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Responsabilità per danno da illecito omissivo

Nota a Corte di Cassazione - Sezione Terza Civile, Sentenza 30 giugno 2005, n.13957

La Cassazione, sez. III civile, con sentenza 30.06.2005 n° 13957, ha affrontato talune rilevanti questioni in tema di factoring, negozio con cui un imprenditore, a fronte di un finanziamento o di altre controprestazioni, cede i crediti pecuniari presenti o futuri sorti da contratti stipulati nell’esercizio dell’impresa.

In particolare, la Sez. III Civ. ribadisce come quest’ultimo sia legittimato ad opporre al cessionario esclusivamente le eccezioni opponibili al cedente.

Si ricorda che il factoring è una figura negoziale di matrice anglosassone.

Con questo termine, si vuole indicare un particolare tipo di contratto con il quale un soggetto (che si chiama cedente) si impegna a cedere tutti i crediti presenti e futuri scaturiti dalla propria attività imprenditoriale ad un altro soggetto (il factor) il quale, dietro un corrispettivo, si impegna a sua volta a fornire una serie di servizi che vanno dalla contabilizzazione, alla gestione, alla riscossione dei crediti ceduti fino alla garanzia dell’eventuale inadempimento dei debitori, ovvero al finanziamento dell’imprenditore cedente sia attraverso la concessione di prestiti, sia attraverso il pagamento anticipato dei crediti ceduti.

La cessione dei crediti non rappresenta il fine ultimo dell’accordo, ma lo strumento attraverso cui è possibile l’erogazione dei servizi da parte del factor.

I crediti affidati in amministrazione al factor non devono di norma essere ceduti allo stesso; tuttavia nella maggior parte dei casi dietro il contratto di factoring si cela un’operazione di finanziamento dell’impresa cliente, infatti è prassi costante che il factor conceda all’impresa cliente anticipazioni sull’ammontare dei crediti gestiti.

La cessione può avvenire in due modi differenti:

- pro solvendo: lasciando al cliente il rischio dell’eventuale insolvenza dei debiti ceduti;

- pro soluto: il factor si assume il rischio di insolvenza dei debiti ceduti ed in caso di inadempimento di questi ultimi non potrà richiedere la restituzione degli anticipi versati al cliente.

La legge n. 52 del 1991 ha previsto l’istituzione di un albo delle imprese che praticano la cessione dei crediti d’impresa (albo tenuto a cura dalla Banca d’Italia). Tale legge non ha introdotto nell’ordinamento italiano la disciplina giuridica del factoring, che perciò continua ad essere considerato un contratto atipico, ma si è limitata a modificare la disciplina tradizionale della cessione dei crediti.

Le norme della legge n. 52 del 1991 si applicano alle cessioni verso corrispettivo di soli crediti pecuniari e quando sussistano le seguenti condizioni:

a) che il cedente sia un imprenditore;

b) che i crediti ceduti siano imputabili a contratti stipulati dal cedente nel corso della sua attività imprenditoriale;

c) che il cessionario sia una società o un ente avente personalità giuridica.

I contratti stipulati dalle società di factoring sono assoggettati alla disciplina sulla trasparenza delle operazioni bancarie e finanziarie prevista dal decreto legislativo n. 385 del 1993, in quanto dette società sono comprese tra i soggetti che esercitano professionalmente attività di prestito e finanziamento.

La Cassazione ha sottolineato che si tratta delle eccezioni non solo riguardanti la validità del rapporto originario (nullità-annullabilità), ma anche relative all’estinzione del credito, quali quelle relative al pagamento, alla prescrizione e alla compensazione dello stesso.

Viceversa, il debitore ceduto non può opporre al cessionario le eccezioni inerenti al rapporto di cessione, proprio per la sua estraneità rispetto a tale rapporto[1].

In relazione alla questione della responsabilità per danno da illecito omissivo, perché un’omissione possa essere considerata fonte di responsabilità per danni, è necessario individuare, in capo al soggetto chiamato ad impedire l’evento, un obbligo giuridico di impedire lo stesso: obbligo che, peraltro, può scaturire da una norma giuridica o da un rapporto negoziale o non negoziale intercorrente tra il titolare dell’interesse leso e colui che è chiamato a rispondere della lesione.

La sentenza si ricollega ad uno dei due contrastanti orientamenti affermatisi in seno alla Corte di legittimità in tema di tipicità (ovvero di atipicità) dell’illecito omissivo. Secondo un primo, più rigoroso filone interpretativo, difatti, non sarebbe sufficiente una generica antidoverosità sociale dell’inerzia, essendo, viceversa, necessaria la presenza di un vero e proprio obbligo giuridico (legale o negoziale) di attivarsi per impedire l’evento dannoso (in tali sensi, Cass. n. 116 del 1979, n. 2134 del 1992, n. 9590 del 1990, secondo la quale, in particolare, affinché una condotta omissiva possa essere assunta come fonte di responsabilità per danni, non basta riferirsi al solo principio del neminem laedere o ad una generica antidoverosità sociale della condotta del soggetto che non abbia impedito l’evento, ma occorre individuare, caso per caso, a suo carico, un vero e proprio obbligo giuridico di impedire l’evento lamentato, obbligo che può derivare o direttamente da una norma, ovvero da uno specifico rapporto negoziale o di altra natura intercorrente fra il titolare dell’interesse leso e il soggetto chiamato a rispondere della lesione).

L’opposto orientamento, cui fa riferimento la sentenza 14484/2004, accoglie invece una più ampia nozione dell’obbligo di attivarsi per impedire l’evento, riconducendola anche a particolari situazioni (ricorrenti specie in tema di rapporti bancari) nelle quali un soggetto abbia la chiara consapevolezza del pericolo del danno altrui e della relativa evitabilità attraverso un proprio comportamento attivo/cautelare (in tal senso si sono espresse, tra le altre, Casa. n. 11207 del 1992, n. 72 del 1997, n. 6691 del 1998).

La Suprema Corte, nel far proprie le argomentazioni adottate a sostegno del primo dei due ricordati orientamenti, ritiene di aderire a quello più rigoroso espresso in subiecta materia.

A tale proposto è opportuno ricordare che recentemente la Cassazione ha ribadito che in relazione alla responsabilità per danni da illecito omissivo, l’obbligo giuridico di impedire il verificarsi di un evento dannoso può sorgere in capo ad un soggetto non soltanto quando una norma o specifici rapporti gli impongano di attivarsi per impedire l’evento, ma anche quando tale obbligo possa derivare in base a principi desumibili dall’ordinamento positivo, non espresso, quindi, in forme specifiche, con conseguente dovere di agire e di comportamento attivo (Cassazione civile , sez. III, 23 maggio 2006 , n. 12111).

Invero, in tema di responsabilità civile, poiché l’omissione di un certo comportamento, rileva, quale condizione determinativa del processo causale dell’evento dannoso, soltanto quando si tratti di omissione di un comportamento imposto da una norma giuridica specifica (omissione specifica), purché la condotta omissiva non sia essa stessa considerata fonte di danno dall’ordinamento (come, sul piano penale, per i reati omissivi propri), ovvero, in relazione al configurarsi della posizione del soggetto cui si addebita l’omissione, siccome implicante l’esistenza a suo carico di particolari obblighi di prevenzione dell’evento poi verificatosi e, quindi, di un generico dovere di intervento (omissione generica) in funzione dell’impedimento di quell’evento, il giudizio relativo alla sussistenza del nesso causale non può limitarsi alla mera valutazione della materialità fattuale, bensì postula la preventiva individuazione dell’obbligo specifico o generico di tenere la condotta omessa in capo al soggetto. L’individuazione di tale obbligo si connota come preliminare per l’apprezzamento di una condotta omissiva sul piano della causalità giuridica, nel senso che, se prima non si individua, in relazione al comportamento che non risulti tenuto, il dovere generico o specifico che lo imponeva, non è possibile apprezzare l’omissione del comportamento sul piano causale. Tale giudizio, peraltro, non ha attinenza con quello sull’attribuibilità della condotta omissiva sul piano soggettivo a colui che era tenuto alla condotta positiva e, quindi, con il giudizio sull’elemento soggettivo dell’illecito, che postula la tenuta del comportamento omissivo con dolo o colpa e, dunque, il relativo concreto accertamento, e che si colloca, pertanto, su un piano diverso e successivo a quello dell’accertamento del nesso di causalità, presupponendo quest’ultimo (si veda Cass. sez. un. pen. n. 30328 del 2002).



[1] “Nel contratto di factoring , il debitore ceduto può opporre al factor cessionario non solo le eccezioni attinenti alla fonte negoziale del credito, ma anche quelle relative a fatti posteriori alla nascita del rapporto obbligatorio, di cui il ceduto al momento della cessione non abbia avuto conoscenza. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto opponibile da parte del debitore ceduto (acquirente in un "preliminare" di un immobile) al factor il sequestro penale dell’immobile, del quale egli non era a conoscenza al momento della accettazione della cessione, ma che aveva comunque determinato in capo al venditore l’impossibilità di adempiere l’obbligazione a suo carico di trasferire il bene alla scadenza prevista)” (Cassazione civile , sez. III, 28 luglio 2004 , n. 14225).

La Cassazione, sez. III civile, con sentenza 30.06.2005 n° 13957, ha affrontato talune rilevanti questioni in tema di factoring, negozio con cui un imprenditore, a fronte di un finanziamento o di altre controprestazioni, cede i crediti pecuniari presenti o futuri sorti da contratti stipulati nell’esercizio dell’impresa.

In particolare, la Sez. III Civ. ribadisce come quest’ultimo sia legittimato ad opporre al cessionario esclusivamente le eccezioni opponibili al cedente.

Si ricorda che il factoring è una figura negoziale di matrice anglosassone.

Con questo termine, si vuole indicare un particolare tipo di contratto con il quale un soggetto (che si chiama cedente) si impegna a cedere tutti i crediti presenti e futuri scaturiti dalla propria attività imprenditoriale ad un altro soggetto (il factor) il quale, dietro un corrispettivo, si impegna a sua volta a fornire una serie di servizi che vanno dalla contabilizzazione, alla gestione, alla riscossione dei crediti ceduti fino alla garanzia dell’eventuale inadempimento dei debitori, ovvero al finanziamento dell’imprenditore cedente sia attraverso la concessione di prestiti, sia attraverso il pagamento anticipato dei crediti ceduti.

La cessione dei crediti non rappresenta il fine ultimo dell’accordo, ma lo strumento attraverso cui è possibile l’erogazione dei servizi da parte del factor.

I crediti affidati in amministrazione al factor non devono di norma essere ceduti allo stesso; tuttavia nella maggior parte dei casi dietro il contratto di factoring si cela un’operazione di finanziamento dell’impresa cliente, infatti è prassi costante che il factor conceda all’impresa cliente anticipazioni sull’ammontare dei crediti gestiti.

La cessione può avvenire in due modi differenti:

- pro solvendo: lasciando al cliente il rischio dell’eventuale insolvenza dei debiti ceduti;

- pro soluto: il factor si assume il rischio di insolvenza dei debiti ceduti ed in caso di inadempimento di questi ultimi non potrà richiedere la restituzione degli anticipi versati al cliente.

La legge n. 52 del 1991 ha previsto l’istituzione di un albo delle imprese che praticano la cessione dei crediti d’impresa (albo tenuto a cura dalla Banca d’Italia). Tale legge non ha introdotto nell’ordinamento italiano la disciplina giuridica del factoring, che perciò continua ad essere considerato un contratto atipico, ma si è limitata a modificare la disciplina tradizionale della cessione dei crediti.

Le norme della legge n. 52 del 1991 si applicano alle cessioni verso corrispettivo di soli crediti pecuniari e quando sussistano le seguenti condizioni:

a) che il cedente sia un imprenditore;

b) che i crediti ceduti siano imputabili a contratti stipulati dal cedente nel corso della sua attività imprenditoriale;

c) che il cessionario sia una società o un ente avente personalità giuridica.

I contratti stipulati dalle società di factoring sono assoggettati alla disciplina sulla trasparenza delle operazioni bancarie e finanziarie prevista dal decreto legislativo n. 385 del 1993, in quanto dette società sono comprese tra i soggetti che esercitano professionalmente attività di prestito e finanziamento.

La Cassazione ha sottolineato che si tratta delle eccezioni non solo riguardanti la validità del rapporto originario (nullità-annullabilità), ma anche relative all’estinzione del credito, quali quelle relative al pagamento, alla prescrizione e alla compensazione dello stesso.

Viceversa, il debitore ceduto non può opporre al cessionario le eccezioni inerenti al rapporto di cessione, proprio per la sua estraneità rispetto a tale rapporto[1].

In relazione alla questione della responsabilità per danno da illecito omissivo, perché un’omissione possa essere considerata fonte di responsabilità per danni, è necessario individuare, in capo al soggetto chiamato ad impedire l’evento, un obbligo giuridico di impedire lo stesso: obbligo che, peraltro, può scaturire da una norma giuridica o da un rapporto negoziale o non negoziale intercorrente tra il titolare dell’interesse leso e colui che è chiamato a rispondere della lesione.

La sentenza si ricollega ad uno dei due contrastanti orientamenti affermatisi in seno alla Corte di legittimità in tema di tipicità (ovvero di atipicità) dell’illecito omissivo. Secondo un primo, più rigoroso filone interpretativo, difatti, non sarebbe sufficiente una generica antidoverosità sociale dell’inerzia, essendo, viceversa, necessaria la presenza di un vero e proprio obbligo giuridico (legale o negoziale) di attivarsi per impedire l’evento dannoso (in tali sensi, Cass. n. 116 del 1979, n. 2134 del 1992, n. 9590 del 1990, secondo la quale, in particolare, affinché una condotta omissiva possa essere assunta come fonte di responsabilità per danni, non basta riferirsi al solo principio del neminem laedere o ad una generica antidoverosità sociale della condotta del soggetto che non abbia impedito l’evento, ma occorre individuare, caso per caso, a suo carico, un vero e proprio obbligo giuridico di impedire l’evento lamentato, obbligo che può derivare o direttamente da una norma, ovvero da uno specifico rapporto negoziale o di altra natura intercorrente fra il titolare dell’interesse leso e il soggetto chiamato a rispondere della lesione).

L’opposto orientamento, cui fa riferimento la sentenza 14484/2004, accoglie invece una più ampia nozione dell’obbligo di attivarsi per impedire l’evento, riconducendola anche a particolari situazioni (ricorrenti specie in tema di rapporti bancari) nelle quali un soggetto abbia la chiara consapevolezza del pericolo del danno altrui e della relativa evitabilità attraverso un proprio comportamento attivo/cautelare (in tal senso si sono espresse, tra le altre, Casa. n. 11207 del 1992, n. 72 del 1997, n. 6691 del 1998).

La Suprema Corte, nel far proprie le argomentazioni adottate a sostegno del primo dei due ricordati orientamenti, ritiene di aderire a quello più rigoroso espresso in subiecta materia.

A tale proposto è opportuno ricordare che recentemente la Cassazione ha ribadito che in relazione alla responsabilità per danni da illecito omissivo, l’obbligo giuridico di impedire il verificarsi di un evento dannoso può sorgere in capo ad un soggetto non soltanto quando una norma o specifici rapporti gli impongano di attivarsi per impedire l’evento, ma anche quando tale obbligo possa derivare in base a principi desumibili dall’ordinamento positivo, non espresso, quindi, in forme specifiche, con conseguente dovere di agire e di comportamento attivo (Cassazione civile , sez. III, 23 maggio 2006 , n. 12111).

Invero, in tema di responsabilità civile, poiché l’omissione di un certo comportamento, rileva, quale condizione determinativa del processo causale dell’evento dannoso, soltanto quando si tratti di omissione di un comportamento imposto da una norma giuridica specifica (omissione specifica), purché la condotta omissiva non sia essa stessa considerata fonte di danno dall’ordinamento (come, sul piano penale, per i reati omissivi propri), ovvero, in relazione al configurarsi della posizione del soggetto cui si addebita l’omissione, siccome implicante l’esistenza a suo carico di particolari obblighi di prevenzione dell’evento poi verificatosi e, quindi, di un generico dovere di intervento (omissione generica) in funzione dell’impedimento di quell’evento, il giudizio relativo alla sussistenza del nesso causale non può limitarsi alla mera valutazione della materialità fattuale, bensì postula la preventiva individuazione dell’obbligo specifico o generico di tenere la condotta omessa in capo al soggetto. L’individuazione di tale obbligo si connota come preliminare per l’apprezzamento di una condotta omissiva sul piano della causalità giuridica, nel senso che, se prima non si individua, in relazione al comportamento che non risulti tenuto, il dovere generico o specifico che lo imponeva, non è possibile apprezzare l’omissione del comportamento sul piano causale. Tale giudizio, peraltro, non ha attinenza con quello sull’attribuibilità della condotta omissiva sul piano soggettivo a colui che era tenuto alla condotta positiva e, quindi, con il giudizio sull’elemento soggettivo dell’illecito, che postula la tenuta del comportamento omissivo con dolo o colpa e, dunque, il relativo concreto accertamento, e che si colloca, pertanto, su un piano diverso e successivo a quello dell’accertamento del nesso di causalità, presupponendo quest’ultimo (si veda Cass. sez. un. pen. n. 30328 del 2002).



[1] “Nel contratto di factoring , il debitore ceduto può opporre al factor cessionario non solo le eccezioni attinenti alla fonte negoziale del credito, ma anche quelle relative a fatti posteriori alla nascita del rapporto obbligatorio, di cui il ceduto al momento della cessione non abbia avuto conoscenza. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto opponibile da parte del debitore ceduto (acquirente in un "preliminare" di un immobile) al factor il sequestro penale dell’immobile, del quale egli non era a conoscenza al momento della accettazione della cessione, ma che aveva comunque determinato in capo al venditore l’impossibilità di adempiere l’obbligazione a suo carico di trasferire il bene alla scadenza prevista)” (Cassazione civile , sez. III, 28 luglio 2004 , n. 14225).