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La responsabilità della Pubblica Amministrazione nella manutenzione delle strade

Il quotidiano utilizzo delle carreggiate cittadine e l’incremento di incidenti che ne coinvolgono la corretta manutenzione impongono una seria riflessione giuridica sulla sussistenza, sull’entità e sulle conseguenze di una responsabilità a carico della Pubblica Amministrazione (di seguito P.A.), quale interlocutrice diretta degli utenti di spazio pubblico.

I punti di riferimento in materia sono gli articoli 2043 e 2051 del codice civile nonché una ricca serie di contributi giurisprudenziali e dottrinari, che, con esempi emblematici, nel corso degli ultimi anni si sono sovrapposti a sostegno di differenti orientamenti.

1. La sussistenza di una responsabilità in capo alla P.A.

L’individuazione di una responsabilità della P.A. per la costruzione e la manutenzione corretta e funzionale delle strade è problema che si è spesso scontrato con la distinzione caso per caso della titolarità della rete urbanistica: la P.A. stende la propria responsabilità su tutte le strade che non siano espressamente private, in virtù del fatto che essa stessa si è fatta promotrice della relativa creazione e del relativo inserimento nel circuito urbanistico.

In particolare, già secondo l’articolo 16 della legge 20 Marzo 1865 n. 2248, all. F, la P.A. risulta proprietaria delle strade pubbliche, statali, provinciali e comunali, con la conseguenza che in capo alla P.A. si configura l’obbligo della relativa manutenzione di tali beni demaniali, che non discende solo da specifiche fonti di diritto e di legge, ma dal generale obbligo di custodia del bene stesso: il soggetto è responsabile della corretta funzionalità e condizione del bene di sua proprietà, messo a disposizione della collettività.

Proprio tale titolo di proprietà dei beni demaniali, in particolare, delle strade cittadine, costituisce il collegamento che permette di ricondurre alla P.A. la responsabilità per ogni fatto giuridico che le riguarda.

Peraltro, tale responsabilità ha assunto connotati sempre più definiti anche riguardo alla manutenzione delle autostrade, generalmente affidate ad un concessionario, che proprio con la recente sentenza n. 2308 del 2 Febbraio 2007, che richiama la precedente n. 298 del 2003, ha impegnato la Cassazione civile, III sezione: non solo il diritto di proprietà permette di individuare il responsabile della manutenzione di una strada, ma anche la sussistenza di una relazione di fatto, di un contatto diretto con la cosa, che riconduca ad un determinato soggetto, il concessionario, il comportamento di cura verso la cosa stessa e la conseguente responsabilità civile nei confronti della collettività.

2. La tipologia di responsabilità a carico della P.A.

Le fattispecie giuridiche che hanno interessato la P.A. in questa materia presentano tante e tali caratteristiche, da aver indotto dottrina e giurisprudenza inizialmente a sostenere la configurabilità di una responsabilità extracontrattuale ex articolo 2043 del codice civile a carico della P.A., previa assoluzione da parte del danneggiato del pesante onere probatorio della condotta, compreso l’elemento soggettivo della colpa, dell’evento lesivo e, soprattutto, del nesso causale tra i due elementi e salva la possibilità per la P.A. di liberarsi dalla stessa responsabilità del neminem laedere con la prova del caso fortuito o della forza maggiore: “l’utente che subisca danni in seguito all’utilizzazione della strada pubblica può invocare a sostegno delle proprie pretese risarcitorie unicamente la disciplina di cui all’articolo 2043 del codice civile, norma di chiusura dell’ordinamento posta a tutela del generale principio del neminem laedere” (Tribunale di Varese, sentenza 12 Gennaio 2005 n. 149), perché la notevole estensione della rete stradale pubblica e l’apertura all’uso generale della collettività impediscono al proprietario o concessionario del bene di esercitare su di esso un potere di fatto, una vigilanza ed un controllo tali da fondare una responsabilità di altro tipo (nello stesso senso anche Cassazione civile, sezione III, sentenze 1 Dicembre 2004 n. 22592 e 23 Febbraio 2005 n. 3745, Tribunale di Brindisi, sentenze 21 Ottobre 2004 n. 103 e 13 Aprile 2005 n. 50).

Tale orientamento -tradizionale- è supportato da pronunce sostanzialmente a favore della posizione della P.A., protetta da una presunzione di estraneità al fatto, difficilmente superabile dal danneggiato, spesso costretto ad accontentarsi di una compensazione delle spese a fronte di un rigetto della propria domanda giudiziale di risarcimento del danno, ritenuta non sufficientemente provata. Infatti, non sono infrequenti i casi in cui l’elemento dell’insidia, o del trabocchetto, restringe l’ambito di operatività del principio contenuto nell’articolo 2043 del codice civile, riducendo la possibilità per il danneggiato di vedere riconosciuto il proprio diritto, perché, secondo questa logica, sarebbe dovere dell’utente della strada evitare, per quanto è possibile, la situazione di pericolo: sempre con la sentenza 13 Aprile 2005 n. 50 il Tribunale di Brindisi esonerava la P.A. da qualunque responsabilità, perché il sinistro de quo si era verificato contro una buca di rilevanti dimensioni e visibile al conducente che avesse attivato diligentemente gli opportuni dispositivi di illuminazione e in una strada relativamente stretta, che imponeva una velocità moderata; ancora, con la sentenza 12 Gennaio 2005 n. 149 il Tribunale di Varese motivava la decisione con il principio per cui la responsabilità della P.A. può essere affermata solo se il danno è riconducibile ad una insidia, intesa come pericolo oggettivamente non prevedile e non visibile, ma non se il danno è causato, come nel caso di specie, da una rilevante macchia oleosa vicino ad una curva che non doveva essere affrontata a velocità sostenuta; la Corte di Cassazione, nella sentenza n. 22592 dell’1 Dicembre 2004, spiegava, infine, che il richiamo all’articolo 2043 del codice civile si inseriva nel solco di una collaudata giurisprudenza che affermava il principio della responsabilità della P.A. conseguente a violazione colposa delle regole di prudenza e di esperienza nell’ambito dell’attività amministrativa, tra cui anche la figura dell’insidia, o del trabocchetto.

E’ opportuna una breve digressione proprio sul concetto di insidia, o trabocchetto, che è nato dalla riflessione giurisprudenziale e dottrinaria, non dall’attività legislativa, per rafforzare la posizione difensiva della P.A., che, nell’ottica di una responsabilità extracontrattuale, costringeva l’attore a provare persino che l’ostacolo che ha provocato il danno non era visibile o prevedibile, in modo tale da trincerarsi dietro la disattenzione o la negligenza del danneggiato nell’esaminare il danno stesso, come se fosse stata colpa sua, se aveva riportato lesioni, con il rischio, anzi, tutt’altro che remoto per il danneggiato stesso, di vedersi addirittura intrappolato in un concorso di colpa ex articolo 1227 del codice civile (Cassazione civile, sezione III, 3 Dicembre 2002 n. 17152 e Tribunale di Brindisi, sentenza del 2 Dicembre 2004 n. 118).

La figura dell’insidia, o del trabocchetto, presenta diverse sfaccettature, tanto che spesso la contesa legale si gioca sulla dimostrazione che essa fosse o meno visibile, prevedibile, pericolosa e nota alla P.A., che dovrebbe essere persino già allertata della specifica situazione di “disagio stradale” con segnalazioni e verbali: naturalmente, più la presunta insidia è visibile, prevedibile e pericolosa, maggiore deve essere l’accortezza dell’utente della strada e minore risulta la responsabilità della P.A..

E’ intuitivo dedurre che tale ragionamento, portato alle estreme conseguenze, ha condotto a risultati non giuridicamente condivisibili e sostanzialmente ingiusti, per cui la P.A. veniva puntualmente esonerata da qualunque responsabilità, pure in casi di manifesta incuria e negligenza: la P.A., tuttavia, non può assumere atteggiamenti chiusi ed eccessivamente protezionistici, senza riconoscere una propria responsabilità nell’offrire alla collettività l’utilizzo di strade dissestate, disseminate di ostacoli, poco funzionali, percorribili a fatica e con disagio a piedi, in bicicletta ed in macchina, scaricandola -poi- sul singolo che si deve avvedere di tutte le difficoltà.

Così come la P.A. è proprietaria della strada, la P.A. deve garantirne la corretta manutenzione, in modo tale che chiunque se ne serva, dal bambino all’anziano, a chi spinge una carrozzina o, semplicemente, alla persona comune, possa contare su condizioni ottimali di percorribilità, ossia lo scopo per cui viene realizzata: il cittadino ha diritto di utilizzare la carreggiata senza doversi guardare da eventuali pericoli e la P.A. ha il dovere di assicurare al cittadino il corretto uso della carreggiata stessa.

La svolta giurisprudenziale è stata determinata da una nuova concezione della problematica, che non facesse più perno sul concetto di colpa della P.A., muro pressoché insormontabile, bensì di custodia da parte della P.A., contenuto nell’articolo 2051 del codice civile, che offre la prospettiva del danno cagionato dai beni di cui si ha la custodia, salvo che venga provato il caso fortuito: applicando la regola, introdotta dalle due fondamentali sentenze 20 Febbraio 2006 n. 3651 e 14 Marzo 2006 n. 5445 della Cassazione civile, sezione III, la P.A. sarebbe responsabile di ogni danno causato dal cattivo stato o dalla cattiva manutenzione delle strade di cui è custode, in quanto esercente su di esse un diritto di proprietà, a meno che tali danni non possano essere effettivamente ricondotti ad eventi fortuiti: nel rispetto del principio, secondo cui la disciplina giuridica deve segnare il comportamento di una società e, al contempo, non rimanervi estranea, la suddetta sentenza n. 5445 del 14 Marzo 2006 afferma che “la posizione probatoria del danneggiato risulta a tale stregua (secondo la lettura ex articolo 2043, n.d.r.) aggravata, in contrasto non solo con il tenore letterale ed il portato sostanziale della norma, ma anche con le stesse scelte di fondo dell’ordinamento in materia di responsabilità civile, rispondenti al riconosciuto favor per il soggetto che ha subito la lesione di una propria posizione giuridica soggettiva rilevante e tutelata, che, laddove non prevenuta, ne impone la rimozione o il ristoro da parte del danneggiante”.

Tale orientamento si è fatto a poco a poco strada nel pensiero giurisprudenziale e nei provvedimenti giudiziali sulla scia della sentenza n. 156 del 10 Maggio 1999 della Corte costituzionale, proprio per superare il meccanismo, divenuto ormai troppo automatico, per cui l’estensione del bene condizionerebbe inequivocabilmente l’esonero di responsabilità della P.A., risolvendosi in un ingiustificato privilegio per essa: l’applicabilità dell’articolo 2051 del codice civile era inizialmente considerata una eccezione rispetto alla regola generale dettata dall’articolo 2043 dello stesso codice, ma si è imposta quale valida alternativa alla tesi dominante e non richiede la prova dei presupposti della notevole estensione del bene o dell’insidia (tipici dell’impostazione secondo l’articolo 2043 del codice civile), per potersi affermare.

La spinta conferita dalla pronuncia della Consulta è stata, sul punto, assai decisiva: “la notevole estensione del bene e l’uso generale e diretto della cosa da parte di terzi costituiscono meri indizi dell’impossibilità di un concreto esercizio del potere di controllo e di vigilanza sul bene medesimo -impossibilità che può essere ritenuta solo all’esito di una indagine condotta dal giudice con riferimento al caso singolo e con criteri di normalità- e la responsabilità speciale per custodia di cui all’articolo 2051 del codice civile risulta non solo configurabile, ma senz’altro preferibile rispetto alla regola generale dell’articolo 2043 del codice civile”.

L’eredità della Corte costituzionale era stata raccolta anche dai Tribunali di merito, tra cui spicca il Tribunale di Monza, con la sentenza del 24 Maggio 2001 n. 1356, a firma della Dott.ssa Lojacono, che conferma che “il Comune, in quanto proprietario della strada, avrebbe dovuto attivarsi per eliminare ogni situazione di pericolo eventualmente determinata dallo svolgimento dei lavori (che interessano il caso di specie, n.d.r.), perché la responsabilità dell’ente proprietario è configurabile anche quando i lavori sono dati in appalto e impone all’ente stesso di curare che l’uso si svolga senza pericolo, eliminando, se necessario, le situazioni contrarie alla sicurezza”.

Naturalmente, ciò che prima poteva essere considerato un punto controverso del problema, ossia il limite dell’estensione del bene, per far pendere la bilancia a favore o contro la P.A., non condiziona più alcuna decisione, perché la P.A. non deve più puntare, con fine difensivo, a circoscrivere il più possibile ogni carreggiata urbana, con la giustificazione che non potrebbe essere ritenuta responsabile per danni occorsi nell’ambito di reti urbane eccessivamente estese o troppo poco frequentate per esercitare un efficace controllo. Il nuovo scopo della P.A. si delinea sempre più marcatamente nello scardinare il nesso eziologico sostenuto dal danneggiato e nel produrre una convincente prova liberatoria, indipendentemente dall’estensione del bene e dalla presenza di insidie, anzi l’insidia, o trabocchetto, come un boomerang, si è ripercosso sulla P.A. nella forma della prova liberatoria.

A completamento della riflessione, non si può non notare che l’estensione o la frequenza non devono essere alibi per la P.A. per non curarsi di un bene proprio o per ignorare i danni che esso può causare, tanto più che la P.A. può disporre di risorse e mezzi tali da raggiungere qualunque tipo di realtà urbanistica.

3. Le conseguenze della responsabilità della P.A.

L’articolo 2051 del codice civile, in precedenza accantonato con la motivazione che non fosse la norma appropriata per la disciplina delle ipotesi di illecito civile della P.A., si è rivelato, invece, calzante e pionieristico di una nuova tendenza, che meglio potesse distribuire oneri e responsabilità tra le parti e che è tanto accreditata da aver acceso il dibattito giurisprudenziale e dottrinario.

In particolare, si ricorda che l’articolo 2051 del codice civile costituisce una delle tassative ipotesi di responsabilità extracontrattuale non oggettiva, ma aggravata, perché il legislatore detta una disciplina più grave per la parte che procura il rischio, per cui si presume che, in caso di danno, non siano state adottate tutte le misure necessarie ad evitarlo e si ritiene responsabile chi aveva il bene in custodia, con la conseguenza che, contrariamente all’impostazione probatoria tipica dell’illecito civile, l’attore danneggiato è chiamato a provare solo la propria condotta, l’evento dannoso e il nesso causale, ma non l’insidia, proprio perché opera una presunzione di responsabilità della P.A., su cui grava il più pesante onere della prova liberatoria del caso fortuito, che ha vanificato proprio tutte le misure adottate dalla P.A. per evitare il danno.

Il custode, che è rappresentato da chiunque, non solo il proprietario, ma anche il concessionario o il detentore, abbia effettivamente la disponibilità ed il controllo della res, risponde dei danni per la particolare relazione di fatto in cui si trova con il bene, con il solo limite della prova liberatoria del caso fortuito o della dimostrazione che si tratti di bene di una tale -eccezionale- estensione da impedire l’effettività di una custodia.

Solo in questo caso il danneggiato si dovrà riferire allo schema dell’articolo 2043 del codice civile.

Mentre prima la prospettiva dell’articolo 2043 del codice civile era prevalente e poneva il danneggiato in una posizione più gravosa e sfavorevole, secondo il suddetto nuovo indirizzo, al contrario, è la P.A. a dover dimostrare di non aver potuto evitare un danno procurato dal caso fortuito, per liberarsi dell’obbligazione di custodia che la recente lettura dell’articolo 2051 del codice civile pone a suo carico.

In precedenza, vigeva la regola per cui la P.A. non era responsabile, a meno che il danneggiato non desse prova dettagliata del danno subito, ma ora, secondo l’attuale orientamento, la P.A. è responsabile fino a prova contraria, che deve essere da essa rigorosamente fornita.

Il quotidiano utilizzo delle carreggiate cittadine e l’incremento di incidenti che ne coinvolgono la corretta manutenzione impongono una seria riflessione giuridica sulla sussistenza, sull’entità e sulle conseguenze di una responsabilità a carico della Pubblica Amministrazione (di seguito P.A.), quale interlocutrice diretta degli utenti di spazio pubblico.

I punti di riferimento in materia sono gli articoli 2043 e 2051 del codice civile nonché una ricca serie di contributi giurisprudenziali e dottrinari, che, con esempi emblematici, nel corso degli ultimi anni si sono sovrapposti a sostegno di differenti orientamenti.

1. La sussistenza di una responsabilità in capo alla P.A.

L’individuazione di una responsabilità della P.A. per la costruzione e la manutenzione corretta e funzionale delle strade è problema che si è spesso scontrato con la distinzione caso per caso della titolarità della rete urbanistica: la P.A. stende la propria responsabilità su tutte le strade che non siano espressamente private, in virtù del fatto che essa stessa si è fatta promotrice della relativa creazione e del relativo inserimento nel circuito urbanistico.

In particolare, già secondo l’articolo 16 della legge 20 Marzo 1865 n. 2248, all. F, la P.A. risulta proprietaria delle strade pubbliche, statali, provinciali e comunali, con la conseguenza che in capo alla P.A. si configura l’obbligo della relativa manutenzione di tali beni demaniali, che non discende solo da specifiche fonti di diritto e di legge, ma dal generale obbligo di custodia del bene stesso: il soggetto è responsabile della corretta funzionalità e condizione del bene di sua proprietà, messo a disposizione della collettività.

Proprio tale titolo di proprietà dei beni demaniali, in particolare, delle strade cittadine, costituisce il collegamento che permette di ricondurre alla P.A. la responsabilità per ogni fatto giuridico che le riguarda.

Peraltro, tale responsabilità ha assunto connotati sempre più definiti anche riguardo alla manutenzione delle autostrade, generalmente affidate ad un concessionario, che proprio con la recente sentenza n. 2308 del 2 Febbraio 2007, che richiama la precedente n. 298 del 2003, ha impegnato la Cassazione civile, III sezione: non solo il diritto di proprietà permette di individuare il responsabile della manutenzione di una strada, ma anche la sussistenza di una relazione di fatto, di un contatto diretto con la cosa, che riconduca ad un determinato soggetto, il concessionario, il comportamento di cura verso la cosa stessa e la conseguente responsabilità civile nei confronti della collettività.

2. La tipologia di responsabilità a carico della P.A.

Le fattispecie giuridiche che hanno interessato la P.A. in questa materia presentano tante e tali caratteristiche, da aver indotto dottrina e giurisprudenza inizialmente a sostenere la configurabilità di una responsabilità extracontrattuale ex articolo 2043 del codice civile a carico della P.A., previa assoluzione da parte del danneggiato del pesante onere probatorio della condotta, compreso l’elemento soggettivo della colpa, dell’evento lesivo e, soprattutto, del nesso causale tra i due elementi e salva la possibilità per la P.A. di liberarsi dalla stessa responsabilità del neminem laedere con la prova del caso fortuito o della forza maggiore: “l’utente che subisca danni in seguito all’utilizzazione della strada pubblica può invocare a sostegno delle proprie pretese risarcitorie unicamente la disciplina di cui all’articolo 2043 del codice civile, norma di chiusura dell’ordinamento posta a tutela del generale principio del neminem laedere” (Tribunale di Varese, sentenza 12 Gennaio 2005 n. 149), perché la notevole estensione della rete stradale pubblica e l’apertura all’uso generale della collettività impediscono al proprietario o concessionario del bene di esercitare su di esso un potere di fatto, una vigilanza ed un controllo tali da fondare una responsabilità di altro tipo (nello stesso senso anche Cassazione civile, sezione III, sentenze 1 Dicembre 2004 n. 22592 e 23 Febbraio 2005 n. 3745, Tribunale di Brindisi, sentenze 21 Ottobre 2004 n. 103 e 13 Aprile 2005 n. 50).

Tale orientamento -tradizionale- è supportato da pronunce sostanzialmente a favore della posizione della P.A., protetta da una presunzione di estraneità al fatto, difficilmente superabile dal danneggiato, spesso costretto ad accontentarsi di una compensazione delle spese a fronte di un rigetto della propria domanda giudiziale di risarcimento del danno, ritenuta non sufficientemente provata. Infatti, non sono infrequenti i casi in cui l’elemento dell’insidia, o del trabocchetto, restringe l’ambito di operatività del principio contenuto nell’articolo 2043 del codice civile, riducendo la possibilità per il danneggiato di vedere riconosciuto il proprio diritto, perché, secondo questa logica, sarebbe dovere dell’utente della strada evitare, per quanto è possibile, la situazione di pericolo: sempre con la sentenza 13 Aprile 2005 n. 50 il Tribunale di Brindisi esonerava la P.A. da qualunque responsabilità, perché il sinistro de quo si era verificato contro una buca di rilevanti dimensioni e visibile al conducente che avesse attivato diligentemente gli opportuni dispositivi di illuminazione e in una strada relativamente stretta, che imponeva una velocità moderata; ancora, con la sentenza 12 Gennaio 2005 n. 149 il Tribunale di Varese motivava la decisione con il principio per cui la responsabilità della P.A. può essere affermata solo se il danno è riconducibile ad una insidia, intesa come pericolo oggettivamente non prevedile e non visibile, ma non se il danno è causato, come nel caso di specie, da una rilevante macchia oleosa vicino ad una curva che non doveva essere affrontata a velocità sostenuta; la Corte di Cassazione, nella sentenza n. 22592 dell’1 Dicembre 2004, spiegava, infine, che il richiamo all’articolo 2043 del codice civile si inseriva nel solco di una collaudata giurisprudenza che affermava il principio della responsabilità della P.A. conseguente a violazione colposa delle regole di prudenza e di esperienza nell’ambito dell’attività amministrativa, tra cui anche la figura dell’insidia, o del trabocchetto.

E’ opportuna una breve digressione proprio sul concetto di insidia, o trabocchetto, che è nato dalla riflessione giurisprudenziale e dottrinaria, non dall’attività legislativa, per rafforzare la posizione difensiva della P.A., che, nell’ottica di una responsabilità extracontrattuale, costringeva l’attore a provare persino che l’ostacolo che ha provocato il danno non era visibile o prevedibile, in modo tale da trincerarsi dietro la disattenzione o la negligenza del danneggiato nell’esaminare il danno stesso, come se fosse stata colpa sua, se aveva riportato lesioni, con il rischio, anzi, tutt’altro che remoto per il danneggiato stesso, di vedersi addirittura intrappolato in un concorso di colpa ex articolo 1227 del codice civile (Cassazione civile, sezione III, 3 Dicembre 2002 n. 17152 e Tribunale di Brindisi, sentenza del 2 Dicembre 2004 n. 118).

La figura dell’insidia, o del trabocchetto, presenta diverse sfaccettature, tanto che spesso la contesa legale si gioca sulla dimostrazione che essa fosse o meno visibile, prevedibile, pericolosa e nota alla P.A., che dovrebbe essere persino già allertata della specifica situazione di “disagio stradale” con segnalazioni e verbali: naturalmente, più la presunta insidia è visibile, prevedibile e pericolosa, maggiore deve essere l’accortezza dell’utente della strada e minore risulta la responsabilità della P.A..

E’ intuitivo dedurre che tale ragionamento, portato alle estreme conseguenze, ha condotto a risultati non giuridicamente condivisibili e sostanzialmente ingiusti, per cui la P.A. veniva puntualmente esonerata da qualunque responsabilità, pure in casi di manifesta incuria e negligenza: la P.A., tuttavia, non può assumere atteggiamenti chiusi ed eccessivamente protezionistici, senza riconoscere una propria responsabilità nell’offrire alla collettività l’utilizzo di strade dissestate, disseminate di ostacoli, poco funzionali, percorribili a fatica e con disagio a piedi, in bicicletta ed in macchina, scaricandola -poi- sul singolo che si deve avvedere di tutte le difficoltà.

Così come la P.A. è proprietaria della strada, la P.A. deve garantirne la corretta manutenzione, in modo tale che chiunque se ne serva, dal bambino all’anziano, a chi spinge una carrozzina o, semplicemente, alla persona comune, possa contare su condizioni ottimali di percorribilità, ossia lo scopo per cui viene realizzata: il cittadino ha diritto di utilizzare la carreggiata senza doversi guardare da eventuali pericoli e la P.A. ha il dovere di assicurare al cittadino il corretto uso della carreggiata stessa.

La svolta giurisprudenziale è stata determinata da una nuova concezione della problematica, che non facesse più perno sul concetto di colpa della P.A., muro pressoché insormontabile, bensì di custodia da parte della P.A., contenuto nell’articolo 2051 del codice civile, che offre la prospettiva del danno cagionato dai beni di cui si ha la custodia, salvo che venga provato il caso fortuito: applicando la regola, introdotta dalle due fondamentali sentenze 20 Febbraio 2006 n. 3651 e 14 Marzo 2006 n. 5445 della Cassazione civile, sezione III, la P.A. sarebbe responsabile di ogni danno causato dal cattivo stato o dalla cattiva manutenzione delle strade di cui è custode, in quanto esercente su di esse un diritto di proprietà, a meno che tali danni non possano essere effettivamente ricondotti ad eventi fortuiti: nel rispetto del principio, secondo cui la disciplina giuridica deve segnare il comportamento di una società e, al contempo, non rimanervi estranea, la suddetta sentenza n. 5445 del 14 Marzo 2006 afferma che “la posizione probatoria del danneggiato risulta a tale stregua (secondo la lettura ex articolo 2043, n.d.r.) aggravata, in contrasto non solo con il tenore letterale ed il portato sostanziale della norma, ma anche con le stesse scelte di fondo dell’ordinamento in materia di responsabilità civile, rispondenti al riconosciuto favor per il soggetto che ha subito la lesione di una propria posizione giuridica soggettiva rilevante e tutelata, che, laddove non prevenuta, ne impone la rimozione o il ristoro da parte del danneggiante”.

Tale orientamento si è fatto a poco a poco strada nel pensiero giurisprudenziale e nei provvedimenti giudiziali sulla scia della sentenza n. 156 del 10 Maggio 1999 della Corte costituzionale, proprio per superare il meccanismo, divenuto ormai troppo automatico, per cui l’estensione del bene condizionerebbe inequivocabilmente l’esonero di responsabilità della P.A., risolvendosi in un ingiustificato privilegio per essa: l’applicabilità dell’articolo 2051 del codice civile era inizialmente considerata una eccezione rispetto alla regola generale dettata dall’articolo 2043 dello stesso codice, ma si è imposta quale valida alternativa alla tesi dominante e non richiede la prova dei presupposti della notevole estensione del bene o dell’insidia (tipici dell’impostazione secondo l’articolo 2043 del codice civile), per potersi affermare.

La spinta conferita dalla pronuncia della Consulta è stata, sul punto, assai decisiva: “la notevole estensione del bene e l’uso generale e diretto della cosa da parte di terzi costituiscono meri indizi dell’impossibilità di un concreto esercizio del potere di controllo e di vigilanza sul bene medesimo -impossibilità che può essere ritenuta solo all’esito di una indagine condotta dal giudice con riferimento al caso singolo e con criteri di normalità- e la responsabilità speciale per custodia di cui all’articolo 2051 del codice civile risulta non solo configurabile, ma senz’altro preferibile rispetto alla regola generale dell’articolo 2043 del codice civile”.

L’eredità della Corte costituzionale era stata raccolta anche dai Tribunali di merito, tra cui spicca il Tribunale di Monza, con la sentenza del 24 Maggio 2001 n. 1356, a firma della Dott.ssa Lojacono, che conferma che “il Comune, in quanto proprietario della strada, avrebbe dovuto attivarsi per eliminare ogni situazione di pericolo eventualmente determinata dallo svolgimento dei lavori (che interessano il caso di specie, n.d.r.), perché la responsabilità dell’ente proprietario è configurabile anche quando i lavori sono dati in appalto e impone all’ente stesso di curare che l’uso si svolga senza pericolo, eliminando, se necessario, le situazioni contrarie alla sicurezza”.

Naturalmente, ciò che prima poteva essere considerato un punto controverso del problema, ossia il limite dell’estensione del bene, per far pendere la bilancia a favore o contro la P.A., non condiziona più alcuna decisione, perché la P.A. non deve più puntare, con fine difensivo, a circoscrivere il più possibile ogni carreggiata urbana, con la giustificazione che non potrebbe essere ritenuta responsabile per danni occorsi nell’ambito di reti urbane eccessivamente estese o troppo poco frequentate per esercitare un efficace controllo. Il nuovo scopo della P.A. si delinea sempre più marcatamente nello scardinare il nesso eziologico sostenuto dal danneggiato e nel produrre una convincente prova liberatoria, indipendentemente dall’estensione del bene e dalla presenza di insidie, anzi l’insidia, o trabocchetto, come un boomerang, si è ripercosso sulla P.A. nella forma della prova liberatoria.

A completamento della riflessione, non si può non notare che l’estensione o la frequenza non devono essere alibi per la P.A. per non curarsi di un bene proprio o per ignorare i danni che esso può causare, tanto più che la P.A. può disporre di risorse e mezzi tali da raggiungere qualunque tipo di realtà urbanistica.

3. Le conseguenze della responsabilità della P.A.

L’articolo 2051 del codice civile, in precedenza accantonato con la motivazione che non fosse la norma appropriata per la disciplina delle ipotesi di illecito civile della P.A., si è rivelato, invece, calzante e pionieristico di una nuova tendenza, che meglio potesse distribuire oneri e responsabilità tra le parti e che è tanto accreditata da aver acceso il dibattito giurisprudenziale e dottrinario.

In particolare, si ricorda che l’articolo 2051 del codice civile costituisce una delle tassative ipotesi di responsabilità extracontrattuale non oggettiva, ma aggravata, perché il legislatore detta una disciplina più grave per la parte che procura il rischio, per cui si presume che, in caso di danno, non siano state adottate tutte le misure necessarie ad evitarlo e si ritiene responsabile chi aveva il bene in custodia, con la conseguenza che, contrariamente all’impostazione probatoria tipica dell’illecito civile, l’attore danneggiato è chiamato a provare solo la propria condotta, l’evento dannoso e il nesso causale, ma non l’insidia, proprio perché opera una presunzione di responsabilità della P.A., su cui grava il più pesante onere della prova liberatoria del caso fortuito, che ha vanificato proprio tutte le misure adottate dalla P.A. per evitare il danno.

Il custode, che è rappresentato da chiunque, non solo il proprietario, ma anche il concessionario o il detentore, abbia effettivamente la disponibilità ed il controllo della res, risponde dei danni per la particolare relazione di fatto in cui si trova con il bene, con il solo limite della prova liberatoria del caso fortuito o della dimostrazione che si tratti di bene di una tale -eccezionale- estensione da impedire l’effettività di una custodia.

Solo in questo caso il danneggiato si dovrà riferire allo schema dell’articolo 2043 del codice civile.

Mentre prima la prospettiva dell’articolo 2043 del codice civile era prevalente e poneva il danneggiato in una posizione più gravosa e sfavorevole, secondo il suddetto nuovo indirizzo, al contrario, è la P.A. a dover dimostrare di non aver potuto evitare un danno procurato dal caso fortuito, per liberarsi dell’obbligazione di custodia che la recente lettura dell’articolo 2051 del codice civile pone a suo carico.

In precedenza, vigeva la regola per cui la P.A. non era responsabile, a meno che il danneggiato non desse prova dettagliata del danno subito, ma ora, secondo l’attuale orientamento, la P.A. è responsabile fino a prova contraria, che deve essere da essa rigorosamente fornita.