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Pubblicazione delle intercettazioni: il difficile bilanciamento tra privacy e informazione

1. LA DISCIPLINA DELLE INTERCETTAZIONI

La materia del divieto di pubblicazione degli atti di un procedimento penale, e in particolare delle intercettazioni penali, rappresenta un tema affascinante e complesso allo stesso tempo.

Intorno ad esso ruotano principi di portata costituzionale, quali l’esigenza processuale di non inquinare le prove, la tutela della privacy delle persone coinvolte ed il diritto dei cittadini ad essere informati sui fatti di cronaca giudiziaria.

Con disegno di legge n. 1638, approvato dalla Camera dei deputati nella seduta n. 145 del 17 aprile 2007, il Governo ha avviato una riforma legislativa in tema di intercettazioni telefoniche ed ambientali e di pubblicità degli atti di indagine.

Le intercettazioni di conversazioni e comunicazioni costituiscono, nel processo penale, un mezzo di ricerca della prova, risultando spesso decisive per fondare il giudizio del giudice.

Anche se tra i principi inviolabili della costituzione è sancita la libertà e segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione, è la stessa carta costituzionale a stabilire che la loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge (articolo 15 costituzione).

E’ salvaguardata, in tal modo, la coesistenza tra il principio di libertà e segretezza delle comunicazioni e quello del rispetto delle esigenze probatorie e investigative nel processo penale.

Le intercettazioni di conversazioni o comunicazioni telefoniche o di flussi di comunicazione relativi a sistemi informatici o telematici sono previste ex lege solo per determinati e gravi reati (articoli 266 e 266 bis codice di procedura penale).

Il giudice autorizza le operazioni suddette quando vi siano gravi indizi di reato e l’intercettazione è assolutamente indispensabile ai fini della prosecuzione delle indagini (art. 267 codice di procedura penale).

2. INTERCETTAZIONI ILLEGALMENTE FORMATE O ACQUISITE: DIVIETO DI DETENZIONE E DI PUBBLICAZIONE

L’ipotesi più grave di divulgazione di intercettazioni telefoniche o telematiche si verifica in caso di pubblicazione di documenti, supporti o atti concernenti dati e contenuti di conversazioni e comunicazioni, relativi al traffico telefonico e telematico, illegalmente formati o acquisiti.

Il recente decreto legge n. 259/2006, convertito con legge 20 novembre 2006 n. 281, ha sancito che, in caso di diffusione degli stessi, può essere richiesta, a titolo di riparazione, all’autore della pubblicazione degli atti o dei documenti suddetti, al direttore responsabile e all’editore, in solido fra loro, una somma di denaro determinata in ragione del numero di copie stampate e, ove la diffusione sia avvenuta con mezzo radiofonico, televisivo o telematico, dell’entità del bacino di utenza. In ogni caso, l’entità della riparazione non può essere inferiore a diecimila euro.

L’azione può essere proposta da parte di coloro ai quali detti atti o documenti fanno riferimento e si prescrive nel termine di cinque anni dalla data della pubblicazione.

Tale azione non impedisce al Garante per la protezione dei dati personali di emanare i provvedimenti volti ad inibire l’illecita diffusione.

I responsabili possono, inoltre, vedersi condannare dal giudice civile al risarcimento del danni eventualmente patiti a seguito della pubblicazione illecita.

In caso di diffusione di intercettazioni illegalmente formate o acquisite, pertanto, la tutela delle persone coinvolte è massima. Esse possono richiedere, per le pubblicazioni già avvenute, la riparazione pecuniaria ed il risarcimento del danno, mentre, a titolo di tutela preventiva, possono ottenere l’inibizione di ogni ulteriore e illecita diffusione.

Secondo la giurisprudenza, la diffusione illegale di intercettazioni illegalmente formate e acquisite attiene non soltanto al contenuto delle conversazioni ma anche ad ogni altro dato da esse desumibile, come le generalità dei soggetti coinvolti nella captazione, nell’ipotesi in cui si tratti di dato informativo non desunto da altri accertamenti ma proprio e soltanto dai risultati delle intercettazioni (Cassazione penale, sezione II, 12 gennaio 2006, n. 2817).

3. INTERCETTAZIONI LEGITTIME MA NON PUBBLICABILI

Le intercettazioni possono essere state acquisite legittimamente e, tuttavia, può esserne vietata la pubblicazione.

Le norme che vietano la divulgazione del testo o del contenuto degli atti di un’indagine penale sono dettate a tutela del sereno svolgimento del procedimento (Cassazione penale, sezione V, 20 settembre 2001, n. 37667).

In particolare, ai sensi dell’articolo 114 del codice di procedura penale, è vietata la pubblicazione, anche parziale o per riassunto, con il mezzo della stampa o con altro mezzo di diffusione, degli atti coperti dal segreto o anche solo del loro contenuto. Quando l’atto non è più coperto dal segreto, è sempre consentita la pubblicazione del suo contenuto, ma continua ad essere vietata la pubblicazione anche parziale dell’atto stesso fino a che non siano concluse le indagini preliminari ovvero fino al termine dell’udienza preliminare.

Si distingue, pertanto, la pubblicazione anche parziale dell’atto dalla pubblicazione del contenuto dell’atto. Nel primo caso, il divieto di pubblicazione è assoluto e risponde all’esigenza di non inquinare le prove del processo; nel secondo caso, invece, il divieto di pubblicazione è attenuato e tutela il principio del libero convincimento del giudice.

Per capire quando il contenuto di un atto d’indagine può essere pubblicato, è necessario far riferimento alla disciplina del segreto degli atti acquisiti nel corso delle indagini preliminari, fissata dall’articolo 329 del codice di procedura penale. Secondo tale disposizione, gli atti di indagine compiuti dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria sono coperti dal segreto fino a quando l’imputato non ne possa avere conoscenza e, comunque, non oltre la chiusura delle indagini preliminari.

Le intercettazioni di conversazioni o di comunicazioni sono disposte dal pubblico ministero, previa autorizzazione del giudice delle indagini preliminari, e le loro trascrizioni costituiscono, pertanto, atti di indagini del pubblico ministero coperti dal segreto nei limiti suddetti.

Pertanto, nel momento in cui le intercettazioni sono a disposizione dell’imputato e del suo difensore, al giornalista è consentito pubblicarne il contenuto. Diversamente, se sono divulgati gli atti relativi alle intercettazioni medesime, quando essi siano ancora segreti ovvero prima della conclusione delle indagini preliminari o dell’udienza preliminare, viene violato il divieto di pubblicazione previsto dall’articolo 114 del codice di procedura penale.

In caso di divulgazione di atti o documenti di cui sia vietata la pubblicazione ricorre la figura contravvenzionale di “Pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale” secondo cui “chiunque pubblica, in tutto o in parte, anche per riassunto o a guisa d’informazione, atti o documenti di un procedimento penale, di cui sia vietata per legge la pubblicazione, è punito con l’arresto fino a trenta giorni o con l’ammenda da 51 euro a 258 euro” (articolo 684 codice penale).

Il disegno di legge n. 1638 del Governo, approvato con taluni emendamenti dalla Camera dei deputati nella seduta n. 145 del 17 aprile 2007, è intervenuto sull’argomento.

In particolare, è stato aggiunto il comma II bis all’articolo 114 del codice di procedura penale, che stabilisce: “È vietata la pubblicazione, anche parziale, per riassunto o nel contenuto, della documentazione, degli atti relativi a conversazioni, anche telefoniche, o a flussi di comunicazioni informatiche o telematiche ovvero ai dati riguardanti il traffico telefonico o telematico, anche se non più coperti da segreto, fino alla conclusione delle indagini preliminari ovvero fino al termine dell’udienza preliminare”. Ciò significa che se il disegno di legge suddetto dovesse diventare legge, il divieto di pubblicazione del contenuto di intercettazioni permarrebbe fino alla conclusione delle indagini preliminari ovvero fino al termine dell’udienza preliminare. Prima di questo momento non sarebbe più possibile conoscere neanche il contenuto degli atti di intercettazione.

Anche il reato di pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale (articolo 684 codice penale) è stato oggetto di modifiche e integrazioni dal citato disegno di legge.

In particolare, nel testo approvato dalla Camera dei deputati, sono state inasprite le sanzioni previste per tale contravvenzione. Con la modifica in esame, ai sensi dell’articolo 684 codice penale, “chiunque pubblica, in tutto o in parte, anche per riassunto o nel contenuto, atti o documenti di un procedimento penale, di cui sia vietata per legge la pubblicazione, è punito con l’arresto fino a trenta giorni o con l’ammenda da 10.000 euro a 100.000 euro. La condanna importa la pubblicazione della sentenza a norma dell’articolo 36 (codice penale)”.

4. PUBBLICAZIONE DELLE INTERCETTAZIONI E LIMITI DELLA PRIVACY

E’ importante sottolineare che il reato di pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale rappresenta una contravvenzione per la prevenzione di taluni reati e per la tutela preventiva dei segreti e non attiene alla salvaguardia della privacy e della dignità della persona.

Può accadere, infatti, che il giornalista pur attenendosi alle disposizioni che vietano la pubblicazione di atti di un procedimento penale, nel divulgare atti o documenti pubblicabili, non rispetti i precetti dettati dal Codice della privacy (decreto legislativo n. 196/2003) o dal Codice deontologico 29 luglio 1998 del Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti.

Il principio generale, che i giornalisti devono rispettare per la tutela della privacy altrui, è quello dell’essenzialità dell’informazione riguardo a fatti di interesse pubblico.

Di conseguenza, la pubblicazione di trascrizioni di intercettazioni telefoniche, che porti alla divulgazione non soltanto di dati essenziali e indispensabili per informare i cittadini sulle indagini in corso ma anche di elementi e aspetti della vita privata di persone non coinvolte direttamente nel fatto di cronaca, è da ritenersi illegittima.

In tal caso, il giornalista non può essere punito a titolo di pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale ma rischia di incorrere nelle sanzioni disciplinari dell’Ordine dei giornalisti e nei provvedimenti impeditivi e sanzionatori del Garante della privacy.

In caso di violazione delle norme del codice deontologico, l’Ordine dei giornalisti può, infatti, avviare procedimenti disciplinari nei confronti dei suoi iscritti.

Le sanzioni disciplinari, previste dalla legge n. 69/1963 sull’ordinamento della professione giornalistica, sono l’avvertimento, la censura, la sospensione dall’esercizio professionale e, nei casi più gravi, la radiazione.

D’altro canto, il Garante per la protezione dei dati personali può, in caso di violazione delle prescrizioni contenute nel codice di deontologia, prescrivere le misure opportune o necessarie per rendere il trattamento conforme alle disposizioni vigenti in materia di privacy e può disporre il blocco o vietare, in tutto o in parte, il trattamento che risulta illecito o non corretto. In caso di ulteriore inadempimento da parte del giornalista, si configura il reato di “Inosservanza dei provvedimenti del Garante” (articolo 170 decreto legislativo n. 196/2003).

In conformità a tali compiti, il Garante ha emanato il Provvedimento 21 giugno 2006 (Gazzetta Ufficiale n. 147 del 27 giugno 2006), con il quale è stato prescritto ai titolari del trattamento in ambito giornalistico (editori) di adeguare immediatamente i trattamenti di dati personali relativi alla pubblicazione di trascrizioni di intercettazioni telefoniche a tutti i principi affermati dal Codice sulla privacy e dal Codice deontologico.

Nel provvedimento suddetto, il Garante ha sottolineato l’esigenza del rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali delle diverse persone coinvolte dalle predette pubblicazioni, con particolare riferimento alla loro riservatezza, dignità ed identità personale, nonché al diritto fondamentale alla protezione dei relativi dati personali.

Anche se è configurabile un interesse pubblico alla conoscenza dettagliata di fatti, secondo il Garante, “si pone con seria evidenza la necessità di assicurare, con immediatezza e su un piano generale, un’adeguata tutela dei diritti di soggetti coinvolti dalla pubblicazione pressoché integrale di innumerevoli brani di conversazioni telefoniche, intercorse anche con terzi estranei ai fatti oggetto di indagine penale o che non risultano allo stato indagati, o brani che riguardano in ogni caso diverse relazioni personali o familiari o, ancora, persone semplicemente lese dai fatti”.

Accade di frequente, infatti, che i giornalisti mettano a disposizione dell’opinione pubblica un vasto materiale di documentazione di conversazioni telefoniche senza un’adeguata selezione e valutazione, anche se non vengono violate le norme sul segreto e sul divieto di pubblicazione.

Tale materiale, oltre a non risultare sempre essenziale per una doverosa informazione dell’opinione pubblica, può favorire anche una percezione inesatta di fatti, circostanze e relazioni interpersonali.

Il Garante ribadisce, nel predetto documento, i principi stabiliti dal Codice deontologico, secondo il quale:

a) è garantito al giornalista il diritto all’informazione su fatti di interesse pubblico ma nel rispetto dell’essenzialità dell’informazione;

b) è necessario evitare riferimenti a congiunti o ad altri soggetti non interessati ai fatti;

c) è indispensabile rispettare la dignità e la sfera sessuale delle persone.

Pertanto l’indiscriminata pubblicazione di trascrizioni di intercettazioni di numerose conversazioni telefoniche, specie quando finisce per suscitare la curiosità del pubblico su aspetti intimi e privati, senza rispondere integralmente ad un’esigenza di giustificata informazione su vicende di interesse pubblico, può configurare una violazione delle disposizioni del Codice sulla privacy e della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, i quali contemperano il diritto al rispetto della vita privata e familiare con il diritto alla libertà di espressione.

Il disegno di legge sulle intercettazioni telefoniche e ambientali e pubblicità degli atti di indagine, esaminato ed approvato dalla Camera dei deputati nella seduta del 17 aprile 2007, modifica il comma V dell’articolo 139 del decreto legislativo n. 196/2003, richiamando, in caso di violazioni delle prescrizioni del codice di deontologia, una nuova ipotesi di violazione amministrativa: “Illeciti per finalità giornalistiche” (articolo 164 bis Codice sulla privacy).

In applicazione di tale disposizione, il Garante per la protezione dei dati personali, se accerta la violazione, può condannare l’editore alla sanzione amministrativa della “pubblicazione, nella testata attraverso la quale è stata commessa la violazione nonché, ove ritenuto necessario, anche in altre testate, della decisione che accerta la violazione, per intero o per estratto, ovvero di una dichiarazione riassuntiva della medesima violazione. La pubblicazione è effettuata, secondo le modalità indicate dall’ordinanza, a spese dei responsabili”.

E’ prevista, pertanto, una nuova tutela a favore di coloro che subiscono una violazione della privacy, a seguito di pubblicazione di intercettazioni.

Tuttavia, la sanzione amministrativa di illeciti per finalità giornalistiche si inserisce in sistema sanzionatorio già particolarmente articolato e complesso.

Il Garante ha, infatti, già diversi poteri di intervento in caso di violazione della privacy ed anche l’Ordine dei giornalisti può, dal canto suo, comminare sanzioni disciplinari ai giornalisti che, pubblicando intercettazioni in maniera indiscriminata, violino la privacy.

Per queste ragioni, sono numerose le opinioni che, soprattutto dal mondo dell’informazione, esprimono tutta la loro preoccupazione per un disegno di legge che potrebbe rivelarsi di ostacolo alla libertà di informazione, costituzionalmente garantita e base della democrazia del Paese.

1. LA DISCIPLINA DELLE INTERCETTAZIONI

La materia del divieto di pubblicazione degli atti di un procedimento penale, e in particolare delle intercettazioni penali, rappresenta un tema affascinante e complesso allo stesso tempo.

Intorno ad esso ruotano principi di portata costituzionale, quali l’esigenza processuale di non inquinare le prove, la tutela della privacy delle persone coinvolte ed il diritto dei cittadini ad essere informati sui fatti di cronaca giudiziaria.

Con disegno di legge n. 1638, approvato dalla Camera dei deputati nella seduta n. 145 del 17 aprile 2007, il Governo ha avviato una riforma legislativa in tema di intercettazioni telefoniche ed ambientali e di pubblicità degli atti di indagine.

Le intercettazioni di conversazioni e comunicazioni costituiscono, nel processo penale, un mezzo di ricerca della prova, risultando spesso decisive per fondare il giudizio del giudice.

Anche se tra i principi inviolabili della costituzione è sancita la libertà e segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione, è la stessa carta costituzionale a stabilire che la loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge (articolo 15 costituzione).

E’ salvaguardata, in tal modo, la coesistenza tra il principio di libertà e segretezza delle comunicazioni e quello del rispetto delle esigenze probatorie e investigative nel processo penale.

Le intercettazioni di conversazioni o comunicazioni telefoniche o di flussi di comunicazione relativi a sistemi informatici o telematici sono previste ex lege solo per determinati e gravi reati (articoli 266 e 266 bis codice di procedura penale).

Il giudice autorizza le operazioni suddette quando vi siano gravi indizi di reato e l’intercettazione è assolutamente indispensabile ai fini della prosecuzione delle indagini (art. 267 codice di procedura penale).

2. INTERCETTAZIONI ILLEGALMENTE FORMATE O ACQUISITE: DIVIETO DI DETENZIONE E DI PUBBLICAZIONE

L’ipotesi più grave di divulgazione di intercettazioni telefoniche o telematiche si verifica in caso di pubblicazione di documenti, supporti o atti concernenti dati e contenuti di conversazioni e comunicazioni, relativi al traffico telefonico e telematico, illegalmente formati o acquisiti.

Il recente decreto legge n. 259/2006, convertito con legge 20 novembre 2006 n. 281, ha sancito che, in caso di diffusione degli stessi, può essere richiesta, a titolo di riparazione, all’autore della pubblicazione degli atti o dei documenti suddetti, al direttore responsabile e all’editore, in solido fra loro, una somma di denaro determinata in ragione del numero di copie stampate e, ove la diffusione sia avvenuta con mezzo radiofonico, televisivo o telematico, dell’entità del bacino di utenza. In ogni caso, l’entità della riparazione non può essere inferiore a diecimila euro.

L’azione può essere proposta da parte di coloro ai quali detti atti o documenti fanno riferimento e si prescrive nel termine di cinque anni dalla data della pubblicazione.

Tale azione non impedisce al Garante per la protezione dei dati personali di emanare i provvedimenti volti ad inibire l’illecita diffusione.

I responsabili possono, inoltre, vedersi condannare dal giudice civile al risarcimento del danni eventualmente patiti a seguito della pubblicazione illecita.

In caso di diffusione di intercettazioni illegalmente formate o acquisite, pertanto, la tutela delle persone coinvolte è massima. Esse possono richiedere, per le pubblicazioni già avvenute, la riparazione pecuniaria ed il risarcimento del danno, mentre, a titolo di tutela preventiva, possono ottenere l’inibizione di ogni ulteriore e illecita diffusione.

Secondo la giurisprudenza, la diffusione illegale di intercettazioni illegalmente formate e acquisite attiene non soltanto al contenuto delle conversazioni ma anche ad ogni altro dato da esse desumibile, come le generalità dei soggetti coinvolti nella captazione, nell’ipotesi in cui si tratti di dato informativo non desunto da altri accertamenti ma proprio e soltanto dai risultati delle intercettazioni (Cassazione penale, sezione II, 12 gennaio 2006, n. 2817).

3. INTERCETTAZIONI LEGITTIME MA NON PUBBLICABILI

Le intercettazioni possono essere state acquisite legittimamente e, tuttavia, può esserne vietata la pubblicazione.

Le norme che vietano la divulgazione del testo o del contenuto degli atti di un’indagine penale sono dettate a tutela del sereno svolgimento del procedimento (Cassazione penale, sezione V, 20 settembre 2001, n. 37667).

In particolare, ai sensi dell’articolo 114 del codice di procedura penale, è vietata la pubblicazione, anche parziale o per riassunto, con il mezzo della stampa o con altro mezzo di diffusione, degli atti coperti dal segreto o anche solo del loro contenuto. Quando l’atto non è più coperto dal segreto, è sempre consentita la pubblicazione del suo contenuto, ma continua ad essere vietata la pubblicazione anche parziale dell’atto stesso fino a che non siano concluse le indagini preliminari ovvero fino al termine dell’udienza preliminare.

Si distingue, pertanto, la pubblicazione anche parziale dell’atto dalla pubblicazione del contenuto dell’atto. Nel primo caso, il divieto di pubblicazione è assoluto e risponde all’esigenza di non inquinare le prove del processo; nel secondo caso, invece, il divieto di pubblicazione è attenuato e tutela il principio del libero convincimento del giudice.

Per capire quando il contenuto di un atto d’indagine può essere pubblicato, è necessario far riferimento alla disciplina del segreto degli atti acquisiti nel corso delle indagini preliminari, fissata dall’articolo 329 del codice di procedura penale. Secondo tale disposizione, gli atti di indagine compiuti dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria sono coperti dal segreto fino a quando l’imputato non ne possa avere conoscenza e, comunque, non oltre la chiusura delle indagini preliminari.

Le intercettazioni di conversazioni o di comunicazioni sono disposte dal pubblico ministero, previa autorizzazione del giudice delle indagini preliminari, e le loro trascrizioni costituiscono, pertanto, atti di indagini del pubblico ministero coperti dal segreto nei limiti suddetti.

Pertanto, nel momento in cui le intercettazioni sono a disposizione dell’imputato e del suo difensore, al giornalista è consentito pubblicarne il contenuto. Diversamente, se sono divulgati gli atti relativi alle intercettazioni medesime, quando essi siano ancora segreti ovvero prima della conclusione delle indagini preliminari o dell’udienza preliminare, viene violato il divieto di pubblicazione previsto dall’articolo 114 del codice di procedura penale.

In caso di divulgazione di atti o documenti di cui sia vietata la pubblicazione ricorre la figura contravvenzionale di “Pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale” secondo cui “chiunque pubblica, in tutto o in parte, anche per riassunto o a guisa d’informazione, atti o documenti di un procedimento penale, di cui sia vietata per legge la pubblicazione, è punito con l’arresto fino a trenta giorni o con l’ammenda da 51 euro a 258 euro” (articolo 684 codice penale).

Il disegno di legge n. 1638 del Governo, approvato con taluni emendamenti dalla Camera dei deputati nella seduta n. 145 del 17 aprile 2007, è intervenuto sull’argomento.

In particolare, è stato aggiunto il comma II bis all’articolo 114 del codice di procedura penale, che stabilisce: “È vietata la pubblicazione, anche parziale, per riassunto o nel contenuto, della documentazione, degli atti relativi a conversazioni, anche telefoniche, o a flussi di comunicazioni informatiche o telematiche ovvero ai dati riguardanti il traffico telefonico o telematico, anche se non più coperti da segreto, fino alla conclusione delle indagini preliminari ovvero fino al termine dell’udienza preliminare”. Ciò significa che se il disegno di legge suddetto dovesse diventare legge, il divieto di pubblicazione del contenuto di intercettazioni permarrebbe fino alla conclusione delle indagini preliminari ovvero fino al termine dell’udienza preliminare. Prima di questo momento non sarebbe più possibile conoscere neanche il contenuto degli atti di intercettazione.

Anche il reato di pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale (articolo 684 codice penale) è stato oggetto di modifiche e integrazioni dal citato disegno di legge.

In particolare, nel testo approvato dalla Camera dei deputati, sono state inasprite le sanzioni previste per tale contravvenzione. Con la modifica in esame, ai sensi dell’articolo 684 codice penale, “chiunque pubblica, in tutto o in parte, anche per riassunto o nel contenuto, atti o documenti di un procedimento penale, di cui sia vietata per legge la pubblicazione, è punito con l’arresto fino a trenta giorni o con l’ammenda da 10.000 euro a 100.000 euro. La condanna importa la pubblicazione della sentenza a norma dell’articolo 36 (codice penale)”.

4. PUBBLICAZIONE DELLE INTERCETTAZIONI E LIMITI DELLA PRIVACY

E’ importante sottolineare che il reato di pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale rappresenta una contravvenzione per la prevenzione di taluni reati e per la tutela preventiva dei segreti e non attiene alla salvaguardia della privacy e della dignità della persona.

Può accadere, infatti, che il giornalista pur attenendosi alle disposizioni che vietano la pubblicazione di atti di un procedimento penale, nel divulgare atti o documenti pubblicabili, non rispetti i precetti dettati dal Codice della privacy (decreto legislativo n. 196/2003) o dal Codice deontologico 29 luglio 1998 del Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti.

Il principio generale, che i giornalisti devono rispettare per la tutela della privacy altrui, è quello dell’essenzialità dell’informazione riguardo a fatti di interesse pubblico.

Di conseguenza, la pubblicazione di trascrizioni di intercettazioni telefoniche, che porti alla divulgazione non soltanto di dati essenziali e indispensabili per informare i cittadini sulle indagini in corso ma anche di elementi e aspetti della vita privata di persone non coinvolte direttamente nel fatto di cronaca, è da ritenersi illegittima.

In tal caso, il giornalista non può essere punito a titolo di pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale ma rischia di incorrere nelle sanzioni disciplinari dell’Ordine dei giornalisti e nei provvedimenti impeditivi e sanzionatori del Garante della privacy.

In caso di violazione delle norme del codice deontologico, l’Ordine dei giornalisti può, infatti, avviare procedimenti disciplinari nei confronti dei suoi iscritti.

Le sanzioni disciplinari, previste dalla legge n. 69/1963 sull’ordinamento della professione giornalistica, sono l’avvertimento, la censura, la sospensione dall’esercizio professionale e, nei casi più gravi, la radiazione.

D’altro canto, il Garante per la protezione dei dati personali può, in caso di violazione delle prescrizioni contenute nel codice di deontologia, prescrivere le misure opportune o necessarie per rendere il trattamento conforme alle disposizioni vigenti in materia di privacy e può disporre il blocco o vietare, in tutto o in parte, il trattamento che risulta illecito o non corretto. In caso di ulteriore inadempimento da parte del giornalista, si configura il reato di “Inosservanza dei provvedimenti del Garante” (articolo 170 decreto legislativo n. 196/2003).

In conformità a tali compiti, il Garante ha emanato il Provvedimento 21 giugno 2006 (Gazzetta Ufficiale n. 147 del 27 giugno 2006), con il quale è stato prescritto ai titolari del trattamento in ambito giornalistico (editori) di adeguare immediatamente i trattamenti di dati personali relativi alla pubblicazione di trascrizioni di intercettazioni telefoniche a tutti i principi affermati dal Codice sulla privacy e dal Codice deontologico.

Nel provvedimento suddetto, il Garante ha sottolineato l’esigenza del rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali delle diverse persone coinvolte dalle predette pubblicazioni, con particolare riferimento alla loro riservatezza, dignità ed identità personale, nonché al diritto fondamentale alla protezione dei relativi dati personali.

Anche se è configurabile un interesse pubblico alla conoscenza dettagliata di fatti, secondo il Garante, “si pone con seria evidenza la necessità di assicurare, con immediatezza e su un piano generale, un’adeguata tutela dei diritti di soggetti coinvolti dalla pubblicazione pressoché integrale di innumerevoli brani di conversazioni telefoniche, intercorse anche con terzi estranei ai fatti oggetto di indagine penale o che non risultano allo stato indagati, o brani che riguardano in ogni caso diverse relazioni personali o familiari o, ancora, persone semplicemente lese dai fatti”.

Accade di frequente, infatti, che i giornalisti mettano a disposizione dell’opinione pubblica un vasto materiale di documentazione di conversazioni telefoniche senza un’adeguata selezione e valutazione, anche se non vengono violate le norme sul segreto e sul divieto di pubblicazione.

Tale materiale, oltre a non risultare sempre essenziale per una doverosa informazione dell’opinione pubblica, può favorire anche una percezione inesatta di fatti, circostanze e relazioni interpersonali.

Il Garante ribadisce, nel predetto documento, i principi stabiliti dal Codice deontologico, secondo il quale:

a) è garantito al giornalista il diritto all’informazione su fatti di interesse pubblico ma nel rispetto dell’essenzialità dell’informazione;

b) è necessario evitare riferimenti a congiunti o ad altri soggetti non interessati ai fatti;

c) è indispensabile rispettare la dignità e la sfera sessuale delle persone.

Pertanto l’indiscriminata pubblicazione di trascrizioni di intercettazioni di numerose conversazioni telefoniche, specie quando finisce per suscitare la curiosità del pubblico su aspetti intimi e privati, senza rispondere integralmente ad un’esigenza di giustificata informazione su vicende di interesse pubblico, può configurare una violazione delle disposizioni del Codice sulla privacy e della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, i quali contemperano il diritto al rispetto della vita privata e familiare con il diritto alla libertà di espressione.

Il disegno di legge sulle intercettazioni telefoniche e ambientali e pubblicità degli atti di indagine, esaminato ed approvato dalla Camera dei deputati nella seduta del 17 aprile 2007, modifica il comma V dell’articolo 139 del decreto legislativo n. 196/2003, richiamando, in caso di violazioni delle prescrizioni del codice di deontologia, una nuova ipotesi di violazione amministrativa: “Illeciti per finalità giornalistiche” (articolo 164 bis Codice sulla privacy).

In applicazione di tale disposizione, il Garante per la protezione dei dati personali, se accerta la violazione, può condannare l’editore alla sanzione amministrativa della “pubblicazione, nella testata attraverso la quale è stata commessa la violazione nonché, ove ritenuto necessario, anche in altre testate, della decisione che accerta la violazione, per intero o per estratto, ovvero di una dichiarazione riassuntiva della medesima violazione. La pubblicazione è effettuata, secondo le modalità indicate dall’ordinanza, a spese dei responsabili”.

E’ prevista, pertanto, una nuova tutela a favore di coloro che subiscono una violazione della privacy, a seguito di pubblicazione di intercettazioni.

Tuttavia, la sanzione amministrativa di illeciti per finalità giornalistiche si inserisce in sistema sanzionatorio già particolarmente articolato e complesso.

Il Garante ha, infatti, già diversi poteri di intervento in caso di violazione della privacy ed anche l’Ordine dei giornalisti può, dal canto suo, comminare sanzioni disciplinari ai giornalisti che, pubblicando intercettazioni in maniera indiscriminata, violino la privacy.

Per queste ragioni, sono numerose le opinioni che, soprattutto dal mondo dell’informazione, esprimono tutta la loro preoccupazione per un disegno di legge che potrebbe rivelarsi di ostacolo alla libertà di informazione, costituzionalmente garantita e base della democrazia del Paese.