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Il risarcimento dei danni da lesione di interesse legittimo

Il giudice competente
All’alba del pieno riconoscimento della risarcibilità degli interessi legittimi, ad opera della celeberrima sentenza delle SS.UU della Cassazione n. 500 del 1999, si è aperto un vasto dibattito circa il giudice competente a conoscere di tale tipo di azione nonché, su altro versante, sui rapporti tra azione di annullamento e azione risarcitoria.

Una prima apertura alla risarcibilità degli interessi legittimi, in realtà, si era avuta ad opera della legge 142/1992 - c.d. legge comunitaria per il 1991- , che all’art. 13 stabiliva: "I soggetti che hanno subito una lesione a causa di atti compiuti in violazione del diritto comunitario in materia di appalti pubblici di lavori o forniture e delle relative norme interne di recepimento possono chiedere all’amministrazione aggiudicatrice il risarcimento del danno. La domanda di risarcimento è proponibile dinanzi al giudice ordinario da chi ha ottenuto l’annullamento dell’atto lesivo con sentenza del giudice amministrativo.".

Per quanto concerne il primo aspetto, la querelle ha raggiunto il capolinea grazie all’intervento legislativo ad opera della legge n. 205 del 2000 che, all’art. 7 co. 4, ha stabilito: "Il tribunale amministrativo regionale, nell’ambito della sua giurisdizione, conosce anche di tutte le questioni relative all’eventuale risarcimento del danno, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, e agli altri diritti patrimoniali consequenziali.".

Sicchè, è venuto meno il sistema delineato dalla richiamata sentenza della Cassazione n. 500/1999 che voleva distinti in capo a due giudici diversi i due tipi di azione, azione di annullamento dinanzi al giudice amministrativo e azione risarcitoria dinanzi al giudice ordinario, concentrandole - così come sembra sia più consono al nostro ordinamento, nonostante l’esistenza del sistema binario -, nelle mani del medesimo giudice.

Più articolato e di difficile soluzione sembra, invece, il dibattito sui rapporti tra giudizio annullatorio e giudizio risarcitorio.

Le posizioni prevalenti erano, e sono tutt’ora, due e diametralmente opposte tra di loro.

Da una parte, vi è la tesi della pregiudizialità amministrativa, espressione con cui si vuole identificare la situazione in base alla quale l’azione di risarcimento dei danni provocati da una attività provvedimentale della PA è ammissibile solo previa tempestiva impugnazione del provvedimento ritenuto illegittimo e solo una volta che tale giudizio sia portato a termine con successo, ovverosia, solo una volta che il provvedimento sia stato annullato.

Tale tesi interpretativa, propria dei Giudici amministrativi, ha ottenuto la sua massima espressione ed autorevolezza nella decisione n. 4 del 2003 dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, che in un passo della richiamata sentenza così dispone: " … una volta concentrata presso il giudice amministrativo la tutela impugnatoria dell’atto illegittimo e quella risarcitoria conseguente, non è possibile l’accertamento incidentale da parte del giudice amministrativo della illegittimità dell’atto non impugnato nei termini decadenziali al solo fine di un giudizio risarcitorio e che l’azione di risarcimento del danno può essere proposta sia unitamente all’azione di annullamento che in via autonoma, ma che è ammissibile solo a condizione che sia impugnato tempestivamente il provvedimento illegittimo e che sia coltivato con successo il relativo giudizio di annullamento, in quanto al giudice amministrativo non è dato di poter disapplicare atti amministrativi non regolamentari. …".

L’importanza di tale arresto giurisprudenziale, ribadito, tra l’altro in successive pronunce della stessa Adunanza Plenaria (Ad. Plen. nn. 10/2004, 8/2005 e 2/2006), che pur affrontando tale argomento solo per inciso, hanno confermato il dictat della decisione n. 2/2004, sta nella statuizione della possibilità di proporre un’azione di risarcimento dei danni c.d. “pura”.

In altre parole, secondo i Giudici di Palazzo Spada, l’azione di risarcimento è proponibile sia contestualmente all’azione di annullamento che successivamente a questa, e, quindi, autonomamente dal giudizio di annullamento, ma in entrambi i casi, presupposto necessario ed indefettibile è che il provvedimento sia stato impugnato tempestivamente e sia stato annullato.

Non è mancato, tuttavia, qualche giudice amministrativo che, in aspra critica alla regola della pregiudizialità, ha sostenuto: " sia in ipotesi di giurisdizione esclusiva (in cui oggetto della cognizione è un rapporto), sia di giurisdizione generale di legittimità, l’azione risarcitoria per equivalente è autonoma rispetto all’azione d’annullamento di un provvedimento" (si cfr. Tar Marche, n. 67/2004).

Accanto alla tesi della pregiudiziale amministrativa convive, oramai da sempre, la tesi contrapposta, secondo cui, ai fini dell’esperimento della azione di risarcimento dei danni non è necessario il preventivo o contestuale annullamento dell’atto amministrativo ritenuto illegittimo.

La tesi interpretativa che vuole il giudizio risarcitorio disancorato da quello annullatorio è portata avanti dalla Giurisprudenza della Corte di Cassazione che, in tre ordinanze del 2006, la n. 13659, la n. 13660 e la n. 13911 , pur raffrontando questioni di fatto e di diritto distinte, ha ribadito, il proprio orientamento, già consolidatosi negli anni precedenti, in base al quale è esperibile, sia pur dinanzi al giudice amministrativo, l’azione risarcitoria c.d. “pura”.

In tale delineato contesto, la dicotomia tra il dictum dei giudici amministrativi e quello dei giudici ordinari è rimasto pressocchè immutato, fino ad una recente sentenza della V sezione del Consiglio di Stato, la n. 2822 del 31.05.2007, con la quale i Giudici di Palazzo Spada, sul presupposto che l’orientamento della Corte di Cassazione non si pone in aperta contraddizione con il noto arresto rappresentato da Adunanza Plenaria n. 4/03, si sono allineati alla tesi dell’autonomia tra le due azioni, portata avanti, come detto, dalle SSUU della Cassazione.

A dire dei Giudici di Palazzo Spada, “Né ad un attento esame, può affermarsi che riconoscere il rimedio risarcitorio da lesione di interesse legittimo di porrebbe in contraddizione con la condivisibilmente preclusa possibilità di disapplicazione dell’atto/provvedimento amministrativo. E ciò in quanto, a ben veder, disporre il rimedio risarcitorio per gli effetti prodotti dal provvediemento vuol dire proprio postulare la sua efficacia e non già quindi la sua disapplicazione.”

In tale sentenza, tuttavia, i Giudici amministrativi, rendendosi conto della carenza del nostro sistema processualistico, hanno auspicato un intervento legislativo volto a colmarne le carenze, soprattutto riguardo all’aspetto, di non poco conto, se tale rimedio sia sottoposto a decadenza ovvero se sia sottoposto a prescrizione, così com’è per l’azione risarcitoria da lesione di diritto soggettivo.

La querelle sembrava definitivamente chiusa: i Giudici delle SSUU della Cassazione, facendo un passo verso i Giudici del Consiglio di Stato, avevano riconosciuto la giurisdizione del Giudice amministrativo a conoscere dell’azione di risarcimento da lesione di interessi legittimi e, dall’altro lato, i Giudici di Palazzo Spada, abbandonando definitivamente la tanto cara tesi della pregiudiziale amministrativa, avevano riconosciuto l’autonomia tra azione di annullamento e azione di risarcimento.

Un chimera! Perché in realtà, dopo soli due mesi dalla pubblicazione di questa importante sentenza del Consiglio di Stato, con la decisione n. 9 del 30 luglio 2007, l’Adunanza Plenaria ha compiuto un nuovo passo indietro.

Difatti, i Giudici del Consiglio di Stato, con la sentenza n. 9/2007, hanno statuito che sussistono alcune fattispecie in cui non vi è alcuna necessaria preventiva impugnazione dell’atto lesivo ai fini della proponibilità dell’azione di risarcimento, allorché il danno lamentato non discenda da eventuali illegittimità di un provvedimento amministrativo.

E’ il caso di un provvedimento che “sia stato rimosso in sede amministrativa, in autotutela o su ricorso di parte, ovvero se il danno non è prodotto dalle statuizioni costitutive contenute nell’atto ma è materialmente causato da particolari modalità di sua esecuzione”.

A ben vedere, la statuizione del Consiglio di Stato, pur sembrando voler delineare una qualche eccezione alla regola della pregiudizialità, in realtà non postula il suo venir meno!

La pregiudizialità amministrativa in base alla quale “l’ammissibilità della domanda risarcitoria presuppone la previa demolizione in s.g. del provvedimento lesivo”, rimane ben ancorata alla visione dei Giudici di Palazzo Spada, i quali, in tanto ritengono che nelle ipotesi da loro stessi delineate non sia pregiudiziale l’annullamento dell’atto all’azione di risarcimento, in quanto in quei casi il danno non è conseguenza di un atto, sicchè alcun annullamento si rende necessario ottenere ai fini dell’esperibilità della domanda di risarcimento!

E così, il “mostro sacro” della pregiudizialità amministrativa continua a vivere. E il dibattito continua.

All’alba del pieno riconoscimento della risarcibilità degli interessi legittimi, ad opera della celeberrima sentenza delle SS.UU della Cassazione n. 500 del 1999, si è aperto un vasto dibattito circa il giudice competente a conoscere di tale tipo di azione nonché, su altro versante, sui rapporti tra azione di annullamento e azione risarcitoria.

Una prima apertura alla risarcibilità degli interessi legittimi, in realtà, si era avuta ad opera della legge 142/1992 - c.d. legge comunitaria per il 1991- , che all’art. 13 stabiliva: "I soggetti che hanno subito una lesione a causa di atti compiuti in violazione del diritto comunitario in materia di appalti pubblici di lavori o forniture e delle relative norme interne di recepimento possono chiedere all’amministrazione aggiudicatrice il risarcimento del danno. La domanda di risarcimento è proponibile dinanzi al giudice ordinario da chi ha ottenuto l’annullamento dell’atto lesivo con sentenza del giudice amministrativo.".

Per quanto concerne il primo aspetto, la querelle ha raggiunto il capolinea grazie all’intervento legislativo ad opera della legge n. 205 del 2000 che, all’art. 7 co. 4, ha stabilito: "Il tribunale amministrativo regionale, nell’ambito della sua giurisdizione, conosce anche di tutte le questioni relative all’eventuale risarcimento del danno, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, e agli altri diritti patrimoniali consequenziali.".

Sicchè, è venuto meno il sistema delineato dalla richiamata sentenza della Cassazione n. 500/1999 che voleva distinti in capo a due giudici diversi i due tipi di azione, azione di annullamento dinanzi al giudice amministrativo e azione risarcitoria dinanzi al giudice ordinario, concentrandole - così come sembra sia più consono al nostro ordinamento, nonostante l’esistenza del sistema binario -, nelle mani del medesimo giudice.

Più articolato e di difficile soluzione sembra, invece, il dibattito sui rapporti tra giudizio annullatorio e giudizio risarcitorio.

Le posizioni prevalenti erano, e sono tutt’ora, due e diametralmente opposte tra di loro.

Da una parte, vi è la tesi della pregiudizialità amministrativa, espressione con cui si vuole identificare la situazione in base alla quale l’azione di risarcimento dei danni provocati da una attività provvedimentale della PA è ammissibile solo previa tempestiva impugnazione del provvedimento ritenuto illegittimo e solo una volta che tale giudizio sia portato a termine con successo, ovverosia, solo una volta che il provvedimento sia stato annullato.

Tale tesi interpretativa, propria dei Giudici amministrativi, ha ottenuto la sua massima espressione ed autorevolezza nella decisione n. 4 del 2003 dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, che in un passo della richiamata sentenza così dispone: " … una volta concentrata presso il giudice amministrativo la tutela impugnatoria dell’atto illegittimo e quella risarcitoria conseguente, non è possibile l’accertamento incidentale da parte del giudice amministrativo della illegittimità dell’atto non impugnato nei termini decadenziali al solo fine di un giudizio risarcitorio e che l’azione di risarcimento del danno può essere proposta sia unitamente all’azione di annullamento che in via autonoma, ma che è ammissibile solo a condizione che sia impugnato tempestivamente il provvedimento illegittimo e che sia coltivato con successo il relativo giudizio di annullamento, in quanto al giudice amministrativo non è dato di poter disapplicare atti amministrativi non regolamentari. …".

L’importanza di tale arresto giurisprudenziale, ribadito, tra l’altro in successive pronunce della stessa Adunanza Plenaria (Ad. Plen. nn. 10/2004, 8/2005 e 2/2006), che pur affrontando tale argomento solo per inciso, hanno confermato il dictat della decisione n. 2/2004, sta nella statuizione della possibilità di proporre un’azione di risarcimento dei danni c.d. “pura”.

In altre parole, secondo i Giudici di Palazzo Spada, l’azione di risarcimento è proponibile sia contestualmente all’azione di annullamento che successivamente a questa, e, quindi, autonomamente dal giudizio di annullamento, ma in entrambi i casi, presupposto necessario ed indefettibile è che il provvedimento sia stato impugnato tempestivamente e sia stato annullato.

Non è mancato, tuttavia, qualche giudice amministrativo che, in aspra critica alla regola della pregiudizialità, ha sostenuto: " sia in ipotesi di giurisdizione esclusiva (in cui oggetto della cognizione è un rapporto), sia di giurisdizione generale di legittimità, l’azione risarcitoria per equivalente è autonoma rispetto all’azione d’annullamento di un provvedimento" (si cfr. Tar Marche, n. 67/2004).

Accanto alla tesi della pregiudiziale amministrativa convive, oramai da sempre, la tesi contrapposta, secondo cui, ai fini dell’esperimento della azione di risarcimento dei danni non è necessario il preventivo o contestuale annullamento dell’atto amministrativo ritenuto illegittimo.

La tesi interpretativa che vuole il giudizio risarcitorio disancorato da quello annullatorio è portata avanti dalla Giurisprudenza della Corte di Cassazione che, in tre ordinanze del 2006, la n. 13659, la n. 13660 e la n. 13911 , pur raffrontando questioni di fatto e di diritto distinte, ha ribadito, il proprio orientamento, già consolidatosi negli anni precedenti, in base al quale è esperibile, sia pur dinanzi al giudice amministrativo, l’azione risarcitoria c.d. “pura”.

In tale delineato contesto, la dicotomia tra il dictum dei giudici amministrativi e quello dei giudici ordinari è rimasto pressocchè immutato, fino ad una recente sentenza della V sezione del Consiglio di Stato, la n. 2822 del 31.05.2007, con la quale i Giudici di Palazzo Spada, sul presupposto che l’orientamento della Corte di Cassazione non si pone in aperta contraddizione con il noto arresto rappresentato da Adunanza Plenaria n. 4/03, si sono allineati alla tesi dell’autonomia tra le due azioni, portata avanti, come detto, dalle SSUU della Cassazione.

A dire dei Giudici di Palazzo Spada, “Né ad un attento esame, può affermarsi che riconoscere il rimedio risarcitorio da lesione di interesse legittimo di porrebbe in contraddizione con la condivisibilmente preclusa possibilità di disapplicazione dell’atto/provvedimento amministrativo. E ciò in quanto, a ben veder, disporre il rimedio risarcitorio per gli effetti prodotti dal provvediemento vuol dire proprio postulare la sua efficacia e non già quindi la sua disapplicazione.”

In tale sentenza, tuttavia, i Giudici amministrativi, rendendosi conto della carenza del nostro sistema processualistico, hanno auspicato un intervento legislativo volto a colmarne le carenze, soprattutto riguardo all’aspetto, di non poco conto, se tale rimedio sia sottoposto a decadenza ovvero se sia sottoposto a prescrizione, così com’è per l’azione risarcitoria da lesione di diritto soggettivo.

La querelle sembrava definitivamente chiusa: i Giudici delle SSUU della Cassazione, facendo un passo verso i Giudici del Consiglio di Stato, avevano riconosciuto la giurisdizione del Giudice amministrativo a conoscere dell’azione di risarcimento da lesione di interessi legittimi e, dall’altro lato, i Giudici di Palazzo Spada, abbandonando definitivamente la tanto cara tesi della pregiudiziale amministrativa, avevano riconosciuto l’autonomia tra azione di annullamento e azione di risarcimento.

Un chimera! Perché in realtà, dopo soli due mesi dalla pubblicazione di questa importante sentenza del Consiglio di Stato, con la decisione n. 9 del 30 luglio 2007, l’Adunanza Plenaria ha compiuto un nuovo passo indietro.

Difatti, i Giudici del Consiglio di Stato, con la sentenza n. 9/2007, hanno statuito che sussistono alcune fattispecie in cui non vi è alcuna necessaria preventiva impugnazione dell’atto lesivo ai fini della proponibilità dell’azione di risarcimento, allorché il danno lamentato non discenda da eventuali illegittimità di un provvedimento amministrativo.

E’ il caso di un provvedimento che “sia stato rimosso in sede amministrativa, in autotutela o su ricorso di parte, ovvero se il danno non è prodotto dalle statuizioni costitutive contenute nell’atto ma è materialmente causato da particolari modalità di sua esecuzione”.

A ben vedere, la statuizione del Consiglio di Stato, pur sembrando voler delineare una qualche eccezione alla regola della pregiudizialità, in realtà non postula il suo venir meno!

La pregiudizialità amministrativa in base alla quale “l’ammissibilità della domanda risarcitoria presuppone la previa demolizione in s.g. del provvedimento lesivo”, rimane ben ancorata alla visione dei Giudici di Palazzo Spada, i quali, in tanto ritengono che nelle ipotesi da loro stessi delineate non sia pregiudiziale l’annullamento dell’atto all’azione di risarcimento, in quanto in quei casi il danno non è conseguenza di un atto, sicchè alcun annullamento si rende necessario ottenere ai fini dell’esperibilità della domanda di risarcimento!

E così, il “mostro sacro” della pregiudizialità amministrativa continua a vivere. E il dibattito continua.