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Il patto leonino nelle società di capitali

1. L’identità di ratio dei due divieti.

2. Il divieto del patto leonino e il nuovo comma IV dell’articolo 2346 Codice Civile.

1. L’identità di ratio dei due divieti.

L’esegesi del divieto del patto leonino inizia con il proposito di specificare il fondamento delle due disposizioni enunciate dall’articolo 2265 Codice Civile che sanciscono, rispettivamente, la nullità della clausola di esclusione dei soci dalla partecipazione agli utili e la nullità del patto di esenzione dei medesimi dalla sopportazione delle perdite.

L’individuazione della ratio dei due precetti stabiliti dall’articolo 2265 Codice Civile divide la dottrina in due posizioni che si rivelano in antitesi in ordine al riconoscimento del fondamento dei due divieti enunciati dal legislatore nella norma che è oggetto di esame.

La disparità d’opinioni tra i giuristi si manifesta sin dall’entrata in vigore dell’abrogato codice civile che con la disposizione 1719 Codice Civile statuisce la nullità sia della clausola che priva i soci della fruizione degli utili, sia di quella che esime i membri della compagine sociale dalla sopportazione delle perdite.

La concordanza d’opinioni tra gli autori si palesa per quanto concerne la definizione della ratio del divieto di esenzione dei soci dalla partecipazione agli utili.

La dottrina ritiene che la previsione della necessità che ciascuno dei soci partecipi agli utili deriva dalla definizione della società dettata dal legislatore nell’articolo 2247 Codice Civile.

La norma, infatti, precisa gli elementi essenziali della causa del contratto di società tra i quali annovera lo scopo di lucro.

Ne consegue che la partecipazione agli utili da parte dei soci è imposta dalla causa del contratto di società; con il corollario che il divieto del patto di esclusione dei medesimi dalla fruizione dei guadagno rinviene la propria ratio nell’elemento costitutivo della causa del negozio di società rappresentato dallo scopo di lucro.

Il contrasto tra le due correnti della dottrina emerge in merito alla individuazione del fondamento del divieto di esonero dei soci dalla partecipazione alle perdite.

Una parte degli autori afferma la diversità della ratio delle due proibizioni enunciate dall’articolo 2265 Codice Civile assegnando al divieto del patto di esenzione dalle perdite il significato di norma diretta a reprimere gli intenti di sopraffazione da parte di qualcuno fra i soci a danno degli altri.

La clausola viene equiparata da questa parte della dottrina ad una <<pattuizione usuraria>> e la ratio della sanzione dell’invalidità comminata dal legislatore è specificata nel fine di rispettare il principio dell’equivalenza delle prestazioni che caratterizza i contratti sinallagmatici.

La società viene, pertanto, definita come un contratto con prestazioni corrispettive nel quale è ravvisabile uno scambio fra le prestazioni dei soci.

La spiegazione della ratio del divieto del patto di esenzione dei soci dalle perdite attraverso l’asserto dell’esigenza del rispetto dell’equità fra le prestazioni degli stessi non chiarisce, tuttavia, perchè il legislatore deduca dalla violazione dell’articolo 2265 Codice Civile degli effetti che non si riscontrano nelle fattispecie che si fondano nell’osservanza del principio dell’equilibrio fra le prestazioni delle parti.

La nullità comminata dall’articolo 2265 Codice Civile implica l’imprescrittibilità dell’azione (articolo 1422 Codice Civile), l’inammissibilità della convalida (articolo 1423 Codice Civile), la possibilità di far valere la nullità da chiunque vi abbia interesse nonché la rilevabilità di quest’ultima d’ufficio da parte del giudice (articolo 1421 Codice Civile).

Per quanto concerne le fattispecie soggette all’ambito di operatività del principio dell’equivalenza delle prestazioni, invece, il rimedio scelto dal legislatore a tutela dell’equità della contrattazione è costituito dalla rescissione per lesione: dall’applicazione di questo istituto discendono conseguenze che diffferiscono rispetto a quelle derivanti dalla comminazione della sanzione della nullità del contratto.

L’azione di rescissione si prescrive in un anno dalla data della conclusione del contratto (articolo 1449, primo comma, Codice Civile), la rescindibilità del contratto non può essere rilevata d’ufficio ma è onere del contraente che ha stipulato in stato di pericolo (articolo 1447, primo comma, Codice Civile) o di bisogno (articolo 1448, primo comma, Codice Civile) esperire l’azione di rescissione; tuttavia anche il contratto rescindibile, come quello nullo, non ammette la convalida(articolo 1451 Codice Civile).

In particolar modo, una parte della dottrina sottolinea che l’imprescrittibilità dell’azione di nullità, la rilevabilità d’ufficio e l’attribuzione della legittimazione all’esercizio dell’azione a chiunque vi abbia interesse non rispondono alla necessità di tutelare gli interessi della parte danneggiata dall’inserimento della clausola di esenzione dalla partecipazione alle perdite nel contratto di società.

I menzionati effetti dell’azione di nullità testimoniano, piuttosto, che il legislatore, scegliendo di prescrivere la sanzione della nullità per la violazione dell’articolo 2265 Codice Civile, si pone il fine di tutelare << interessi di carattere generale>> connessi alla riconduzione del divieto alla causa del contratto di società.

Questi interessi si identificano nell’esigenza, da parte dell’ordinamento, di garantire che la gestione dell’attività di impresa miri a recare vantaggio alla produttività del sistema economico.

La tesi della diversità del fondamento dei due divieti comminati dall’articolo 2265 Codice Civile è confutabile altresì argomentando che la società viene collocata dalla maggioranza della dottrina nella categoria dei contratti plurilaterali con comunione di scopo a rilevanza esterna, o in quella dei contratti associativi, nei quali non sussiste un necessario rapporto di corrispettività fra le prestazioni dei singoli soci.

La classificazione della società all’interno di una delle due fattispecie sopra ricordate, nonché la previsione della sanzione della nullità del patto leonino ex articolo 2265 Codice Civile, escludono l’applicabilità della rescissione per lesione al contratto di società al quale sia apposta la clausola di esonero dei soci dalla sopportazione delle perdite.

L’impossibilità di estendere al patto che viola il divieto di esclusione della partecipazione dei soci alle perdite la disciplina dettata dall’articolo 1448 Codice Civile comporta l’affermazione che la ratio della proibizione in esame non si fonda o, almeno, non si fonda soltanto, nella finalità di rispettare il principio della corrispondenza fra le prestazioni dei soci.

L’inapplicabilità alla fattispecie in oggetto dell’istituto della rescissione per lesione discende dall’insussistenza dei presupposti per l’utilizzo della disciplina prevista dall’articolo 1448 Codice Civile nel contratto di società munito della clausola di immunità dei soci dalla partecipazione alle perdite.

L’assunto trova riscontro nell’esegesi del testo dell’articolo 2265 Codice Civile che non accenna all’elemento soggettivo della consapevolezza dell’ <<approfittamento>> dello stato di bisogno della parte dal quale si vuol trarre vantaggio.

E’ possibile, inoltre, riscontrare che la sanzione della nullità, comminata dalla norma, colpisce non la semplice sproporzione bensì il difetto della partecipazione del socio alle perdite.

La disposizione ammette dunque la possibilità della sussistenza della sproporzione fra il conferimento e la partecipazione ai risultati dell’attività di impresa senza precisarne l’entità.

Al fine di avallare quanto è stato affermato, si può addurre il fatto che nel contratto di società, collocato nella categoria dei contratti associativi, manca, come riportato in precedenza, il rapporto di corrispettività tra le prestazioni dei soci, le quali possono non essere equipollenti, ovvero possono presentare diversità di contenuto e di valore.

Per completezza d’analisi va rilevato che, in antitesi ai giuristi che circoscrivono l’uso dell’istituto della rescissione alla categoria dei contratti di scambio, si erge quella parte della dottrina che ritiene applicabile quest’ultimo anche ai contratti associativi.

In particolar modo, si ritiene che nel contratto di società il nesso di corrispettività sorge fra l’obbligo del conferimento assunto dal socio ed i suo diritto di partecipazione ai risultati della gestione e che la sussistenza dello scambio fra la prestazione del socio e quella della società giustifica il ricorso all’articolo 1448 Codice Civile.

Alcuni autori, tuttavia, restringono l’estensione della disciplina generale dei contratti alla fase genetica della formazione della società, ossia al momento della stipulazione del contratto di società da parte dei soci o approvano il ricorso all’articolo 1448 Codice Civile qualora l’attività sociale non sia iniziata.

La dottrina stima che, nelle due ipotesi sopra addotte, la motivazione dell’ammissibilità della rescissione risiede nella circostanza che nel momento della stipulazione del contratto di società, volto a creare una struttura di durata quale è quella imprenditoriale, i soci si limitano a definire l’assetto organizzativo della società ed i rapporti intercorrenti tra di loro.

Il difetto dell’esercizio dell’attività sociale, inoltre, non determina quell’esigenza di tutelare l’affidamento dei terzi che, a giudizio di questi autori, comporta il ricorso alla disciplina societaria con esclusione dell’applicabilità dell’istituto della rescissione nella fase di attuazione del contratto.

Anche ammettendo l’applicabilità della rescissione ai contratti associativi, ciò non toglie che permane l’impossibilità di estendere l’ambito di operatività dell’articolo 1448 Codice Civile al contratto di società munito del patto di esonero dei soci dalla partecipazione alle perdite qualora nella fattispecie in oggetto siano insussistenti i requisiti dello stato di bisogno, della consapevolezza di voler trarne vantaggio e della lesione ultra dimidium.

La spiegazione dell’istituto della società come contratto plurilaterale con comunione di scopo e più precisamente come contratto associativo consente di sostenere la tesi dell’identità del fondamento di entrambe le proibizioni disposte dall’articolo 2265 Codice Civile mediante l’analisi della funzione assunta dal conferimento.

Nel contratto di società il rapporto di sinallagmaticità si stabilisce fra l’obbligo di eseguire il conferimento, imposto dalla nozione di società ex articolo 2247 Codice Civile, e il corrispondente diritto agli utili ed alla quota di liquidazione del patrimonio netto ex articolo 2350 Codice Civile.

La prestazione del conferimento attribuisce al socio la titolarità in senso economico di una quota del patrimonio sociale con la conseguenza che il valore di quest’ultima è soggetto alle perdite che incidono sul patrimonio sociale nel corso dell’attività di impresa.

Qualora le attività effettive risultino inferiori alla somma delle passività effettive e del capitale sociale, costituito dall’insieme dei conferimenti eseguiti dai soci, si verifica una perdita di quest’ultimo con la conseguenza che le quote dei soci riflettono una riduzione di valore rispetto a quello dei conferimenti da loro apportati in sede di adesione alla società.

E’ lecito affermare, pertanto, che la partecipazione alle perdite da parte dei soci rappresenta la perdita del capitale che hanno investito, la quale, a sua volta, si realizza in conseguenza della contitolarità in senso economico del patrimonio sociale da parte degli stessi.

L’affermazione scritta sopra può trovare riscontro nella disciplina dettata dall’articolo 2350, primo comma, Codice Civile.

In sede di liquidazione della società ai soci viene negato il rimborso del conferimento versato qualora il valore del patrimonio netto sia negativo, cioè quando le passività superano le attività, poiché le perdite hanno superato l’ammontare del capitale sociale.

La sussistenza della partecipazione dei soci alle perdite, causata dalla contitolarità da parte degli stessi del capitale sociale, può essere dedotta anche dalla <<funzione di garanzia>> delle obbligazioni della società che contraddistingue il patrimonio sociale ai sensi dell’articolo 2740 Codice Civile.

Quest’ultima disposizione trova applicazione con riferimento alle società di capitali con il corollario che, in virtù del principio della personalità giuridica e della autonomia patrimoniale delle medesime, dei debiti della società risponde solo il patrimonio della stessa.

In considerazione della circostanza che il fondo patrimoniale è costituito dall’insieme dei conferimenti versati dai soci, la decurtazione del valore del patrimonio sociale, causata dall’estinzione dei debiti, produce la diminuzione del valore delle quote del capitale sociale possedute dai soci rispetto a quello dei conferimenti apportati dagli stessi in sede di adesione alla società.

Con riferimento alle riflessioni che precedono nonché al fatto che il conferimento costituisce un requisito della causa del contratto di società ex articolo 2247 Codice Civile, è possibile affermare che la partecipazione alle perdite, quale conseguenza dell’apporto del conferimento, deriva dalla causa del contratto di società.

Il corollario della suddetta affermazione risiede nel poter affermare l’identità del fondamento di entrambe le proibizioni enunciate dall’articolo 2265 Codice Civile.

Alla medesima conclusione si perviene anche argomentando a partire dalla definizione della società fornita da quella parte della dottrina che pone tra gli elementi essenziali dell’istituto il dovere della cooperazione da parte dei soci nella costituzione del patrimonio sociale.

L’obbligo della collaborazione dei soci nella formazione del fondo patrimoniale comporta il dovere da parte degli stessi di effettuare il conferimento al fine di realizzare lo scopo-mezzo, rappresentato, a sua volta, dalla creazione del fondo patrimoniale che è necessario per l’esercizio dell’attività della società.

Le osservazioni redatte in merito agli effetti causati dalla contitolarità da parte dei soci del capitale sociale consentono di affermare che dalla comunione dei mezzi patrimoniali da parte dei soci, imposta dal dovere di collaborazione, discende la comunanza dei vantaggi e dei rischi prodotti dall’attività di impresa.

Con riferimento alle riflessioni compiute è possibile, altresì, sostenere che l’imputazione al gruppo dei soci del risultato dell’attività di gestione rinviene il proprio fondamento nella causa del contratto di società anche qualora si argomenti dall’elemento essenziale di quest’ultima rappresentato, a sua volta, dalla << comunanza dell’esercizio >>.

L’esposta conclusione è motivata dal fatto che l’attuazione dell’ << esercizio in comune >> presuppone la collaborazione da parte dei soci nella formazione del fondo patrimoniale.

Si ripropongono, pertanto, le considerazioni in precedenza svolte che ineriscono al dovere di collaborazione dei soci nella costituzione del patrimonio sociale e al concetto di contitolarità del capitale sociale da parte degli stessi.

2. Il divieto del patto leonino e il nuovo comma IV dell’articolo 2346 Codice Civile.

Le riflessioni compiute devono essere coordinate con l’esegesi del quarto comma dell’articolo 2346 Codice Civile.

L’introduzione della disposizione in oggetto, attuata in conformità a quanto previsto dal quinto comma dell’articolo 4 della legge delega n. 366/2001, pone dei problemi che incidono sul concetto di partecipazione sociale.

Le questioni sollevate dalla dottrina in sede di esegesi della disposizione inducono gli autori a tentare di precisare la portata della disciplina introdotta dalla norma in esame.

A tale riguardo, la dottrina è divisa, rispettivamente, tra gli autori che negano e gli interpreti che riconoscono l’attribuzione di azioni al socio non conferente.

Gli autori che sostengono la prima delle due posizioni citate, affermano l’impossibilità dell’assegnazione delle azioni al socio non conferente, asserendo che, nell’ipotesi in oggetto, l’attribuzione delle azioni si pone in contrasto con l’articolo 2247 Codice Civile il quale, a sua volta, impone l’erogazione del conferimento per il conseguimento della titolarità di una quota del capitale sociale e della qualità di socio.

La negazione dell’attribuzione delle azioni al socio non conferente viene, altresì, provata con l’affermazione dell’esigenza di rispettare il principio della parità di trattamento fra i soci.

In merito a quest’ultimo aspetto, una parte della dottrina sottolinea che l’introduzione della disposizione in esame esprime la scelta da parte del legislatore di trasformare in una regola dispositiva il principio di parità di trattamento fra i soci.

Il riconoscimento da parte di altri interpreti della possibilità dell’esistenza di soci non conferenti pone, a sua volta, il problema di giustificare la partecipazione di questi ultimi agli utili e alle perdite che incidono sul valore contabile delle azioni a loro assegnate.

Si rende necessario verificare se, in relazione alle ipotesi che possono essere concretizzate in seguito alla modifica dell’articolo 2346 Codice Civile, permane, o meno la possibilità di affermare che la ratio del divieto di esenzione dalla partecipazione alle perdite risiede nell’elemento essenziale della causa del contratto di società rappresentato dal concetto di conferimento.

Le obiezioni che vengono sollevate contro l’impossibilità per il beneficiario non conferente di assumere la qualità di socio muovono dalla considerazione che l’accoglimento di un’interpretazione restrittiva dell’articolo 2247 Codice Civile conduce nella prassi all’attuazione di comportamenti diretti ad eludere la disposizione.

Le parti, infatti, per aggirare l’ostacolo posto dalla necessità dell’erogazione del conferimento, richiesta al fine di acquisire l’assegnazione delle azioni, potrebbero essere indotte a versare dei conferimenti pari a cifre di poco valore, o ad effettuare la liberazione di una sola azione.

Con riferimento a quanto sopra, gli autori indicano, tra i casi in cui le parti sono indotte ad avvalersi dell’uso dell’articolo 2346, quarto comma, Codice Civile, le ipotesi nelle quali la distribuzione non proporzionale venga scelta dai soci per regolare dei rapporti intercorsi tra gli stessi in sede extrasociale.

Il limite alla legittimità del trasferimento fra i soci della proprietà delle azioni per motivazioni extrasociali viene individuato dalla dottrina nel rispetto dell’articolo 2041 Codice Civile.

Ad esempio, un socio, per estinguere un debito contratto con uno fra gli altri soci, può stipulare una convenzione con il suo creditore che prevede il trasferimento delle azioni che egli riceve a fronte del suo conferimento a vantaggio di quest’ultimo che così acquisisce le azioni senza effettuare alcun conferimento.

La stessa giurisprudenza, anteriormente all’entrata in vigore della normativa di riforma del diritto delle società, ammetteva la possibilità che i soci con un patto parasociale trasferissero delle azioni in favore di alcuni fra i soci a fronte del versamento di un corrispettivo compiuto dai secondi nei riguardi dei soci che cedevano le azioni.

La Corte di Cassazione precisava, inoltre, che tale patto non configurava una violazione dell’articolo 2265 Codice Civile in quanto si trattava di un contratto di scambio intervenuto tra i soci che era privo di ogni intento associativo.

La liberazione delle azioni in favore del socio non conferente può trovare luogo, secondo una parte degli autori, anche al fine di attuare la remunerazione del socio beneficiario per il compimento delle prestazioni accessorie ex articolo 2345, primo comma, Codice Civile.

In quest’ultimo caso, il compenso per il socio viene stabilito attraverso la rinuncia da parte di alcuni fra i soci alle azioni che spetterebbero agli stessi in base al conferimento che ciascuno di loro ha versato al momento dell’adesione al contratto di società.

L’operazione descritta non comporta una violazione dell’ultimo comma dell’articolo 2342 Codice Civile che prevede il divieto dei conferimenti aventi ad oggetto delle prestazioni d’opera, o di servizi, al fine di assicurare l’integrità del capitale sociale della s.p.a..

Una parte della dottrina sottolinea che la difficoltà di valutare in modo attendibile ed oggettivo le suddette prestazioni non consente alla s.p.a. la loro effettiva acquisizione al fine della formazione del capitale sociale.

Ne consegue che, a fronte delle prestazioni d’opera, o di servizi, la s.p.a. può emettere degli strumenti finanziari diversi dalle azioni ai sensi dell’articolo 2346, sesto comma, Codice Civile, o delle azioni con prestazioni accessorie ex articolo 2345 Codice Civile.

La liberazione delle azioni da parte dei soci che hanno versato un conferimento avente ad oggetto del denaro in favore del socio beneficiario delle azioni che compie delle prestazioni d’opera, o di servizi, non lede l’integrità del capitale sociale dal momento che quest’ultima è assicurata dal versamento del conferimento avente ad oggetto del denaro da parte dei primi.

La causa del trasferimento della proprietà delle azioni in favore del socio non conferente può consistere anche in un atto di liberalità del conferente a favore del non conferente, comportando, in tal modo, l’esistenza di un conferente che non diviene socio e di un non conferente che diviene socio.

L’atto di liberalità che prevede l’assegnazione delle azioni al socio non conferente viene configurato da una parte della dottrina come una donazione indiretta, in quanto il versamento del conferimento, attuato dal donante, viene registrato in favore della società con l’indicazione del socio beneficiario dell’assegnazione delle azioni.

Con riferimento all’osservazione esposta sopra, si rammenta la possibilità di effettuare un conferimento indiretto come quando, ad esempio, il conferimento viene versato alla società da un terzo a vantaggio di un beneficiario che consegue, pertanto, l’assegnazione delle azioni.

Tale ipotesi può ricorrere se le parti, per estinguere un debito intercorso fra di loro, stipulano una convenzione che prevede che il debitore paghi alla società, in favore del creditore, il conferimento che è necessario affinché il secondo possa entrare a fare parte della società.

Secondo una parte della dottrina, l’applicazione del comma quarto dell’articolo 2346 Codice Civile nelle fattispecie riportate non comporterebbe l’impossibilità dell’attribuzione della qualificazione di socio a colui che beneficia dell’assegnazione delle azioni non attuando il conferimento.

Al risultato espresso sopra, la dottrina perviene analizzando il significato dell’elemento essenziale del conferimento previsto dall’articolo 2247 Codice Civile.

In ordine a quest’ultimo aspetto, viene sottolineato che lo scopo del versamento del conferimento consiste nel permettere la costituzione del capitale sociale.

Il fondo patrimoniale svolge, a sua volta, le funzioni di assicurare lo svolgimento dell’attività di impresa e di garantire i creditori sociali in merito all’adempimento delle obbligazioni contratte dalla società.

Una parte della dottrina sottolinea che, per la costituzione del capitale sociale, non è richiesto che il conferimento sia erogato dal beneficiario delle azioni.

Viene asserito che la finalità, assicurata dal fondo patrimoniale, di garantire l’adempimento delle obbligazioni sociali viene soddisfatta nel momento nel quale si concretizza il fatto del pagamento del conferimento che concorre, a sua volta, nella formazione del patrimonio della società ed il versamento del conferimento può essere, pertanto, attuato sia del socio che diviene titolare delle azioni, sia da una persona diversa da quest’ultimo.

Ne consegue che la qualità di socio può essere acquistata dal beneficiario non conferente in seguito al pagamento del conferimento compiuto a vantaggio di quest’ultimo da parte di un terzo.

Ad avallo dell’affermazione esposta, gli interpreti sostengono sia che l’articolo 2328 Codice Civile richiede che l’atto costitutivo menzioni l’ammontare del capitale sociale ed il numero delle azioni spettanti a ciascun azionista, sia che manca una disposizione che prevede l’obbligo per ciascuno dei soci di s.p.a. di pagare il conferimento.

Le osservazioni svolte in merito all’acquisizione della qualità di socio in seguito al pagamento del conferimento a vantaggio del beneficiario delle azioni da parte del terzo, trovano applicazione, secondo il parere di una parte della dottrina, sia nell’ipotesi dell’attribuzione delle azioni da un socio ad un altro fra i soci per motivi extrasociali, sia nel caso della assegnazione delle azioni attuata dai soci al fine di remunerare il socio che compie delle prestazioni accessorie, sia nella ipotesi in cui le azioni sono assegnate al conferente atipico che riceve come corrispettivo del suo conferimento atipico solo degli strumenti finanziari diversi dalle azioni, al fine di consentirgli, divenendo socio, di esercitare il diritto di voto.

Anche nelle fattispecie suddette, secondo il parere degli autori, la motivazione della sussistenza della qualità di socio in colui che beneficia delle azioni risiede nella funzione di garanzia assunta dal capitale sociale.

Come è stato esposto in precedenza, quest’ultima non rende rilevante che il pagamento del conferimento sia compiuto da parte d colui che diviene il titolare delle azioni.

Ne consegue che l’erogazione del conferimento può essere attuata dai soci che si risolvono ad assegnare le azioni al socio beneficiario non conferente.

L’interpretazione del concetto di conferimento, fornita dalla dottrina, si fonda su di un’esegesi dell’articolo 2247 Codice Civile che non viene limitata al testo della norma ma che considera, altresì, i principi di diritto societario inerenti alla funzione del fondo patrimoniale che spingono alla necessità della esistenza del conferimento.

Con riferimento a quest’ultimo aspetto, ciò che rileva affinché sia rispettata la funzione del conferimento, quale elemento atto a garantire la sussistenza del patrimonio sociale in funzione della garanzia delle obbligazioni sociali, è la permanenza del conferimento, nonostante il trasferimento delle azioni che in origine hanno causato il pagamento dello stesso.

La precisazione compiuta in merito al concetto di conferimento trova conferma, secondo gli autori, nello stesso comma quinto dell’articolo 2346 Codice Civile che enuncia il principio della << effettiva formazione del capitale sociale >>, specificando che << in nessun caso il valore dei conferimenti può essere complessivamente inferiore all’ammontare globale del capitale sociale >>.

E’ possibile osservare che nelle fattispecie esaminate si attua il passaggio da un socio all’altro della quota del capitale sociale, espressa dalle azioni trasferite, senza che venga meno, o diminuisca, il valore del conferimento pagato in origine per l’acquisto delle azioni che sono assegnate al beneficiario non conferente.

Non si realizza, quindi, la produzione di una decurtazione dell’entità del valore espresso dal capitale sociale che, qualora si verificasse, determinerebbe, a sua volta, la menomazione della funzione di garanzia delle obbligazioni sociali svolta dal patrimonio sociale e la lesione del concetto di conferimento ex articolo 2247 Codice Civile.

Ne consegue che l’applicazione nei casi in concreto della disciplina dettata dall’articolo 2346 Codice Civile non contrasta con l’articolo 2247 Codice Civile.

Nelle fattispecie analizzate, secondo la dottrina, non si registra l’alterazione delle funzioni assolte dal concetto di conferimento che sono richieste sia per l’esistenza della causa del contratto di società, sia per la sussistenza della causa della partecipazione del socio.

L’esegesi del concetto d conferimento e la specificazione della funzione da esso svolta, proposte dalla dottrina mediante l’esposta interpretazione degli articoli 2346 Codice Civile e 2247 Codice Civile, consentirebbero di affermare che anche nelle ipotesi prospettate dal quarto comma dell’articolo 2346 Codice Civile sussiste la possibilità di attribuire la qualità di socio al beneficiario dell’assegnazione delle azioni non conferente.

Nei casi esaminati, nei quali viene attuata una distribuzione ai soci delle azioni in misura non proporzionale ai conferimenti effettuati dagli stessi, si possono riscontrare delle ragioni che conducono ad individuare la giustificazione della ratio del divieto del patto leonino nella causa del contratto di società ex articolo 2247 Codice Civile.

La motivazione della specificazione del fondamento dell’articolo 2265 Codice Civile nella causa del contratto di società anche nelle suddette ipotesi potrebbe essere dedotta dalle argomentazioni compiute dalla dottrina.

Queste ultime sottolineano che non è necessario che sia il titolare delle azioni ad erogare il conferimento affinché quest’ultimo possa garantire l’adempimento della funzione assegnatagli dal legislatore ex articolo 2247 Codice Civile.



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1. L’identità di ratio dei due divieti.

2. Il divieto del patto leonino e il nuovo comma IV dell’articolo 2346 Codice Civile.

1. L’identità di ratio dei due divieti.

L’esegesi del divieto del patto leonino inizia con il proposito di specificare il fondamento delle due disposizioni enunciate dall’articolo 2265 Codice Civile che sanciscono, rispettivamente, la nullità della clausola di esclusione dei soci dalla partecipazione agli utili e la nullità del patto di esenzione dei medesimi dalla sopportazione delle perdite.

L’individuazione della ratio dei due precetti stabiliti dall’articolo 2265 Codice Civile divide la dottrina in due posizioni che si rivelano in antitesi in ordine al riconoscimento del fondamento dei due divieti enunciati dal legislatore nella norma che è oggetto di esame.

La disparità d’opinioni tra i giuristi si manifesta sin dall’entrata in vigore dell’abrogato codice civile che con la disposizione 1719 Codice Civile statuisce la nullità sia della clausola che priva i soci della fruizione degli utili, sia di quella che esime i membri della compagine sociale dalla sopportazione delle perdite.

La concordanza d’opinioni tra gli autori si palesa per quanto concerne la definizione della ratio del divieto di esenzione dei soci dalla partecipazione agli utili.

La dottrina ritiene che la previsione della necessità che ciascuno dei soci partecipi agli utili deriva dalla definizione della società dettata dal legislatore nell’articolo 2247 Codice Civile.

La norma, infatti, precisa gli elementi essenziali della causa del contratto di società tra i quali annovera lo scopo di lucro.

Ne consegue che la partecipazione agli utili da parte dei soci è imposta dalla causa del contratto di società; con il corollario che il divieto del patto di esclusione dei medesimi dalla fruizione dei guadagno rinviene la propria ratio nell’elemento costitutivo della causa del negozio di società rappresentato dallo scopo di lucro.

Il contrasto tra le due correnti della dottrina emerge in merito alla individuazione del fondamento del divieto di esonero dei soci dalla partecipazione alle perdite.

Una parte degli autori afferma la diversità della ratio delle due proibizioni enunciate dall’articolo 2265 Codice Civile assegnando al divieto del patto di esenzione dalle perdite il significato di norma diretta a reprimere gli intenti di sopraffazione da parte di qualcuno fra i soci a danno degli altri.

La clausola viene equiparata da questa parte della dottrina ad una <<pattuizione usuraria>> e la ratio della sanzione dell’invalidità comminata dal legislatore è specificata nel fine di rispettare il principio dell’equivalenza delle prestazioni che caratterizza i contratti sinallagmatici.

La società viene, pertanto, definita come un contratto con prestazioni corrispettive nel quale è ravvisabile uno scambio fra le prestazioni dei soci.

La spiegazione della ratio del divieto del patto di esenzione dei soci dalle perdite attraverso l’asserto dell’esigenza del rispetto dell’equità fra le prestazioni degli stessi non chiarisce, tuttavia, perchè il legislatore deduca dalla violazione dell’articolo 2265 Codice Civile degli effetti che non si riscontrano nelle fattispecie che si fondano nell’osservanza del principio dell’equilibrio fra le prestazioni delle parti.

La nullità comminata dall’articolo 2265 Codice Civile implica l’imprescrittibilità dell’azione (articolo 1422 Codice Civile), l’inammissibilità della convalida (articolo 1423 Codice Civile), la possibilità di far valere la nullità da chiunque vi abbia interesse nonché la rilevabilità di quest’ultima d’ufficio da parte del giudice (articolo 1421 Codice Civile).

Per quanto concerne le fattispecie soggette all’ambito di operatività del principio dell’equivalenza delle prestazioni, invece, il rimedio scelto dal legislatore a tutela dell’equità della contrattazione è costituito dalla rescissione per lesione: dall’applicazione di questo istituto discendono conseguenze che diffferiscono rispetto a quelle derivanti dalla comminazione della sanzione della nullità del contratto.

L’azione di rescissione si prescrive in un anno dalla data della conclusione del contratto (articolo 1449, primo comma, Codice Civile), la rescindibilità del contratto non può essere rilevata d’ufficio ma è onere del contraente che ha stipulato in stato di pericolo (articolo 1447, primo comma, Codice Civile) o di bisogno (articolo 1448, primo comma, Codice Civile) esperire l’azione di rescissione; tuttavia anche il contratto rescindibile, come quello nullo, non ammette la convalida(articolo 1451 Codice Civile).

In particolar modo, una parte della dottrina sottolinea che l’imprescrittibilità dell’azione di nullità, la rilevabilità d’ufficio e l’attribuzione della legittimazione all’esercizio dell’azione a chiunque vi abbia interesse non rispondono alla necessità di tutelare gli interessi della parte danneggiata dall’inserimento della clausola di esenzione dalla partecipazione alle perdite nel contratto di società.

I menzionati effetti dell’azione di nullità testimoniano, piuttosto, che il legislatore, scegliendo di prescrivere la sanzione della nullità per la violazione dell’articolo 2265 Codice Civile, si pone il fine di tutelare << interessi di carattere generale>> connessi alla riconduzione del divieto alla causa del contratto di società.

Questi interessi si identificano nell’esigenza, da parte dell’ordinamento, di garantire che la gestione dell’attività di impresa miri a recare vantaggio alla produttività del sistema economico.

La tesi della diversità del fondamento dei due divieti comminati dall’articolo 2265 Codice Civile è confutabile altresì argomentando che la società viene collocata dalla maggioranza della dottrina nella categoria dei contratti plurilaterali con comunione di scopo a rilevanza esterna, o in quella dei contratti associativi, nei quali non sussiste un necessario rapporto di corrispettività fra le prestazioni dei singoli soci.

La classificazione della società all’interno di una delle due fattispecie sopra ricordate, nonché la previsione della sanzione della nullità del patto leonino ex articolo 2265 Codice Civile, escludono l’applicabilità della rescissione per lesione al contratto di società al quale sia apposta la clausola di esonero dei soci dalla sopportazione delle perdite.

L’impossibilità di estendere al patto che viola il divieto di esclusione della partecipazione dei soci alle perdite la disciplina dettata dall’articolo 1448 Codice Civile comporta l’affermazione che la ratio della proibizione in esame non si fonda o, almeno, non si fonda soltanto, nella finalità di rispettare il principio della corrispondenza fra le prestazioni dei soci.

L’inapplicabilità alla fattispecie in oggetto dell’istituto della rescissione per lesione discende dall’insussistenza dei presupposti per l’utilizzo della disciplina prevista dall’articolo 1448 Codice Civile nel contratto di società munito della clausola di immunità dei soci dalla partecipazione alle perdite.

L’assunto trova riscontro nell’esegesi del testo dell’articolo 2265 Codice Civile che non accenna all’elemento soggettivo della consapevolezza dell’ <<approfittamento>> dello stato di bisogno della parte dal quale si vuol trarre vantaggio.

E’ possibile, inoltre, riscontrare che la sanzione della nullità, comminata dalla norma, colpisce non la semplice sproporzione bensì il difetto della partecipazione del socio alle perdite.

La disposizione ammette dunque la possibilità della sussistenza della sproporzione fra il conferimento e la partecipazione ai risultati dell’attività di impresa senza precisarne l’entità.

Al fine di avallare quanto è stato affermato, si può addurre il fatto che nel contratto di società, collocato nella categoria dei contratti associativi, manca, come riportato in precedenza, il rapporto di corrispettività tra le prestazioni dei soci, le quali possono non essere equipollenti, ovvero possono presentare diversità di contenuto e di valore.

Per completezza d’analisi va rilevato che, in antitesi ai giuristi che circoscrivono l’uso dell’istituto della rescissione alla categoria dei contratti di scambio, si erge quella parte della dottrina che ritiene applicabile quest’ultimo anche ai contratti associativi.

In particolar modo, si ritiene che nel contratto di società il nesso di corrispettività sorge fra l’obbligo del conferimento assunto dal socio ed i suo diritto di partecipazione ai risultati della gestione e che la sussistenza dello scambio fra la prestazione del socio e quella della società giustifica il ricorso all’articolo 1448 Codice Civile.

Alcuni autori, tuttavia, restringono l’estensione della disciplina generale dei contratti alla fase genetica della formazione della società, ossia al momento della stipulazione del contratto di società da parte dei soci o approvano il ricorso all’articolo 1448 Codice Civile qualora l’attività sociale non sia iniziata.

La dottrina stima che, nelle due ipotesi sopra addotte, la motivazione dell’ammissibilità della rescissione risiede nella circostanza che nel momento della stipulazione del contratto di società, volto a creare una struttura di durata quale è quella imprenditoriale, i soci si limitano a definire l’assetto organizzativo della società ed i rapporti intercorrenti tra di loro.

Il difetto dell’esercizio dell’attività sociale, inoltre, non determina quell’esigenza di tutelare l’affidamento dei terzi che, a giudizio di questi autori, comporta il ricorso alla disciplina societaria con esclusione dell’applicabilità dell’istituto della rescissione nella fase di attuazione del contratto.

Anche ammettendo l’applicabilità della rescissione ai contratti associativi, ciò non toglie che permane l’impossibilità di estendere l’ambito di operatività dell’articolo 1448 Codice Civile al contratto di società munito del patto di esonero dei soci dalla partecipazione alle perdite qualora nella fattispecie in oggetto siano insussistenti i requisiti dello stato di bisogno, della consapevolezza di voler trarne vantaggio e della lesione ultra dimidium.

La spiegazione dell’istituto della società come contratto plurilaterale con comunione di scopo e più precisamente come contratto associativo consente di sostenere la tesi dell’identità del fondamento di entrambe le proibizioni disposte dall’articolo 2265 Codice Civile mediante l’analisi della funzione assunta dal conferimento.

Nel contratto di società il rapporto di sinallagmaticità si stabilisce fra l’obbligo di eseguire il conferimento, imposto dalla nozione di società ex articolo 2247 Codice Civile, e il corrispondente diritto agli utili ed alla quota di liquidazione del patrimonio netto ex articolo 2350 Codice Civile.

La prestazione del conferimento attribuisce al socio la titolarità in senso economico di una quota del patrimonio sociale con la conseguenza che il valore di quest’ultima è soggetto alle perdite che incidono sul patrimonio sociale nel corso dell’attività di impresa.

Qualora le attività effettive risultino inferiori alla somma delle passività effettive e del capitale sociale, costituito dall’insieme dei conferimenti eseguiti dai soci, si verifica una perdita di quest’ultimo con la conseguenza che le quote dei soci riflettono una riduzione di valore rispetto a quello dei conferimenti da loro apportati in sede di adesione alla società.

E’ lecito affermare, pertanto, che la partecipazione alle perdite da parte dei soci rappresenta la perdita del capitale che hanno investito, la quale, a sua volta, si realizza in conseguenza della contitolarità in senso economico del patrimonio sociale da parte degli stessi.

L’affermazione scritta sopra può trovare riscontro nella disciplina dettata dall’articolo 2350, primo comma, Codice Civile.

In sede di liquidazione della società ai soci viene negato il rimborso del conferimento versato qualora il valore del patrimonio netto sia negativo, cioè quando le passività superano le attività, poiché le perdite hanno superato l’ammontare del capitale sociale.

La sussistenza della partecipazione dei soci alle perdite, causata dalla contitolarità da parte degli stessi del capitale sociale, può essere dedotta anche dalla <<funzione di garanzia>> delle obbligazioni della società che contraddistingue il patrimonio sociale ai sensi dell’articolo 2740 Codice Civile.

Quest’ultima disposizione trova applicazione con riferimento alle società di capitali con il corollario che, in virtù del principio della personalità giuridica e della autonomia patrimoniale delle medesime, dei debiti della società risponde solo il patrimonio della stessa.

In considerazione della circostanza che il fondo patrimoniale è costituito dall’insieme dei conferimenti versati dai soci, la decurtazione del valore del patrimonio sociale, causata dall’estinzione dei debiti, produce la diminuzione del valore delle quote del capitale sociale possedute dai soci rispetto a quello dei conferimenti apportati dagli stessi in sede di adesione alla società.

Con riferimento alle riflessioni che precedono nonché al fatto che il conferimento costituisce un requisito della causa del contratto di società ex articolo 2247 Codice Civile, è possibile affermare che la partecipazione alle perdite, quale conseguenza dell’apporto del conferimento, deriva dalla causa del contratto di società.

Il corollario della suddetta affermazione risiede nel poter affermare l’identità del fondamento di entrambe le proibizioni enunciate dall’articolo 2265 Codice Civile.

Alla medesima conclusione si perviene anche argomentando a partire dalla definizione della società fornita da quella parte della dottrina che pone tra gli elementi essenziali dell’istituto il dovere della cooperazione da parte dei soci nella costituzione del patrimonio sociale.

L’obbligo della collaborazione dei soci nella formazione del fondo patrimoniale comporta il dovere da parte degli stessi di effettuare il conferimento al fine di realizzare lo scopo-mezzo, rappresentato, a sua volta, dalla creazione del fondo patrimoniale che è necessario per l’esercizio dell’attività della società.

Le osservazioni redatte in merito agli effetti causati dalla contitolarità da parte dei soci del capitale sociale consentono di affermare che dalla comunione dei mezzi patrimoniali da parte dei soci, imposta dal dovere di collaborazione, discende la comunanza dei vantaggi e dei rischi prodotti dall’attività di impresa.

Con riferimento alle riflessioni compiute è possibile, altresì, sostenere che l’imputazione al gruppo dei soci del risultato dell’attività di gestione rinviene il proprio fondamento nella causa del contratto di società anche qualora si argomenti dall’elemento essenziale di quest’ultima rappresentato, a sua volta, dalla << comunanza dell’esercizio >>.

L’esposta conclusione è motivata dal fatto che l’attuazione dell’ << esercizio in comune >> presuppone la collaborazione da parte dei soci nella formazione del fondo patrimoniale.

Si ripropongono, pertanto, le considerazioni in precedenza svolte che ineriscono al dovere di collaborazione dei soci nella costituzione del patrimonio sociale e al concetto di contitolarità del capitale sociale da parte degli stessi.

2. Il divieto del patto leonino e il nuovo comma IV dell’articolo 2346 Codice Civile.

Le riflessioni compiute devono essere coordinate con l’esegesi del quarto comma dell’articolo 2346 Codice Civile.

L’introduzione della disposizione in oggetto, attuata in conformità a quanto previsto dal quinto comma dell’articolo 4 della legge delega n. 366/2001, pone dei problemi che incidono sul concetto di partecipazione sociale.

Le questioni sollevate dalla dottrina in sede di esegesi della disposizione inducono gli autori a tentare di precisare la portata della disciplina introdotta dalla norma in esame.

A tale riguardo, la dottrina è divisa, rispettivamente, tra gli autori che negano e gli interpreti che riconoscono l’attribuzione di azioni al socio non conferente.

Gli autori che sostengono la prima delle due posizioni citate, affermano l’impossibilità dell’assegnazione delle azioni al socio non conferente, asserendo che, nell’ipotesi in oggetto, l’attribuzione delle azioni si pone in contrasto con l’articolo 2247 Codice Civile il quale, a sua volta, impone l’erogazione del conferimento per il conseguimento della titolarità di una quota del capitale sociale e della qualità di socio.

La negazione dell’attribuzione delle azioni al socio non conferente viene, altresì, provata con l’affermazione dell’esigenza di rispettare il principio della parità di trattamento fra i soci.

In merito a quest’ultimo aspetto, una parte della dottrina sottolinea che l’introduzione della disposizione in esame esprime la scelta da parte del legislatore di trasformare in una regola dispositiva il principio di parità di trattamento fra i soci.

Il riconoscimento da parte di altri interpreti della possibilità dell’esistenza di soci non conferenti pone, a sua volta, il problema di giustificare la partecipazione di questi ultimi agli utili e alle perdite che incidono sul valore contabile delle azioni a loro assegnate.

Si rende necessario verificare se, in relazione alle ipotesi che possono essere concretizzate in seguito alla modifica dell’articolo 2346 Codice Civile, permane, o meno la possibilità di affermare che la ratio del divieto di esenzione dalla partecipazione alle perdite risiede nell’elemento essenziale della causa del contratto di società rappresentato dal concetto di conferimento.

Le obiezioni che vengono sollevate contro l’impossibilità per il beneficiario non conferente di assumere la qualità di socio muovono dalla considerazione che l’accoglimento di un’interpretazione restrittiva dell’articolo 2247 Codice Civile conduce nella prassi all’attuazione di comportamenti diretti ad eludere la disposizione.

Le parti, infatti, per aggirare l’ostacolo posto dalla necessità dell’erogazione del conferimento, richiesta al fine di acquisire l’assegnazione delle azioni, potrebbero essere indotte a versare dei conferimenti pari a cifre di poco valore, o ad effettuare la liberazione di una sola azione.

Con riferimento a quanto sopra, gli autori indicano, tra i casi in cui le parti sono indotte ad avvalersi dell’uso dell’articolo 2346, quarto comma, Codice Civile, le ipotesi nelle quali la distribuzione non proporzionale venga scelta dai soci per regolare dei rapporti intercorsi tra gli stessi in sede extrasociale.

Il limite alla legittimità del trasferimento fra i soci della proprietà delle azioni per motivazioni extrasociali viene individuato dalla dottrina nel rispetto dell’articolo 2041 Codice Civile.

Ad esempio, un socio, per estinguere un debito contratto con uno fra gli altri soci, può stipulare una convenzione con il suo creditore che prevede il trasferimento delle azioni che egli riceve a fronte del suo conferimento a vantaggio di quest’ultimo che così acquisisce le azioni senza effettuare alcun conferimento.

La stessa giurisprudenza, anteriormente all’entrata in vigore della normativa di riforma del diritto delle società, ammetteva la possibilità che i soci con un patto parasociale trasferissero delle azioni in favore di alcuni fra i soci a fronte del versamento di un corrispettivo compiuto dai secondi nei riguardi dei soci che cedevano le azioni.

La Corte di Cassazione precisava, inoltre, che tale patto non configurava una violazione dell’articolo 2265 Codice Civile in quanto si trattava di un contratto di scambio intervenuto tra i soci che era privo di ogni intento associativo.

La liberazione delle azioni in favore del socio non conferente può trovare luogo, secondo una parte degli autori, anche al fine di attuare la remunerazione del socio beneficiario per il compimento delle prestazioni accessorie ex articolo 2345, primo comma, Codice Civile.

In quest’ultimo caso, il compenso per il socio viene stabilito attraverso la rinuncia da parte di alcuni fra i soci alle azioni che spetterebbero agli stessi in base al conferimento che ciascuno di loro ha versato al momento dell’adesione al contratto di società.

L’operazione descritta non comporta una violazione dell’ultimo comma dell’articolo 2342 Codice Civile che prevede il divieto dei conferimenti aventi ad oggetto delle prestazioni d’opera, o di servizi, al fine di assicurare l’integrità del capitale sociale della s.p.a..

Una parte della dottrina sottolinea che la difficoltà di valutare in modo attendibile ed oggettivo le suddette prestazioni non consente alla s.p.a. la loro effettiva acquisizione al fine della formazione del capitale sociale.

Ne consegue che, a fronte delle prestazioni d’opera, o di servizi, la s.p.a. può emettere degli strumenti finanziari diversi dalle azioni ai sensi dell’articolo 2346, sesto comma, Codice Civile, o delle azioni con prestazioni accessorie ex articolo 2345 Codice Civile.

La liberazione delle azioni da parte dei soci che hanno versato un conferimento avente ad oggetto del denaro in favore del socio beneficiario delle azioni che compie delle prestazioni d’opera, o di servizi, non lede l’integrità del capitale sociale dal momento che quest’ultima è assicurata dal versamento del conferimento avente ad oggetto del denaro da parte dei primi.

La causa del trasferimento della proprietà delle azioni in favore del socio non conferente può consistere anche in un atto di liberalità del conferente a favore del non conferente, comportando, in tal modo, l’esistenza di un conferente che non diviene socio e di un non conferente che diviene socio.

L’atto di liberalità che prevede l’assegnazione delle azioni al socio non conferente viene configurato da una parte della dottrina come una donazione indiretta, in quanto il versamento del conferimento, attuato dal donante, viene registrato in favore della società con l’indicazione del socio beneficiario dell’assegnazione delle azioni.

Con riferimento all’osservazione esposta sopra, si rammenta la possibilità di effettuare un conferimento indiretto come quando, ad esempio, il conferimento viene versato alla società da un terzo a vantaggio di un beneficiario che consegue, pertanto, l’assegnazione delle azioni.

Tale ipotesi può ricorrere se le parti, per estinguere un debito intercorso fra di loro, stipulano una convenzione che prevede che il debitore paghi alla società, in favore del creditore, il conferimento che è necessario affinché il secondo possa entrare a fare parte della società.

Secondo una parte della dottrina, l’applicazione del comma quarto dell’articolo 2346 Codice Civile nelle fattispecie riportate non comporterebbe l’impossibilità dell’attribuzione della qualificazione di socio a colui che beneficia dell’assegnazione delle azioni non attuando il conferimento.

Al risultato espresso sopra, la dottrina perviene analizzando il significato dell’elemento essenziale del conferimento previsto dall’articolo 2247 Codice Civile.

In ordine a quest’ultimo aspetto, viene sottolineato che lo scopo del versamento del conferimento consiste nel permettere la costituzione del capitale sociale.

Il fondo patrimoniale svolge, a sua volta, le funzioni di assicurare lo svolgimento dell’attività di impresa e di garantire i creditori sociali in merito all’adempimento delle obbligazioni contratte dalla società.

Una parte della dottrina sottolinea che, per la costituzione del capitale sociale, non è richiesto che il conferimento sia erogato dal beneficiario delle azioni.

Viene asserito che la finalità, assicurata dal fondo patrimoniale, di garantire l’adempimento delle obbligazioni sociali viene soddisfatta nel momento nel quale si concretizza il fatto del pagamento del conferimento che concorre, a sua volta, nella formazione del patrimonio della società ed il versamento del conferimento può essere, pertanto, attuato sia del socio che diviene titolare delle azioni, sia da una persona diversa da quest’ultimo.

Ne consegue che la qualità di socio può essere acquistata dal beneficiario non conferente in seguito al pagamento del conferimento compiuto a vantaggio di quest’ultimo da parte di un terzo.

Ad avallo dell’affermazione esposta, gli interpreti sostengono sia che l’articolo 2328 Codice Civile richiede che l’atto costitutivo menzioni l’ammontare del capitale sociale ed il numero delle azioni spettanti a ciascun azionista, sia che manca una disposizione che prevede l’obbligo per ciascuno dei soci di s.p.a. di pagare il conferimento.

Le osservazioni svolte in merito all’acquisizione della qualità di socio in seguito al pagamento del conferimento a vantaggio del beneficiario delle azioni da parte del terzo, trovano applicazione, secondo il parere di una parte della dottrina, sia nell’ipotesi dell’attribuzione delle azioni da un socio ad un altro fra i soci per motivi extrasociali, sia nel caso della assegnazione delle azioni attuata dai soci al fine di remunerare il socio che compie delle prestazioni accessorie, sia nella ipotesi in cui le azioni sono assegnate al conferente atipico che riceve come corrispettivo del suo conferimento atipico solo degli strumenti finanziari diversi dalle azioni, al fine di consentirgli, divenendo socio, di esercitare il diritto di voto.

Anche nelle fattispecie suddette, secondo il parere degli autori, la motivazione della sussistenza della qualità di socio in colui che beneficia delle azioni risiede nella funzione di garanzia assunta dal capitale sociale.

Come è stato esposto in precedenza, quest’ultima non rende rilevante che il pagamento del conferimento sia compiuto da parte d colui che diviene il titolare delle azioni.

Ne consegue che l’erogazione del conferimento può essere attuata dai soci che si risolvono ad assegnare le azioni al socio beneficiario non conferente.

L’interpretazione del concetto di conferimento, fornita dalla dottrina, si fonda su di un’esegesi dell’articolo 2247 Codice Civile che non viene limitata al testo della norma ma che considera, altresì, i principi di diritto societario inerenti alla funzione del fondo patrimoniale che spingono alla necessità della esistenza del conferimento.

Con riferimento a quest’ultimo aspetto, ciò che rileva affinché sia rispettata la funzione del conferimento, quale elemento atto a garantire la sussistenza del patrimonio sociale in funzione della garanzia delle obbligazioni sociali, è la permanenza del conferimento, nonostante il trasferimento delle azioni che in origine hanno causato il pagamento dello stesso.

La precisazione compiuta in merito al concetto di conferimento trova conferma, secondo gli autori, nello stesso comma quinto dell’articolo 2346 Codice Civile che enuncia il principio della << effettiva formazione del capitale sociale >>, specificando che << in nessun caso il valore dei conferimenti può essere complessivamente inferiore all’ammontare globale del capitale sociale >>.

E’ possibile osservare che nelle fattispecie esaminate si attua il passaggio da un socio all’altro della quota del capitale sociale, espressa dalle azioni trasferite, senza che venga meno, o diminuisca, il valore del conferimento pagato in origine per l’acquisto delle azioni che sono assegnate al beneficiario non conferente.

Non si realizza, quindi, la produzione di una decurtazione dell’entità del valore espresso dal capitale sociale che, qualora si verificasse, determinerebbe, a sua volta, la menomazione della funzione di garanzia delle obbligazioni sociali svolta dal patrimonio sociale e la lesione del concetto di conferimento ex articolo 2247 Codice Civile.

Ne consegue che l’applicazione nei casi in concreto della disciplina dettata dall’articolo 2346 Codice Civile non contrasta con l’articolo 2247 Codice Civile.

Nelle fattispecie analizzate, secondo la dottrina, non si registra l’alterazione delle funzioni assolte dal concetto di conferimento che sono richieste sia per l’esistenza della causa del contratto di società, sia per la sussistenza della causa della partecipazione del socio.

L’esegesi del concetto d conferimento e la specificazione della funzione da esso svolta, proposte dalla dottrina mediante l’esposta interpretazione degli articoli 2346 Codice Civile e 2247 Codice Civile, consentirebbero di affermare che anche nelle ipotesi prospettate dal quarto comma dell’articolo 2346 Codice Civile sussiste la possibilità di attribuire la qualità di socio al beneficiario dell’assegnazione delle azioni non conferente.

Nei casi esaminati, nei quali viene attuata una distribuzione ai soci delle azioni in misura non proporzionale ai conferimenti effettuati dagli stessi, si possono riscontrare delle ragioni che conducono ad individuare la giustificazione della ratio del divieto del patto leonino nella causa del contratto di società ex articolo 2247 Codice Civile.

La motivazione della specificazione del fondamento dell’articolo 2265 Codice Civile nella causa del contratto di società anche nelle suddette ipotesi potrebbe essere dedotta dalle argomentazioni compiute dalla dottrina.

Queste ultime sottolineano che non è necessario che sia il titolare delle azioni ad erogare il conferimento affinché quest’ultimo possa garantire l’adempimento della funzione assegnatagli dal legislatore ex articolo 2247 Codice Civile.



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Giurisprudenza consultata

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Cass. Civ., 28 febbraio 1998 n.2252, in Giust.Civ., 1998, I, 1248 ss.