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Che cosa è effettivamente affidabile in house da parte di un ente locale?

Sommario:

1. Osservazioni generali

2. Una recente sentenza sull’argomento da parte del Consiglio di Stato

3. La sentenza Corte di Giustizia Ce, sez. II, 19/4/2007, n. C–295/05 (Asemfo v. Tragsa)

4. Ulteriori osservazioni di merito

4.1. Un breve focus sul RUP dell’ente locale socio per quanto qui di stretto interesse in materia di lavori e forniture (come da precedente § 5, punto n. 2)

4.2. In punto di giurisprudenza

4.3. Le manutenzioni

5. Il DdL AS 772 di delega al governo per il riordino dei servizi pubblici locali (c.d. DdL Lanzillotta)

6. Conclusioni.

1. Osservazioni generali

Il tema in rubrica (per invero assai interessante) si concentra sulla vexata quaestio se negli affidamenti in delegazione interorganica (c.d., ricorrendo ad un felice idioma anglosassone, in house) possono rientrare, oltre che i servizi pubblici locali (ex art. 112, D.Lgs. 267/2000, c.d. T.U.E.L.) anche i lavori (ex D.Lgs. 163/2006) o (amplius) le forniture, nella definizione di cui alla parte I, titolo I, art. 3 (Definizioni), cc. 7 e 8 (per i lavori) e 9 (per le forniture) di tale ultimo decreto (1).

2. Una recente sentenza sull’argomento da parte del Consiglio di Stato

Il Consiglio di Stato, sez. VI, sent. 3/4/2007, n. 1514 (2) da parte di (qui sinteticamente definiti) «altri» contro il «Comune di Roma» è entrato nel merito dell’affidamento di opere (e/o lavori) a società in house.

La sentenza di Palazzo Spada citata richiama la sentenza di Corte di Giustizia Ce, 6/4/2006, C–410/04, in relazione al fatto che «4. [...] i requisiti dell’in house providing, costitu[iscono] un’eccezione alle regole generali del diritto comunitario [e, come tali] devono essere interpretate ristrettivamente».

Sempre il citato Giudice amministrativo nella sentenza di cui trattasi chiarisce che «Una norma di carattere generale era stata proposta nel primo schema del c..d codice appalti, ma non è stata poi inserita nel testo finale del D.Lgs. n. 163/2006, a conferma della volontà del legislatore di non generalizzare il modello dell’in house a qualsiasi forma di affidamento di servizi, di lavori, o di forniture.

Tali [lavori] non potevano essere affidate in house in assenza di espressa disposizione di legge, idonea a consentirlo.

Né rileva accertare se i singoli lavori potessero essere, o meno, svolti in economia, o se la progettazione potesse essere svolta direttamente alla p.a., in quanto l’affidamento diretto a terzi di un blocco di tali lavori di importo complessivamente superiore al limite dei lavori in economia è comunque consentito solo se ricorrono i presupposti del c.d. in house [...].

Deve a questo punto essere esaminata la domanda risarcitoria, oggetto del ricorso in appello dei restauratori, che si lamentano dei danni subiti per la contrazione del mercato dei lavori [...].

Con riguardo alla responsabilità della pubblica amministrazione per i danni causati dall’esercizio illegittimo dell’attività amministrativa, questa sezione ha già aderito a quell’ orientamento favorevole a restare all’interno dei più sicuri confini dello schema e della disciplina della responsabilità aquilina, che rivelano una maggiore coerenza della struttura e delle regole di accertamento dell’illecito extracontrattuale con i caratteri oggettivi della lesione di interessi legittimi e con le connesse esigenze di tutela, (Cons. Stato, VI, 23 giugno 2006, n. 3981; 9 novembre 2006, n. 6607; 9 marzo 2007, n. 1114; IV, 6 luglio 2004, n. 5012; 10 agosto 2004, n. 5500).

Sotto il profilo dell’elemento oggettivo dell’illecito, si rileva che i ricorrenti non possono pretendere i danni per non essere risultati aggiudicatari di appalti, in quanto l’illegittimità commessa dall’amministrazione è stata quella di affidare lavori in via diretta senza indire le gare e la lesione subita non può che essere limitata alla perdita della chance di aggiudicarsi le gare, mai bandite.

Dagli elementi forniti è in effetti emersa una contrazione del mercato dei lavori [...], inevitabile conseguenza dell’affidamento diretto ad una società di parte di essi; contrazione del mercato che ha inciso anche sulle posizioni dei ricorrenti.

La perdita della chance di partecipare alle gare costituisce, quindi, un danno che si pone in rapporto di diretta consequenzialità con l’illegittimo affidamento alla società [in house] dei menzionati lavori.

Non è invece configurabile il presunto danno esistenziale, chiesto dai ricorrenti senza alcun supporto giuridico e probatorio.

Per quanto concerne, l’elemento soggettivo, sulla base dei richiamati precedenti giurisprudenziali, va ribadito che non è comunque richiesto al privato danneggiato da un provvedimento amministrativo illegittimo un particolare sforzo probatorio per dimostrare la colpa della p.a. Infatti, pur non essendo configurabile, in mancanza di una espressa previsione normativa, una generalizzata presunzione (relativa) di colpa dell’ amministrazione per i danni conseguenti ad un atto illegittimo o comunque ad una violazione delle regole, possono invece operare regole di comune esperienza e la presunzione semplice, di cui all’ art. 2727 C.C. desunta dalla singola fattispecie.

Il privato danneggiato può, quindi, invocare l’illegittimità del provvedimento quale indice presuntivo della colpa o anche allegare circostanze ulteriori, idonee a dimostrare che si è trattato di un errore non scusabile.

Spetterà a quel punto all’amministrazione dimostrare che si è trattato di un errore scusabile, configurabile in caso di contrasti giurisprudenziali sull’interpretazione di una norma, di formulazione incerta di norme da poco entrate in vigore, di rilevante complessità del fatto, di influenza determinante di comportamenti di altri soggetti, di illegittimità derivante da una successiva dichiarazione di incostituzionalità della norma applicata.

Si deve, peraltro, tenere presente che molte delle questioni rilevanti ai fini della scusabilità dell’errore sono questioni di interpretazione ed applicazione delle norme giuridiche, inerenti la difficoltà interpretativa che ha causato la violazione; in simili casi il profilo probatorio resta in larga parte assorbito dalla questio iuris, che il giudice risolve autonomamente con i propri strumenti di cognizione in base al principio iura novit curia.

Spetta, quindi, al giudice valutare, in relazione ad ogni singola fattispecie, la presunzione relativa di colpa, che spetta poi all’amministrazione vincere; inoltre, in assenza di discrezionalità o in presenza di margini ridotti di essa, le presunzioni semplici di colpevolezza saranno più facilmente configurabili, mentre in presenza di ampi poteri discrezionali ed in assenza di specifici elementi presuntivi, sarà necessario uno sforzo probatorio ulteriore, gravante sul danneggiato, che potrà ad esempio allegare la mancata valutazione degli apporti resi nella fase partecipativa del procedimento o che avrebbe potuto rendere se la partecipazione non è stata consentita.

Va, infine, precisato che alcun elemento contrario alla effettuata ricostruzione della nozione di colpa della p.a. può trarsi dalla giurisprudenza comunitaria [...].

Precisata la nozione di colpa della p.a., si tratta ora di applicare i suesposti principi alla fattispecie in esame.

Nel caso di specie, l’amministrazione ha proceduto agli affidamenti diretti [di lavori] in favore di [una società in house] in violazione della richiamata giurisprudenza comunitaria (già esistente al momento degli affidamenti) ed, inoltre, nonostante un invito a lei rivolto dall’Autorità garante per la concorrenza ed il mercato, con nota prot. n. 27146 del 29 agosto 2005, ad «…adottare iniziative idonee a rimettere in concorrenza le attività di [cui trattasi] mediante una procedura ad evidenza pubblica…» [...].

Con riguardo ai criteri da seguire, la perdita di chance va rapportata in termini percentuali all’utile in astratto conseguibile in ipotesi di aggiudicazione delle gare non svolte.

L’utile economico che sarebbe derivato all’impresa dall’esecuzione dell’appalto viene presuntivamente quantificato nel 10% dell’importo a base d’asta, come ribassato dall’offerta presentata (Cons. Stato, V, 8 luglio 2002 n. 3796; Cons. Stato, IV, 6 luglio 2004 n. 5012), ma tale percentuale deve essere ridotta al 5 % nel caso in cui l’impresa non dimostra di non aver potuto utilizzare mezzi e maestranze per l’espletamento di altri servizi (Cons. Stato, V 24 ottobre 2002 n. 5860; VI, 9 novembre 2006 n. 6607).

Tale percentuale sarà fissata in misura non superiore al 5 % qualora i restauratori ricorrenti non forniscano al Comune idonee prove di aver tenuto ferma la propria organizzazione imprenditoriale o comunque di aver subito una rilevante contrazione dei propri bilanci nel periodo in questione (in base a tale documentazione, che i ricorrenti di primo grado sono tenuti a produrre al Comune entro 30 giorni dalla pubblicazione della presente decisione, il Comune fisserà la suddetta percentuale).

Come già detto, quando il ricorrente allega solo la perdita di una chance a sostegno della pretesa risarcitoria, la somma commisurata all’utile d’impresa deve essere proporzionalmente ridotta in ragione delle concrete possibilità di vittoria (Cons. Stato, VI, 8 maggio 2002 n. 2485).

A seguito dell’istruttoria svolta nel giudizio n. 2051/06, è emerso che nelle gare per l’affidamento dei lavori di restauro e di manutenzione partecipano di solito, quando il criterio di aggiudicazione è quello del prezzo più basso, un numero di concorrenti non inferiore a venti, con punte anche più alte e che tale numero si riduce notevolmente in caso di utilizzo del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa e di procedure ristrette. In quel giudizio, è stata ritenuta una presenza media di 15 concorrenti ad ogni gara e, di conseguenza, la perdita della chance è stata quantificata in un quindicesimo dell’utile di impresa, presumendo che ogni concorrente avesse le stesse possibilità di aggiudicarsi la gara.

Il Comune dovrà verificare le tipologie e gli importi degli affidamenti di lavori, avvenuti nel periodo in questione in esecuzione della deliberazione in parte annullata e stabilire il numero medio dei partecipanti ad ipotetiche gare in ragione delle proprie documentate pregresse esperienze.

Dovrà quindi:

- indicare l’importo dei lavori, affidati a[lla società in house] in esecuzione della deliberazione annullata, che sarebbero stati invece affidati mediante gara in applicazione delle statuizioni della presente decisione;

- applicare la percentuale di utile secondo quanto detto in precedenza;

- quantificare la chance sempre alla luce dei principi indicati;

- stabilire così l’importo spettante a ciascun restauratore ricorrente, da considerarsi già attualizzato,

- aumentare detto importo, in via equitativa, dell’1 % (della somma di cui al punto precedente), in considerazione dell’ulteriore danno, consistente nell’incidenza del perdita della chance anche in relazione ai requisiti di qualificazione e di valutazione, invocabili in successive gare.

6. In conclusione, devono essere respinti i ricorsi in appello proposti dal Comune di Roma e dalla società [in house] (il cui ricorso in appello incidentale non è stato menzionato nel dispositivo n. 132/07, pubblicato il 21-3-2007, trattandosi di appello avente ad oggetto le stesse censure proposte dal ricorso in appello principale del Comune di Roma, espressamente respinto anche nel dispositivo.

Deve, invece, essere in parte accolto il ricorso in appello proposto dai restauratori con riferimento alla domanda di risarcimento del danno nei termini in precedenza indicati ed ai sensi dell’art. 35, comma 2, del D. Lgs. n. 80/1998.

Alla soccombenza del Comune di Roma seguono le spese di lite nella misura indicata in dispositivo, mentre sussistono giusti motivi per compensare le spese tra i restauratori ricorrenti e la società [in house]. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, previa riunione dei ricorsi in epigrafe, respinge il ricorso in appello proposto dal Comune di Roma e accoglie nei limiti di cui in motivazione il ricorso in appello n.7438/06 e, per l’effetto, in parziale riforma della sentenza impugnata, condanna il Comune di Roma al risarcimento del danno in favore degli appellanti ai sensi dell’art.35, comma 2, D.lgs. n.80/1998, in base ai criteri indicati in parte motiva [...]».

3. La sentenza Corte di Giustizia Ce, sez. II, 19/4/2007, n. C–295/05 (Asemfo v. Tragsa)

Si deve quindi ritenere che è lo specifico regime giuridico (di diritto spagnolo) che consente l’affidamento dei lavori alla Tragsa in house (oltre che di servizi e di forniture), ai sensi oggi, delle Direttive 2004/17/Ce (settori speciali) e 2004/18/Ce (settori ordinari) (3) citati nella sentenza in rubrica.

Infatti, detta sentenza cita espressamente la normativa nazionale della Spagna.

Illuminante è il contenuto delle questioni pregiudiziali sottoposte dal Tribunal Supremo di detto Stato alla Corte di Giustizia Ce (v. punto n. 24 della sentenza) il quale (v. sotto punti n. 1, 2 e 3), con molta chiarezza, chiede : «1) Se, ai sensi dell’art. 86, n. 1, del Trattato CE, sia ammissibile che uno Stato membro [dell’Unione europea] attribuisca con legge ad un’impresa pubblica uno status giuridico che le consenta di realizzare opere pubbliche senza essere assoggettata alla disciplina generale sugli appalti della pubblica amministrazione aggiudicati mediante gara quando non sussistano circostanze speciali di urgenza o interesse generale, indipendentemente se superino o meno la soglia economica prevista dalle direttive comunitarie a tal proposito.

2) Se un tale regime giuridico sia compatibile con quanto stabilito nelle direttive 93/36 (…) e 93/37(…), nella direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 13 ottobre 1997, 97/52/CE [GU L 328, pag. 1] e nella direttiva della Commissione [13 settembre 2001,] 2001/78/CE, che modifica le direttive precedenti – normativa recentemente coordinata dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 31 marzo 2004, 2004/18/CE [relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi (GU L 134, pag. 114)].

3) Se le affermazioni della sentenza (…) Spagna/Commissione siano applicabili in ogni caso alla Tragsa e alle sue filiali, anche qualora si tenga in considerazione la restante giurisprudenza della Corte in materia di appalti pubblici, e si consideri che l’amministrazione affida alla Tragsa un elevato numero di opere, le quali sono sottratte al regime della libera concorrenza e che tale circostanza potrebbe comportare una distorsione significativa del mercato rilevante».

E, come noto, detta Corte ha statuito che, sussistendo i requisiti soggettivi dell’ in house, una società che gode di tale regime può essere affidataria di servizi pubblici locali, pubbliche forniture e lavori pubblici (sempre che il relativo ordinamento interno preveda ciò).

4. Ulteriori osservazioni di merito

1. Ma, come si diceva, il legislatore italiano non ha assorbito (e la giurisprudenza amministrativa domestica si è sempre pronunciata in via adesiva a tale diniego) nel citato D.Lgs. 163/2006 la possibilità di estendere alle società in house oltre che i servizi pubblici locali, anche i lavori pubblici e le pubbliche forniture ed i pubblici servizi (nelle definizioni dell’art. 3, D.Lgs. 163/2006).

2. Gli enti locali aderenti ad una società in house potranno invece direttamente ad essa affidare forniture pubbliche e lavori pubblici, sotto soglia comunitaria, settori ordinari, ai sensi della parte II, Titolo II, art. 125 (Lavori, servizi e forniture in economia), D.Lgs. 163/2006. In tal senso (4) :

i) per le forniture inferiori ai 20.000 euro (+ Iva) è consentito l’affidamento diretto (v. il c. 11, 2° cpv.);

ii) per i servizi inferiori ai 20.000 euro (+ Iva) è consentito l’affidamento diretto (ibidem);

iii) per i lavori inferiori ai 40.000 euro (+ Iva) è consentito l’affidamento diretto (v. il c. 8, 2° cpv.).

Il tutto, da parte del RUP (5) dell’ente locale socio nel rispetto dei regolamenti interni di detti enti.

4.1. Un breve focus sul RUP dell’ente locale socio per quanto qui di stretto interesse in materia di lavori e forniture (come da precedente § 5, punto n. 2)

Il citato RUP, nelle proprie determinazioni relative, per es. a servizi, lavori e forniture (nella definizione dell’art. 3, D.Lgs. 163/2006), avrà sempre l’obbligo di motivare (v. art. 97 Costituzione e artt. 1 e 3, L. 241/1990, così come novellata dalle LL. 15 e 80/2005) come quella fonte di acquisto «diretta[mente]» individuata consente, in una logica di costi–benefici, di perseguire l’ottimo valoriale (tra costi procedimentali e modestissimo importo dell’acquistarsi).

Per inciso si ricorda che il citato D.Lgs. 6/2007, art. 2, c. 1, lett. «b», consente ora di attribuire l’incarico di RUP a dipendenti semplicemente in servizio nell’amministrazione appaltante stessa, alle circostanze fattuali ivi previste.

Ecco che allora, si è del parere che sulla base della c.d. organizzazione formale interna degli enti locali soci di una società in house o mista, il RUP potrà sempre, per importi inferiori a quelli sopra indicati, effettuare affidamenti diretti superando l’obbligo di consultare una platea di fornitori pari ad almeno a cinque (v. art. 10, D.Lgs. 163/2006).

La citata organizzazione interna porrà poi il RUP nella condizione (v. art. 10 del Codice) di effettuare tali affidamenti diretti ispirandosi – comunque – a principi di sana gestione nell’impiego di denaro pubblico.

Detta sana gestione terrà conto evidentemente della conoscenza del prestatore dei servizi, della celerità dell’espletamento dell’incarico, della affidabilità della prestazione, ecc., in un tutt’uno con i requisiti soggettivi indicati dal successivo c. 12 del citato art. 10.

Quest’ultimo comma ha infatti portata generale, a prescindere dalla circostanza fattuale di cui al precedente c. 11.

La ratio legis delle opportunità degli acquisti in economia di cui ai cc. 8, 2° cpv. e 11, 2° cpv. dell’art. 125, D.Lgs. 163/2006, deve infatti essere ricollegata al fatto che tale importo non è certo in grado di creare turbativa commerciale o market abuse.

Così come la professionalità del RUP deve, ope legis, risultare tale da poter dar luogo agli affidamenti di cui trattasi con adeguata snellezza, atteso che i costi della eventuale procedura concorsuale risulterebbero esorbitanti (in proporzione all’importo sopraccitato) rispetto ai potenziali benefici.

Nel contempo il 2° cpv. del c. 11 si esprime in termini possibilistici, utilizzando la locuzione «è consentito» e non all’imperativo «è fatto obbligo».

In altri termini l’esperienza e la professionalità propri del RUP non possono che essere tali da porlo nella condizione di decidere - con adeguata autonomia - quando ricorrere all’affidamento diretto in economia piuttosto che alle procedure concorsuali (ma v. infra).

Ne consegue che la locuzione «è consentito» se da una parte non può che valere per gli importi inferiori a quelli sopraccitati, dall’altra nulla incide sull’autonomia decisionale del RUP; tra un affidamento diretto in economia ed un affidamento con procedura concorsuale tramite (nella fattispecie) procedura negoziata.

Il RUP procederà pertanto con «affidament[i] dirett[i]» in economia secondo norme di diritto privato, senza evidenza pubblica (v. per es. in precedenza e per quanto occorrere possa : T.A.R. Basilicata, sent. 30/10/2004, n. 733, T.A.R. Friuli–V.G., sent. 22/4/2003, n. 158; ibidem sent. 28/6/2003, n. 483; T.A.R. Piemonte, sez. II, sent. 31/5/2004, n. 968).

Ne consegue che (sotto il profilo della giurisdizione) ci si troverà (a parità di ogni altra considerazione) in presenza di negozi privati, stipulati senza evidenza pubblica e quindi in assenza di esercizio di potestà pubbliche, la cui competenza sarà quella dell’ Autorità giudiziaria ordinaria (A.G.O.).

Il RUP formalizzerà comunque l’affidamento con un proprio atto (ordine, contratto, ecc.) in linea con le procedure organizzative interne.

Lo snellimento infatti dell’iter procedimentale dovrà, evidentemente, armonizzarsi con le scelte che l’organizzazione dell’ente locale socio, sulla materia, si è, per autodeterminazione, dato.

Del resto, è lo stesso RUP il «garante» della correttezza della fonte di acquisto da esso individuata, noto che ciò è espressamente previsto, per ogni acquisizione in economia dal c. 2 dell’art. 125 in esame (ma v. anche l’art. 29 del Codice).

Spetterà pertanto al RUP individuare (all’interno del processo di valutazione di congruità) l’importo complessivo del contratto sotto agli importi il cui superamento esclude la possibilità di ricorrere all’acquisto in affidamento diretto.

Ecco che allora il concept del legislatore del 2006 sull’argomento è stato quello :

1) di rendere possibili le acquisizioni in economia anche di lavori e forniture;

2) di agire attraverso il RUP;

3) di distinguere, al c. 11, sulla base degli importi, le relative procedure pubblicistiche (1° cpv.) o privatistiche (2° cpv.);

4) di sommare tutta la platea dei lavori, servizi e forniture in economia in un unico articolo (il 125, settore ordinari);

e quindi :

5) affinché al RUP fosse «consentito» l’affidamento diretto, senza confronto concorrenziale, per gli importi sopraccitati;

6) senza la possibilità di un artificioso frazionamento degli importi (v. il c. 13);

7) e solo se è stato (v. c. 2) individuato il RUP (ma v. sugli acquisti in economia anche l’art. 10, c. 2, del Codice);

8) di favorire (e non di obbligare) il soggetto acquisitore, in linea con l’altro concept di organizzazione formale interna (v. procedure standardizzate, situazioni di somma urgenza, le tecniche di intervento per eccezioni, i manuali qualità e delle procedure, la modulistica da utilizzarsi per la formalizzazione dell’atto di acquisto, ecc.);

9) di rendere impregiudicata la sussistenza (e quindi la pre-verifica da parte del RUP) dei requisiti soggettivi di cui al c. 12;

10) di rendere – e ciò non deve essere affatto sottovalutato – ancora più importante il ruolo d’impulso (v. dell’art. 10, c. 3, l’incipit della lett. «a» del Codice) e «di vigilanza sui contratti» attribuito ope legis al RUP, che anche gli acquisti in economia sotto agli importi sopraccitati devono prevedere.

E, forse proprio queste ultime previsioni se da una parte consentono di ricorrere a procedure squisitamente privatistiche (ispirate a principi di semplificazione procedimentale), dall’altra rimettono sempre al RUP l’obbligo (comunque) di dimostrare il rispetto dei paradigmi che stanno alla base dell’edificio della L. 241/1990.

In altri termini, si può precisare che le acquisizioni in economia sotto gli importi sopraccitati sono «consentit[e in] affidamento diretto», potendo sempre il RUP dimostrare che tale affidamento è quello che, in quel tempo ed in quel luogo, consente di perseguire il massimo dell’economicità efficacia ed efficienza.

Quindi, non un affidamento diretto solo e solamente perchè l’importo è inferiore a quelli sopraccitati, ma perché il RUP è in grado, attraverso quest’ultima procedura, di poter sempre dimostrare il rispetto dei paradigmi anzicitati. E più esattamente, il requisito della economicità, per es., potrà essere dimostrato tra il costo complessivo di cui alle procedure negoziate ed il modesto valore dell’importo, ecc.; l’efficacia (quale indice di quantità) potrà, per es., essere dimostrata alla luce dei modestissimi volumi di lavori e/o forniture richieste, ecc.; l’efficienza (quale indice di qualità e di affidabilità) potrà, per es., essere dimostrata alla luce del contenimento del rischio dell’allungamento dei termini di consegna, della qualità finale del lavoro o della fornitura, ecc.

Spetterà poi sempre al RUP dimostrare (ex ante) che non sussistono ipotesi di frazionamento artificioso degli importi (v. art. 125, c. 13) e che il prestatore di servizi (lavori, forniture) possiede i requisiti soggettivi di cui al precedente c. 12 e, ad abundantiam, oggettivi che avrà pre–valutato, ponderato, diagnosticato e documentato. Infine, sotto il profilo etimologico, la locuzione «è consentito» (6) ben evidenza la rottura procedimentale tra l’iter

pubblicistico del 1° cpv. del c. 11, art. 125 del Codice, rispetto all’iter più squisitamente privatistico del successivo 2° cpv. ... seppur nello stretto rispetto dei principi di economicità, efficacia ed efficienza ex artt. 1 e 3, L. 241/1990.

4.2. In punto di giurisprudenza

E’ poi noto che il citato D.Lgs. 163/2006 è stato modificato dal D.Lgs. 6/2007 e che il Consiglio di Stato, Ad. gen., 6/6/2007, n. 1750 ha espresso il proprio parere sull’ultimo schema di decreto legislativo per le ulteriori modifiche a tale decreto da parte del Governo (ai sensi dell’art. 25, c. 3, L. 62/2005).

Tale ultimo schema non affronta (purtroppo) l’estensione dell’ in house anche ai lavori pubblici, alle forniture pubbliche ed ai pubblici servizi (sempre nella definizione dell’art. 3, D.Lgs. 163/2006), come da titolo II, capo I, sezione III, art. 18, della citata direttiva 2004/18/Ce/settori ordinari) e quindi il punto n. 7.1. del citato parere di Palazzo Spada si limita a precisare che «7.1. In merito ai lavori, servizi e forniture realizzati in house da pubbliche amministrazioni, non si ritiene di dovere fare osservazioni, poiché, pur nella convinzione che la sede più naturale per disciplinarli sia proprio il Codice [unico degli appalti, n.d.r.], lo stato di fluidità della natura e la variabilità dei profili oggettivi e soggettivi consigliano di rinviare la codificazione».

Alla luce di quanto sopra approfondito, si può quindi osservare che il vigente ordinamento italiano:

1) consente l’in house

— dei servizi pubblici locali di rilevanza economica ex art. 113, c. 5, lett. «c», D.Lgs. 267/2000;

— delle manutenzioni se rientranti nella qualificazione di cui all’art. 112, D.Lgs. 267/2000 e come tali rientranti nel genus dei servizi pubblici locali ex art. 113, c. 5, lett. «c» stesso decreto;

2) non consente l’in house

— di pubbliche forniture (nella definizione ex art. 3, D.Lgs. 163/2006);

— di lavori pubblici (ibidem);

— di pubblici servizi ex D.Lgs. 163/2006 (ibidem);

3) tollera l’in house

— (o quanto meno non risultano sentenze di segno contrario) di servizi pubblici locali privi di rilevanza economica se affidati a società di capitali che sviluppano in primis, servizi di rilevanza economica ex art. 113, c. 5, lett. «c», D.Lgs. 267/2000;

4) consente (a prescindere dall’ in house)

— gli affidamenti in economia da parte degli enti locali soci, per gli importi sopraccitati di cui all’art. 125 (settori ordinari : per quanto qui interessa) del D.Lgs. 163/2006;

— di pubbliche forniture;

— di lavori pubblici;

— di pubblici servizi.

Valendo le definizioni dell’art. 3 (Definizioni) del pluricitato D.Lgs. 163/2006 :

— di pubblici servizi

come da c. 10;

— di pubbliche forniture

come da c. 9;

— di lavori pubblici

come da c. 8;

alle quali si rinvia (sempre con riferimento ai settori ordinari per quanto qui interessa).

In tal senso vedasi anche le fondamentali sentenze della Corte di cassazione, sez. un., del 30/3/2000, n. 71 e ibidem del 30/3/2000, n. 72, in cui è autorevolmente precisato che l’interpretazione, per così dire, estrema dell’ in house (id est, assorbente anche i lavori e le forniture) «finirebbe per coincidere con ogni attività privata rilevante per il diritto amministrativo».

Nel contempo, non si possono non tenere presenti le reiterate aperture della Corte di Giustizia Ce sulla possibilità degli affidamenti in house di servizi, forniture e lavori, noto che già nelle conclusioni dell’Avvocato generale Christine Stix – Hackl, 12/1/2006, causa n. C – 340/04, Carbotermo s.p.a. e Consorzio Lisei contro Comune di Busto Arsizio, è ritenuto «legittimo un affidamento in house di forniture ad una società partecipata indirettamente dall’ente locale, sussistendo i requisiti [ivi specificati] che devono essere verificati di volta in volta».

Detta sentenza riguarda pertanto l’affidamento in house di un appalto di fornitura ad una società (appunto di 3° grado) indirettamente partecipata dal citato Comune attraverso una società di 2° grado in house, non contrastando ciò con la Direttiva del Consiglio 93/36 Ce (e poi 2004/18/Ce).

L’oggetto dell’appalto di fornitura (nella fattispecie) interessava la fornitura di energia, nonché la manutenzione, l’adeguamento e la riqualificazione tecnologica degli impianti termici al servizio degli edifici comunali (euro 8,45 milioni + Iva, di cui 5,7 per combustibili, euro 1,0 per la manutenzione ed euro 1,75 per la riqualificazione e la messa a norma).

Nel § IV, lett. «C» (Conclusioni intermedie), punto 70 è (nel caso di specie specificato da parte del citato Avvocato generale) : «70. Il criterio del controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi può essere soddisfatto anche nel caso di imprese partecipate da più Enti pubblici. La valutazione del caso concreto oggetto del procedimento principale spetta al giudice nazionale. Egli deve valutare la situazione sulla base dei seguenti elementi :

— gli interessi dei detentori delle quote:

— la trasformazione dell’azienda municipalizzata in una società per azioni;

— la circostanza che l’apertura della società al capitale esterno non sia prevista obbligatoriamente, né sia di fatto avvenuta;

— la possibilità per [il soggetto di 3° grado] di aprile filiali anche all’estero;

— l’ampiezza della possibilità di influenzare la nomina del consiglio di amministrazione e la dirigenza della società;

— i poteri del consiglio di amministrazione del [soggetto di 2° grado], nonché

— la circostanza che il comune partecipi al [soggetto di 3° grado] indirettamente, attraverso la [società di 2° grado]».

4.3. Le manutenzioni

Se i vincoli anzi esposti valgono per gli affidamenti diretti (in house) di lavori pubblici e per le pubbliche forniture per le cui definizioni si rinvia all’art. 3 (Definizioni) del D.Lgs. 163/2006 (per queste ultime al di là della “digressione” di cui alle citate conclusioni dell’Avvocato generale causa C–340/04 del 12/1/2006 di cui supra § 5.2., punto n. 4, risultano invece (come noto) possibili gli affidamenti in house per i servizi pubblici locali e per le manutenzioni.

Così la sentenza Consiglio di Stato, sez. V, sent. 13/1/2006, n. 7369 tra (sinteticamente) «altri» contro il «il Comune di Genova» (7), con specifico riferimento (ai sensi degli artt. 112 e 113, c. 5, lett. «c», D.Lgs. 267/2000) alle strade, illuminazione pubblica e gestione del verde.

Il tutto, sulla base di una qualificazione allargata di servizio pubblico locale, definito (v. Cons. di St., ad. pl., ord. 30/3/2000, n. 1; ibidem, sez. V, sent. 9/5/2001, n. 2605; ibidem, sez. V., sent. 11/7/2001, n. 3847 ; Cga regione siciliana, sent. 23/7/2001, n. 410; Cons. di St., sez. V, sent. 22/12/2005, n. 7345) quale «attività (di qualsiasi natura) connessa alla cura di interessi collettivi, sia essa svolta da soggetti pubblici o privati (dunque all’infuori della logica di scambio o di lucro)».

5. Il DdL AS 772 di delega al governo per il riordino dei servizi pubblici locali (c.d. DdL Lanzillotta)

Tenendo conto degli emendamenti al DdL in rubrica a tutto il 29/5/2007, si può osservare (per quanto qui di stretto interesse) che (v. art. 1, rubricato «Finalità e ambito di applicazione») detto DdL risulta (al momento) tout court concentrato sui (soli) «servizi pubblici locali [...] di interesse generale di rilevanza economica in ambito locale» (8).

6. Conclusioni

Alla luce di tutto quanto analizzato in punto di diritto e di giurisprudenza comunitaria e nazionale, si può concludere che il diritto comunitario (v. per quanto qui interessa i settori ordinari, l’art. 18, direttiva 2004/18/Ce) non preclude l’affidamento a società in house (in possesso ope legis dei pregnanti requisiti previsti) di servizi pubblici locali, pubbliche forniture e pubblici lavori.

Ma, come si diceva, il D.Lgs. 163/2006 (ivi compresa la prima modifica e lo schema della seconda) non recepisce (attualmente) tale fondamentale opportunità (così come chiaramente delineato dalla sentenza di Palazzo Spada di cui ai precedenti §§ 2, punto 1 e dal parere dello stesso riportato nel precedente § 4.2., punto n. 1).



(1) In dottrina si rinvia all’opera di GIURDANELLA C., CAUDULLO G., Commento al Codice dei Contratti Pubblici. Come cambiano gli appalti di lavori, di forniture e di servizi dopo il D. Lgs. 12 aprile 2006, n. 163, Simone E., Napoli, 2006, nonché a MASSARI A., GRECO M., Il nuovo codice dei contratti pubblici, Maggioli E., Rimini, 2006, e dello stesso autore Le nuove direttive comunitarie sugli appalti, Maggioli E., Rimini, 2006

(2) V. la rubrica Giurisprudenza, in Appalti & Contratti, n. 5/2007, pagg. 63–72, Maggioli E., Rimini, nonchè (con riferimento diretto ad una società “presunta” in house senza che lo fosse) il commento di URSO G.M., Perdita di chance, risarcibile il danno causato dalla mancata indizione della gara, in Diritto e pratica amministrativa, n. 5/2007, pagg. 85–91, Il Sole–24 Ore, Milano.

(3) Sulla direttiva 2004/18/CE, settori ordinari, si richiama l’attenzione, per ogni approfondimento alle opere di BOTTO A., Il recepimento della direttiva 18/2004/CE relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti di lavori, di forniture e di servizi, in Appalti, Urbanistica, Edilizia, n. 5/2005, Master, Roma; CALZONI M., CAPPELLETTI S., La direttiva 2004/18/Ce (settori ordinari), in atti del Seminario Cispel Lombardia Service, Milano, 2006; FIORENTINO L., LACAVA C., Le nuove direttive europee sugli appalti, Milano, Giuffrè E. 2005; GAROFOLI R., SANDULLI M.A. (a cura di ), Il nuovo diritto degli appalti pubblici nella direttiva 2004/18/CE e nella legge comunitaria n. 62/2005, Giuffrè E., Milano, 2005.

(4) Su tale specifica procedura v. le opere (tutt’ora) fondamentali di FABIANO N., Trattativa privata e appalti pubblici, Giuffrè E., Milano, 1997; di MASSARI A., Sistemi alternativi all’appalto ad evidenza pubblica, 3^ ediz., Maggioli E., Rimini, 2005; di CALZONI M., La trattativa privata senza previa pubblicazione del bando (nelle direttive comunitarie e nel c.d. codice unico appalti), in Atti seminario Cispel Lombardia Service s.r.l., Milano, 2006.

(5) Sul ruolo del RUP si rinvia a CALZONI M., CAPPELLETTI S., Seminario sulla nuova normativa comunitaria in materia di appalti e soglie di servizi, forniture e lavori per i settori ordinari, in Atti seminario Cispel Lombardia Services, Milano, 2006.

(6) Da consenso, [sec. XIII, dal latino consensus], e cioè : 1) in generale : «è permesso»; «c’è accordo unanime»; «c’è l’assenso di tutti»; 2) in diritto : «c’è conformità di giudizio nell’approvare»; «non contrasta con l’ordinamento»; «è assentito»).

(7) Cfr. URSO M.G., Sì all’in house per i lavori di manutenzione, in Diritto e pratica amministrativa, n. 3/2007, pagg. 27–32, Il Sole–24 Ore, Milano; nonché BECCARIA M.L., In house, precisato l’ambito di applicazione, in Guida agli enti locali, n. 18/2007, pagg. 80–85, Il Sole–24 Ore, Milano.

(8) Sulla qualificazione di servizio pubblico locale di rilevanza economica si rinvia a Corte di Giustizia Ce, sent. 22/5/2003, C–18/2001 e TAR Sardegna, sent. 2/8/2005, n. 1729, mentre sulla ratio legis del DdL citato v. RUGGIERO G., Intervista al Ministro Linda Lanzillotta. Rete pubblica gestione in concorrenza, in TP, marzo 2007, pagg. 11–13, Asstra, Roma.

Sommario:

1. Osservazioni generali

2. Una recente sentenza sull’argomento da parte del Consiglio di Stato

3. La sentenza Corte di Giustizia Ce, sez. II, 19/4/2007, n. C–295/05 (Asemfo v. Tragsa)

4. Ulteriori osservazioni di merito

4.1. Un breve focus sul RUP dell’ente locale socio per quanto qui di stretto interesse in materia di lavori e forniture (come da precedente § 5, punto n. 2)

4.2. In punto di giurisprudenza

4.3. Le manutenzioni

5. Il DdL AS 772 di delega al governo per il riordino dei servizi pubblici locali (c.d. DdL Lanzillotta)

6. Conclusioni.

1. Osservazioni generali

Il tema in rubrica (per invero assai interessante) si concentra sulla vexata quaestio se negli affidamenti in delegazione interorganica (c.d., ricorrendo ad un felice idioma anglosassone, in house) possono rientrare, oltre che i servizi pubblici locali (ex art. 112, D.Lgs. 267/2000, c.d. T.U.E.L.) anche i lavori (ex D.Lgs. 163/2006) o (amplius) le forniture, nella definizione di cui alla parte I, titolo I, art. 3 (Definizioni), cc. 7 e 8 (per i lavori) e 9 (per le forniture) di tale ultimo decreto (1).

2. Una recente sentenza sull’argomento da parte del Consiglio di Stato

Il Consiglio di Stato, sez. VI, sent. 3/4/2007, n. 1514 (2) da parte di (qui sinteticamente definiti) «altri» contro il «Comune di Roma» è entrato nel merito dell’affidamento di opere (e/o lavori) a società in house.

La sentenza di Palazzo Spada citata richiama la sentenza di Corte di Giustizia Ce, 6/4/2006, C–410/04, in relazione al fatto che «4. [...] i requisiti dell’in house providing, costitu[iscono] un’eccezione alle regole generali del diritto comunitario [e, come tali] devono essere interpretate ristrettivamente».

Sempre il citato Giudice amministrativo nella sentenza di cui trattasi chiarisce che «Una norma di carattere generale era stata proposta nel primo schema del c..d codice appalti, ma non è stata poi inserita nel testo finale del D.Lgs. n. 163/2006, a conferma della volontà del legislatore di non generalizzare il modello dell’in house a qualsiasi forma di affidamento di servizi, di lavori, o di forniture.

Tali [lavori] non potevano essere affidate in house in assenza di espressa disposizione di legge, idonea a consentirlo.

Né rileva accertare se i singoli lavori potessero essere, o meno, svolti in economia, o se la progettazione potesse essere svolta direttamente alla p.a., in quanto l’affidamento diretto a terzi di un blocco di tali lavori di importo complessivamente superiore al limite dei lavori in economia è comunque consentito solo se ricorrono i presupposti del c.d. in house [...].

Deve a questo punto essere esaminata la domanda risarcitoria, oggetto del ricorso in appello dei restauratori, che si lamentano dei danni subiti per la contrazione del mercato dei lavori [...].

Con riguardo alla responsabilità della pubblica amministrazione per i danni causati dall’esercizio illegittimo dell’attività amministrativa, questa sezione ha già aderito a quell’ orientamento favorevole a restare all’interno dei più sicuri confini dello schema e della disciplina della responsabilità aquilina, che rivelano una maggiore coerenza della struttura e delle regole di accertamento dell’illecito extracontrattuale con i caratteri oggettivi della lesione di interessi legittimi e con le connesse esigenze di tutela, (Cons. Stato, VI, 23 giugno 2006, n. 3981; 9 novembre 2006, n. 6607; 9 marzo 2007, n. 1114; IV, 6 luglio 2004, n. 5012; 10 agosto 2004, n. 5500).

Sotto il profilo dell’elemento oggettivo dell’illecito, si rileva che i ricorrenti non possono pretendere i danni per non essere risultati aggiudicatari di appalti, in quanto l’illegittimità commessa dall’amministrazione è stata quella di affidare lavori in via diretta senza indire le gare e la lesione subita non può che essere limitata alla perdita della chance di aggiudicarsi le gare, mai bandite.

Dagli elementi forniti è in effetti emersa una contrazione del mercato dei lavori [...], inevitabile conseguenza dell’affidamento diretto ad una società di parte di essi; contrazione del mercato che ha inciso anche sulle posizioni dei ricorrenti.

La perdita della chance di partecipare alle gare costituisce, quindi, un danno che si pone in rapporto di diretta consequenzialità con l’illegittimo affidamento alla società [in house] dei menzionati lavori.

Non è invece configurabile il presunto danno esistenziale, chiesto dai ricorrenti senza alcun supporto giuridico e probatorio.

Per quanto concerne, l’elemento soggettivo, sulla base dei richiamati precedenti giurisprudenziali, va ribadito che non è comunque richiesto al privato danneggiato da un provvedimento amministrativo illegittimo un particolare sforzo probatorio per dimostrare la colpa della p.a. Infatti, pur non essendo configurabile, in mancanza di una espressa previsione normativa, una generalizzata presunzione (relativa) di colpa dell’ amministrazione per i danni conseguenti ad un atto illegittimo o comunque ad una violazione delle regole, possono invece operare regole di comune esperienza e la presunzione semplice, di cui all’ art. 2727 C.C. desunta dalla singola fattispecie.

Il privato danneggiato può, quindi, invocare l’illegittimità del provvedimento quale indice presuntivo della colpa o anche allegare circostanze ulteriori, idonee a dimostrare che si è trattato di un errore non scusabile.

Spetterà a quel punto all’amministrazione dimostrare che si è trattato di un errore scusabile, configurabile in caso di contrasti giurisprudenziali sull’interpretazione di una norma, di formulazione incerta di norme da poco entrate in vigore, di rilevante complessità del fatto, di influenza determinante di comportamenti di altri soggetti, di illegittimità derivante da una successiva dichiarazione di incostituzionalità della norma applicata.

Si deve, peraltro, tenere presente che molte delle questioni rilevanti ai fini della scusabilità dell’errore sono questioni di interpretazione ed applicazione delle norme giuridiche, inerenti la difficoltà interpretativa che ha causato la violazione; in simili casi il profilo probatorio resta in larga parte assorbito dalla questio iuris, che il giudice risolve autonomamente con i propri strumenti di cognizione in base al principio iura novit curia.

Spetta, quindi, al giudice valutare, in relazione ad ogni singola fattispecie, la presunzione relativa di colpa, che spetta poi all’amministrazione vincere; inoltre, in assenza di discrezionalità o in presenza di margini ridotti di essa, le presunzioni semplici di colpevolezza saranno più facilmente configurabili, mentre in presenza di ampi poteri discrezionali ed in assenza di specifici elementi presuntivi, sarà necessario uno sforzo probatorio ulteriore, gravante sul danneggiato, che potrà ad esempio allegare la mancata valutazione degli apporti resi nella fase partecipativa del procedimento o che avrebbe potuto rendere se la partecipazione non è stata consentita.

Va, infine, precisato che alcun elemento contrario alla effettuata ricostruzione della nozione di colpa della p.a. può trarsi dalla giurisprudenza comunitaria [...].

Precisata la nozione di colpa della p.a., si tratta ora di applicare i suesposti principi alla fattispecie in esame.

Nel caso di specie, l’amministrazione ha proceduto agli affidamenti diretti [di lavori] in favore di [una società in house] in violazione della richiamata giurisprudenza comunitaria (già esistente al momento degli affidamenti) ed, inoltre, nonostante un invito a lei rivolto dall’Autorità garante per la concorrenza ed il mercato, con nota prot. n. 27146 del 29 agosto 2005, ad «…adottare iniziative idonee a rimettere in concorrenza le attività di [cui trattasi] mediante una procedura ad evidenza pubblica…» [...].

Con riguardo ai criteri da seguire, la perdita di chance va rapportata in termini percentuali all’utile in astratto conseguibile in ipotesi di aggiudicazione delle gare non svolte.

L’utile economico che sarebbe derivato all’impresa dall’esecuzione dell’appalto viene presuntivamente quantificato nel 10% dell’importo a base d’asta, come ribassato dall’offerta presentata (Cons. Stato, V, 8 luglio 2002 n. 3796; Cons. Stato, IV, 6 luglio 2004 n. 5012), ma tale percentuale deve essere ridotta al 5 % nel caso in cui l’impresa non dimostra di non aver potuto utilizzare mezzi e maestranze per l’espletamento di altri servizi (Cons. Stato, V 24 ottobre 2002 n. 5860; VI, 9 novembre 2006 n. 6607).

Tale percentuale sarà fissata in misura non superiore al 5 % qualora i restauratori ricorrenti non forniscano al Comune idonee prove di aver tenuto ferma la propria organizzazione imprenditoriale o comunque di aver subito una rilevante contrazione dei propri bilanci nel periodo in questione (in base a tale documentazione, che i ricorrenti di primo grado sono tenuti a produrre al Comune entro 30 giorni dalla pubblicazione della presente decisione, il Comune fisserà la suddetta percentuale).

Come già detto, quando il ricorrente allega solo la perdita di una chance a sostegno della pretesa risarcitoria, la somma commisurata all’utile d’impresa deve essere proporzionalmente ridotta in ragione delle concrete possibilità di vittoria (Cons. Stato, VI, 8 maggio 2002 n. 2485).

A seguito dell’istruttoria svolta nel giudizio n. 2051/06, è emerso che nelle gare per l’affidamento dei lavori di restauro e di manutenzione partecipano di solito, quando il criterio di aggiudicazione è quello del prezzo più basso, un numero di concorrenti non inferiore a venti, con punte anche più alte e che tale numero si riduce notevolmente in caso di utilizzo del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa e di procedure ristrette. In quel giudizio, è stata ritenuta una presenza media di 15 concorrenti ad ogni gara e, di conseguenza, la perdita della chance è stata quantificata in un quindicesimo dell’utile di impresa, presumendo che ogni concorrente avesse le stesse possibilità di aggiudicarsi la gara.

Il Comune dovrà verificare le tipologie e gli importi degli affidamenti di lavori, avvenuti nel periodo in questione in esecuzione della deliberazione in parte annullata e stabilire il numero medio dei partecipanti ad ipotetiche gare in ragione delle proprie documentate pregresse esperienze.

Dovrà quindi:

- indicare l’importo dei lavori, affidati a[lla società in house] in esecuzione della deliberazione annullata, che sarebbero stati invece affidati mediante gara in applicazione delle statuizioni della presente decisione;

- applicare la percentuale di utile secondo quanto detto in precedenza;

- quantificare la chance sempre alla luce dei principi indicati;

- stabilire così l’importo spettante a ciascun restauratore ricorrente, da considerarsi già attualizzato,

- aumentare detto importo, in via equitativa, dell’1 % (della somma di cui al punto precedente), in considerazione dell’ulteriore danno, consistente nell’incidenza del perdita della chance anche in relazione ai requisiti di qualificazione e di valutazione, invocabili in successive gare.

6. In conclusione, devono essere respinti i ricorsi in appello proposti dal Comune di Roma e dalla società [in house] (il cui ricorso in appello incidentale non è stato menzionato nel dispositivo n. 132/07, pubblicato il 21-3-2007, trattandosi di appello avente ad oggetto le stesse censure proposte dal ricorso in appello principale del Comune di Roma, espressamente respinto anche nel dispositivo.

Deve, invece, essere in parte accolto il ricorso in appello proposto dai restauratori con riferimento alla domanda di risarcimento del danno nei termini in precedenza indicati ed ai sensi dell’art. 35, comma 2, del D. Lgs. n. 80/1998.

Alla soccombenza del Comune di Roma seguono le spese di lite nella misura indicata in dispositivo, mentre sussistono giusti motivi per compensare le spese tra i restauratori ricorrenti e la società [in house]. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, previa riunione dei ricorsi in epigrafe, respinge il ricorso in appello proposto dal Comune di Roma e accoglie nei limiti di cui in motivazione il ricorso in appello n.7438/06 e, per l’effetto, in parziale riforma della sentenza impugnata, condanna il Comune di Roma al risarcimento del danno in favore degli appellanti ai sensi dell’art.35, comma 2, D.lgs. n.80/1998, in base ai criteri indicati in parte motiva [...]».

3. La sentenza Corte di Giustizia Ce, sez. II, 19/4/2007, n. C–295/05 (Asemfo v. Tragsa)

Si deve quindi ritenere che è lo specifico regime giuridico (di diritto spagnolo) che consente l’affidamento dei lavori alla Tragsa in house (oltre che di servizi e di forniture), ai sensi oggi, delle Direttive 2004/17/Ce (settori speciali) e 2004/18/Ce (settori ordinari) (3) citati nella sentenza in rubrica.

Infatti, detta sentenza cita espressamente la normativa nazionale della Spagna.

Illuminante è il contenuto delle questioni pregiudiziali sottoposte dal Tribunal Supremo di detto Stato alla Corte di Giustizia Ce (v. punto n. 24 della sentenza) il quale (v. sotto punti n. 1, 2 e 3), con molta chiarezza, chiede : «1) Se, ai sensi dell’art. 86, n. 1, del Trattato CE, sia ammissibile che uno Stato membro [dell’Unione europea] attribuisca con legge ad un’impresa pubblica uno status giuridico che le consenta di realizzare opere pubbliche senza essere assoggettata alla disciplina generale sugli appalti della pubblica amministrazione aggiudicati mediante gara quando non sussistano circostanze speciali di urgenza o interesse generale, indipendentemente se superino o meno la soglia economica prevista dalle direttive comunitarie a tal proposito.

2) Se un tale regime giuridico sia compatibile con quanto stabilito nelle direttive 93/36 (…) e 93/37(…), nella direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 13 ottobre 1997, 97/52/CE [GU L 328, pag. 1] e nella direttiva della Commissione [13 settembre 2001,] 2001/78/CE, che modifica le direttive precedenti – normativa recentemente coordinata dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 31 marzo 2004, 2004/18/CE [relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi (GU L 134, pag. 114)].

3) Se le affermazioni della sentenza (…) Spagna/Commissione siano applicabili in ogni caso alla Tragsa e alle sue filiali, anche qualora si tenga in considerazione la restante giurisprudenza della Corte in materia di appalti pubblici, e si consideri che l’amministrazione affida alla Tragsa un elevato numero di opere, le quali sono sottratte al regime della libera concorrenza e che tale circostanza potrebbe comportare una distorsione significativa del mercato rilevante».

E, come noto, detta Corte ha statuito che, sussistendo i requisiti soggettivi dell’ in house, una società che gode di tale regime può essere affidataria di servizi pubblici locali, pubbliche forniture e lavori pubblici (sempre che il relativo ordinamento interno preveda ciò).

4. Ulteriori osservazioni di merito

1. Ma, come si diceva, il legislatore italiano non ha assorbito (e la giurisprudenza amministrativa domestica si è sempre pronunciata in via adesiva a tale diniego) nel citato D.Lgs. 163/2006 la possibilità di estendere alle società in house oltre che i servizi pubblici locali, anche i lavori pubblici e le pubbliche forniture ed i pubblici servizi (nelle definizioni dell’art. 3, D.Lgs. 163/2006).

2. Gli enti locali aderenti ad una società in house potranno invece direttamente ad essa affidare forniture pubbliche e lavori pubblici, sotto soglia comunitaria, settori ordinari, ai sensi della parte II, Titolo II, art. 125 (Lavori, servizi e forniture in economia), D.Lgs. 163/2006. In tal senso (4) :

i) per le forniture inferiori ai 20.000 euro (+ Iva) è consentito l’affidamento diretto (v. il c. 11, 2° cpv.);

ii) per i servizi inferiori ai 20.000 euro (+ Iva) è consentito l’affidamento diretto (ibidem);

iii) per i lavori inferiori ai 40.000 euro (+ Iva) è consentito l’affidamento diretto (v. il c. 8, 2° cpv.).

Il tutto, da parte del RUP (5) dell’ente locale socio nel rispetto dei regolamenti interni di detti enti.

4.1. Un breve focus sul RUP dell’ente locale socio per quanto qui di stretto interesse in materia di lavori e forniture (come da precedente § 5, punto n. 2)

Il citato RUP, nelle proprie determinazioni relative, per es. a servizi, lavori e forniture (nella definizione dell’art. 3, D.Lgs. 163/2006), avrà sempre l’obbligo di motivare (v. art. 97 Costituzione e artt. 1 e 3, L. 241/1990, così come novellata dalle LL. 15 e 80/2005) come quella fonte di acquisto «diretta[mente]» individuata consente, in una logica di costi–benefici, di perseguire l’ottimo valoriale (tra costi procedimentali e modestissimo importo dell’acquistarsi).

Per inciso si ricorda che il citato D.Lgs. 6/2007, art. 2, c. 1, lett. «b», consente ora di attribuire l’incarico di RUP a dipendenti semplicemente in servizio nell’amministrazione appaltante stessa, alle circostanze fattuali ivi previste.

Ecco che allora, si è del parere che sulla base della c.d. organizzazione formale interna degli enti locali soci di una società in house o mista, il RUP potrà sempre, per importi inferiori a quelli sopra indicati, effettuare affidamenti diretti superando l’obbligo di consultare una platea di fornitori pari ad almeno a cinque (v. art. 10, D.Lgs. 163/2006).

La citata organizzazione interna porrà poi il RUP nella condizione (v. art. 10 del Codice) di effettuare tali affidamenti diretti ispirandosi – comunque – a principi di sana gestione nell’impiego di denaro pubblico.

Detta sana gestione terrà conto evidentemente della conoscenza del prestatore dei servizi, della celerità dell’espletamento dell’incarico, della affidabilità della prestazione, ecc., in un tutt’uno con i requisiti soggettivi indicati dal successivo c. 12 del citato art. 10.

Quest’ultimo comma ha infatti portata generale, a prescindere dalla circostanza fattuale di cui al precedente c. 11.

La ratio legis delle opportunità degli acquisti in economia di cui ai cc. 8, 2° cpv. e 11, 2° cpv. dell’art. 125, D.Lgs. 163/2006, deve infatti essere ricollegata al fatto che tale importo non è certo in grado di creare turbativa commerciale o market abuse.

Così come la professionalità del RUP deve, ope legis, risultare tale da poter dar luogo agli affidamenti di cui trattasi con adeguata snellezza, atteso che i costi della eventuale procedura concorsuale risulterebbero esorbitanti (in proporzione all’importo sopraccitato) rispetto ai potenziali benefici.

Nel contempo il 2° cpv. del c. 11 si esprime in termini possibilistici, utilizzando la locuzione «è consentito» e non all’imperativo «è fatto obbligo».

In altri termini l’esperienza e la professionalità propri del RUP non possono che essere tali da porlo nella condizione di decidere - con adeguata autonomia - quando ricorrere all’affidamento diretto in economia piuttosto che alle procedure concorsuali (ma v. infra).

Ne consegue che la locuzione «è consentito» se da una parte non può che valere per gli importi inferiori a quelli sopraccitati, dall’altra nulla incide sull’autonomia decisionale del RUP; tra un affidamento diretto in economia ed un affidamento con procedura concorsuale tramite (nella fattispecie) procedura negoziata.

Il RUP procederà pertanto con «affidament[i] dirett[i]» in economia secondo norme di diritto privato, senza evidenza pubblica (v. per es. in precedenza e per quanto occorrere possa : T.A.R. Basilicata, sent. 30/10/2004, n. 733, T.A.R. Friuli–V.G., sent. 22/4/2003, n. 158; ibidem sent. 28/6/2003, n. 483; T.A.R. Piemonte, sez. II, sent. 31/5/2004, n. 968).

Ne consegue che (sotto il profilo della giurisdizione) ci si troverà (a parità di ogni altra considerazione) in presenza di negozi privati, stipulati senza evidenza pubblica e quindi in assenza di esercizio di potestà pubbliche, la cui competenza sarà quella dell’ Autorità giudiziaria ordinaria (A.G.O.).

Il RUP formalizzerà comunque l’affidamento con un proprio atto (ordine, contratto, ecc.) in linea con le procedure organizzative interne.

Lo snellimento infatti dell’iter procedimentale dovrà, evidentemente, armonizzarsi con le scelte che l’organizzazione dell’ente locale socio, sulla materia, si è, per autodeterminazione, dato.

Del resto, è lo stesso RUP il «garante» della correttezza della fonte di acquisto da esso individuata, noto che ciò è espressamente previsto, per ogni acquisizione in economia dal c. 2 dell’art. 125 in esame (ma v. anche l’art. 29 del Codice).

Spetterà pertanto al RUP individuare (all’interno del processo di valutazione di congruità) l’importo complessivo del contratto sotto agli importi il cui superamento esclude la possibilità di ricorrere all’acquisto in affidamento diretto.

Ecco che allora il concept del legislatore del 2006 sull’argomento è stato quello :

1) di rendere possibili le acquisizioni in economia anche di lavori e forniture;

2) di agire attraverso il RUP;

3) di distinguere, al c. 11, sulla base degli importi, le relative procedure pubblicistiche (1° cpv.) o privatistiche (2° cpv.);

4) di sommare tutta la platea dei lavori, servizi e forniture in economia in un unico articolo (il 125, settore ordinari);

e quindi :

5) affinché al RUP fosse «consentito» l’affidamento diretto, senza confronto concorrenziale, per gli importi sopraccitati;

6) senza la possibilità di un artificioso frazionamento degli importi (v. il c. 13);

7) e solo se è stato (v. c. 2) individuato il RUP (ma v. sugli acquisti in economia anche l’art. 10, c. 2, del Codice);

8) di favorire (e non di obbligare) il soggetto acquisitore, in linea con l’altro concept di organizzazione formale interna (v. procedure standardizzate, situazioni di somma urgenza, le tecniche di intervento per eccezioni, i manuali qualità e delle procedure, la modulistica da utilizzarsi per la formalizzazione dell’atto di acquisto, ecc.);

9) di rendere impregiudicata la sussistenza (e quindi la pre-verifica da parte del RUP) dei requisiti soggettivi di cui al c. 12;

10) di rendere – e ciò non deve essere affatto sottovalutato – ancora più importante il ruolo d’impulso (v. dell’art. 10, c. 3, l’incipit della lett. «a» del Codice) e «di vigilanza sui contratti» attribuito ope legis al RUP, che anche gli acquisti in economia sotto agli importi sopraccitati devono prevedere.

E, forse proprio queste ultime previsioni se da una parte consentono di ricorrere a procedure squisitamente privatistiche (ispirate a principi di semplificazione procedimentale), dall’altra rimettono sempre al RUP l’obbligo (comunque) di dimostrare il rispetto dei paradigmi che stanno alla base dell’edificio della L. 241/1990.

In altri termini, si può precisare che le acquisizioni in economia sotto gli importi sopraccitati sono «consentit[e in] affidamento diretto», potendo sempre il RUP dimostrare che tale affidamento è quello che, in quel tempo ed in quel luogo, consente di perseguire il massimo dell’economicità efficacia ed efficienza.

Quindi, non un affidamento diretto solo e solamente perchè l’importo è inferiore a quelli sopraccitati, ma perché il RUP è in grado, attraverso quest’ultima procedura, di poter sempre dimostrare il rispetto dei paradigmi anzicitati. E più esattamente, il requisito della economicità, per es., potrà essere dimostrato tra il costo complessivo di cui alle procedure negoziate ed il modesto valore dell’importo, ecc.; l’efficacia (quale indice di quantità) potrà, per es., essere dimostrata alla luce dei modestissimi volumi di lavori e/o forniture richieste, ecc.; l’efficienza (quale indice di qualità e di affidabilità) potrà, per es., essere dimostrata alla luce del contenimento del rischio dell’allungamento dei termini di consegna, della qualità finale del lavoro o della fornitura, ecc.

Spetterà poi sempre al RUP dimostrare (ex ante) che non sussistono ipotesi di frazionamento artificioso degli importi (v. art. 125, c. 13) e che il prestatore di servizi (lavori, forniture) possiede i requisiti soggettivi di cui al precedente c. 12 e, ad abundantiam, oggettivi che avrà pre–valutato, ponderato, diagnosticato e documentato. Infine, sotto il profilo etimologico, la locuzione «è consentito» (6) ben evidenza la rottura procedimentale tra l’iter

pubblicistico del 1° cpv. del c. 11, art. 125 del Codice, rispetto all’iter più squisitamente privatistico del successivo 2° cpv. ... seppur nello stretto rispetto dei principi di economicità, efficacia ed efficienza ex artt. 1 e 3, L. 241/1990.

4.2. In punto di giurisprudenza

E’ poi noto che il citato D.Lgs. 163/2006 è stato modificato dal D.Lgs. 6/2007 e che il Consiglio di Stato, Ad. gen., 6/6/2007, n. 1750 ha espresso il proprio parere sull’ultimo schema di decreto legislativo per le ulteriori modifiche a tale decreto da parte del Governo (ai sensi dell’art. 25, c. 3, L. 62/2005).

Tale ultimo schema non affronta (purtroppo) l’estensione dell’ in house anche ai lavori pubblici, alle forniture pubbliche ed ai pubblici servizi (sempre nella definizione dell’art. 3, D.Lgs. 163/2006), come da titolo II, capo I, sezione III, art. 18, della citata direttiva 2004/18/Ce/settori ordinari) e quindi il punto n. 7.1. del citato parere di Palazzo Spada si limita a precisare che «7.1. In merito ai lavori, servizi e forniture realizzati in house da pubbliche amministrazioni, non si ritiene di dovere fare osservazioni, poiché, pur nella convinzione che la sede più naturale per disciplinarli sia proprio il Codice [unico degli appalti, n.d.r.], lo stato di fluidità della natura e la variabilità dei profili oggettivi e soggettivi consigliano di rinviare la codificazione».

Alla luce di quanto sopra approfondito, si può quindi osservare che il vigente ordinamento italiano:

1) consente l’in house

— dei servizi pubblici locali di rilevanza economica ex art. 113, c. 5, lett. «c», D.Lgs. 267/2000;

— delle manutenzioni se rientranti nella qualificazione di cui all’art. 112, D.Lgs. 267/2000 e come tali rientranti nel genus dei servizi pubblici locali ex art. 113, c. 5, lett. «c» stesso decreto;

2) non consente l’in house

— di pubbliche forniture (nella definizione ex art. 3, D.Lgs. 163/2006);

— di lavori pubblici (ibidem);

— di pubblici servizi ex D.Lgs. 163/2006 (ibidem);

3) tollera l’in house

— (o quanto meno non risultano sentenze di segno contrario) di servizi pubblici locali privi di rilevanza economica se affidati a società di capitali che sviluppano in primis, servizi di rilevanza economica ex art. 113, c. 5, lett. «c», D.Lgs. 267/2000;

4) consente (a prescindere dall’ in house)

— gli affidamenti in economia da parte degli enti locali soci, per gli importi sopraccitati di cui all’art. 125 (settori ordinari : per quanto qui interessa) del D.Lgs. 163/2006;

— di pubbliche forniture;

— di lavori pubblici;

— di pubblici servizi.

Valendo le definizioni dell’art. 3 (Definizioni) del pluricitato D.Lgs. 163/2006 :

— di pubblici servizi

come da c. 10;

— di pubbliche forniture

come da c. 9;

— di lavori pubblici

come da c. 8;

alle quali si rinvia (sempre con riferimento ai settori ordinari per quanto qui interessa).

In tal senso vedasi anche le fondamentali sentenze della Corte di cassazione, sez. un., del 30/3/2000, n. 71 e ibidem del 30/3/2000, n. 72, in cui è autorevolmente precisato che l’interpretazione, per così dire, estrema dell’ in house (id est, assorbente anche i lavori e le forniture) «finirebbe per coincidere con ogni attività privata rilevante per il diritto amministrativo».

Nel contempo, non si possono non tenere presenti le reiterate aperture della Corte di Giustizia Ce sulla possibilità degli affidamenti in house di servizi, forniture e lavori, noto che già nelle conclusioni dell’Avvocato generale Christine Stix – Hackl, 12/1/2006, causa n. C – 340/04, Carbotermo s.p.a. e Consorzio Lisei contro Comune di Busto Arsizio, è ritenuto «legittimo un affidamento in house di forniture ad una società partecipata indirettamente dall’ente locale, sussistendo i requisiti [ivi specificati] che devono essere verificati di volta in volta».

Detta sentenza riguarda pertanto l’affidamento in house di un appalto di fornitura ad una società (appunto di 3° grado) indirettamente partecipata dal citato Comune attraverso una società di 2° grado in house, non contrastando ciò con la Direttiva del Consiglio 93/36 Ce (e poi 2004/18/Ce).

L’oggetto dell’appalto di fornitura (nella fattispecie) interessava la fornitura di energia, nonché la manutenzione, l’adeguamento e la riqualificazione tecnologica degli impianti termici al servizio degli edifici comunali (euro 8,45 milioni + Iva, di cui 5,7 per combustibili, euro 1,0 per la manutenzione ed euro 1,75 per la riqualificazione e la messa a norma).

Nel § IV, lett. «C» (Conclusioni intermedie), punto 70 è (nel caso di specie specificato da parte del citato Avvocato generale) : «70. Il criterio del controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi può essere soddisfatto anche nel caso di imprese partecipate da più Enti pubblici. La valutazione del caso concreto oggetto del procedimento principale spetta al giudice nazionale. Egli deve valutare la situazione sulla base dei seguenti elementi :

— gli interessi dei detentori delle quote:

— la trasformazione dell’azienda municipalizzata in una società per azioni;

— la circostanza che l’apertura della società al capitale esterno non sia prevista obbligatoriamente, né sia di fatto avvenuta;

— la possibilità per [il soggetto di 3° grado] di aprile filiali anche all’estero;

— l’ampiezza della possibilità di influenzare la nomina del consiglio di amministrazione e la dirigenza della società;

— i poteri del consiglio di amministrazione del [soggetto di 2° grado], nonché

— la circostanza che il comune partecipi al [soggetto di 3° grado] indirettamente, attraverso la [società di 2° grado]».

4.3. Le manutenzioni

Se i vincoli anzi esposti valgono per gli affidamenti diretti (in house) di lavori pubblici e per le pubbliche forniture per le cui definizioni si rinvia all’art. 3 (Definizioni) del D.Lgs. 163/2006 (per queste ultime al di là della “digressione” di cui alle citate conclusioni dell’Avvocato generale causa C–340/04 del 12/1/2006 di cui supra § 5.2., punto n. 4, risultano invece (come noto) possibili gli affidamenti in house per i servizi pubblici locali e per le manutenzioni.

Così la sentenza Consiglio di Stato, sez. V, sent. 13/1/2006, n. 7369 tra (sinteticamente) «altri» contro il «il Comune di Genova» (7), con specifico riferimento (ai sensi degli artt. 112 e 113, c. 5, lett. «c», D.Lgs. 267/2000) alle strade, illuminazione pubblica e gestione del verde.

Il tutto, sulla base di una qualificazione allargata di servizio pubblico locale, definito (v. Cons. di St., ad. pl., ord. 30/3/2000, n. 1; ibidem, sez. V, sent. 9/5/2001, n. 2605; ibidem, sez. V., sent. 11/7/2001, n. 3847 ; Cga regione siciliana, sent. 23/7/2001, n. 410; Cons. di St., sez. V, sent. 22/12/2005, n. 7345) quale «attività (di qualsiasi natura) connessa alla cura di interessi collettivi, sia essa svolta da soggetti pubblici o privati (dunque all’infuori della logica di scambio o di lucro)».

5. Il DdL AS 772 di delega al governo per il riordino dei servizi pubblici locali (c.d. DdL Lanzillotta)

Tenendo conto degli emendamenti al DdL in rubrica a tutto il 29/5/2007, si può osservare (per quanto qui di stretto interesse) che (v. art. 1, rubricato «Finalità e ambito di applicazione») detto DdL risulta (al momento) tout court concentrato sui (soli) «servizi pubblici locali [...] di interesse generale di rilevanza economica in ambito locale» (8).

6. Conclusioni

Alla luce di tutto quanto analizzato in punto di diritto e di giurisprudenza comunitaria e nazionale, si può concludere che il diritto comunitario (v. per quanto qui interessa i settori ordinari, l’art. 18, direttiva 2004/18/Ce) non preclude l’affidamento a società in house (in possesso ope legis dei pregnanti requisiti previsti) di servizi pubblici locali, pubbliche forniture e pubblici lavori.

Ma, come si diceva, il D.Lgs. 163/2006 (ivi compresa la prima modifica e lo schema della seconda) non recepisce (attualmente) tale fondamentale opportunità (così come chiaramente delineato dalla sentenza di Palazzo Spada di cui ai precedenti §§ 2, punto 1 e dal parere dello stesso riportato nel precedente § 4.2., punto n. 1).



(1) In dottrina si rinvia all’opera di GIURDANELLA C., CAUDULLO G., Commento al Codice dei Contratti Pubblici. Come cambiano gli appalti di lavori, di forniture e di servizi dopo il D. Lgs. 12 aprile 2006, n. 163, Simone E., Napoli, 2006, nonché a MASSARI A., GRECO M., Il nuovo codice dei contratti pubblici, Maggioli E., Rimini, 2006, e dello stesso autore Le nuove direttive comunitarie sugli appalti, Maggioli E., Rimini, 2006

(2) V. la rubrica Giurisprudenza, in Appalti & Contratti, n. 5/2007, pagg. 63–72, Maggioli E., Rimini, nonchè (con riferimento diretto ad una società “presunta” in house senza che lo fosse) il commento di URSO G.M., Perdita di chance, risarcibile il danno causato dalla mancata indizione della gara, in Diritto e pratica amministrativa, n. 5/2007, pagg. 85–91, Il Sole–24 Ore, Milano.

(3) Sulla direttiva 2004/18/CE, settori ordinari, si richiama l’attenzione, per ogni approfondimento alle opere di BOTTO A., Il recepimento della direttiva 18/2004/CE relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti di lavori, di forniture e di servizi, in Appalti, Urbanistica, Edilizia, n. 5/2005, Master, Roma; CALZONI M., CAPPELLETTI S., La direttiva 2004/18/Ce (settori ordinari), in atti del Seminario Cispel Lombardia Service, Milano, 2006; FIORENTINO L., LACAVA C., Le nuove direttive europee sugli appalti, Milano, Giuffrè E. 2005; GAROFOLI R., SANDULLI M.A. (a cura di ), Il nuovo diritto degli appalti pubblici nella direttiva 2004/18/CE e nella legge comunitaria n. 62/2005, Giuffrè E., Milano, 2005.

(4) Su tale specifica procedura v. le opere (tutt’ora) fondamentali di FABIANO N., Trattativa privata e appalti pubblici, Giuffrè E., Milano, 1997; di MASSARI A., Sistemi alternativi all’appalto ad evidenza pubblica, 3^ ediz., Maggioli E., Rimini, 2005; di CALZONI M., La trattativa privata senza previa pubblicazione del bando (nelle direttive comunitarie e nel c.d. codice unico appalti), in Atti seminario Cispel Lombardia Service s.r.l., Milano, 2006.

(5) Sul ruolo del RUP si rinvia a CALZONI M., CAPPELLETTI S., Seminario sulla nuova normativa comunitaria in materia di appalti e soglie di servizi, forniture e lavori per i settori ordinari, in Atti seminario Cispel Lombardia Services, Milano, 2006.

(6) Da consenso, [sec. XIII, dal latino consensus], e cioè : 1) in generale : «è permesso»; «c’è accordo unanime»; «c’è l’assenso di tutti»; 2) in diritto : «c’è conformità di giudizio nell’approvare»; «non contrasta con l’ordinamento»; «è assentito»).

(7) Cfr. URSO M.G., Sì all’in house per i lavori di manutenzione, in Diritto e pratica amministrativa, n. 3/2007, pagg. 27–32, Il Sole–24 Ore, Milano; nonché BECCARIA M.L., In house, precisato l’ambito di applicazione, in Guida agli enti locali, n. 18/2007, pagg. 80–85, Il Sole–24 Ore, Milano.

(8) Sulla qualificazione di servizio pubblico locale di rilevanza economica si rinvia a Corte di Giustizia Ce, sent. 22/5/2003, C–18/2001 e TAR Sardegna, sent. 2/8/2005, n. 1729, mentre sulla ratio legis del DdL citato v. RUGGIERO G., Intervista al Ministro Linda Lanzillotta. Rete pubblica gestione in concorrenza, in TP, marzo 2007, pagg. 11–13, Asstra, Roma.