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La gestione dei rifiuti alla luce del Decreto Legislativo 3 aprile 2006, n. 152

Nel quadro dell’ordinamento nazionale, l’interesse ambientale costituisce ormai un valore costituzionale primario, fondante, al pari degli altri valori che costituiscono la trama essenziale del patto di convivenza. Va notato, tuttavia, che l’ambiente ha trovato questa collocazione tra i valori costituzionali soltanto dalla metà degli anni ’80, grazie ad una decisa giurisprudenza della Corte Costituzionale che ha assicurato effettività a tale valore. La ricostruzione dell’ambiente come valore costituzionale si è definitivamente affermata dopo l’entrata in vigore della legge costituzionale n. 3 del 2001, cui è seguita l’importante sentenza n. 407/2002 dove la Consulta ha precisato che, sebbene l’art 117 comma 2 lettera s) della Costituzione riservi allo Stato la potestà legislativa esclusiva in materia di ambiente ed ecosistema, è da escludersi che possa identificarsi nella materia della tutela dell’ambiente, una sfera di competenza statale rigorosamente circoscritta e delimitata, giacché, al contrario, essa investe e si intreccia inestricabilmente con altri interessi e competenze. E’, dunque, agevole ricavare una configurazione dell’ambiente come "valore" costituzionalmente protetto, che, in quanto tale, delinea una sorta di materia "trasversale", in ordine alla quale si manifestano competenze diverse, che ben possono essere regionali, spettando allo Stato le determinazioni che rispondono ad esigenze meritevoli di disciplina uniforme sull’intero territorio nazionale.

In questo contesto si inquadra la problematica connessa alla produzione e gestione dei rifiuti che, negli ultimi decenni, ha assunto proporzioni sempre maggiori in relazione al miglioramento delle condizioni economiche, al veloce progredire dello sviluppo industriale, all’incremento della popolazione e delle aree urbane. La diversificazione dei processi produttivi, inoltre, ha moltiplicato le tipologie dei rifiuti, generando impatti sempre più pesanti sull’ambiente e sulla salute.

Nel presente articolo si analizza la parte quarta del Decreto Legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (cd. Testo Unico Ambientale) che ha fortemente inciso sulla legislazione in materia dei rifiuti, abrogando il Decreto Legislativo 5 febbraio 1997, n.22 (cd. Decreto Ronchi) e ridisegnandone, in più punti, la disciplina.

1. La nozione di Rifiuto

La definizione di rifiuto è sempre stata controversa, essendo ex se dibattuta la nozione comunitaria (contenuta nella Direttiva Comunitaria 75/442/CE, modificata dalla Direttiva 91/156/CE) che l’ordinamento italiano deve recepire: “rifiuto è ciò di cui il detentore si disfi, abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi”. L’art. 183 lettera a) del Decreto legislativo 152/2006, infatti, definisce rifiuto “qualsiasi sostanza od oggetto che rientra nelle categorie riportate nell’allegato A alla parte quarta di cui al presente decreto e di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi”. Ai fini dell’individuazione di un rifiuto, dunque, è necessario effettuare una duplice valutazione: verificare l’appartenenza del “residuo” all’allegato A e considerare la volontà del produttore/detentore di disfarsene: se il detentore impiega direttamente una sostanza, oggetto o materiale nei propri processi produttivi o li vende a condizioni particolarmente favorevoli, è da escludersi l’intenzione di disfarsene e, di conseguenza, manca la ragione di assoggettare tali materie o prodotti alla disciplina dei rifiuti.

A ben vedere, tale definizione di rifiuto è identica a quella prevista dall’art. 6 lett. a) del previgente Decreto legislativo n. 22/1997, anche se il legislatore del 2006 ha operato una serie di esclusioni e deroghe tali da creare una modifica sostanziale della nozione stessa di rifiuto. In particolare, una serie di disposizioni del nuovo decreto individuano sostanze, oggetti o materiali che non sono rifiuti o comunque non sono soggetti alla disciplina dei rifiuti: si tratta delle materie prime secondarie (MPS), dei sottoprodotti e dei combustibili da rifiuti, che rientrano nella nozione più ampia di prodotto.

Una precisazione: in data 3 luglio 2006 l’Italia è stata deferita alla Corte di giustizia delle Comunità europee a causa della definizione restrittiva di “rifiuto” introdotta nella normativa nazionale. La Commissione Europea ha precisato che alcuni tipi di rifiuti non sono più considerati tali in Italia, pur rientrando nella definizione di “rifiuto” ai sensi della direttiva quadro sui rifiuti dell’Unione Europea, che non può essere derogata da una norma di diritto interno. Per porre rimedio a tale situazione, il 27 luglio 2007 è stato approvato in seconda lettura in Consiglio dei Ministri il secondo decreto di modifica del Decreto legislativo 152/2006, che apporta modifiche alle parti terza e quarta del D. Lgs. n. 152/2006: si è ritenuto opportuno eliminare la nozione di sottoprodotto introdotta dal decreto legislativo n. 152 del 2006 all’articolo 183, lett. n), e quella di materia prima secondaria sin dall’origine, contemplata nell’articolo 181, recependo fedelmente le osservazioni fornite dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia.

2. La disciplina della Gestione dei Rifiuti

E’ la parte quarta del Decreto legislativo 152/2006 (artt. 177-266) a dettare norme in materia di gestione dei rifiuti che, ai sensi dell’art. 178, costituisce attività di pubblico interesse tesa ad assicurare una elevata protezione dell’ambiente e controlli efficaci. La gestione dei rifiuti deve essere effettuata in conformità ai principi di precauzione, di prevenzione, di proporzionalità, di responsabilizzazione e di cooperazione di tutti i soggetti coinvolti nella produzione, nella distribuzione, nell’utilizzo e nel consumo di beni da cui originano i rifiuti, nel rispetto dei principi dell’ordinamento nazionale e comunitario, con particolare riferimento al principio comunitario “chi inquina paga”.

Deve, inoltre, rilevarsi che la normativa si pone come scopo fondamentale, attraverso le attività delle pubbliche amministrazioni, la adozione e lo sviluppo di iniziative volte a favorire prioritariamente la prevenzione e la riduzione della produzione e della nocività dei rifiuti. L’art. 181, infatti, stabilisce che ai fini di una corretta gestione dei rifiuti le pubbliche amministrazioni favoriscono la riduzione dello smaltimento finale dei rifiuti attraverso:

a) il riutilizzo, il reimpiego ed il riciclaggio;

b) le altre forme di recupero per ottenere materia prima secondaria dai rifiuti;

c) l’adozione di misure economiche e la previsione di condizioni di appalto che prescrivano l’impiego dei materiali recuperati dai rifiuti al fine di favorire il mercato di tali materiali;

d) l’utilizzazione dei rifiuti come mezzo per produrre energia.

Non ci si limita, quindi, a regolamentare l’attività di gestione dei rifiuti che, nell’attuale contesto economico-sociale riveste notevole importanza ma, si cerca di favorire quanto più possibile tutte quelle attività alternative allo smaltimento puro e semplice, tali da determinare un minore impatto ambientale.

L’art. 183 del decreto legislativo 152/2006 contiene, oltre a quella di rifiuto di cui sopra, una serie di importanti definizioni. In particolare, la lettera d) definisce la gestione come “la raccolta, il trasporto, il recupero e lo smaltimento dei rifiuti, compreso il controllo di queste operazioni, nonche’ il controllo delle discariche dopo la chiusura” e la lettera e) considera la raccolta come “l’operazione di prelievo, di cernita o di raggruppamento dei rifiuti per il loro trasporto”. Da un lato, inoltre, lo smaltimento è considerato come “ogni operazione finalizzata a sottrarre definitivamente una sostanza, un materiale o un oggetto dal circuito economico e/o di raccolta”(lettera g) e dall’altro il recupero viene inteso come “operazione che utilizza rifiuti per generare materie prime secondarie, combustibili o prodotti, attraverso trattamenti meccanici, termici, chimici o biologici” ( lettera h).

Le attività di smaltimento o di recupero dei rifiuti sono strettamente collegate alla materia delle autorizzazioni, affrontata dal Decreto legislativo 152/2006 agli artt. 208 e successivi.

Tale articolo, titolato “Autorizzazione unica per i nuovi impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti”, sulla falsariga degli artt. 27 e 28 del Decreto legislativo 22/1997, stabilisce che i soggetti che intendono realizzare e gestire nuovi impianti di smaltimento o di recupero di rifiuti, anche pericolosi, devono presentare apposita domanda alla Regione competente per territorio, allegando il progetto definitivo dell’impianto e la documentazione tecnica prevista per la realizzazione del progetto stesso dalle disposizioni vigenti in materia urbanistica, di tutela ambientale, di salute, di sicurezza sul lavoro e di igiene pubblica. Ove vi sia la necessità si sottoporre l’impianto alla procedura di valutazione di impatto ambientale (VIA), alla domanda è altresì allegata la comunicazione del progetto all’autorità competente ai predetti fini. Entro trenta giorni dal ricevimento della domanda di cui sopra, la Regione individua il responsabile del procedimento e convoca apposita Conferenza di Servizi cui partecipano i responsabili degli uffici regionali competenti e i rappresentanti delle Autorità d’ambito e degli enti locali interessati; entro trenta giorni dal ricevimento delle conclusioni della Conferenza di Servizi e sulla base delle risultanze della stessa, la Regione, in caso di valutazione positiva, approva il progetto e autorizza la realizzazione e la gestione dell’impianto.

Di significativa importanza è l’art. 212 che ha istituito l’Albo Nazionale Gestori Ambientali cui devono iscriversi le imprese che intendono svolgere “attività di raccolta e trasporto dei rifiuti non pericolosi prodotti da terzi, di raccolta e trasporto di rifiuti pericolosi, di bonifica dei beni contenenti amianto, di commercio ed intermediazione dei rifiuti senza detenzione dei rifiuti stessi, nonché di gestione di impianti di smaltimento e recupero di titolarità di terzi e di gestione di impianti mobili di smaltimento e recupero di rifiuti”. L’iscrizione deve rinnovarsi ogni cinque anni e costituisce titolo per l’esercizio delle attività di raccolta, di trasporto, di commercio e di intermediazione dei rifiuti mentre per le altre attività, l’iscrizione abilita alla gestione degli impianti il cui esercizio sia stato autorizzato o allo svolgimento delle attività soggette ad iscrizione (art. 212, co. 6).

Un aspetto rilevante per la attività delle imprese operanti nel settore della gestione dei rifiuti è rappresentato dalle procedure semplificate disciplinate dagli artt. 214, 215 e 216 ed introdotte conformemente a quanto previsto dall’art. 11, co. 1 della direttiva CEE 91/156. Le attività di gestione dei rifiuti legittimate con procedura semplificata rappresentano una deroga alla normale procedura autorizzatoria prevista ex lege: tali attività sono semplicemente "dispensate" dall’autorizzazione, a patto che siano svolte esattamente come prescritto e che siano presenti i requisiti previsti per il loro svolgimento.

In tal caso, infatti, l’esercizio delle operazioni di recupero dei rifiuti possono essere intraprese decorsi novanta giorni dalla comunicazione di inizio attività alla competente Sezione Regionale dell’Albo (di cui all’art. 212) che ne dà notizia alla Provincia territorialmente competente, entro dieci giorni dalla comunicazione stessa (art. 216, comma 1).

La Sezione Regionale dell’Albo, successivamente, iscrive in un apposito registro le imprese che effettuano detta comunicazione verificando ex officio la sussistenza dei requisiti e dei presupposti richiesti ed è, a tal fine, che alla comunicazione di inizio attività deve essere allegata una relazione dalla quale, ai sensi dell’art. 216, comma 3, deve risultare:

a) il rispetto delle norme tecniche e delle condizioni specifiche di cui al comma 1;

b) il possesso dei requisiti soggettivi richiesti per la gestione dei rifiuti;

c) le attività di recupero che si intendono svolgere;

d) stabilimento, capacità di recupero e ciclo di trattamento o di combustione nel quale i rifiuti stessi sono destinati ad essere recuperati, nonché l’utilizzo di eventuali impianti mobili;

e) le caratteristiche merceologiche dei prodotti derivanti dai cicli di recupero.

Onde evitare danni per l’ambiente, il legislatore ha previsto che, qualora la competente Sezione Regionale dell’Albo accerti il mancato rispetto delle suindicate norme e delle condizioni di cui al comma 1 dell’art. 216, la medesima Sezione propone alla Provincia di disporre (con provvedimento motivato) il divieto di inizio ovvero di prosecuzione dell’attività, salvo che l’interessato non provveda a conformare alla normativa vigente detta attività ed i suoi effetti, entro il termine e secondo le prescrizioni stabiliti dall’amministrazione (art. 216, comma 4).

La ratio delle procedure semplificate è, dunque, quella di consentire lo svolgimento di alcune ben individuate attività di recupero dei rifiuti evitando quelle lunghe e cavillose procedure da espletare per il rilascio del provvedimento autorizzatorio.

Come non analizzare l’importante disciplina del deposito temporaneo dei rifiuti, che da sempre ha costituito oggetto di primario interesse da parte della giurisprudenza non solo nazionale, ma anche europea. Ai sensi dell’art. 183, comma 1, lettera m) del Decreto legislativo 152/2006, per deposito temporaneo si intende “il raggruppamento dei rifiuti effettuato, prima della raccolta, nel luogo in cui gli stessi sono prodotti”, a una serie di condizioni tecniche specifiche che sono indicate in seguito, nello stesso punto della stessa norma.

Il deposito temporaneo, che costituisce una eccezione particolare e specifica alla disciplina delle autorizzazioni all’esercizio delle operazioni di smaltimento e recupero ex artt. 208 e successivi, è stato per la prima volta introdotto dal decreto legislativo 22/1997 al fine di agevolare le piccole imprese caratterizzate da una modesta produzione di rifiuti e per le quali il ricorso alle operazioni di gestione ordinaria significava un pesante stress operativo ed economico. Si consente, dunque, a tali imprese di conservare nella propria area aziendale (rectius, l’area del luogo di produzione) un quantitativo relativamente modesto di rifiuti, per un periodo di tempo che non potrà mai essere superiore ad un anno. Possono costituire oggetto di deposito temporaneo tanto i rifiuti pericolosi quanto i rifiuti non pericolosi ed, inoltre, il deposito temporaneo deve essere effettuato per categorie omogenee di rifiuti, nel rispetto delle relative norme tecniche, nonché, per i rifiuti pericolosi, nel rispetto delle norme che disciplinano il deposito delle sostanze pericolose in essi contenute. Ovviamente il deposito temporaneo deve essere effettuato dal produttore del rifiuto anche se, il Decreto legislativo 152/2006 all’art. 208, comma 17 e 210, comma 5, ha introdotto la figura del soggetto affidatario del deposito temporaneo.

In realtà, il deposito temporaneo è una pratica particolarmente rischiosa potendo essere utilizzata dalla criminalità organizzata per occultare veri stoccaggi di rifiuti che sarebbero privi di specifica autorizzazione. Per questo motivo il deposito temporaneo è subordinato al rispetto di una serie di condizioni:

a) il deposito dei rifiuti deve essere effettuato all’interno del luogo di produzione;

b) se il produttore dei rifiuti affidi l’attività del deposito temporaneo ad altro soggetto, autorizzato alla gestione dei rifiuti, questo deve presentare capacità e idoneità tecnica;

c) sia il produttore sia l’affidatario del deposito temporaneo devono provvedere all’annotazione delle informazioni sulle caratteristiche qualitative e quantitative dei rifiuti nel registro di carico e scarico entro ventiquattro ore dalla produzione del rifiuto stesso.

3. Il Servizio di Gestione dei Rifiuti

Il Servizio di Gestione dei Rifiuti si è, negli ultimi decenni, particolarmente evoluto con l’inserimento di nuovi e più complessi interessi pubblici da tutelare. Si è, infatti, assistito al passaggio da un sistema a filiera semplice, in cui l’igiene urbana era l’unico interesse tutelato ad un sistema a filiera complessa, in cui all’igiene urbana si è aggiunta l’esigenza di ridurre l’impatto ambientale, attraverso l’attività di recupero e la limitazione dello smaltimento dei rifiuti in discarica.

In questo contesto si inquadrava il Decreto Legislativo 22/1997 (cd. Decreto Ronchi) che, da un lato, ha per la prima volta previsto che i Comuni “effettuano la gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento in regime di privativa” e, dall’altro, ha introdotto la gestione dei rifiuti urbani in Ambiti Territoriali Ottimali (ATO). In particolare, l’art.23 stabiliva che “salvo diversa disposizione stabilita con legge regionale, gli ambiti territoriali ottimali per la gestione dei rifiuti urbani sono le Province. In tali ambiti territoriali ottimali le Province assicurano una gestione unitaria dei rifiuti urbani e predispongono piani di gestione dei rifiuti, sentiti i Comuni”. Il carattere unitario del ciclo dei rifiuti era garantito da una programmazione regionale e provinciale cui spettava, rispettivamente, garantire la gestione dei rifiuti urbani secondo criteri di efficienza ed economicità e garantire la programmazione e l’organizzazione dello smaltimento dei rifiuti a livello provinciale.

Gli artt. 199 e successivi (di cui al Capo III, parte IV) del Decreto legislativo 152/2006 hanno determinato una notevole modifica al quadro giuridico preesistente. In primis, l’art. 199 ha rafforzato l’impostazione per Ambiti Territoriali Ottimali, stabilendo che i Comuni compresi in ATO (da individuarsi con leggi regionali) dovranno provvedere alla costituzione delle Autorità d’Ambito, soggetto dotato di personalità giuridica, alla quale gli Enti Locali partecipano obbligatoriamente e alla quale è trasferito l’esercizio delle loro competenze in materia di gestione integrata dei rifiuti. All’Autorità d’Ambito, inoltre, è assegnata la competenza ad istituire ed organizzare il servizio di gestione integrata dei rifiuti secondo criteri di efficienza, efficacia, economicità e trasparenza.

Sine dubio la novità di maggiore peso è costituita dalla prescrizione, ex art. 202, di affidare a terzi, mediante gara, l’intero servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani nel territorio ricompreso nell’ATO, nel rispetto del Piano d’Ambito (cui ogni Autorità d’Ambito è tenuto a dotarsi ex art. 201) e del principio di unicità della Gestione per ciascun ATO. La gestione del servizio di cui sopra è aggiudicata mediante gara ad evidenza pubblica, così come disciplinata dai principi e dalle disposizioni comunitarie. Tale prescrizione è di fondamentale importanza in quanto, come sostenuto da brillante dottrina, dà vita ad una disciplina speciale con la conseguente applicabilità della disciplina generale soltanto per le parti non normate dal Decreto legislativo 152/2006. La disciplina generale è costituita dall’art. 113 del decreto legislativo 267/2000 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali) che consente al singolo ente locale di decidere se far ricorso al mercato oppure gestire direttamente mediante struttura in house.

Nel quadro dell’ordinamento nazionale, l’interesse ambientale costituisce ormai un valore costituzionale primario, fondante, al pari degli altri valori che costituiscono la trama essenziale del patto di convivenza. Va notato, tuttavia, che l’ambiente ha trovato questa collocazione tra i valori costituzionali soltanto dalla metà degli anni ’80, grazie ad una decisa giurisprudenza della Corte Costituzionale che ha assicurato effettività a tale valore. La ricostruzione dell’ambiente come valore costituzionale si è definitivamente affermata dopo l’entrata in vigore della legge costituzionale n. 3 del 2001, cui è seguita l’importante sentenza n. 407/2002 dove la Consulta ha precisato che, sebbene l’art 117 comma 2 lettera s) della Costituzione riservi allo Stato la potestà legislativa esclusiva in materia di ambiente ed ecosistema, è da escludersi che possa identificarsi nella materia della tutela dell’ambiente, una sfera di competenza statale rigorosamente circoscritta e delimitata, giacché, al contrario, essa investe e si intreccia inestricabilmente con altri interessi e competenze. E’, dunque, agevole ricavare una configurazione dell’ambiente come "valore" costituzionalmente protetto, che, in quanto tale, delinea una sorta di materia "trasversale", in ordine alla quale si manifestano competenze diverse, che ben possono essere regionali, spettando allo Stato le determinazioni che rispondono ad esigenze meritevoli di disciplina uniforme sull’intero territorio nazionale.

In questo contesto si inquadra la problematica connessa alla produzione e gestione dei rifiuti che, negli ultimi decenni, ha assunto proporzioni sempre maggiori in relazione al miglioramento delle condizioni economiche, al veloce progredire dello sviluppo industriale, all’incremento della popolazione e delle aree urbane. La diversificazione dei processi produttivi, inoltre, ha moltiplicato le tipologie dei rifiuti, generando impatti sempre più pesanti sull’ambiente e sulla salute.

Nel presente articolo si analizza la parte quarta del Decreto Legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (cd. Testo Unico Ambientale) che ha fortemente inciso sulla legislazione in materia dei rifiuti, abrogando il Decreto Legislativo 5 febbraio 1997, n.22 (cd. Decreto Ronchi) e ridisegnandone, in più punti, la disciplina.

1. La nozione di Rifiuto

La definizione di rifiuto è sempre stata controversa, essendo ex se dibattuta la nozione comunitaria (contenuta nella Direttiva Comunitaria 75/442/CE, modificata dalla Direttiva 91/156/CE) che l’ordinamento italiano deve recepire: “rifiuto è ciò di cui il detentore si disfi, abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi”. L’art. 183 lettera a) del Decreto legislativo 152/2006, infatti, definisce rifiuto “qualsiasi sostanza od oggetto che rientra nelle categorie riportate nell’allegato A alla parte quarta di cui al presente decreto e di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi”. Ai fini dell’individuazione di un rifiuto, dunque, è necessario effettuare una duplice valutazione: verificare l’appartenenza del “residuo” all’allegato A e considerare la volontà del produttore/detentore di disfarsene: se il detentore impiega direttamente una sostanza, oggetto o materiale nei propri processi produttivi o li vende a condizioni particolarmente favorevoli, è da escludersi l’intenzione di disfarsene e, di conseguenza, manca la ragione di assoggettare tali materie o prodotti alla disciplina dei rifiuti.

A ben vedere, tale definizione di rifiuto è identica a quella prevista dall’art. 6 lett. a) del previgente Decreto legislativo n. 22/1997, anche se il legislatore del 2006 ha operato una serie di esclusioni e deroghe tali da creare una modifica sostanziale della nozione stessa di rifiuto. In particolare, una serie di disposizioni del nuovo decreto individuano sostanze, oggetti o materiali che non sono rifiuti o comunque non sono soggetti alla disciplina dei rifiuti: si tratta delle materie prime secondarie (MPS), dei sottoprodotti e dei combustibili da rifiuti, che rientrano nella nozione più ampia di prodotto.

Una precisazione: in data 3 luglio 2006 l’Italia è stata deferita alla Corte di giustizia delle Comunità europee a causa della definizione restrittiva di “rifiuto” introdotta nella normativa nazionale. La Commissione Europea ha precisato che alcuni tipi di rifiuti non sono più considerati tali in Italia, pur rientrando nella definizione di “rifiuto” ai sensi della direttiva quadro sui rifiuti dell’Unione Europea, che non può essere derogata da una norma di diritto interno. Per porre rimedio a tale situazione, il 27 luglio 2007 è stato approvato in seconda lettura in Consiglio dei Ministri il secondo decreto di modifica del Decreto legislativo 152/2006, che apporta modifiche alle parti terza e quarta del D. Lgs. n. 152/2006: si è ritenuto opportuno eliminare la nozione di sottoprodotto introdotta dal decreto legislativo n. 152 del 2006 all’articolo 183, lett. n), e quella di materia prima secondaria sin dall’origine, contemplata nell’articolo 181, recependo fedelmente le osservazioni fornite dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia.

2. La disciplina della Gestione dei Rifiuti

E’ la parte quarta del Decreto legislativo 152/2006 (artt. 177-266) a dettare norme in materia di gestione dei rifiuti che, ai sensi dell’art. 178, costituisce attività di pubblico interesse tesa ad assicurare una elevata protezione dell’ambiente e controlli efficaci. La gestione dei rifiuti deve essere effettuata in conformità ai principi di precauzione, di prevenzione, di proporzionalità, di responsabilizzazione e di cooperazione di tutti i soggetti coinvolti nella produzione, nella distribuzione, nell’utilizzo e nel consumo di beni da cui originano i rifiuti, nel rispetto dei principi dell’ordinamento nazionale e comunitario, con particolare riferimento al principio comunitario “chi inquina paga”.

Deve, inoltre, rilevarsi che la normativa si pone come scopo fondamentale, attraverso le attività delle pubbliche amministrazioni, la adozione e lo sviluppo di iniziative volte a favorire prioritariamente la prevenzione e la riduzione della produzione e della nocività dei rifiuti. L’art. 181, infatti, stabilisce che ai fini di una corretta gestione dei rifiuti le pubbliche amministrazioni favoriscono la riduzione dello smaltimento finale dei rifiuti attraverso:

a) il riutilizzo, il reimpiego ed il riciclaggio;

b) le altre forme di recupero per ottenere materia prima secondaria dai rifiuti;

c) l’adozione di misure economiche e la previsione di condizioni di appalto che prescrivano l’impiego dei materiali recuperati dai rifiuti al fine di favorire il mercato di tali materiali;

d) l’utilizzazione dei rifiuti come mezzo per produrre energia.

Non ci si limita, quindi, a regolamentare l’attività di gestione dei rifiuti che, nell’attuale contesto economico-sociale riveste notevole importanza ma, si cerca di favorire quanto più possibile tutte quelle attività alternative allo smaltimento puro e semplice, tali da determinare un minore impatto ambientale.

L’art. 183 del decreto legislativo 152/2006 contiene, oltre a quella di rifiuto di cui sopra, una serie di importanti definizioni. In particolare, la lettera d) definisce la gestione come “la raccolta, il trasporto, il recupero e lo smaltimento dei rifiuti, compreso il controllo di queste operazioni, nonche’ il controllo delle discariche dopo la chiusura” e la lettera e) considera la raccolta come “l’operazione di prelievo, di cernita o di raggruppamento dei rifiuti per il loro trasporto”. Da un lato, inoltre, lo smaltimento è considerato come “ogni operazione finalizzata a sottrarre definitivamente una sostanza, un materiale o un oggetto dal circuito economico e/o di raccolta”(lettera g) e dall’altro il recupero viene inteso come “operazione che utilizza rifiuti per generare materie prime secondarie, combustibili o prodotti, attraverso trattamenti meccanici, termici, chimici o biologici” ( lettera h).

Le attività di smaltimento o di recupero dei rifiuti sono strettamente collegate alla materia delle autorizzazioni, affrontata dal Decreto legislativo 152/2006 agli artt. 208 e successivi.

Tale articolo, titolato “Autorizzazione unica per i nuovi impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti”, sulla falsariga degli artt. 27 e 28 del Decreto legislativo 22/1997, stabilisce che i soggetti che intendono realizzare e gestire nuovi impianti di smaltimento o di recupero di rifiuti, anche pericolosi, devono presentare apposita domanda alla Regione competente per territorio, allegando il progetto definitivo dell’impianto e la documentazione tecnica prevista per la realizzazione del progetto stesso dalle disposizioni vigenti in materia urbanistica, di tutela ambientale, di salute, di sicurezza sul lavoro e di igiene pubblica. Ove vi sia la necessità si sottoporre l’impianto alla procedura di valutazione di impatto ambientale (VIA), alla domanda è altresì allegata la comunicazione del progetto all’autorità competente ai predetti fini. Entro trenta giorni dal ricevimento della domanda di cui sopra, la Regione individua il responsabile del procedimento e convoca apposita Conferenza di Servizi cui partecipano i responsabili degli uffici regionali competenti e i rappresentanti delle Autorità d’ambito e degli enti locali interessati; entro trenta giorni dal ricevimento delle conclusioni della Conferenza di Servizi e sulla base delle risultanze della stessa, la Regione, in caso di valutazione positiva, approva il progetto e autorizza la realizzazione e la gestione dell’impianto.

Di significativa importanza è l’art. 212 che ha istituito l’Albo Nazionale Gestori Ambientali cui devono iscriversi le imprese che intendono svolgere “attività di raccolta e trasporto dei rifiuti non pericolosi prodotti da terzi, di raccolta e trasporto di rifiuti pericolosi, di bonifica dei beni contenenti amianto, di commercio ed intermediazione dei rifiuti senza detenzione dei rifiuti stessi, nonché di gestione di impianti di smaltimento e recupero di titolarità di terzi e di gestione di impianti mobili di smaltimento e recupero di rifiuti”. L’iscrizione deve rinnovarsi ogni cinque anni e costituisce titolo per l’esercizio delle attività di raccolta, di trasporto, di commercio e di intermediazione dei rifiuti mentre per le altre attività, l’iscrizione abilita alla gestione degli impianti il cui esercizio sia stato autorizzato o allo svolgimento delle attività soggette ad iscrizione (art. 212, co. 6).

Un aspetto rilevante per la attività delle imprese operanti nel settore della gestione dei rifiuti è rappresentato dalle procedure semplificate disciplinate dagli artt. 214, 215 e 216 ed introdotte conformemente a quanto previsto dall’art. 11, co. 1 della direttiva CEE 91/156. Le attività di gestione dei rifiuti legittimate con procedura semplificata rappresentano una deroga alla normale procedura autorizzatoria prevista ex lege: tali attività sono semplicemente "dispensate" dall’autorizzazione, a patto che siano svolte esattamente come prescritto e che siano presenti i requisiti previsti per il loro svolgimento.

In tal caso, infatti, l’esercizio delle operazioni di recupero dei rifiuti possono essere intraprese decorsi novanta giorni dalla comunicazione di inizio attività alla competente Sezione Regionale dell’Albo (di cui all’art. 212) che ne dà notizia alla Provincia territorialmente competente, entro dieci giorni dalla comunicazione stessa (art. 216, comma 1).

La Sezione Regionale dell’Albo, successivamente, iscrive in un apposito registro le imprese che effettuano detta comunicazione verificando ex officio la sussistenza dei requisiti e dei presupposti richiesti ed è, a tal fine, che alla comunicazione di inizio attività deve essere allegata una relazione dalla quale, ai sensi dell’art. 216, comma 3, deve risultare:

a) il rispetto delle norme tecniche e delle condizioni specifiche di cui al comma 1;

b) il possesso dei requisiti soggettivi richiesti per la gestione dei rifiuti;

c) le attività di recupero che si intendono svolgere;

d) stabilimento, capacità di recupero e ciclo di trattamento o di combustione nel quale i rifiuti stessi sono destinati ad essere recuperati, nonché l’utilizzo di eventuali impianti mobili;

e) le caratteristiche merceologiche dei prodotti derivanti dai cicli di recupero.

Onde evitare danni per l’ambiente, il legislatore ha previsto che, qualora la competente Sezione Regionale dell’Albo accerti il mancato rispetto delle suindicate norme e delle condizioni di cui al comma 1 dell’art. 216, la medesima Sezione propone alla Provincia di disporre (con provvedimento motivato) il divieto di inizio ovvero di prosecuzione dell’attività, salvo che l’interessato non provveda a conformare alla normativa vigente detta attività ed i suoi effetti, entro il termine e secondo le prescrizioni stabiliti dall’amministrazione (art. 216, comma 4).

La ratio delle procedure semplificate è, dunque, quella di consentire lo svolgimento di alcune ben individuate attività di recupero dei rifiuti evitando quelle lunghe e cavillose procedure da espletare per il rilascio del provvedimento autorizzatorio.

Come non analizzare l’importante disciplina del deposito temporaneo dei rifiuti, che da sempre ha costituito oggetto di primario interesse da parte della giurisprudenza non solo nazionale, ma anche europea. Ai sensi dell’art. 183, comma 1, lettera m) del Decreto legislativo 152/2006, per deposito temporaneo si intende “il raggruppamento dei rifiuti effettuato, prima della raccolta, nel luogo in cui gli stessi sono prodotti”, a una serie di condizioni tecniche specifiche che sono indicate in seguito, nello stesso punto della stessa norma.

Il deposito temporaneo, che costituisce una eccezione particolare e specifica alla disciplina delle autorizzazioni all’esercizio delle operazioni di smaltimento e recupero ex artt. 208 e successivi, è stato per la prima volta introdotto dal decreto legislativo 22/1997 al fine di agevolare le piccole imprese caratterizzate da una modesta produzione di rifiuti e per le quali il ricorso alle operazioni di gestione ordinaria significava un pesante stress operativo ed economico. Si consente, dunque, a tali imprese di conservare nella propria area aziendale (rectius, l’area del luogo di produzione) un quantitativo relativamente modesto di rifiuti, per un periodo di tempo che non potrà mai essere superiore ad un anno. Possono costituire oggetto di deposito temporaneo tanto i rifiuti pericolosi quanto i rifiuti non pericolosi ed, inoltre, il deposito temporaneo deve essere effettuato per categorie omogenee di rifiuti, nel rispetto delle relative norme tecniche, nonché, per i rifiuti pericolosi, nel rispetto delle norme che disciplinano il deposito delle sostanze pericolose in essi contenute. Ovviamente il deposito temporaneo deve essere effettuato dal produttore del rifiuto anche se, il Decreto legislativo 152/2006 all’art. 208, comma 17 e 210, comma 5, ha introdotto la figura del soggetto affidatario del deposito temporaneo.

In realtà, il deposito temporaneo è una pratica particolarmente rischiosa potendo essere utilizzata dalla criminalità organizzata per occultare veri stoccaggi di rifiuti che sarebbero privi di specifica autorizzazione. Per questo motivo il deposito temporaneo è subordinato al rispetto di una serie di condizioni:

a) il deposito dei rifiuti deve essere effettuato all’interno del luogo di produzione;

b) se il produttore dei rifiuti affidi l’attività del deposito temporaneo ad altro soggetto, autorizzato alla gestione dei rifiuti, questo deve presentare capacità e idoneità tecnica;

c) sia il produttore sia l’affidatario del deposito temporaneo devono provvedere all’annotazione delle informazioni sulle caratteristiche qualitative e quantitative dei rifiuti nel registro di carico e scarico entro ventiquattro ore dalla produzione del rifiuto stesso.

3. Il Servizio di Gestione dei Rifiuti

Il Servizio di Gestione dei Rifiuti si è, negli ultimi decenni, particolarmente evoluto con l’inserimento di nuovi e più complessi interessi pubblici da tutelare. Si è, infatti, assistito al passaggio da un sistema a filiera semplice, in cui l’igiene urbana era l’unico interesse tutelato ad un sistema a filiera complessa, in cui all’igiene urbana si è aggiunta l’esigenza di ridurre l’impatto ambientale, attraverso l’attività di recupero e la limitazione dello smaltimento dei rifiuti in discarica.

In questo contesto si inquadrava il Decreto Legislativo 22/1997 (cd. Decreto Ronchi) che, da un lato, ha per la prima volta previsto che i Comuni “effettuano la gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento in regime di privativa” e, dall’altro, ha introdotto la gestione dei rifiuti urbani in Ambiti Territoriali Ottimali (ATO). In particolare, l’art.23 stabiliva che “salvo diversa disposizione stabilita con legge regionale, gli ambiti territoriali ottimali per la gestione dei rifiuti urbani sono le Province. In tali ambiti territoriali ottimali le Province assicurano una gestione unitaria dei rifiuti urbani e predispongono piani di gestione dei rifiuti, sentiti i Comuni”. Il carattere unitario del ciclo dei rifiuti era garantito da una programmazione regionale e provinciale cui spettava, rispettivamente, garantire la gestione dei rifiuti urbani secondo criteri di efficienza ed economicità e garantire la programmazione e l’organizzazione dello smaltimento dei rifiuti a livello provinciale.

Gli artt. 199 e successivi (di cui al Capo III, parte IV) del Decreto legislativo 152/2006 hanno determinato una notevole modifica al quadro giuridico preesistente. In primis, l’art. 199 ha rafforzato l’impostazione per Ambiti Territoriali Ottimali, stabilendo che i Comuni compresi in ATO (da individuarsi con leggi regionali) dovranno provvedere alla costituzione delle Autorità d’Ambito, soggetto dotato di personalità giuridica, alla quale gli Enti Locali partecipano obbligatoriamente e alla quale è trasferito l’esercizio delle loro competenze in materia di gestione integrata dei rifiuti. All’Autorità d’Ambito, inoltre, è assegnata la competenza ad istituire ed organizzare il servizio di gestione integrata dei rifiuti secondo criteri di efficienza, efficacia, economicità e trasparenza.

Sine dubio la novità di maggiore peso è costituita dalla prescrizione, ex art. 202, di affidare a terzi, mediante gara, l’intero servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani nel territorio ricompreso nell’ATO, nel rispetto del Piano d’Ambito (cui ogni Autorità d’Ambito è tenuto a dotarsi ex art. 201) e del principio di unicità della Gestione per ciascun ATO. La gestione del servizio di cui sopra è aggiudicata mediante gara ad evidenza pubblica, così come disciplinata dai principi e dalle disposizioni comunitarie. Tale prescrizione è di fondamentale importanza in quanto, come sostenuto da brillante dottrina, dà vita ad una disciplina speciale con la conseguente applicabilità della disciplina generale soltanto per le parti non normate dal Decreto legislativo 152/2006. La disciplina generale è costituita dall’art. 113 del decreto legislativo 267/2000 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali) che consente al singolo ente locale di decidere se far ricorso al mercato oppure gestire direttamente mediante struttura in house.