delle imprese avvantaggiate, scarsa copertura geografica e demografica, rigorosa delimitazione dei quartieri interessati, selezione delle aree, contenuto specifico delle esenzioni concesse, accento sugli aspetti sociali).

Riflessioni conclusive e previsioni

Quanto sopra non può non indurre a qualche riflessione di fondo sulle ZFU di prossima istituzione nel nostro Paese, destinata a trovare risposta solo con le iniziative ufficiali del Governo italiano e con i riscontri che verranno dalla Commissione Europea: v’è da chiedersi se il richiamo esplicito in Legge Finanziaria 2007 agli Orientamenti in materia di aiuti a finalità regionale, che la Commissione ritiene non applicabili al caso delle ZFU francesi, possa o meno rappresentare uno sbarramento alla approvazione degli aiuti previsti in Italia, oppure se possa invece deporre a favore il tenore più economico e meno sociale del modello italiano; e ancora, quale sarebbe la sorte della prevista esenzione dalle imposte sul reddito d’impresa se la Commissione dovesse accettare l’indicazione della Legge Finanziaria 2007, che “aggancia” le ZFU alla disciplina degli aiuti alle piccole imprese di nuova costituzione, il cui art. 87, però, come visto, esclude esplicitamente proprio l’imposta dal reddito d’impresa dal novero delle spese ammissibili; permane il dubbio, quindi, sulla effettiva e piena compatibilità del sistema previsto per le ZFU italiane (che pare avvicinarsi di molto al modello francese) con i testi comunitari che però è la stessa Legge Finanziaria 2007 a richiamare; sarà interessante osservare sotto quale luce la Commissione esaminerà gli aiuti notificati dall’Italia e se e quanto peserà, sulla soluzione del problema del fondamento giuridico, il fatto che una parte delle Regioni che stanno avanzando proposte rientrino nell’Obiettivo 1 dei Fondi Strutturali e siano quindi unità di livello NUTS II (quelle che beneficiano della deroga ex art. 87, par. 3, lett. a) del Trattato), mentre non tutte le Regioni interessate rientrano nell’Obiettivo 1 e il dettato normativo del comma 340 si riferisce a quartieri e aree urbane ben delimitate al di sotto del livello NUTS III, elemento che avvicina semmai le ZFU italiane alle fattispecie di cui alla lettera c); sarà da verificare, in conclusione, se tutto ciò costituirà un fattore ostativo oppure se la Commissione Europea avrà prevalente riguardo alla concreta disciplina di cui al decreto ministeriale previsto dal comma 342 dell’art. 1 della L. n. 296/2006 e approverà gli aiuti alle imprese in ZFU sulla base, magari, di un differente fondamento giuridico comunitario, anche solo per compatibilità con l’art. 87, par. 3, lett. c) oppure in virtù della “deroga” ex art. 31 degli Orientamenti sugli aiuti a finalità regionale, ma in tal caso sarebbe opportuno che le proposte avanzate rispettassero le rigide condizioni (20000 abitanti, prevenzione dello spill-over), innanzitutto geografiche e demografiche, imposte sia dagli orientamenti stessi che, in definitiva, dalla stessa lettera della Legge Finanziaria 2007.

Ogni ipotesi, in assenza di un testo ufficiale e definitivo, sarebbe quantomeno ardita, ma si può prevedere che quanto maggiore risulterà, già in fase di proposta di perimetrazione delle aree, l’aderenza al modello francese nel senso sopra specificato e articolato (limitando l’intervento a quelle realtà e a quelle situazioni che all’esperienza francese possono essere concettualmente e idealmente associate, evitando il più possibile pericolose variazioni sul tema), tanto più alte saranno le possibilità che la Commissione Europea approvi il sistema di esenzioni e riduzioni in Zona Franca Urbana.



[1] Fonti on line: www.europa.eu; www.zones-franches.org; www.fisconelmondo.it; www.travail.gouv.fr; www.ccielyon.com; www.localtis.info; www.cohesionsociale.gouv.fr; www.assocamerestero.it; www.elysee.fr; www.ville.gouv.fr; www.ladocumentationfrancaise.fr; www.urssaf.fr; observatoire.ism.asso.fr; www.legifrance.gouv.fr; www.senat.fr; www.ccip.fr; www.apce.fr; www.confindustriasicilia.it; www.premier-ministre.gouv.fr; www.cite.org; www.maire-info.com; www.svimez.it; www.camera.it; www.senato.it; www.governo.it; www.sviluppoeconomico.gov.it; www.sergiodantoni.it; www.camcom.it; www.regioni.it; agenzie, quotidiani, portali di informazione on line nazionali ed internazionali.

[2] Variabili a seconda delle caratteristiche socio-economiche delle aree individuate, comunque tutte recanti situazioni di disagio e potenzialità di sviluppo, aree di valenza strategica per la portualità e la logistica, aree in cui sia possibile sviluppare attività di ricerca o sperimentare attività nel campo nella nuova economia, oppure ancora aree industriali dismesse o in disuso.

[3] Il CIPE valuterà, oltre agli aspetti economici, anche l’osservanza dei criteri di individuazione basati su parametri oggettivi: dalla densità abitativa, alla dimensione media delle attività economiche, al reddito d’impresa.

[4] I decreti n. 1154 e n. 1155 del 26 dicembre 1996, modificati dai decreti n. 1322 e n. 1323 del 31 dicembre 1997, n. 126 del 12 febbraio 1997 e n. 706 del 31 luglio 2001, hanno delimitato le ZFU istituite dalla legge del 1996; il decreto n. 219 del 12 marzo 2004, modificato dal decreto n. 557 del 27 maggio 2005, ha delimitato le ZFU istituite nel 2003; i decreti n. 930 del 28 luglio 2006 e n. 1623 del 19 dicembre 2006 hanno creato e delimitato le ZFU istituite nel 2006.

[5] Per esempio Enti Locali, Sindacati, Camere Consolari e Professionali e, dal 2004, le imprese con una quota del 25% o superiore del capitale o dei diritti di voto controllate direttamente o indirettamente da una o più società con 250 dipendenti o più e il cui volume d’affari annuale superi i 50 milioni di euro o il cui totale di bilancio superi i 43 milioni di euro (in sintesi, si tratta di dimensioni oltre quelle delle piccole imprese così come classificate dall’Unione Europea).

[6] Dal gennaio 2004, tutte le associazioni create o impiantate in ZFU possono applicare le esenzioni ai soli residenti in ZRU, in ZFU o, a partire dal gennaio 2005, ai dipendenti che risiedono in una ZUS situata nella stessa circoscrizione urbana, nel limite di 15 dipendenti; ma già secondo una circolare interministeriale del 30 luglio 2004, le associazioni impiantate prima del 1° gennaio 2009 in ZFU beneficiano dell’esenzione dai contributi sociali a carico del datore di lavoro nel limite del 150% del salario minimo di crescita per dipendente, per non oltre 15 dipendenti, purchè in possesso dei requisiti previsti per i dipendenti delle imprese commerciali, industriali o artigianali.

[7] 50 dipendenti calcolati in media nei 12 mesi antecedenti la delimitazione della ZFU, per le imprese già esistenti, o la creazione dell’impresa all’interno di ZFU già delimitate, escluse dal conteggio alcune categorie quali i titolari di contratti di formazione o professionalizzazione o i dipendenti che sono trasferiti da uno stabilimento all’altro della stessa impresa nella ZFU o che hanno consentito al proprio datore di lavoro, nei 5 anni precedenti, di godere di esenzioni in Zone de revitalisation rurale (ZRR) o in Zone de redynamisation urbaine (ZRU).

[8] Sono esclusi dalle esenzioni i premi salariali della sicurezza sociale, il contributo sociale generalizzato (Csg), il contributo per il rimborso del debito sociale (Crds), il contributo di solidarietà per l’autonomia ed eventualmente la tassa di previdenza.

[9] Per “ZFU 1997” e “ZFU 2004” si intenda riferirsi d’ora in poi rispettivamente alle ZFU istituite nel 1996 e delimitate nel 1997 e a quelle istituite nel 2003 e delimitate nel 2004.

[10] Residenti o domiciliati da 3 mesi consecutivi: alla data di delimitazione della ZFU per i lavoratori presenti nell’impresa già impiantata in ZFU, alla data della creazione dell’impresa, se posteriore, se il lavoratore è impiegato a quella data, alla data effettiva di assunzione o di trasferimento del lavoratore se posteriore.

[11] Per ulteriori disposizioni, riguardo l’armonizzazione e l’uniformazione delle discipline a seguito della nuova istituzione di ZFU del 2006, si veda la Circolare n. 89 del 2006 della Direction de la Réglementation du Recouvrement et du Service.

[12] Si veda Circolare Urssaf del 15 marzo 2007; l’Urssaf, Unions de Recouvrement des Cotisations de Sécurité Sociale et d’Allocations Familiales, è un organismo para-statale che si occupa di previdenza sociale e assegni familiari, con importanti competenze e ruoli di assistenza e responsabilità nel campo dell’occupazione anche in ambito di ZFU.

[13] La fiscalità di vantaggio è infatti accompagnata, in un quadro generale di azioni volte al miglioramento della qualità della vita e alla lotta all’esclusione sociale, da programmi e interventi locali su: rinnovo urbano, formazione professionale, servizi pubblici, sviluppo del commercio e dei servizi e altri ambiti.

[14] Regolamento (CE) n. 1059/2003 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 maggio 2003, relativo all’istituzione

di una classificazione comune delle unità territoriali per la statistica (NUTS), GU L 154 del 21.6.2003, secondo il quale le regioni di livello NUTS II e III, in Italia, corrispondono rispettivamente alle unità amministrative “Regioni” e “Comuni”.