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Omissione di informazioni nelle negoziazioni finanziarie: tra nullità virtuale ed inadempimento contrattuale

Nota a Tribunale di Lecce - Sezione Seconda Civile, Sentenza 7 maggio 2007, n. 824
Il Tribunale di Lecce, con la recentissima sentenza n. 824 del 7 maggio 2007, è tornato sull’argomento della negligenza professionale della banca nella negoziazione di strumenti finanziari, segnatamente di obbligazioni Cirio.

Già in passato i giudici Salentini avevano avuto occasione di esprimersi sull’argomento (per tutte, Tribunale di Lecce, Sez. II Civ., 12/04/06, n. 1105) statuendo in linea di principio una sorta di spartiacque tra un periodo di negoziazione più remoto, in cui era plausibile che la banca intermediaria non conoscesse i rischi dell’investimento nelle obbligazioni emesse dal Gruppo di Cragnotti, e quello successivo in cui essa era (o doveva essere) in possesso di conoscenze tali da permettere una valutazione di elevata rischiosità di quell’investimento.

Nella richiamata sentenza si osservava, infatti, che la mancanza di rating da parte di agenzie specializzate, le “gravi distonie” e i “notevoli squilibri di natura finanziaria” rilevabili sin dal bilancio della società capogruppo dell’anno 1999, la destinazione originaria delle obbligazioni ad investitori qualificati avrebbero dovuto costituire un campanello d’allarme per le banche negoziatrici, e che tali dati avrebbero dovuto essere comunicati all’investitore, in assolvimento degli obblighi informativi, nonché eventualmente addotti come causa di inadeguatezza dell’investimento.

Sempre quella decisione, poi, traeva dall’onere probatorio di cui all’art. 23, comma 6, TUIF l’obbligo per l’intermediario di fornire siffatte informazioni per iscritto al cliente, eventualmente all’interno della clausola dell’ordine di acquisto che avverte l’investitore dell’inadeguatezza dell’operazione con riferimento alle informazioni acquisite dal cliente ex art. 28, comma 1, lett. a), Reg. Consob n. 11522.

Conseguentemente, considerava violati gli obblighi informativi sulla base della documentazione acquisita, non ritenendo liberatoria per la banca la prova di aver fornito verbalmente le informazioni necessarie.

L’orientamento acuto di molti giudici di merito, non solo leccesi (si veda anche Tribunale di Torre Annunziata, Sez. II Civ., sentenza del 22/11/06, n. 1320), è diventato dunque quello di rigettare le richieste istruttorie orali delle parti, ritenendo sufficiente per la definizione del giudizio la documentazione prodotta dalle parti, dalla quale, pertanto, può già emergere l’eventuale difetto di informazioni ricevute dall’investitore.

Tali principi sono stati accolti in toto e consolidati nella recente sentenza n. 824/07.

Anche tale sentenza è il frutto di un esame meramente cartolare dei documenti contrattuali sottoscritti (e non sottoscritti) dall’investitore. Le richieste istruttorie relative alle prove orali, infatti, sono state tutte rigettate, atteso che “effettivamente i dati cartacei esibiti agli atti consentono di pervenire ad una valutazione sulla natura degli strumenti finanziari oggetto del giudizio nonché sulle modalità seguite per la loro cessione all’attrice”. Premesso infatti che “il relativo onere probatorio incombeva alla banca convenuta (art. 23 u.c. D.Lgs. n. 58/98)… non risultano consegnati all’attrice né la documentazione contenente le informazioni di cui all’art. 61 Reg. Consob, né il documento sui rischi generali degli investimenti in strumenti finanziari. Non risulta cioè che la banca abbia fornito all’attrice le fondamentali informazioni circa la natura giuridica della società emittente i titoli obbligazionari, il suo volume di affari, il suo capitale sociale, né l’esistenza di eventuali rapporti societari c/o obbligatori tra la banca e l’emittente, né la redditività media dei titoli negoziati… Né risulta che la banca avesse richiesto informazioni in ordine al profilo cliente prima dell’investimento specifico”.

Dunque, l’opacità ed insufficienza dell’ordine di acquisto sottoscritto dal cliente, la non tempestiva consegna allo stesso del documento sui rischi generali di cui all’art. 28, lett. b), Reg. Consob n. 11522/98 (che va rilasciato quanto meno contestualmente alla stipula dell’investimento), e la non tempestiva richiesta di compilare la scheda per l’individuazione del profilo dell’investitore di cui all’art. 28, lett. a), Reg. Consob cit. (incombente che va espletato anch’esso quanto meno contestualmente alla stipula dell’investimento), sono elementi che bastano per decretare la violazione da parte dell’intermediario dei propri obblighi informativi.

Alla luce di tale principio, che, giova ripetere, va consolidandosi presso tutti i tribunali italiani, già la verifica della sussistenza di vizi formali nella documentazione contrattuale sottoscritta dall’investitore (in primis l’omessa sottoscrizione del contratto di negoziazione, con conseguente nullità formale dell’investimento ex art. 23 D.Lgs. n. 58/98, nonché la mancanza di avvertenze specifiche sull’ordine di acquisto, il mancato rilascio del documento sui rischi generali e la mancata richiesta di compilare la scheda profilo cliente) potrebbe deporre in favore della fattibilità del giudizio contro la banca negoziatrice, la quale, pertanto, onde evitare inutili spese processuali e soprattutto la pubblicità negativa conseguente ad un’eventuale sentenza di condanna, sarebbe opportuno che, in siffatte circostanze, proponga una seria offerta transattiva (cfr.www.studiotanza.it per ampia rassegna giurisprudenziale).

Tornando alla sentenza in commento, alla comunanza delle premesse rispetto alle precedenti statuizioni il Tribunale Salentino non ha fatto però seguire le medesime conclusioni.

Laddove, infatti, nella decisione del 2006 il Collegio aveva stabilito che la violazione degli obblighi informativi in un investimento finanziario comporta la risoluzione del contratto finanziario per grave inadempimento contrattuale della banca negoziatrice, con condanna di quest’ultima al risarcimento del danno patrimoniale cagionato all’investitore, risentendo presumibilmente della prima (e finora unica) statuizione di legittimità (cfr. Cass. Civ., Sez. I, sentenza del 29 settembre 2005, n. 19024), la quale ha avuto senz’altro il pregio di aver esteso anche al contratto concluso la risarcibilità dei danni da responsabilità precontrattuale, oggi invece “Rilevato che la normativa considerata, essendo posta a tutela dell’ordine pubblico economico, integra norme imperative, deve ritenersi che la relativa violazione renda applicabile la sanzione di nullità del contratto comminata dall’art. 1418 c.c. operante anche in caso di mancanza di un’espressa previsione in tal senso da parte delle singole disposizioni violate, e tanto anche in linea con consolidati orientamenti nomofilattici (Cass. 7.3.2001 n. 3272)”.

Il Tribunale di Lecce torna dunque ad abbracciare il principio di nullità virtuale, che pare invece abbandonato dalla Cassazione. Peraltro, anche altri giudici di merito sono rimasti costanti nell’applicarlo (del medesimo distretto di Corte d’Appello, tra le altre, Tribunale di Brindisi, sentenza del 21 luglio 2006, n. 701), nonostante il contrario orientamento di legittimità.

Sarebbe conseguentemente auspicabile una statuizione sul punto delle Sezioni Unite della Suprema Corte, al fine di dirimere una volta per tutte la controversia se la nullità di un contratto consegua o meno esclusivamente a vizi intrinseci dello stesso.

Ma la questione non tocca le sorti dell’investitore malcapitato: sia alla declaratoria di nullità virtuale del contratto che alla pronuncia della sua risoluzione per grave inadempimento della banca negoziatrice, conseguono infatti, sia pure sub specie delle differenti accezioni rispettivamente della restituzione del capitale investito e del risarcimento del danno patrimoniale subito, effettivi benefici ristoratori.

Il problema potrebbe al più involgere l’aspetto dell’appellabilità della sentenza.

Riteniamo però che, qualunque sia l’orientamento accolto dal Giudice del gravame, l’esistenza di vizi formali che decretano pacificamente l’omissione di informazioni da parte della banca negoziatrice comporterebbe al più la riforma della sentenza eventualmente impugnata limitatamente alla natura del vizio del contratto (nullità o risoluzione per inadempimento), ma resterebbero ferme le conseguenze (restitutorie o risarcitorie) in favore dell’investitore danneggiato.

Il Tribunale di Lecce, con la recentissima sentenza n. 824 del 7 maggio 2007, è tornato sull’argomento della negligenza professionale della banca nella negoziazione di strumenti finanziari, segnatamente di obbligazioni Cirio.

Già in passato i giudici Salentini avevano avuto occasione di esprimersi sull’argomento (per tutte, Tribunale di Lecce, Sez. II Civ., 12/04/06, n. 1105) statuendo in linea di principio una sorta di spartiacque tra un periodo di negoziazione più remoto, in cui era plausibile che la banca intermediaria non conoscesse i rischi dell’investimento nelle obbligazioni emesse dal Gruppo di Cragnotti, e quello successivo in cui essa era (o doveva essere) in possesso di conoscenze tali da permettere una valutazione di elevata rischiosità di quell’investimento.

Nella richiamata sentenza si osservava, infatti, che la mancanza di rating da parte di agenzie specializzate, le “gravi distonie” e i “notevoli squilibri di natura finanziaria” rilevabili sin dal bilancio della società capogruppo dell’anno 1999, la destinazione originaria delle obbligazioni ad investitori qualificati avrebbero dovuto costituire un campanello d’allarme per le banche negoziatrici, e che tali dati avrebbero dovuto essere comunicati all’investitore, in assolvimento degli obblighi informativi, nonché eventualmente addotti come causa di inadeguatezza dell’investimento.

Sempre quella decisione, poi, traeva dall’onere probatorio di cui all’art. 23, comma 6, TUIF l’obbligo per l’intermediario di fornire siffatte informazioni per iscritto al cliente, eventualmente all’interno della clausola dell’ordine di acquisto che avverte l’investitore dell’inadeguatezza dell’operazione con riferimento alle informazioni acquisite dal cliente ex art. 28, comma 1, lett. a), Reg. Consob n. 11522.

Conseguentemente, considerava violati gli obblighi informativi sulla base della documentazione acquisita, non ritenendo liberatoria per la banca la prova di aver fornito verbalmente le informazioni necessarie.

L’orientamento acuto di molti giudici di merito, non solo leccesi (si veda anche Tribunale di Torre Annunziata, Sez. II Civ., sentenza del 22/11/06, n. 1320), è diventato dunque quello di rigettare le richieste istruttorie orali delle parti, ritenendo sufficiente per la definizione del giudizio la documentazione prodotta dalle parti, dalla quale, pertanto, può già emergere l’eventuale difetto di informazioni ricevute dall’investitore.

Tali principi sono stati accolti in toto e consolidati nella recente sentenza n. 824/07.

Anche tale sentenza è il frutto di un esame meramente cartolare dei documenti contrattuali sottoscritti (e non sottoscritti) dall’investitore. Le richieste istruttorie relative alle prove orali, infatti, sono state tutte rigettate, atteso che “effettivamente i dati cartacei esibiti agli atti consentono di pervenire ad una valutazione sulla natura degli strumenti finanziari oggetto del giudizio nonché sulle modalità seguite per la loro cessione all’attrice”. Premesso infatti che “il relativo onere probatorio incombeva alla banca convenuta (art. 23 u.c. D.Lgs. n. 58/98)… non risultano consegnati all’attrice né la documentazione contenente le informazioni di cui all’art. 61 Reg. Consob, né il documento sui rischi generali degli investimenti in strumenti finanziari. Non risulta cioè che la banca abbia fornito all’attrice le fondamentali informazioni circa la natura giuridica della società emittente i titoli obbligazionari, il suo volume di affari, il suo capitale sociale, né l’esistenza di eventuali rapporti societari c/o obbligatori tra la banca e l’emittente, né la redditività media dei titoli negoziati… Né risulta che la banca avesse richiesto informazioni in ordine al profilo cliente prima dell’investimento specifico”.

Dunque, l’opacità ed insufficienza dell’ordine di acquisto sottoscritto dal cliente, la non tempestiva consegna allo stesso del documento sui rischi generali di cui all’art. 28, lett. b), Reg. Consob n. 11522/98 (che va rilasciato quanto meno contestualmente alla stipula dell’investimento), e la non tempestiva richiesta di compilare la scheda per l’individuazione del profilo dell’investitore di cui all’art. 28, lett. a), Reg. Consob cit. (incombente che va espletato anch’esso quanto meno contestualmente alla stipula dell’investimento), sono elementi che bastano per decretare la violazione da parte dell’intermediario dei propri obblighi informativi.

Alla luce di tale principio, che, giova ripetere, va consolidandosi presso tutti i tribunali italiani, già la verifica della sussistenza di vizi formali nella documentazione contrattuale sottoscritta dall’investitore (in primis l’omessa sottoscrizione del contratto di negoziazione, con conseguente nullità formale dell’investimento ex art. 23 D.Lgs. n. 58/98, nonché la mancanza di avvertenze specifiche sull’ordine di acquisto, il mancato rilascio del documento sui rischi generali e la mancata richiesta di compilare la scheda profilo cliente) potrebbe deporre in favore della fattibilità del giudizio contro la banca negoziatrice, la quale, pertanto, onde evitare inutili spese processuali e soprattutto la pubblicità negativa conseguente ad un’eventuale sentenza di condanna, sarebbe opportuno che, in siffatte circostanze, proponga una seria offerta transattiva (cfr.www.studiotanza.it per ampia rassegna giurisprudenziale).

Tornando alla sentenza in commento, alla comunanza delle premesse rispetto alle precedenti statuizioni il Tribunale Salentino non ha fatto però seguire le medesime conclusioni.

Laddove, infatti, nella decisione del 2006 il Collegio aveva stabilito che la violazione degli obblighi informativi in un investimento finanziario comporta la risoluzione del contratto finanziario per grave inadempimento contrattuale della banca negoziatrice, con condanna di quest’ultima al risarcimento del danno patrimoniale cagionato all’investitore, risentendo presumibilmente della prima (e finora unica) statuizione di legittimità (cfr. Cass. Civ., Sez. I, sentenza del 29 settembre 2005, n. 19024), la quale ha avuto senz’altro il pregio di aver esteso anche al contratto concluso la risarcibilità dei danni da responsabilità precontrattuale, oggi invece “Rilevato che la normativa considerata, essendo posta a tutela dell’ordine pubblico economico, integra norme imperative, deve ritenersi che la relativa violazione renda applicabile la sanzione di nullità del contratto comminata dall’art. 1418 c.c. operante anche in caso di mancanza di un’espressa previsione in tal senso da parte delle singole disposizioni violate, e tanto anche in linea con consolidati orientamenti nomofilattici (Cass. 7.3.2001 n. 3272)”.

Il Tribunale di Lecce torna dunque ad abbracciare il principio di nullità virtuale, che pare invece abbandonato dalla Cassazione. Peraltro, anche altri giudici di merito sono rimasti costanti nell’applicarlo (del medesimo distretto di Corte d’Appello, tra le altre, Tribunale di Brindisi, sentenza del 21 luglio 2006, n. 701), nonostante il contrario orientamento di legittimità.

Sarebbe conseguentemente auspicabile una statuizione sul punto delle Sezioni Unite della Suprema Corte, al fine di dirimere una volta per tutte la controversia se la nullità di un contratto consegua o meno esclusivamente a vizi intrinseci dello stesso.

Ma la questione non tocca le sorti dell’investitore malcapitato: sia alla declaratoria di nullità virtuale del contratto che alla pronuncia della sua risoluzione per grave inadempimento della banca negoziatrice, conseguono infatti, sia pure sub specie delle differenti accezioni rispettivamente della restituzione del capitale investito e del risarcimento del danno patrimoniale subito, effettivi benefici ristoratori.

Il problema potrebbe al più involgere l’aspetto dell’appellabilità della sentenza.

Riteniamo però che, qualunque sia l’orientamento accolto dal Giudice del gravame, l’esistenza di vizi formali che decretano pacificamente l’omissione di informazioni da parte della banca negoziatrice comporterebbe al più la riforma della sentenza eventualmente impugnata limitatamente alla natura del vizio del contratto (nullità o risoluzione per inadempimento), ma resterebbero ferme le conseguenze (restitutorie o risarcitorie) in favore dell’investitore danneggiato.