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Non v’è pace per il giudice penale di pace

Vecchie questioni e nuovi dilemmi sul tappeto
La recente attribuzione al giudice di pace penale della convalida dei provvedimenti di espulsione degli stranieri illegittimamente entrati nel territorio italiano [1] consente di fare il punto, in estrema sintesi, delle numerose questioni teoriche ed operative ancora sul banco della sperimentazione quotidiana, alle quali il suddetto ampliamento dei compiti giurisdizionali, che verosimilmente andrà ad intensificare non poco il lavoro di alcuni uffici, finisce per intrecciarsi con problematiche vecchie e nuove del rito innanzi al giudice onorario, ancora lontane da una soluzione condivisa in dottrina e giurisprudenza.

In quest’ottica, già la semplice sottoposizione ad un giudice non professionale [2] di un ampio ventaglio di controversie, non del tutto unificate dalla scarsa lesività delle ipotesi prescritte, ha suscitato fin da subito in dottrina non poche critiche [3], solo parzialmente smussate dalla garanzia del doppio grado di giurisdizione assicurata dal capo VI del decreto 274/2000; si pensi altresì alla circostanza, non trascurabile, dell’inapplicabilità dei riti speciali nel processo davanti al giudice di pace (articolo 2 comma 1 lettere da f) ad l)), che il Governo delegato ebbe a giustificare sulla base di considerazioni calibrate caso per caso le quali, seppur rivestite della libertà dei fini riconosciuta al legislatore, non può negarsi prospettino un sistema ridotto di garanzie in capo all’imputato. In particolare, si è esclusa l’operatività del decreto penale di condanna per non svalutare il ruolo conciliativo del magistrato, al quale in assenza di opposizione la questione non verrebbe affatto devoluta; il patteggiamento invece è stato tenuto fuori dal rito onde garantire una adeguata tutela alle ragioni della persona offesa; gli altri riti speciali si sono ritenuti incompatibili con l’esiguità del bagaglio sanzionatorio dei delitti portati alla cognizione del giudice di pace.

Dubbi ancora maggiori solleva il meccanismo accelerato dell’articolo 12, che consente al pubblico ministero di formulare direttamente la citazione dell’imputato qualora non ritenga necessari ulteriori atti d’indagine: l’imputato, trovandosi citato in giudizio senza aver avuto neppure contezza dell’instaurazione di un procedimento penale a suo carico, potrebbe aver irrimediabilmente compromesso il proprio diritto alla prova, astenendosi dal compiere le attività funzionali ad una difesa che ignorava di dover apprestare (ad esempio, la volontaria distruzione di un documento).

La stessa caratterizzazione delle indagini preliminari, affidate dal legislatore alla polizia giudiziaria ex articolo 11, e nelle quali il ruolo attivo del pubblico ministero è relegato ad aspetti di secondo piano, evidenzia più di un punto di frizione con il diritto di difesa, con precipuo riferimento agli articoli 109 e 112 della Costituzione.

Nella prima ipotesi, le critiche di alcuni hanno fatto leva sull’eventualità, frequentissima nella prassi, che il procedimento d’indagine prenda le mosse dalla notitia criminis raccolta dalla polizia giudiziaria, la quale finirebbe così per svolgere le proprie indagini senza mai prendere contatto con gli uffici del pubblico ministero [4], in violazione del canone di “subordinazione e dipendenza” tracciato dalla norma [5]. A poco rileva, ad avviso di chi scrive, la circostanza che già il codice di procedura penale, con gli articoli 55 e 348, disegni attualmente margini di operatività rafforzati per la polizia giudiziaria, dal momento che nel rito ordinario permane pur sempre in capo agli operatori l’obbligo di “pronta informazione” verso il pubblico ministero, obbligo desolatamente assente per i reati di competenza del giudice di pace (ma ricostruibile, in via di integrazione ex articolo 2 d. lgs. 274/2000, sulla scorta del disposto dell’articolo 347 comma 2 bis Cpp [6]). Inoltre, l’eccessiva latitudine temporale concessa alla polizia giudiziaria per l’espletamento delle indagini, peraltro non accompagnata da alcuna sanzione in caso di inosservanza del termine quadrimestrale, rischia di porre nel nulla un successivo intervento del pubblico ministero e dell’indagato, il quale potrebbe trovarsi nell’impossibilità di assicurare fonti di prova ormai andate perdute.

Nel secondo caso, il problema si manifesta in tutta la sua gravità qualora gli uffici di polizia, non sussistendo l’obbligo di iscrivere le notizie di reato oggetto di propria autonoma attività d’indagine, operino di fatto una sostanziale archiviazione delle notitiae criminis del tutto svincolati dal controllo della Procura della Repubblica, così agevolando la violazione dell’articolo 112 della Costituzione [7]. Pericolo analogo a quello reso possibile dalla formulazione atipica dell’articolo 14, che facoltizza il magistrato del pubblico ministero ad iscrivere la notizia di reato in tempi variabili a seconda delle particolarità del caso concreto, vanificando il diritto della persona sottoposta alle indagini di ottenere una comunicazione ai sensi dell’articolo 110 disp. att. Cpp [8].

Tirando le somme di questi brevi rilievi, non può non porsi più di una riserva sulla costituzionalità di un impianto normativo che, dando il placet ad una “iscrizione ballerina” delle notizie di reato, impedisce all’imputato di conoscere se in un dato momento si stiano svolgendo indagini sul suo conto. Si pensi, per ricorrere ad un esempio, a quali conseguenze possa condurre tale ignoranza incolpevole con riferimento all’assunzione di prove non rinviabili di cui all’articolo 18 [9], ritenuta invocabile anche dall’indagato, laddove appare logico e coerente sostenere che il legislatore abbia adottato la terminologia di ”parte” in senso atecnico [10].

Altro punto critico dell’impianto può certamente ravvisarsi nell’inapplicabilità dell’udienza preliminare (articolo 2, comma 1 lettera e) del d. lgs. 274/2000) la cui assenza, anziché confortare l’acritica corsa all’efficienza di chi bada solo al risultato, rende irrinunciabile l’agevolazione della discovery mediante l’avviso ex articolo 415 bis [11], in una con l’attuale dinamica operativa del processo penale ordinario, nel quale l’udienza preliminare tende ad assumere sempre più la fisionomia di un giudizio di merito [12] (ricomponendo quella separazione delle fasi che dovrebbe invece caratterizzare un processo tendenzialmente accusatorio).

In particolare, negare l’applicabilità dell’avviso di fine indagine appare in contraddizione con la voluntas legis desumibile dagli interventi normativi recenti i quali, muovendo dalle carenze strutturali di cui agli articoli 335 e 369 Cpp, ed accogliendo gli afflati garantistici degli studiosi [13], avevano cercato di conferire maggiore soddisfazione alle esigenze difensive mediante le leggi 332/1995 [14] e 234/1997 [15], attribuendo all’istituto dell’avviso di fine indagine non solo la funzione di “filtro” contro la proliferazione dei dibattimenti, ma anche e soprattutto lo strumento di difesa anticipata teso a riequilibrare i rapporti di forza fra i protagonisti della fase investigativa [16]. Il pericolo di ritornare al modello del previgente impianto codicistico, nel quale l’indagato era impossibilitato non solo a fornire il proprio contributo nella ricostruzione della vicenda di reato, ma addirittura tenuto all’oscuro dell’esistenza di indagini a suo carico se non intervenisse una richiesta di proroga ex articolo 406 comma 3 Cpp o un atto garantito (articolo 369 Cpp), sembra davvero annidarsi dietro l’angolo, davanti a questa forma peculiare ma statisticamente consistente della giurisdizione penale.

Del resto, il sacrificio dei diritti di alcuni imputati “di serie B” che le recenti pronunce giurisdizionali sembrano avallare [17] in vista del raggiungimento della riduzione del carico di lavoro gravante sugli uffici giudiziari maggiori, pur ammettendo che costituisca la strada da percorrere per la riduzione del carico di lavoro della giustizia “di serie A”, appare oggi difficilmente compatibile con la problematica situazione della giustizia di pace e degli uffici di procura [18].

Molte altre questioni rilevanti sono sul tappeto [19], tanto da apparire improcrastinabile una ricognizione sistematica del rito dopo questo primo, necessario periodo di sperimentazione sul campo. Il pensiero corre, senza pretesa di esaustività, alla posizione della persona offesa nel procedimento, i cui margini d’azione risultano addirittura accresciuti rispetto al rito ordinario, in contrapposizione all’ottica acceleratrice perseguita dal legislatore; alla rivalutazione degli strumenti conciliativi, che devono fare i conti con le esigenze mai sopite di tutela dei beni giuridici; alla complessa morfologia delle indagini preliminari, ondeggianti fra un accresciuto ruolo della polizia giudiziaria e la perdurante necessità del controllo del pubblico ministero. Altra parte della dottrina [20], oltretutto, ha evidenziato la necessità di rivedere la drastica riduzione dei casi di connessione, in una con l’esclusione della sospensione condizionale della pena dal novero degli istituti applicabili davanti al giudice di pace.

L’intervento del legislatore, a sommesso avviso di chi scrive, non può farsi attendere ulteriormente.



Il presente articolo è già stato pubblicato su Filodiritto in data 24/10/2004.

[1] Sulla quale, per approfondimenti, cfr. l’articolo di PAVONE pubblicato su Filodiritto.

[2] Non va dimenticato che, nel procedere al varo della nuova normativa, il legislatore del 2000 contemporaneamente provvedeva a rivedere in senso più qualificante le procedure di nomina e di formazione per i giudici di pace, proprio al fine di garantire al cittadino un apparato giudiziario competente e qualificato.

[3] DI BUGNO, Commento articolo 4, in AA. VV., Giudice di pace e processo penale, Torino, 2001, 55ss.; TONINI, La nuova competenza del giudice di pace: un’alternativa alla depenalizzazione?, cit., 929.

[4] Cfr. AGHINA – PICCIALLI, Il giudice di pace penale. Commento organico al D. Lgs. 28.8.2000, n. 274, Napoli, 2001, 78ss.

[5] Cfr. sul punto ZAGREBELSKY, Articolo 109 Cost., in Commentario sulla Costituzione, cur. BRANCA – PIZZORUSSO, Bologna – Roma, 1992, 32ss.

[6] Di questa opinione ICHINO, La fase delle indagini preliminari nei reati di competenza del giudice di pace, in La competenza penale del giudice di pace, Milano, 2000, 81; PANSINI, La fase delle indagini preliminari, in Il giudice di pace. Un modello nuovo di giustizia penale, cur. SCALFATI, Padova, 2001, 149ss.

[7] Sul potere – dovere della polizia giudiziaria di attuare un filtro sulle notizie di reato vedasi CHIAVARIO, L’azione penale tra diritto e politica, Padova, 1995, 101ss.

[8] E’ l’opinione di APRILE, La competenza penale del giudice di pace, Milano, 2001, 49.

[9] E’ difatti la stessa Relazione governativa al d. lgs. 274/2000 a chiarire che l’assunzione possa avvenire anche nella fase delle indagini preliminari.

[10] Analogamente SCALFATI, L’assunzione di prove non rinviabili, in Il giudice di pace. Un nuovo modello di giustizia penale, Padova, 2001, 196ss.

[11] Per questa soluzione, che contrasta con quanto recentemente affermato dalla Corte di Cassazione e dalla Corte Costituzionale, (ord. 201/2004), sia consentito rinviare a LEVITA, Processo penale innanzi al giudice di pace e garanzie difensive: cosa rimane all’imputato?, in corso di pubblicazione.

[12] Sulla questione, oltremodo spinosa e che finisce per coinvolgere gli “elementi determinanti” del processo penale, è impossibile dire in questa sede. Ci si limita a richiamare, in aderenza all’orientamento di cui nel testo, Cassazione Penale SU 9 settembre 2003, n. 35358, Ferrara, secondo cui l’omessa notifica dell’avviso di udienza preliminare determina una nullità assoluta ex articolo 179 Cpp. Per motivazioni analoghe, cfr. Corte Costituzionale, decisioni n. 224/2001 e 335/2002. A sostenere l’opinione negativa vedasi RICCIO, Incompatibilità del giudice, ecco tutte le oscillazioni della Consulta, in Diritto e Giustizia, n. 1, 2003, 35ss.

[13] Sul punto MADDALENA, Commento alla legge 234/97. Profili processuali, in Diritto penale e processo, 1997, 1056.

[14] Le legge 332/1995 consentì per la prima volta alla difesa di presentare innanzi al giudice per le indagini preliminari la documentazione relativa alle proprie investigazioni (art. 38 comma 2 bis disp. att. Cpp).

[15] La legge 234/1997 era intervenuta a porre parziale rimedio alle aporie del sistema sottolineate da attenta dottrina, imponendo in capo al magistrato del pubblico ministero l’obbligo di invitare l’indagato a rendere l’interrogatorio, contestandogli il fatto per cui si procedeva (cfr. la riscrittura dell’articolo 416 comma 1 Cpp).

[16] E’ l’auspicio di FERRUA, Processo penale, contraddittorio e indagini difensive, in Studi sul processo penale, Torino, 1997, 104ss.

[17] Cfr. Corte Costituzionale, ordinanza n. 201/2004, unitamente a: Cassazione Penale, sez. IV, 14 gennaio 2004 n. 705, Proc. Rep. Trib. FI in proc. Cappelletti, in Guida al Diritto, n. 14, 2004, 82ss.; Cassazione Penale, sez. IV, 14 gennaio 2004 n. 639, Proc. Rep. Trib. FI in proc. Granato, in Guida al Diritto, n. 17, 2004, 94; Cassazione Penale, sez. IV, 29 gennaio 2004 n. 3465, PG in proc. Brunacci, in Guida al Diritto, n. 19, 2004, 81.

[18] Nei quali spesso, per ragioni di necessità, le funzioni investigative non espressamente attribuite alla polizia giudiziaria sono esercitate dai pubblici ministeri non togati, mentre l’attività dibattimentale ricade ordinariamente sui soggetti di cui all’articolo 50 d. lgs. 274/2000 (uditori giudiziari, vice procuratori onorari, ufficiali di polizia giudiziaria e frequentanti il secondo anno delle scuole di specializzazione per le professioni legali, laddove queste due ultime categorie addirittura non percepiscono alcun compenso per il lavoro svolto).

[19] Cfr. le lucide considerazioni di NAPOLEONI, Nuova disciplina per il giudice di pace e delega al governo in materia di competenza penale. La competenza penale, in Diritto penale e processo, n. 2, 2000, 162.

[20] Cfr. PALAZZO, La sospensione condizionale tra giudice di pace e riforma del codice penale, in Diritto penale e processo, n. 12, 2000, 1557ss.

La recente attribuzione al giudice di pace penale della convalida dei provvedimenti di espulsione degli stranieri illegittimamente entrati nel territorio italiano [1] consente di fare il punto, in estrema sintesi, delle numerose questioni teoriche ed operative ancora sul banco della sperimentazione quotidiana, alle quali il suddetto ampliamento dei compiti giurisdizionali, che verosimilmente andrà ad intensificare non poco il lavoro di alcuni uffici, finisce per intrecciarsi con problematiche vecchie e nuove del rito innanzi al giudice onorario, ancora lontane da una soluzione condivisa in dottrina e giurisprudenza.

In quest’ottica, già la semplice sottoposizione ad un giudice non professionale [2] di un ampio ventaglio di controversie, non del tutto unificate dalla scarsa lesività delle ipotesi prescritte, ha suscitato fin da subito in dottrina non poche critiche [3], solo parzialmente smussate dalla garanzia del doppio grado di giurisdizione assicurata dal capo VI del decreto 274/2000; si pensi altresì alla circostanza, non trascurabile, dell’inapplicabilità dei riti speciali nel processo davanti al giudice di pace (articolo 2 comma 1 lettere da f) ad l)), che il Governo delegato ebbe a giustificare sulla base di considerazioni calibrate caso per caso le quali, seppur rivestite della libertà dei fini riconosciuta al legislatore, non può negarsi prospettino un sistema ridotto di garanzie in capo all’imputato. In particolare, si è esclusa l’operatività del decreto penale di condanna per non svalutare il ruolo conciliativo del magistrato, al quale in assenza di opposizione la questione non verrebbe affatto devoluta; il patteggiamento invece è stato tenuto fuori dal rito onde garantire una adeguata tutela alle ragioni della persona offesa; gli altri riti speciali si sono ritenuti incompatibili con l’esiguità del bagaglio sanzionatorio dei delitti portati alla cognizione del giudice di pace.

Dubbi ancora maggiori solleva il meccanismo accelerato dell’articolo 12, che consente al pubblico ministero di formulare direttamente la citazione dell’imputato qualora non ritenga necessari ulteriori atti d’indagine: l’imputato, trovandosi citato in giudizio senza aver avuto neppure contezza dell’instaurazione di un procedimento penale a suo carico, potrebbe aver irrimediabilmente compromesso il proprio diritto alla prova, astenendosi dal compiere le attività funzionali ad una difesa che ignorava di dover apprestare (ad esempio, la volontaria distruzione di un documento).

La stessa caratterizzazione delle indagini preliminari, affidate dal legislatore alla polizia giudiziaria ex articolo 11, e nelle quali il ruolo attivo del pubblico ministero è relegato ad aspetti di secondo piano, evidenzia più di un punto di frizione con il diritto di difesa, con precipuo riferimento agli articoli 109 e 112 della Costituzione.

Nella prima ipotesi, le critiche di alcuni hanno fatto leva sull’eventualità, frequentissima nella prassi, che il procedimento d’indagine prenda le mosse dalla notitia criminis raccolta dalla polizia giudiziaria, la quale finirebbe così per svolgere le proprie indagini senza mai prendere contatto con gli uffici del pubblico ministero [4], in violazione del canone di “subordinazione e dipendenza” tracciato dalla norma [5]. A poco rileva, ad avviso di chi scrive, la circostanza che già il codice di procedura penale, con gli articoli 55 e 348, disegni attualmente margini di operatività rafforzati per la polizia giudiziaria, dal momento che nel rito ordinario permane pur sempre in capo agli operatori l’obbligo di “pronta informazione” verso il pubblico ministero, obbligo desolatamente assente per i reati di competenza del giudice di pace (ma ricostruibile, in via di integrazione ex articolo 2 d. lgs. 274/2000, sulla scorta del disposto dell’articolo 347 comma 2 bis Cpp [6]). Inoltre, l’eccessiva latitudine temporale concessa alla polizia giudiziaria per l’espletamento delle indagini, peraltro non accompagnata da alcuna sanzione in caso di inosservanza del termine quadrimestrale, rischia di porre nel nulla un successivo intervento del pubblico ministero e dell’indagato, il quale potrebbe trovarsi nell’impossibilità di assicurare fonti di prova ormai andate perdute.

Nel secondo caso, il problema si manifesta in tutta la sua gravità qualora gli uffici di polizia, non sussistendo l’obbligo di iscrivere le notizie di reato oggetto di propria autonoma attività d’indagine, operino di fatto una sostanziale archiviazione delle notitiae criminis del tutto svincolati dal controllo della Procura della Repubblica, così agevolando la violazione dell’articolo 112 della Costituzione [7]. Pericolo analogo a quello reso possibile dalla formulazione atipica dell’articolo 14, che facoltizza il magistrato del pubblico ministero ad iscrivere la notizia di reato in tempi variabili a seconda delle particolarità del caso concreto, vanificando il diritto della persona sottoposta alle indagini di ottenere una comunicazione ai sensi dell’articolo 110 disp. att. Cpp [8].

Tirando le somme di questi brevi rilievi, non può non porsi più di una riserva sulla costituzionalità di un impianto normativo che, dando il placet ad una “iscrizione ballerina” delle notizie di reato, impedisce all’imputato di conoscere se in un dato momento si stiano svolgendo indagini sul suo conto. Si pensi, per ricorrere ad un esempio, a quali conseguenze possa condurre tale ignoranza incolpevole con riferimento all’assunzione di prove non rinviabili di cui all’articolo 18 [9], ritenuta invocabile anche dall’indagato, laddove appare logico e coerente sostenere che il legislatore abbia adottato la terminologia di ”parte” in senso atecnico [10].

Altro punto critico dell’impianto può certamente ravvisarsi nell’inapplicabilità dell’udienza preliminare (articolo 2, comma 1 lettera e) del d. lgs. 274/2000) la cui assenza, anziché confortare l’acritica corsa all’efficienza di chi bada solo al risultato, rende irrinunciabile l’agevolazione della discovery mediante l’avviso ex articolo 415 bis [11], in una con l’attuale dinamica operativa del processo penale ordinario, nel quale l’udienza preliminare tende ad assumere sempre più la fisionomia di un giudizio di merito [12] (ricomponendo quella separazione delle fasi che dovrebbe invece caratterizzare un processo tendenzialmente accusatorio).

In particolare, negare l’applicabilità dell’avviso di fine indagine appare in contraddizione con la voluntas legis desumibile dagli interventi normativi recenti i quali, muovendo dalle carenze strutturali di cui agli articoli 335 e 369 Cpp, ed accogliendo gli afflati garantistici degli studiosi [13], avevano cercato di conferire maggiore soddisfazione alle esigenze difensive mediante le leggi 332/1995 [14] e 234/1997 [15], attribuendo all’istituto dell’avviso di fine indagine non solo la funzione di “filtro” contro la proliferazione dei dibattimenti, ma anche e soprattutto lo strumento di difesa anticipata teso a riequilibrare i rapporti di forza fra i protagonisti della fase investigativa [16]. Il pericolo di ritornare al modello del previgente impianto codicistico, nel quale l’indagato era impossibilitato non solo a fornire il proprio contributo nella ricostruzione della vicenda di reato, ma addirittura tenuto all’oscuro dell’esistenza di indagini a suo carico se non intervenisse una richiesta di proroga ex articolo 406 comma 3 Cpp o un atto garantito (articolo 369 Cpp), sembra davvero annidarsi dietro l’angolo, davanti a questa forma peculiare ma statisticamente consistente della giurisdizione penale.

Del resto, il sacrificio dei diritti di alcuni imputati “di serie B” che le recenti pronunce giurisdizionali sembrano avallare [17] in vista del raggiungimento della riduzione del carico di lavoro gravante sugli uffici giudiziari maggiori, pur ammettendo che costituisca la strada da percorrere per la riduzione del carico di lavoro della giustizia “di serie A”, appare oggi difficilmente compatibile con la problematica situazione della giustizia di pace e degli uffici di procura [18].

Molte altre questioni rilevanti sono sul tappeto [19], tanto da apparire improcrastinabile una ricognizione sistematica del rito dopo questo primo, necessario periodo di sperimentazione sul campo. Il pensiero corre, senza pretesa di esaustività, alla posizione della persona offesa nel procedimento, i cui margini d’azione risultano addirittura accresciuti rispetto al rito ordinario, in contrapposizione all’ottica acceleratrice perseguita dal legislatore; alla rivalutazione degli strumenti conciliativi, che devono fare i conti con le esigenze mai sopite di tutela dei beni giuridici; alla complessa morfologia delle indagini preliminari, ondeggianti fra un accresciuto ruolo della polizia giudiziaria e la perdurante necessità del controllo del pubblico ministero. Altra parte della dottrina [20], oltretutto, ha evidenziato la necessità di rivedere la drastica riduzione dei casi di connessione, in una con l’esclusione della sospensione condizionale della pena dal novero degli istituti applicabili davanti al giudice di pace.

L’intervento del legislatore, a sommesso avviso di chi scrive, non può farsi attendere ulteriormente.



Il presente articolo è già stato pubblicato su Filodiritto in data 24/10/2004.

[1] Sulla quale, per approfondimenti, cfr. l’articolo di PAVONE pubblicato su Filodiritto.

[2] Non va dimenticato che, nel procedere al varo della nuova normativa, il legislatore del 2000 contemporaneamente provvedeva a rivedere in senso più qualificante le procedure di nomina e di formazione per i giudici di pace, proprio al fine di garantire al cittadino un apparato giudiziario competente e qualificato.

[3] DI BUGNO, Commento articolo 4, in AA. VV., Giudice di pace e processo penale, Torino, 2001, 55ss.; TONINI, La nuova competenza del giudice di pace: un’alternativa alla depenalizzazione?, cit., 929.

[4] Cfr. AGHINA – PICCIALLI, Il giudice di pace penale. Commento organico al D. Lgs. 28.8.2000, n. 274, Napoli, 2001, 78ss.

[5] Cfr. sul punto ZAGREBELSKY, Articolo 109 Cost., in Commentario sulla Costituzione, cur. BRANCA – PIZZORUSSO, Bologna – Roma, 1992, 32ss.

[6] Di questa opinione ICHINO, La fase delle indagini preliminari nei reati di competenza del giudice di pace, in La competenza penale del giudice di pace, Milano, 2000, 81; PANSINI, La fase delle indagini preliminari, in Il giudice di pace. Un modello nuovo di giustizia penale, cur. SCALFATI, Padova, 2001, 149ss.

[7] Sul potere – dovere della polizia giudiziaria di attuare un filtro sulle notizie di reato vedasi CHIAVARIO, L’azione penale tra diritto e politica, Padova, 1995, 101ss.

[8] E’ l’opinione di APRILE, La competenza penale del giudice di pace, Milano, 2001, 49.

[9] E’ difatti la stessa Relazione governativa al d. lgs. 274/2000 a chiarire che l’assunzione possa avvenire anche nella fase delle indagini preliminari.

[10] Analogamente SCALFATI, L’assunzione di prove non rinviabili, in Il giudice di pace. Un nuovo modello di giustizia penale, Padova, 2001, 196ss.

[11] Per questa soluzione, che contrasta con quanto recentemente affermato dalla Corte di Cassazione e dalla Corte Costituzionale, (ord. 201/2004), sia consentito rinviare a LEVITA, Processo penale innanzi al giudice di pace e garanzie difensive: cosa rimane all’imputato?, in corso di pubblicazione.

[12] Sulla questione, oltremodo spinosa e che finisce per coinvolgere gli “elementi determinanti” del processo penale, è impossibile dire in questa sede. Ci si limita a richiamare, in aderenza all’orientamento di cui nel testo, Cassazione Penale SU 9 settembre 2003, n. 35358, Ferrara, secondo cui l’omessa notifica dell’avviso di udienza preliminare determina una nullità assoluta ex articolo 179 Cpp. Per motivazioni analoghe, cfr. Corte Costituzionale, decisioni n. 224/2001 e 335/2002. A sostenere l’opinione negativa vedasi RICCIO, Incompatibilità del giudice, ecco tutte le oscillazioni della Consulta, in Diritto e Giustizia, n. 1, 2003, 35ss.

[13] Sul punto MADDALENA, Commento alla legge 234/97. Profili processuali, in Diritto penale e processo, 1997, 1056.

[14] Le legge 332/1995 consentì per la prima volta alla difesa di presentare innanzi al giudice per le indagini preliminari la documentazione relativa alle proprie investigazioni (art. 38 comma 2 bis disp. att. Cpp).

[15] La legge 234/1997 era intervenuta a porre parziale rimedio alle aporie del sistema sottolineate da attenta dottrina, imponendo in capo al magistrato del pubblico ministero l’obbligo di invitare l’indagato a rendere l’interrogatorio, contestandogli il fatto per cui si procedeva (cfr. la riscrittura dell’articolo 416 comma 1 Cpp).

[16] E’ l’auspicio di FERRUA, Processo penale, contraddittorio e indagini difensive, in Studi sul processo penale, Torino, 1997, 104ss.

[17] Cfr. Corte Costituzionale, ordinanza n. 201/2004, unitamente a: Cassazione Penale, sez. IV, 14 gennaio 2004 n. 705, Proc. Rep. Trib. FI in proc. Cappelletti, in Guida al Diritto, n. 14, 2004, 82ss.; Cassazione Penale, sez. IV, 14 gennaio 2004 n. 639, Proc. Rep. Trib. FI in proc. Granato, in Guida al Diritto, n. 17, 2004, 94; Cassazione Penale, sez. IV, 29 gennaio 2004 n. 3465, PG in proc. Brunacci, in Guida al Diritto, n. 19, 2004, 81.

[18] Nei quali spesso, per ragioni di necessità, le funzioni investigative non espressamente attribuite alla polizia giudiziaria sono esercitate dai pubblici ministeri non togati, mentre l’attività dibattimentale ricade ordinariamente sui soggetti di cui all’articolo 50 d. lgs. 274/2000 (uditori giudiziari, vice procuratori onorari, ufficiali di polizia giudiziaria e frequentanti il secondo anno delle scuole di specializzazione per le professioni legali, laddove queste due ultime categorie addirittura non percepiscono alcun compenso per il lavoro svolto).

[19] Cfr. le lucide considerazioni di NAPOLEONI, Nuova disciplina per il giudice di pace e delega al governo in materia di competenza penale. La competenza penale, in Diritto penale e processo, n. 2, 2000, 162.

[20] Cfr. PALAZZO, La sospensione condizionale tra giudice di pace e riforma del codice penale, in Diritto penale e processo, n. 12, 2000, 1557ss.