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Le Zone Franche Urbane nel Disegno di Legge Finanziaria 2008

Commento alle modifiche, spunti di riflessione giuridica e considerazioni generali

Premessa

Il Disegno di Legge Finanziaria 2008, approvato dal Consiglio dei Ministri il 28 settembre 2007, introduce una normativa generale sulle Zone Franche Urbane, diversa e più dettagliata rispetto a quella vigente, ma finora inapplicata, ai sensi dei commi 340, 341, 342 e 343 dell’art. 1 della L. n. 296/2006 (Legge Finanziaria 2007).

L’attuazione del dispositivo, in origine prevista entro l’anno 2007, è stata differita come noto per la necessità di rispondere ai rilievi mossi dalla Commissione Europea nel corso di incontri preliminari informali tra la stessa e i rappresentanti e i tecnici del Governo italiano.

Tali rilievi sono oggi motivo di alcune importanti correzioni, in qualche caso radicali, che non mancano di suscitare un intenso dibattito ma che erano e sono inevitabili, in funzione dell’approvazione del sistema di esenzioni fiscali da parte della Commissione Europea.

L’art. 71, capo XXIV (Missione 28 – Sviluppo e riequilibrio territoriale), Titolo I, del Disegno di Legge Finanziaria 2008, in particolare, propone la sostituzione integrale dei citati commi 340, 341 e 342 e l’introduzione dei commi 341 bis, 341 ter e 341 quater.

L’analisi delle modifiche intervenute, oltre a rendere conto delle ragioni tecniche che hanno condotto al ritardo nell’applicazione delle norme, offre lo spunto per qualche riflessione sui principi e sulle regole comunitarie in materia di aiuti ed esenzioni, e sui limiti e le condizioni che esse pongono alla predisposizione, in eccezione al divieto generale, di misure agevolative di tipo fiscale e contributivo a livello nazionale.

Una nuova configurazione in linea coi principi comunitari: la sostituzione del comma 340.

Il comma 1 dell’art. 71 del Disegno di Legge Finanziaria 2008 sostituisce così il comma 340 dell’art. 1 della Legge Finanziaria 2007: “Al fine di contrastare i fenomeni di esclusione sociale negli spazi urbani e favorire l’integrazione sociale e culturale delle popolazioni abitanti in circoscrizioni o quartieri delle città caratterizzati da degrado urbano e sociale, sono istituite, con le modalità di cui al comma 342, zone franche urbane con un numero di abitanti non superiore a 30.000. Per le finalità di cui al periodo precedente, è istituito nello stato di previsione del Ministero dello sviluppo economico un apposito Fondo con una dotazione di 50 milioni di euro per ciascuno degli anni 2008 e 2009, che provvede al finanziamento di programmi di intervento, ai sensi del comma 342.”.

Il testo in vigore fino all’approvazione della Legge Finanziaria 2008, invece, così dispone: “Per favorire lo sviluppo economico e sociale, anche tramite interventi di recupero urbano, di aree e quartieri degradati nelle città del Mezzogiorno, identificati quali zone franche urbane, con particolare riguardo al centro storico di Napoli, è istituito nello stato di previsione del Ministero dello sviluppo economico un apposito Fondo con una dotazione di 50 milioni di euro per ciascuno degli anni 2008 e 2009. Il Fondo provvede al cofinanziamento di programmi regionali di intervento nelle predette aree.”.

Rispetto al vigente comma 340, rubricato “Istituzione delle zone franche urbane”, occorre preliminarmente notare come l’art. 71 del Disegno di Legge Finanziaria 2008 sia rubricato “Contrasto all’esclusione sociale negli spazi urbani” e come il testo in sostituzione ponga sugli obiettivi socio-culturali un accento più marcato: il fine non è più, genericamente e soltanto, quello di “favorire lo sviluppo economico e sociale, anche tramite interventi di recupero urbano”, ma quello di “contrastare i fenomeni di esclusione sociale negli spazi urbani e favorire l’integrazione sociale e culturale delle popolazioni abitanti in circoscrizioni o quartieri delle città caratterizzati da degrado urbano e sociale”; il “recupero urbano” non è più un’eventualità legata a interventi ad hoc, ma un obiettivo generale e primario.

Le Zone Franche Urbane, già nell’impostazione e nella forma, sono dunque strumentali all’attuazione di politiche agevolative della ripresa in senso lato sociale (comprensiva di quella economica), vero oggetto dell’intervento normativo. E’ un particolare nient’affatto trascurabile, dato che uno degli elementi che hanno determinato il successo del sistema ZFU francese, riferimento per il Governo italiano, è da ravvisare proprio nella caratterizzazione sociale, ancor prima che economica, e nella strumentalità del complessivo sistema di geografia prioritaria, la cui delimitazione non è il fine ma appunto il mezzo per l’attuazione delle misure agevolative in quei quartieri e in quelle circoscrizioni.

E’ questo un aspetto concettuale e teorico, che trova però fondamento nella reale condizione di alcune aree urbane d’Italia bisognevoli di interventi anche in questa direzione (socio-culturale e non solo economica), ma che ha soprattutto notevoli effetti pratici in vista dell’esame della Commissione Europea: l’attenzione centrale alla coesione sociale, obiettivo politico generale dell’Unione, depone senza dubbio in favore dell’approvazione prevenendo, almeno in buona parte, il rischio di insuccesso dovuto alle severe condizioni poste alle politiche economiche, fiscali e contributive di vantaggio.

Sotto tale luce, un passaggio cruciale sarà quello della elaborazione da parte del CIPE, ai sensi del nuovo comma 342, di un complesso di parametri selettivi delle Zone Franche Urbane, che fungeranno da indicatori della situazione di crisi, rilevanti ai fini di cui all’art. 340 se ed in quanto siano in grado di evidenziare disagio non solo economico ma anche socio-culturale.

Come di qui a breve si vedrà, la tipologia delle misure agevolative è esclusivamente fiscale e contributiva (a conferma del fatto che un’impostazione più sociale non inficia le finalità prettamente economiche), ma non si dimentichi che la prima attuazione del dispositivo è da considerarsi sperimentale e che agli esiti della sperimentazione, consolidato il sistema, nulla osta a una più articolata modulazione delle misure, con l’inserimento di previsioni specifiche in materia di recupero urbano, di attività socialmente e culturalmente caratterizzate, di sviluppo settoriale e così via.

La novità più interessante per quel che concerne il comma 340, sotto il profilo giuridico-economico ma non solo, si riscontra però nella eliminazione del riferimento geografico al Mezzogiorno.

Tale modifica, che non si può affermare essere sintomo di un’improvvisa discrezionale inversione nelle linee politico-economiche del Governo, si è resa opportuna, o meglio ancora condizionante in assoluto per ragioni giuridiche, ai fini dell’approvazione in sede comunitaria.

Può infatti risultare decisivo, per l’accoglimento finale, rappresentare in maniera più netta la natura orizzontale del sistema di agevolazioni previste in Zona Franca Urbana, vale a dire rendere meglio l’idea che le agevolazioni sono ammesse come necessarie a seguito dell’applicazione di parametri e di valutazioni oggettive preliminari per la selezione di aree di crisi economica e disagio sociale, e non di una preventiva selezione territoriale, seppure motivata.

Una costruzione in senso verticale, cioè secondo un preminente e aprioristico criterio territoriale, o anche solo presuntivamente tale, potrebbe invece incorrere in una negazione. Ciò anche perché un articolato sistema di aiuti di Stato è già in vigore, e ogni ulteriore agevolazione prevista a livello nazionale, che non si intenda far ricadere tra quelle esistenti e ammesse, oltre che di motivata utilità, deve essere ideata e rappresentata nella generale osservanza dei principi di libera concorrenza e non distorsione del mercato e in forma tale da non costituire, nemmeno in dubbio, elusione dei limiti e delle condizioni poste soprattutto dal sistema di aiuti a finalità regionale.

Un esplicito ed esclusivo riferimento al Mezzogiorno, quindi, avrebbe potuto incontrare, molto probabilmente, il diniego da parte della Commissione Europea, in quanto ipotetico tentativo, al di là di ogni intendimento e delle risultanze dell’applicazione dei parametri selettivi, di aggirare la normativa e gli orientamenti sugli aiuti a finalità regionale, di cui le regioni del Mezzogiorno già possono usufruire secondo precise norme, condizioni e limiti, se e fino a che rientrino negli obiettivi dei Fondi Strutturali.

Decade così uno degli elementi distintivi del sistema italiano, introdotto come misura fiscale a vantaggio del Mezzogiorno, rispetto al modello francese, che era ed è concepito allo scopo precipuo di combattere il degrado, i fenomeni di esclusione sociale e la crisi socio-economica dei quartieri urbani, ovunque gli indicatori di tale crisi trovino corrispondenza sul territorio nazionale.

Esteso il sistema di esenzioni alle aree urbane del Centro-Nord, si configura pertanto, formalmente, un sistema di respiro nazionale e non più (solo) a vantaggio delle aree urbane del Mezzogiorno.

Dal punto di vista sostanziale ed effettivo, invece, ferma restando la possibilità generale ed astratta di individuare Zone Franche Urbane sull’intero territorio nazionale, una valutazione definitiva su questo punto potrà essere svolta solo in base agli indicatori di crisi e ai parametri di selezione e individuazione che saranno definiti dal CIPE ai sensi del nuovo comma 342: non si può cioè escludere, ma semmai cautamente supporre, che i criteri che saranno adottati condurranno al medesimo (o almeno simile) risultato inizialmente prefissato.

Da queste brevi considerazioni si può altresì evincere, forse ancor più chiaramente, quali siano le motivazioni tecniche del mancato riconoscimento per legge di ogni speciale riguardo a singole aree urbane, come il centro storico di Napoli (si veda il comma 340 vigente).

Di particolare valenza è poi la previsione del numero di abitanti per Zona Franca Urbana, mancante nel testo attuale del comma 340: la soglia massima dei 30000 abitanti risponde all’esigenza di operare in ossequio ai principi comunitari che governano e limitano l’attuazione di politiche agevolative.

In questa ottica, che si ritiene essere imprescindibile, la copertura in termini di popolazione residente costituisce un fattore determinante in rapporto all’estensione delle aree interessate: non a caso, la densità di abitazione è uno dei parametri selettivi nel sistema francese. Anzi, proprio su questo elemento specifico, il sistema italiano è, se possibile, ancora più aderente agli orientamenti restrittivi della Commissione Europea, dal momento che, a differenza di quanto previsto nel sistema francese, non contempla nemmeno una soglia minima.

Questo dato assicura prevedibilmente, in termini di popolazione residente e di porzioni di territorio, una copertura complessiva su scala nazionale ampiamente entro i limiti di quanto accettabile, sempre in relazione alla salvaguardia, tra i diversi sistemi economici regionali o nazionali in ambito comunitario, del lineare svolgimento del mercato e della libera concorrenza, non procedendo ad abusi, elusioni e distorsioni in materia di sviluppo e occupazione.

Una disciplina più dettagliata e coerente: la sostituzione del comma 341 e i nuovi commi.

Importante novità, introdotta dal successivo comma 2 dell’art. 71 del Disegno di Legge Finanziaria 2008, è quella che si concreta nella eliminazione dal testo del comma 341 del riferimento agli Orientamenti in materia di aiuti a finalità regionale.

Il comma 341 vigente prevede infatti che “Le aree di cui al comma 340 devono essere caratterizzate da fenomeni di particolare degrado ed esclusione sociale e le agevolazioni concedibili per effetto dei programmi e delle riduzioni di cui al comma 340 sono disciplinate in conformità e nei limiti previsti dagli Orientamenti in materia di aiuti di Stato a finalità regionale 2007-2013, pubblicati nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea C 54 del 4 marzo 2006, per quanto riguarda in particolare quelli riferiti al sostegno delle piccole imprese di nuova costituzione”, mentre il nuovo comma 341, a integrale sostituzione del testo, stabilisce che “Le piccole e microimprese, come individuate dalla Raccomandazione n. 2003/361/CE del 6 maggio 2003, che iniziano, nel periodo compreso tra il 1° gennaio 2008 e il 31 dicembre 2012, una nuova attività economica nelle zone franche urbane individuate secondo le modalità di cui al comma 342, possono fruire delle seguenti agevolazioni, nei limiti delle risorse del Fondo di cui al

comma 340 a tal fine vincolate:

a) esenzione dalle imposte sui redditi per i primi cinque periodi di imposta. Per i periodi d’imposta successivi, l’esenzione è limitata, per i primi cinque, al 60 per cento, per il sesto e settimo al 40 per cento e per l’ottavo e nono al 20 per cento;

b) esenzione dall’imposta regionale sulle attività produttive, per i primi cinque periodi di imposta, fino a concorrenza di euro 300.000, per ciascun periodo di imposta, del valore della produzione netta;

c) esenzione dall’imposta comunale sugli immobili, a decorrere dall’anno 2008 e fino all’anno 2012, per i soli immobili siti nelle zone franche urbane dalle stesse imprese posseduti ed utilizzati per l’esercizio delle nuove attività economiche;

d) esonero dal versamento dei contributi sulle retribuzioni da lavoro dipendente, per i primi cinque anni di attività, nei limiti di un massimale di retribuzione definito con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, solo in caso di contratti a tempo indeterminato, o a tempo determinato di durata non inferiore a dodici mesi, e a condizione che almeno il 30% degli occupati risieda nel Sistema Locale di Lavoro in cui ricade la zona franca urbana. Per gli anni successivi l’esonero è limitato, per i primi cinque, al 60 per cento, per il sesto e settimo al 40 per cento e per l’ottavo e nono al 20 per cento.”.

Con ogni probabilità, anche sulla eliminazione del riferimento alle condizioni e ai limiti posti dagli “Orientamenti in materia di aiuti di Stato a finalità regionale 2007-2013 […] per quanto riguarda in particolare quelli riferiti al sostegno delle piccole imprese di nuova costituzione” ha influito la necessaria configurazione in senso orizzontale e la natura sui generis del sistema agevolativo in Zona Franca Urbana.

Ma, teorizzando una sovrapponibilità tra gli aiuti di Stato a finalità regionale e le esenzioni in Zona Franca Urbana, si può altresì immaginare che si sia ritenuto opportuno, o conveniente, prevenire casi di incompatibilità tecnica tra il sistema ZFU, per come concepito, e le norme di cui agli Orientamenti richiamati[1].

Il fondamento giuridico comunitario per l’approvazione da parte della Commissione Europea è quindi da ricercare nella deroga (al divieto generale di aiuti di Stato) di cui all’art. 87, par. 3, lett. c, del Trattato CE, esattamente come avvenuto per la Francia, deroga che la stessa Corte di Giustizia Europea ha considerato tempo addietro avere una portata più ampia, in quanto non limitata dalle condizioni economiche contemplate dalla lettera a, purché gli aiuti previsti non alterino le condizioni degli scambi in misura non rispettosa del principio di non distorsione del mercato[2].

E’ da evidenziare poi che il riferimento iniziale del testo non è più alle “aree di cui al comma 340”, le cui condizioni di disagio (“fenomeni di particolare degrado ed esclusione sociale”) sono ora riportate nel testo della norma di apertura del dispositivo con una più approfondita e concisa descrizione degli obiettivi, ma alle “piccole e microimprese, come individuate dalla Raccomandazione n. 2003/361/CE del 6 maggio 2003” (si definisce piccola impresa un’impresa che occupa meno di 50 persone e realizza un fatturato annuo o un totale di bilancio annuo non superiori a 10 milioni di euro; si definisce microimpresa un’impresa che occupa meno di 10 persone e realizza un fatturato annuo oppure un totale di bilancio annuo non superiori a 2 milioni di euro).

In tal modo, si vuole sottolineare ancora una volta che il centro della disciplina non sono le Zone Franche Urbane in sé e per sé considerate, ma le agevolazioni fiscali e contributive ai fini della ripresa socio-economica di aree urbane in difficoltà, alle quali la delimitazione di Zone Franche Urbane fisicamente intese è funzionale. Ma, soprattutto, si opta per una selezione delle categorie produttive destinatarie delle agevolazioni più consona alla natura del dispositivo e certamente più apprezzabile dalla Commissione Europea.

L’esigenza di rispettare il mercato e il suo regolare sviluppo secondo concorrenza e trasparenza, infatti, impone ai governi nazionali, vera e propria condicio sine qua non, di non influire oltremodo sullo stesso nell’attuare politiche fiscali e contributive di vantaggio, come in effetti accadrebbe se si intervenisse in favore di medie e grandi imprese o di settori strategici che già usufruiscono di forme di aiuto e sostegno: a questo proposito, il comma 341 ter di nuova introduzione precisa che “sono, in ogni caso, escluse dal regime agevolativo le imprese operanti nei settori della costruzione di automobili, della costruzione navale, della fabbricazione di fibre tessili artificiali o sintetiche, della siderurgia e del trasporto su strada.”.

In altri termini, se l’obiettivo è quello di risollevare le sorti di piccole aree urbane in gravi difficoltà socio-economiche (e nel sistema ZFU è così), è sufficiente che le agevolazioni siano rivolte a quelle imprese che, per natura organizzativa, dimensioni, mercati di riferimento, tipologia di attività svolta, possono, grazie alle esenzioni fiscali e contributive, sostenere il perseguimento dello scopo nel rispetto dei principi comunitari. E ciò è tanto più vero laddove il tessuto connettivo socio-economico urbano è costituito proprio da piccole e micro imprese.

Segue la disciplina generale del sistema di esenzioni, precedentemente affidata, ma mai specificata, ai sensi del comma 342 dell’art. 1 della Legge Finanziaria 2007, a un “decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze”.

Osservando quanto disposto alle lettere a), b), c) e d), si può verificare come la disciplina, naturalmente adattata al caso e all’ordinamento italiano, si richiami al modello francese nei suoi elementi principali (tipologia di imposte e contributi, durata delle esenzioni, uscita progressiva).

Tra le misure specifiche, particolare considerazione merita l’esonero dal versamento dei contributi sulle retribuzioni da lavoro dipendente, che viene concesso “solo in caso di contratti a tempo indeterminato, o a tempo determinato di durata non inferiore a dodici mesi, e a condizione che almeno il 30% degli occupati risieda nel Sistema Locale di Lavoro in cui ricade la zona franca urbana”: l’attenzione è pertanto rivolta a favorire un’occupazione non precaria e a generare ricadute positive sul territorio che di queste necessita, non altrove.

Si è inteso avvantaggiarsi dell’esempio francese anche per altri versi, ponendo il provvedimento di rango primario come sede normativa dei capisaldi del sistema di agevolazioni: contenuto e durata delle esenzioni rientrano tra questi.

Condizioni, limiti e modalità, elementi della fattispecie di carattere più tecnico-operativo, saranno in seguito determinate, ai sensi del nuovo comma 341 quater anch’esso introdotto dal comma 2 dell’art. 71 del Disegno di Legge Finanziaria 2008, da un “decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, da emanarsi entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge”.

E’ comunque stabilito ab origine, ai sensi del comma 341 bis dell’art. 1 della Legge Finanziaria 2007, pure di nuova introduzione, che le imprese già avviate in Zona Franca Urbana prima del 1° gennaio 2008 possono usufruire delle agevolazioni “nel rispetto del Regolamento (CE) n. 1998/2006 della Commissione, del 15 dicembre 2006, relativo all’applicazione degli articoli 87 e 88 del trattato agli aiuti di importanza minore.”. Si tratta degli aiuti c.d. “de minimis”, il cui ammontare massimo di 100000 euro su 36 mesi (Regolamento n. 69/2001) è stato di recente innalzato a 200000 euro proprio dal Regolamento n. 1998/2006, per i quali lo Stato è esente dall’obbligo di notifica.

L’emanazione del decreto ministeriale di cui al comma 341 quater consentirà una più completa valutazione dei profili pratici e delle implicazioni economiche (per esempio in termini di confronto o concorrenza con misure fiscali di vantaggio esistenti) del sistema di esenzioni.

Le competenze e le maggiori responsabilità delle autorità centrali: il comma 342.

Il comma 3 dell’art. 71 del Disegno di Legge in oggetto sostituisce infine il comma 342 dell’art. 1 della Legge Finanziaria 2007: “Il Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE), su proposta del Ministro dello sviluppo economico, provvede alla definizione dei criteri per l’allocazione delle risorse e per la individuazione e la selezione delle zone franche urbane, sulla base di parametri socio-economici, rappresentativi dei fenomeni di degrado di cui al comma 340. Provvede, successivamente, su proposta del Ministro dello sviluppo economico, alla perimetrazione delle singole zone franche urbane ed alla concessione del finanziamento in favore dei programmi di intervento di cui al comma 340. L’efficacia delle disposizioni dei commi da 341 a 342 è subordinata, ai sensi dell’articolo 88, paragrafo 3, del Trattato istitutivo della Comunità europea, all’autorizzazione della Commissione europea.”.

Rispetto al testo in vigore, la variazione principale consiste nella eliminazione del riferimento alle “regioni interessate”, che il Ministro dello Sviluppo Economico dovrebbe sentire prima di formulare al CIPE la proposta per la “definizione dei criteri per l’allocazione delle risorse e l’identificazione, la perimetrazione e la selezione delle zone franche urbane sulla base di parametri socio-economici”.

L’apparente ridimensionamento del ruolo delle Regioni è dovuto a motivi di trasparenza e controllo della corrispondenza ai parametri e agli indicatori delle aree individuate (contro ogni potenziale elusione dei vincoli in materia di aiuti di Stato), attività su cui di tutta evidenza si è ritenuto di dover attribuire maggiori e decisive responsabilità alle autorità centrali, e in particolare al CIPE, permanendo in capo ai Ministeri interessati funzioni prevalentemente propulsive e propositive.

Si vuole ritenere, o anche auspicare, che ciò non impedisca il coinvolgimento degli enti locali e delle Regioni, per esempio attraverso iniziative di tipo concertativo come quelle in effetti già poste in essere nel corso del 2007, ma è certo che, visto quanto emerso dagli incontri con la Commissione Europea, a rigor di legge e anche di logica, ricondurre i parametri, i criteri e gli indicatori, in premessa alla selezione, alla individuazione e alla perimetrazione delle Zone Franche Urbane (e non viceversa), è da considerarsi un risultato giuridicamente, logicamente e in vista dell’approvazione comunitaria meritevole di apprezzamento.

L’impressione è che il Governo italiano abbia inteso riportare la disciplina generale a livello legislativo per tutti i suoi tratti essenziali e far risalire il più possibile le questioni tecniche fondamentali alla competenza del CIPE, e che in questo quadro abbia voluto riconoscere alla definizione di criteri e rigorosi parametri selettivi centralità e priorità, logica e giuridica, rispetto all’individuazione stessa delle singole Zone Franche Urbane, altrimenti formalmente e sostanzialmente impossibile (almeno finché i parametri non sono definiti) o comunque eseguita su valutazioni e presunzioni non giuridiche e non tecniche, ma di altra natura, o su indicatori non ufficiali[3].

Rispetto al vigente comma 342, anche la “concessione del finanziamento in favore dei programmi di intervento di cui al comma 340” è di competenza del CIPE ai sensi di legge. Scompare quindi dalla L. n. 296/2006 la previsione di un “cofinanziamento di programmi regionali di intervento” a cui avrebbe dovuto provvedere il Fondo istituito presso il Ministero dello Sviluppo Economico (comma 340 attuale), secondo procedure definite da un “decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze” (comma 342 attuale).

Non sfugge poi all’attenzione dell’osservatore che i parametri di selezione e individuazione delle singole Zone Franche Urbane devono essere “rappresentativi dei fenomeni di degrado di cui al comma 340” (ulteriore occasione per rimarcare la funzione sociale del dispositivo) e che la “efficacia delle disposizioni dei commi da 341 a 342 è subordinata, ai sensi dell’articolo 88, paragrafo 3, del Trattato istitutivo della Comunità europea, all’autorizzazione della Commissione europea” (opportuna specificazione per una migliore comprensione dell’iter successivo all’approvazione della Legge Finanziaria 2008).

L’importanza del monitoraggio: rimane immutato il comma 343.

Dovrebbe rimanere inalterato, salvi interventi di modifica in sede parlamentare o di coordinamento legislativo, il testo del comma 343 in vigore sul monitoraggio degli interventi di sostegno a favore delle Zone Franche Urbane: “Il Nucleo di valutazione e verifica del Ministero dello sviluppo economico, anche in coordinamento con i nuclei di valutazione delle regioni interessate, provvede al monitoraggio ed alla valutazione di efficacia degli interventi e presenta a tal fine al CIPE una relazione annuale sugli esiti delle predette attività.”.

Monitorare gli effetti dell’applicazione delle agevolazioni nelle aree interessate (come avviene in Francia attraverso l’Observatoire national des zones urbaines sensibles) è ampiamente suggerito e apprezzato dalla Commissione Europea, sia per ragioni di trasparenza, sia perché, nell’ottica della salvaguardia della libera concorrenza e del rispetto del divieto generale di aiuti di Stato, se e una volta risollevata dal particolare degrado socio-economico un’area urbana, non vi è più ragione (venendo meno i presupposti di fatto e di diritto) perché questa seguiti ad essere costituita in Zona Franca: su questo aspetto, l’attenzione della Commissione Europea è molto alta.

Le aree urbane prescelte dovranno quindi recare una obiettiva potenzialità di sviluppo, cioè di successo dell’iniziativa, espressa da indicatori, per esempio, sulla popolazione giovanile.

Alcune considerazioni generali e di attualità.

Sottinteso che l’impianto predisposto dal Consiglio dei Ministri è suscettibile di ulteriori modifiche in sede di vaglio e approvazione in Parlamento, l’evoluzione normativa appena sopra descritta induce a vari ordini di considerazioni, anche di carattere generale.

Si può affermare innanzitutto, con qualche margine di fondatezza, che la configurazione delle Zone Franche Urbane, per come delineata dal Disegno di Legge Finanziaria 2008, è l’unica su cui, in fatto e in diritto, possa realizzarsi la disciplina delle misure agevolative connesse.

In altri termini, ogni differente ipotesi emersa o emergente non solo rischia di essere incoerente con l’attribuzione del carattere, appunto, “urbano”[4] e si discosta per ciò stesso dal modello per come storicamente ormai riconosciuto sulla scorta dell’esperienza francese ma, avuto riguardo ai principi e alle norme comunitarie vigenti, oltre che agli orientamenti e agli intendimenti delle istituzioni comunitarie, risulterebbe non realizzabile e con ogni probabilità non accolta dalla Commissione Europea per le ragioni tecnico-giuridiche ampiamente riportate.

Riferendosi genericamente alle varie istanze avanzate soprattutto a livello locale, vale la pena segnalare che queste si traducono in qualche caso in formule inattuabili o talvolta attuabili solo secondo quanto già previsto dai Regolamenti e dagli Orientamenti sugli aiuti di Stato in vigore, ma in questo caso non si tratterebbe più di misure agevolative giuridicamente indipendenti come concettualmente e storicamente si propone il modello ZFU, oppure dal diritto doganale[5].

Nel tentativo di contribuire alla dissoluzione di qualche confusione teorica e giuridica iniziale, foriera di aspettative che appaiono oggi disattese, si può sostenere che il sistema di agevolazioni nelle Zone Franche Urbane o è modulato tendenzialmente così come previsto dal Governo del Disegno di Legge Finanziaria 2008 (modello francese, ormai “comunitario” nel senso che verrà di qui a breve precisato), o non è. E ciò non per mera forma e per coincidenza di denominazione, ma per ragioni di contenuto essenzialmente vincolato alle norme e ai principi comunitari: tale convinzione, certamente opinabile, discende non solo dai rilievi mossi dalla DG Concorrenza della Commissione Europea alle autorità italiane, ricavabili dalle modifiche apportate, ma anche dalle valutazioni positive che la stessa Commissione ha in precedenza espresso nei riguardi del sistema francese, in particolare motivando il riconoscimento di aiuti nella c.d. “terza generazione” di Zone Franche Urbane in Francia (decisione n. 70/A/2006).

Alla possibile obiezione, per molti versi condivisibile, secondo cui un sistema agevolativo di carattere eccezionale, non codificato, è esposto e adattabile a soluzioni differenti a seconda del luogo e del tempo o della tendenza politico-economica in una fase storica, si può rispondere e ribadire che, in ogni caso, vigenti i principi e le condizioni di cui si è ampiamente discusso e finchè l’orientamento della Commissione Europea sarà nel senso indicato, per quanto attiene allo schema nei tratti essenziali, avanzare eccessive variazioni sul tema può risultare negativo.

Al di là di ogni identità meramente nominalistica, allo stato attuale, non è quindi e non può essere formalmente e sostanzialmente Zona Franca Urbana quella “zona franca” che non sia fisicamente “area urbana” (dunque un quartiere o una circoscrizione urbana, non Comuni o unità superiori o non urbane) e che non sia individuata solo successivamente alla predisposizione e alla previa applicazione di parametri e indicatori di situazioni di grave, obiettivo ed eccezionale disagio socio-economico; che non includa un numero esiguo di abitanti e nel contempo un territorio limitato e ad alta densità abitativa; che non sia strumentale e funzionale all’attuazione di misure agevolative di carattere essenzialmente fiscale e contributivo in risposta alle situazioni di degrado preliminarmente definite, previste a vantaggio di micro e piccole imprese, concepite (o affiancate da altre misure) in modo tale che gli effetti positivi siano di natura anche sociale e culturale e si riflettano direttamente e immediatamente nella realtà locale: tutto questo, in linea con gli obiettivi e entro i limiti posti dal diritto e dalle politiche comunitarie.

Infine, sia ammessa un’ulteriore digressione, se è vero che il modello francese è, anche per la Commissione Europea, il modello di riferimento, il tipo per questa forma di interventi eccezionali, se e quando anche il dispositivo italiano verrà approvato e se e quando lo stesso avverrà compiutamente in altri Paesi membri dell’Unione Europea (un’opera di costruzione normativa simile è infatti in evoluzione in questi anni in Belgio), di qui a qualche tempo si potrà discutere di un “modello comunitario” di esenzioni in Zona Franca Urbana, più o meno variabile nel singolo caso nazionale, da inserire nel quadro generale delle politiche di urban regeneration per le quali l’impegno dell’Unione Europea è sempre crescente, come dimostrano le numerose comunicazioni, alcune importanti norme, la destinazione di parte dei Fondi Strutturali e la predisposizione di iniziative quali URBAN e URBAN II[6].

Conclusioni: l’iter verso l’approvazione definitiva, in sintesi.

La disciplina delle esenzioni in Zona Franca Urbana, elaborata dal Consiglio dei Ministri nel Disegno di Legge Finanziaria 2008, che solo con il voto del Parlamento sarà in vigore nel testo definitivo, si presenta oggi senza dubbio più completa, coerente, articolata e organica rispetto a quanto disposto in Legge Finanziaria 2007.

L’aderenza sempre crescente al modello francese, se da un lato produce effetti da più parte discussi su un piano però solo politico, dall’altro aumenta di molto, norme alla mano, le possibilità di un positivo apprezzamento da parte della Commissione Europea.

Ulteriori variazioni potranno essere apportate nel corso del lungo iter che condurrà all’approvazione parlamentare, ma l’impianto pare destinato a rimanere immutato, nell’auspicio che eventuali modifiche non siano così avulse dal modello o tanto radicali da porsi in contrasto con le indicazioni della stessa Commissione.

Entrata in vigore la Legge Finanziaria 2008, dunque, entro trenta giorni un decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze stabilirà le condizioni, i limiti e le modalità di applicazione delle esenzioni fiscali di cui al comma 341. Il CIPE, su proposta del Ministro dello Sviluppo Economico, provvederà alla definizione dei criteri per l’allocazione delle risorse e per la individuazione e la selezione delle Zone Franche Urbane e solo successivamente, e sempre su proposta dello stesso Ministro, alla perimetrazione delle singole Zone Franche Urbane ed alla concessione del finanziamento in favore dei programmi di intervento, a cui provvederà un apposito Fondo (dotazione di 50 milioni di euro per ciascuno degli anni 2008 e 2009), istituito nello stato di previsione del Ministero dello sviluppo.

Dopo che la Commissione Europea avrà approvato, ai sensi dell’articolo 88, par. 3, del Trattato istitutivo della Comunità Europea, il sistema di esenzioni e le determinazioni del CIPE, le misure agevolative nelle Zone Franche Urbane frattanto selezionate, individuate e perimetrale, avranno piena efficacia e concreta attuazione.



[1] Sia consentito rammentare che in tal caso non sarebbe possibile, per esempio, disporre esenzioni dal reddito d’impresa (centrale nel sistema ZFU), in quanto l’art. 87 degli Orientamenti in materia di aiuti alle piccole imprese di nuova costituzione esclude esplicitamente proprio l’imposta dal reddito d’impresa dal novero delle spese ammissibili; si pensi inoltre, a titolo esemplificativo, al fatto che il sistema delle Zone Franche Urbane è concepito per unità territoriali di livello inferiore a NUTS III (cioè aree più limitate rispetto ai territori comunali, rilevanti ai fini della deroga al generale divieto di aiuti di Stato ex art. 87, par. 3, lett. c, del Trattato CE), mentre gli aiuti di Stato a finalità regionale sono in parte rivolti a unità di livello NUTS II, le Regioni, o ancora alle difficoltà di coordinamento e applicazione nel tempo derivanti dagli scostamenti, anche solo per effetto statistico, dagli obiettivi dei Fondi Strutturali.

[2] Sul problema del fondamento giuridico comunitario e per ulteriori rilievi critici sul dettato della Legge Finanziaria 2007 in materia di Zone Franche Urbane, si rinvia allo stesso autore, “Le Zone Franche Urbane in Italia. L’esperienza francese, rilievi critici e spunti di riflessione.”, pubblicato su Filodiritto (www.filodiritto.com), url https://www.filodiritto.com/index.php?azione=visualizza&iddoc=659, il 2 maggio 2007.

[3] Come probabilmente avvenuto finora in alcune realtà locali, con proposte e indicazioni di Zone Franche Urbane avanzate e in qualche caso anche formalizzate, nonostante i criteri selettivi per l’individuazione delle stesse non fossero mai stati formalmente definiti.

[4] Per esempio, non sono mancate nel corso del dibattito generale e locale proposte di costituzione in Zona Franca Urbana di interi territori comunali, provinciali, regionali oppure in ambito esclusivamente portuale.

[5] Il riferimento è alla possibilità teorica di istituzione di Zone Franche per la trasformazione di materie prime e semilavorati e per l’esportazione di merci, normalmente in ambito portuale, in esenzione dai dazi, dalle misure di politica commerciale o anche dall’Iva all’importazione. In questo caso, inoltre, è ormai acclarata la tendenza restrittiva, sostanzialmente negativa, da parte delle istituzioni europee, che non solo negli ultimi anni hanno progressivamente ridotto le autorizzazioni per nuove Zone Franche doganali (sempre meno necessarie nell’epoca dei mercati globali, degli accordi sulle tariffe e delle aree di libero scambio, come l’imminente Euro-Mediterranea), ma si accingono nel Codice Doganale Comunitario aggiornato, in questi mesi in discussione, ad abrogare la possibilità di destinazione delle merci a Zona Franca doganale “non interclusa”, modello che, per ragioni fisiche e tecniche di fondo che non si ritiene utile approfondire in questa sede, si integra e interagisce col sistema economico locale, divenendo strumento di politiche fiscali o occupazionali di vantaggio, per l’appunto potenzialmente lesive dei più volte citati principi comunitari.

[6] Per un interessante e autorevole approfondimento di questi aspetti specifici, si rinvia a Del Genio, Valeria, “Le politiche di riqualificazione urbana e la fiscalità di vantaggio” in Economia dei Servizi, anno II, numero 2, maggio-agosto 2007, pp. 341-359, ed. Il Mulino, Bologna.

Premessa

Il Disegno di Legge Finanziaria 2008, approvato dal Consiglio dei Ministri il 28 settembre 2007, introduce una normativa generale sulle Zone Franche Urbane, diversa e più dettagliata rispetto a quella vigente, ma finora inapplicata, ai sensi dei commi 340, 341, 342 e 343 dell’art. 1 della L. n. 296/2006 (Legge Finanziaria 2007).

L’attuazione del dispositivo, in origine prevista entro l’anno 2007, è stata differita come noto per la necessità di rispondere ai rilievi mossi dalla Commissione Europea nel corso di incontri preliminari informali tra la stessa e i rappresentanti e i tecnici del Governo italiano.

Tali rilievi sono oggi motivo di alcune importanti correzioni, in qualche caso radicali, che non mancano di suscitare un intenso dibattito ma che erano e sono inevitabili, in funzione dell’approvazione del sistema di esenzioni fiscali da parte della Commissione Europea.

L’art. 71, capo XXIV (Missione 28 – Sviluppo e riequilibrio territoriale), Titolo I, del Disegno di Legge Finanziaria 2008, in particolare, propone la sostituzione integrale dei citati commi 340, 341 e 342 e l’introduzione dei commi 341 bis, 341 ter e 341 quater.

L’analisi delle modifiche intervenute, oltre a rendere conto delle ragioni tecniche che hanno condotto al ritardo nell’applicazione delle norme, offre lo spunto per qualche riflessione sui principi e sulle regole comunitarie in materia di aiuti ed esenzioni, e sui limiti e le condizioni che esse pongono alla predisposizione, in eccezione al divieto generale, di misure agevolative di tipo fiscale e contributivo a livello nazionale.

Una nuova configurazione in linea coi principi comunitari: la sostituzione del comma 340.

Il comma 1 dell’art. 71 del Disegno di Legge Finanziaria 2008 sostituisce così il comma 340 dell’art. 1 della Legge Finanziaria 2007: “Al fine di contrastare i fenomeni di esclusione sociale negli spazi urbani e favorire l’integrazione sociale e culturale delle popolazioni abitanti in circoscrizioni o quartieri delle città caratterizzati da degrado urbano e sociale, sono istituite, con le modalità di cui al comma 342, zone franche urbane con un numero di abitanti non superiore a 30.000. Per le finalità di cui al periodo precedente, è istituito nello stato di previsione del Ministero dello sviluppo economico un apposito Fondo con una dotazione di 50 milioni di euro per ciascuno degli anni 2008 e 2009, che provvede al finanziamento di programmi di intervento, ai sensi del comma 342.”.

Il testo in vigore fino all’approvazione della Legge Finanziaria 2008, invece, così dispone: “Per favorire lo sviluppo economico e sociale, anche tramite interventi di recupero urbano, di aree e quartieri degradati nelle città del Mezzogiorno, identificati quali zone franche urbane, con particolare riguardo al centro storico di Napoli, è istituito nello stato di previsione del Ministero dello sviluppo economico un apposito Fondo con una dotazione di 50 milioni di euro per ciascuno degli anni 2008 e 2009. Il Fondo provvede al cofinanziamento di programmi regionali di intervento nelle predette aree.”.

Rispetto al vigente comma 340, rubricato “Istituzione delle zone franche urbane”, occorre preliminarmente notare come l’art. 71 del Disegno di Legge Finanziaria 2008 sia rubricato “Contrasto all’esclusione sociale negli spazi urbani” e come il testo in sostituzione ponga sugli obiettivi socio-culturali un accento più marcato: il fine non è più, genericamente e soltanto, quello di “favorire lo sviluppo economico e sociale, anche tramite interventi di recupero urbano”, ma quello di “contrastare i fenomeni di esclusione sociale negli spazi urbani e favorire l’integrazione sociale e culturale delle popolazioni abitanti in circoscrizioni o quartieri delle città caratterizzati da degrado urbano e sociale”; il “recupero urbano” non è più un’eventualità legata a interventi ad hoc, ma un obiettivo generale e primario.

Le Zone Franche Urbane, già nell’impostazione e nella forma, sono dunque strumentali all’attuazione di politiche agevolative della ripresa in senso lato sociale (comprensiva di quella economica), vero oggetto dell’intervento normativo. E’ un particolare nient’affatto trascurabile, dato che uno degli elementi che hanno determinato il successo del sistema ZFU francese, riferimento per il Governo italiano, è da ravvisare proprio nella caratterizzazione sociale, ancor prima che economica, e nella strumentalità del complessivo sistema di geografia prioritaria, la cui delimitazione non è il fine ma appunto il mezzo per l’attuazione delle misure agevolative in quei quartieri e in quelle circoscrizioni.

E’ questo un aspetto concettuale e teorico, che trova però fondamento nella reale condizione di alcune aree urbane d’Italia bisognevoli di interventi anche in questa direzione (socio-culturale e non solo economica), ma che ha soprattutto notevoli effetti pratici in vista dell’esame della Commissione Europea: l’attenzione centrale alla coesione sociale, obiettivo politico generale dell’Unione, depone senza dubbio in favore dell’approvazione prevenendo, almeno in buona parte, il rischio di insuccesso dovuto alle severe condizioni poste alle politiche economiche, fiscali e contributive di vantaggio.

Sotto tale luce, un passaggio cruciale sarà quello della elaborazione da parte del CIPE, ai sensi del nuovo comma 342, di un complesso di parametri selettivi delle Zone Franche Urbane, che fungeranno da indicatori della situazione di crisi, rilevanti ai fini di cui all’art. 340 se ed in quanto siano in grado di evidenziare disagio non solo economico ma anche socio-culturale.

Come di qui a breve si vedrà, la tipologia delle misure agevolative è esclusivamente fiscale e contributiva (a conferma del fatto che un’impostazione più sociale non inficia le finalità prettamente economiche), ma non si dimentichi che la prima attuazione del dispositivo è da considerarsi sperimentale e che agli esiti della sperimentazione, consolidato il sistema, nulla osta a una più articolata modulazione delle misure, con l’inserimento di previsioni specifiche in materia di recupero urbano, di attività socialmente e culturalmente caratterizzate, di sviluppo settoriale e così via.

La novità più interessante per quel che concerne il comma 340, sotto il profilo giuridico-economico ma non solo, si riscontra però nella eliminazione del riferimento geografico al Mezzogiorno.

Tale modifica, che non si può affermare essere sintomo di un’improvvisa discrezionale inversione nelle linee politico-economiche del Governo, si è resa opportuna, o meglio ancora condizionante in assoluto per ragioni giuridiche, ai fini dell’approvazione in sede comunitaria.

Può infatti risultare decisivo, per l’accoglimento finale, rappresentare in maniera più netta la natura orizzontale del sistema di agevolazioni previste in Zona Franca Urbana, vale a dire rendere meglio l’idea che le agevolazioni sono ammesse come necessarie a seguito dell’applicazione di parametri e di valutazioni oggettive preliminari per la selezione di aree di crisi economica e disagio sociale, e non di una preventiva selezione territoriale, seppure motivata.

Una costruzione in senso verticale, cioè secondo un preminente e aprioristico criterio territoriale, o anche solo presuntivamente tale, potrebbe invece incorrere in una negazione. Ciò anche perché un articolato sistema di aiuti di Stato è già in vigore, e ogni ulteriore agevolazione prevista a livello nazionale, che non si intenda far ricadere tra quelle esistenti e ammesse, oltre che di motivata utilità, deve essere ideata e rappresentata nella generale osservanza dei principi di libera concorrenza e non distorsione del mercato e in forma tale da non costituire, nemmeno in dubbio, elusione dei limiti e delle condizioni poste soprattutto dal sistema di aiuti a finalità regionale.

Un esplicito ed esclusivo riferimento al Mezzogiorno, quindi, avrebbe potuto incontrare, molto probabilmente, il diniego da parte della Commissione Europea, in quanto ipotetico tentativo, al di là di ogni intendimento e delle risultanze dell’applicazione dei parametri selettivi, di aggirare la normativa e gli orientamenti sugli aiuti a finalità regionale, di cui le regioni del Mezzogiorno già possono usufruire secondo precise norme, condizioni e limiti, se e fino a che rientrino negli obiettivi dei Fondi Strutturali.

Decade così uno degli elementi distintivi del sistema italiano, introdotto come misura fiscale a vantaggio del Mezzogiorno, rispetto al modello francese, che era ed è concepito allo scopo precipuo di combattere il degrado, i fenomeni di esclusione sociale e la crisi socio-economica dei quartieri urbani, ovunque gli indicatori di tale crisi trovino corrispondenza sul territorio nazionale.

Esteso il sistema di esenzioni alle aree urbane del Centro-Nord, si configura pertanto, formalmente, un sistema di respiro nazionale e non più (solo) a vantaggio delle aree urbane del Mezzogiorno.

Dal punto di vista sostanziale ed effettivo, invece, ferma restando la possibilità generale ed astratta di individuare Zone Franche Urbane sull’intero territorio nazionale, una valutazione definitiva su questo punto potrà essere svolta solo in base agli indicatori di crisi e ai parametri di selezione e individuazione che saranno definiti dal CIPE ai sensi del nuovo comma 342: non si può cioè escludere, ma semmai cautamente supporre, che i criteri che saranno adottati condurranno al medesimo (o almeno simile) risultato inizialmente prefissato.

Da queste brevi considerazioni si può altresì evincere, forse ancor più chiaramente, quali siano le motivazioni tecniche del mancato riconoscimento per legge di ogni speciale riguardo a singole aree urbane, come il centro storico di Napoli (si veda il comma 340 vigente).

Di particolare valenza è poi la previsione del numero di abitanti per Zona Franca Urbana, mancante nel testo attuale del comma 340: la soglia massima dei 30000 abitanti risponde all’esigenza di operare in ossequio ai principi comunitari che governano e limitano l’attuazione di politiche agevolative.

In questa ottica, che si ritiene essere imprescindibile, la copertura in termini di popolazione residente costituisce un fattore determinante in rapporto all’estensione delle aree interessate: non a caso, la densità di abitazione è uno dei parametri selettivi nel sistema francese. Anzi, proprio su questo elemento specifico, il sistema italiano è, se possibile, ancora più aderente agli orientamenti restrittivi della Commissione Europea, dal momento che, a differenza di quanto previsto nel sistema francese, non contempla nemmeno una soglia minima.

Questo dato assicura prevedibilmente, in termini di popolazione residente e di porzioni di territorio, una copertura complessiva su scala nazionale ampiamente entro i limiti di quanto accettabile, sempre in relazione alla salvaguardia, tra i diversi sistemi economici regionali o nazionali in ambito comunitario, del lineare svolgimento del mercato e della libera concorrenza, non procedendo ad abusi, elusioni e distorsioni in materia di sviluppo e occupazione.

Una disciplina più dettagliata e coerente: la sostituzione del comma 341 e i nuovi commi.

Importante novità, introdotta dal successivo comma 2 dell’art. 71 del Disegno di Legge Finanziaria 2008, è quella che si concreta nella eliminazione dal testo del comma 341 del riferimento agli Orientamenti in materia di aiuti a finalità regionale.

Il comma 341 vigente prevede infatti che “Le aree di cui al comma 340 devono essere caratterizzate da fenomeni di particolare degrado ed esclusione sociale e le agevolazioni concedibili per effetto dei programmi e delle riduzioni di cui al comma 340 sono disciplinate in conformità e nei limiti previsti dagli Orientamenti in materia di aiuti di Stato a finalità regionale 2007-2013, pubblicati nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea C 54 del 4 marzo 2006, per quanto riguarda in particolare quelli riferiti al sostegno delle piccole imprese di nuova costituzione”, mentre il nuovo comma 341, a integrale sostituzione del testo, stabilisce che “Le piccole e microimprese, come individuate dalla Raccomandazione n. 2003/361/CE del 6 maggio 2003, che iniziano, nel periodo compreso tra il 1° gennaio 2008 e il 31 dicembre 2012, una nuova attività economica nelle zone franche urbane individuate secondo le modalità di cui al comma 342, possono fruire delle seguenti agevolazioni, nei limiti delle risorse del Fondo di cui al

comma 340 a tal fine vincolate:

a) esenzione dalle imposte sui redditi per i primi cinque periodi di imposta. Per i periodi d’imposta successivi, l’esenzione è limitata, per i primi cinque, al 60 per cento, per il sesto e settimo al 40 per cento e per l’ottavo e nono al 20 per cento;

b) esenzione dall’imposta regionale sulle attività produttive, per i primi cinque periodi di imposta, fino a concorrenza di euro 300.000, per ciascun periodo di imposta, del valore della produzione netta;

c) esenzione dall’imposta comunale sugli immobili, a decorrere dall’anno 2008 e fino all’anno 2012, per i soli immobili siti nelle zone franche urbane dalle stesse imprese posseduti ed utilizzati per l’esercizio delle nuove attività economiche;

d) esonero dal versamento dei contributi sulle retribuzioni da lavoro dipendente, per i primi cinque anni di attività, nei limiti di un massimale di retribuzione definito con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, solo in caso di contratti a tempo indeterminato, o a tempo determinato di durata non inferiore a dodici mesi, e a condizione che almeno il 30% degli occupati risieda nel Sistema Locale di Lavoro in cui ricade la zona franca urbana. Per gli anni successivi l’esonero è limitato, per i primi cinque, al 60 per cento, per il sesto e settimo al 40 per cento e per l’ottavo e nono al 20 per cento.”.

Con ogni probabilità, anche sulla eliminazione del riferimento alle condizioni e ai limiti posti dagli “Orientamenti in materia di aiuti di Stato a finalità regionale 2007-2013 […] per quanto riguarda in particolare quelli riferiti al sostegno delle piccole imprese di nuova costituzione” ha influito la necessaria configurazione in senso orizzontale e la natura sui generis del sistema agevolativo in Zona Franca Urbana.

Ma, teorizzando una sovrapponibilità tra gli aiuti di Stato a finalità regionale e le esenzioni in Zona Franca Urbana, si può altresì immaginare che si sia ritenuto opportuno, o conveniente, prevenire casi di incompatibilità tecnica tra il sistema ZFU, per come concepito, e le norme di cui agli Orientamenti richiamati[1].

Il fondamento giuridico comunitario per l’approvazione da parte della Commissione Europea è quindi da ricercare nella deroga (al divieto generale di aiuti di Stato) di cui all’art. 87, par. 3, lett. c, del Trattato CE, esattamente come avvenuto per la Francia, deroga che la stessa Corte di Giustizia Europea ha considerato tempo addietro avere una portata più ampia, in quanto non limitata dalle condizioni economiche contemplate dalla lettera a, purché gli aiuti previsti non alterino le condizioni degli scambi in misura non rispettosa del principio di non distorsione del mercato[2].

E’ da evidenziare poi che il riferimento iniziale del testo non è più alle “aree di cui al comma 340”, le cui condizioni di disagio (“fenomeni di particolare degrado ed esclusione sociale”) sono ora riportate nel testo della norma di apertura del dispositivo con una più approfondita e concisa descrizione degli obiettivi, ma alle “piccole e microimprese, come individuate dalla Raccomandazione n. 2003/361/CE del 6 maggio 2003” (si definisce piccola impresa un’impresa che occupa meno di 50 persone e realizza un fatturato annuo o un totale di bilancio annuo non superiori a 10 milioni di euro; si definisce microimpresa un’impresa che occupa meno di 10 persone e realizza un fatturato annuo oppure un totale di bilancio annuo non superiori a 2 milioni di euro).

In tal modo, si vuole sottolineare ancora una volta che il centro della disciplina non sono le Zone Franche Urbane in sé e per sé considerate, ma le agevolazioni fiscali e contributive ai fini della ripresa socio-economica di aree urbane in difficoltà, alle quali la delimitazione di Zone Franche Urbane fisicamente intese è funzionale. Ma, soprattutto, si opta per una selezione delle categorie produttive destinatarie delle agevolazioni più consona alla natura del dispositivo e certamente più apprezzabile dalla Commissione Europea.

L’esigenza di rispettare il mercato e il suo regolare sviluppo secondo concorrenza e trasparenza, infatti, impone ai governi nazionali, vera e propria condicio sine qua non, di non influire oltremodo sullo stesso nell’attuare politiche fiscali e contributive di vantaggio, come in effetti accadrebbe se si intervenisse in favore di medie e grandi imprese o di settori strategici che già usufruiscono di forme di aiuto e sostegno: a questo proposito, il comma 341 ter di nuova introduzione precisa che “sono, in ogni caso, escluse dal regime agevolativo le imprese operanti nei settori della costruzione di automobili, della costruzione navale, della fabbricazione di fibre tessili artificiali o sintetiche, della siderurgia e del trasporto su strada.”.

In altri termini, se l’obiettivo è quello di risollevare le sorti di piccole aree urbane in gravi difficoltà socio-economiche (e nel sistema ZFU è così), è sufficiente che le agevolazioni siano rivolte a quelle imprese che, per natura organizzativa, dimensioni, mercati di riferimento, tipologia di attività svolta, possono, grazie alle esenzioni fiscali e contributive, sostenere il perseguimento dello scopo nel rispetto dei principi comunitari. E ciò è tanto più vero laddove il tessuto connettivo socio-economico urbano è costituito proprio da piccole e micro imprese.

Segue la disciplina generale del sistema di esenzioni, precedentemente affidata, ma mai specificata, ai sensi del comma 342 dell’art. 1 della Legge Finanziaria 2007, a un “decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze”.

Osservando quanto disposto alle lettere a), b), c) e d), si può verificare come la disciplina, naturalmente adattata al caso e all’ordinamento italiano, si richiami al modello francese nei suoi elementi principali (tipologia di imposte e contributi, durata delle esenzioni, uscita progressiva).

Tra le misure specifiche, particolare considerazione merita l’esonero dal versamento dei contributi sulle retribuzioni da lavoro dipendente, che viene concesso “solo in caso di contratti a tempo indeterminato, o a tempo determinato di durata non inferiore a dodici mesi, e a condizione che almeno il 30% degli occupati risieda nel Sistema Locale di Lavoro in cui ricade la zona franca urbana”: l’attenzione è pertanto rivolta a favorire un’occupazione non precaria e a generare ricadute positive sul territorio che di queste necessita, non altrove.

Si è inteso avvantaggiarsi dell’esempio francese anche per altri versi, ponendo il provvedimento di rango primario come sede normativa dei capisaldi del sistema di agevolazioni: contenuto e durata delle esenzioni rientrano tra questi.

Condizioni, limiti e modalità, elementi della fattispecie di carattere più tecnico-operativo, saranno in seguito determinate, ai sensi del nuovo comma 341 quater anch’esso introdotto dal comma 2 dell’art. 71 del Disegno di Legge Finanziaria 2008, da un “decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, da emanarsi entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge”.

E’ comunque stabilito ab origine, ai sensi del comma 341 bis dell’art. 1 della Legge Finanziaria 2007, pure di nuova introduzione, che le imprese già avviate in Zona Franca Urbana prima del 1° gennaio 2008 possono usufruire delle agevolazioni “nel rispetto del Regolamento (CE) n. 1998/2006 della Commissione, del 15 dicembre 2006, relativo all’applicazione degli articoli 87 e 88 del trattato agli aiuti di importanza minore.”. Si tratta degli aiuti c.d. “de minimis”, il cui ammontare massimo di 100000 euro su 36 mesi (Regolamento n. 69/2001) è stato di recente innalzato a 200000 euro proprio dal Regolamento n. 1998/2006, per i quali lo Stato è esente dall’obbligo di notifica.

L’emanazione del decreto ministeriale di cui al comma 341 quater consentirà una più completa valutazione dei profili pratici e delle implicazioni economiche (per esempio in termini di confronto o concorrenza con misure fiscali di vantaggio esistenti) del sistema di esenzioni.

Le competenze e le maggiori responsabilità delle autorità centrali: il comma 342.

Il comma 3 dell’art. 71 del Disegno di Legge in oggetto sostituisce infine il comma 342 dell’art. 1 della Legge Finanziaria 2007: “Il Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE), su proposta del Ministro dello sviluppo economico, provvede alla definizione dei criteri per l’allocazione delle risorse e per la individuazione e la selezione delle zone franche urbane, sulla base di parametri socio-economici, rappresentativi dei fenomeni di degrado di cui al comma 340. Provvede, successivamente, su proposta del Ministro dello sviluppo economico, alla perimetrazione delle singole zone franche urbane ed alla concessione del finanziamento in favore dei programmi di intervento di cui al comma 340. L’efficacia delle disposizioni dei commi da 341 a 342 è subordinata, ai sensi dell’articolo 88, paragrafo 3, del Trattato istitutivo della Comunità europea, all’autorizzazione della Commissione europea.”.

Rispetto al testo in vigore, la variazione principale consiste nella eliminazione del riferimento alle “regioni interessate”, che il Ministro dello Sviluppo Economico dovrebbe sentire prima di formulare al CIPE la proposta per la “definizione dei criteri per l’allocazione delle risorse e l’identificazione, la perimetrazione e la selezione delle zone franche urbane sulla base di parametri socio-economici”.

L’apparente ridimensionamento del ruolo delle Regioni è dovuto a motivi di trasparenza e controllo della corrispondenza ai parametri e agli indicatori delle aree individuate (contro ogni potenziale elusione dei vincoli in materia di aiuti di Stato), attività su cui di tutta evidenza si è ritenuto di dover attribuire maggiori e decisive responsabilità alle autorità centrali, e in particolare al CIPE, permanendo in capo ai Ministeri interessati funzioni prevalentemente propulsive e propositive.

Si vuole ritenere, o anche auspicare, che ciò non impedisca il coinvolgimento degli enti locali e delle Regioni, per esempio attraverso iniziative di tipo concertativo come quelle in effetti già poste in essere nel corso del 2007, ma è certo che, visto quanto emerso dagli incontri con la Commissione Europea, a rigor di legge e anche di logica, ricondurre i parametri, i criteri e gli indicatori, in premessa alla selezione, alla individuazione e alla perimetrazione delle Zone Franche Urbane (e non viceversa), è da considerarsi un risultato giuridicamente, logicamente e in vista dell’approvazione comunitaria meritevole di apprezzamento.

L’impressione è che il Governo italiano abbia inteso riportare la disciplina generale a livello legislativo per tutti i suoi tratti essenziali e far risalire il più possibile le questioni tecniche fondamentali alla competenza del CIPE, e che in questo quadro abbia voluto riconoscere alla definizione di criteri e rigorosi parametri selettivi centralità e priorità, logica e giuridica, rispetto all’individuazione stessa delle singole Zone Franche Urbane, altrimenti formalmente e sostanzialmente impossibile (almeno finché i parametri non sono definiti) o comunque eseguita su valutazioni e presunzioni non giuridiche e non tecniche, ma di altra natura, o su indicatori non ufficiali[3].

Rispetto al vigente comma 342, anche la “concessione del finanziamento in favore dei programmi di intervento di cui al comma 340” è di competenza del CIPE ai sensi di legge. Scompare quindi dalla L. n. 296/2006 la previsione di un “cofinanziamento di programmi regionali di intervento” a cui avrebbe dovuto provvedere il Fondo istituito presso il Ministero dello Sviluppo Economico (comma 340 attuale), secondo procedure definite da un “decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze” (comma 342 attuale).

Non sfugge poi all’attenzione dell’osservatore che i parametri di selezione e individuazione delle singole Zone Franche Urbane devono essere “rappresentativi dei fenomeni di degrado di cui al comma 340” (ulteriore occasione per rimarcare la funzione sociale del dispositivo) e che la “efficacia delle disposizioni dei commi da 341 a 342 è subordinata, ai sensi dell’articolo 88, paragrafo 3, del Trattato istitutivo della Comunità europea, all’autorizzazione della Commissione europea” (opportuna specificazione per una migliore comprensione dell’iter successivo all’approvazione della Legge Finanziaria 2008).

L’importanza del monitoraggio: rimane immutato il comma 343.

Dovrebbe rimanere inalterato, salvi interventi di modifica in sede parlamentare o di coordinamento legislativo, il testo del comma 343 in vigore sul monitoraggio degli interventi di sostegno a favore delle Zone Franche Urbane: “Il Nucleo di valutazione e verifica del Ministero dello sviluppo economico, anche in coordinamento con i nuclei di valutazione delle regioni interessate, provvede al monitoraggio ed alla valutazione di efficacia degli interventi e presenta a tal fine al CIPE una relazione annuale sugli esiti delle predette attività.”.

Monitorare gli effetti dell’applicazione delle agevolazioni nelle aree interessate (come avviene in Francia attraverso l’Observatoire national des zones urbaines sensibles) è ampiamente suggerito e apprezzato dalla Commissione Europea, sia per ragioni di trasparenza, sia perché, nell’ottica della salvaguardia della libera concorrenza e del rispetto del divieto generale di aiuti di Stato, se e una volta risollevata dal particolare degrado socio-economico un’area urbana, non vi è più ragione (venendo meno i presupposti di fatto e di diritto) perché questa seguiti ad essere costituita in Zona Franca: su questo aspetto, l’attenzione della Commissione Europea è molto alta.

Le aree urbane prescelte dovranno quindi recare una obiettiva potenzialità di sviluppo, cioè di successo dell’iniziativa, espressa da indicatori, per esempio, sulla popolazione giovanile.

Alcune considerazioni generali e di attualità.

Sottinteso che l’impianto predisposto dal Consiglio dei Ministri è suscettibile di ulteriori modifiche in sede di vaglio e approvazione in Parlamento, l’evoluzione normativa appena sopra descritta induce a vari ordini di considerazioni, anche di carattere generale.

Si può affermare innanzitutto, con qualche margine di fondatezza, che la configurazione delle Zone Franche Urbane, per come delineata dal Disegno di Legge Finanziaria 2008, è l’unica su cui, in fatto e in diritto, possa realizzarsi la disciplina delle misure agevolative connesse.

In altri termini, ogni differente ipotesi emersa o emergente non solo rischia di essere incoerente con l’attribuzione del carattere, appunto, “urbano”[4] e si discosta per ciò stesso dal modello per come storicamente ormai riconosciuto sulla scorta dell’esperienza francese ma, avuto riguardo ai principi e alle norme comunitarie vigenti, oltre che agli orientamenti e agli intendimenti delle istituzioni comunitarie, risulterebbe non realizzabile e con ogni probabilità non accolta dalla Commissione Europea per le ragioni tecnico-giuridiche ampiamente riportate.

Riferendosi genericamente alle varie istanze avanzate soprattutto a livello locale, vale la pena segnalare che queste si traducono in qualche caso in formule inattuabili o talvolta attuabili solo secondo quanto già previsto dai Regolamenti e dagli Orientamenti sugli aiuti di Stato in vigore, ma in questo caso non si tratterebbe più di misure agevolative giuridicamente indipendenti come concettualmente e storicamente si propone il modello ZFU, oppure dal diritto doganale[5].

Nel tentativo di contribuire alla dissoluzione di qualche confusione teorica e giuridica iniziale, foriera di aspettative che appaiono oggi disattese, si può sostenere che il sistema di agevolazioni nelle Zone Franche Urbane o è modulato tendenzialmente così come previsto dal Governo del Disegno di Legge Finanziaria 2008 (modello francese, ormai “comunitario” nel senso che verrà di qui a breve precisato), o non è. E ciò non per mera forma e per coincidenza di denominazione, ma per ragioni di contenuto essenzialmente vincolato alle norme e ai principi comunitari: tale convinzione, certamente opinabile, discende non solo dai rilievi mossi dalla DG Concorrenza della Commissione Europea alle autorità italiane, ricavabili dalle modifiche apportate, ma anche dalle valutazioni positive che la stessa Commissione ha in precedenza espresso nei riguardi del sistema francese, in particolare motivando il riconoscimento di aiuti nella c.d. “terza generazione” di Zone Franche Urbane in Francia (decisione n. 70/A/2006).

Alla possibile obiezione, per molti versi condivisibile, secondo cui un sistema agevolativo di carattere eccezionale, non codificato, è esposto e adattabile a soluzioni differenti a seconda del luogo e del tempo o della tendenza politico-economica in una fase storica, si può rispondere e ribadire che, in ogni caso, vigenti i principi e le condizioni di cui si è ampiamente discusso e finchè l’orientamento della Commissione Europea sarà nel senso indicato, per quanto attiene allo schema nei tratti essenziali, avanzare eccessive variazioni sul tema può risultare negativo.

Al di là di ogni identità meramente nominalistica, allo stato attuale, non è quindi e non può essere formalmente e sostanzialmente Zona Franca Urbana quella “zona franca” che non sia fisicamente “area urbana” (dunque un quartiere o una circoscrizione urbana, non Comuni o unità superiori o non urbane) e che non sia individuata solo successivamente alla predisposizione e alla previa applicazione di parametri e indicatori di situazioni di grave, obiettivo ed eccezionale disagio socio-economico; che non includa un numero esiguo di abitanti e nel contempo un territorio limitato e ad alta densità abitativa; che non sia strumentale e funzionale all’attuazione di misure agevolative di carattere essenzialmente fiscale e contributivo in risposta alle situazioni di degrado preliminarmente definite, previste a vantaggio di micro e piccole imprese, concepite (o affiancate da altre misure) in modo tale che gli effetti positivi siano di natura anche sociale e culturale e si riflettano direttamente e immediatamente nella realtà locale: tutto questo, in linea con gli obiettivi e entro i limiti posti dal diritto e dalle politiche comunitarie.

Infine, sia ammessa un’ulteriore digressione, se è vero che il modello francese è, anche per la Commissione Europea, il modello di riferimento, il tipo per questa forma di interventi eccezionali, se e quando anche il dispositivo italiano verrà approvato e se e quando lo stesso avverrà compiutamente in altri Paesi membri dell’Unione Europea (un’opera di costruzione normativa simile è infatti in evoluzione in questi anni in Belgio), di qui a qualche tempo si potrà discutere di un “modello comunitario” di esenzioni in Zona Franca Urbana, più o meno variabile nel singolo caso nazionale, da inserire nel quadro generale delle politiche di urban regeneration per le quali l’impegno dell’Unione Europea è sempre crescente, come dimostrano le numerose comunicazioni, alcune importanti norme, la destinazione di parte dei Fondi Strutturali e la predisposizione di iniziative quali URBAN e URBAN II[6].

Conclusioni: l’iter verso l’approvazione definitiva, in sintesi.

La disciplina delle esenzioni in Zona Franca Urbana, elaborata dal Consiglio dei Ministri nel Disegno di Legge Finanziaria 2008, che solo con il voto del Parlamento sarà in vigore nel testo definitivo, si presenta oggi senza dubbio più completa, coerente, articolata e organica rispetto a quanto disposto in Legge Finanziaria 2007.

L’aderenza sempre crescente al modello francese, se da un lato produce effetti da più parte discussi su un piano però solo politico, dall’altro aumenta di molto, norme alla mano, le possibilità di un positivo apprezzamento da parte della Commissione Europea.

Ulteriori variazioni potranno essere apportate nel corso del lungo iter che condurrà all’approvazione parlamentare, ma l’impianto pare destinato a rimanere immutato, nell’auspicio che eventuali modifiche non siano così avulse dal modello o tanto radicali da porsi in contrasto con le indicazioni della stessa Commissione.

Entrata in vigore la Legge Finanziaria 2008, dunque, entro trenta giorni un decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze stabilirà le condizioni, i limiti e le modalità di applicazione delle esenzioni fiscali di cui al comma 341. Il CIPE, su proposta del Ministro dello Sviluppo Economico, provvederà alla definizione dei criteri per l’allocazione delle risorse e per la individuazione e la selezione delle Zone Franche Urbane e solo successivamente, e sempre su proposta dello stesso Ministro, alla perimetrazione delle singole Zone Franche Urbane ed alla concessione del finanziamento in favore dei programmi di intervento, a cui provvederà un apposito Fondo (dotazione di 50 milioni di euro per ciascuno degli anni 2008 e 2009), istituito nello stato di previsione del Ministero dello sviluppo.

Dopo che la Commissione Europea avrà approvato, ai sensi dell’articolo 88, par. 3, del Trattato istitutivo della Comunità Europea, il sistema di esenzioni e le determinazioni del CIPE, le misure agevolative nelle Zone Franche Urbane frattanto selezionate, individuate e perimetrale, avranno piena efficacia e concreta attuazione.



[1] Sia consentito rammentare che in tal caso non sarebbe possibile, per esempio, disporre esenzioni dal reddito d’impresa (centrale nel sistema ZFU), in quanto l’art. 87 degli Orientamenti in materia di aiuti alle piccole imprese di nuova costituzione esclude esplicitamente proprio l’imposta dal reddito d’impresa dal novero delle spese ammissibili; si pensi inoltre, a titolo esemplificativo, al fatto che il sistema delle Zone Franche Urbane è concepito per unità territoriali di livello inferiore a NUTS III (cioè aree più limitate rispetto ai territori comunali, rilevanti ai fini della deroga al generale divieto di aiuti di Stato ex art. 87, par. 3, lett. c, del Trattato CE), mentre gli aiuti di Stato a finalità regionale sono in parte rivolti a unità di livello NUTS II, le Regioni, o ancora alle difficoltà di coordinamento e applicazione nel tempo derivanti dagli scostamenti, anche solo per effetto statistico, dagli obiettivi dei Fondi Strutturali.

[2] Sul problema del fondamento giuridico comunitario e per ulteriori rilievi critici sul dettato della Legge Finanziaria 2007 in materia di Zone Franche Urbane, si rinvia allo stesso autore, “Le Zone Franche Urbane in Italia. L’esperienza francese, rilievi critici e spunti di riflessione.”, pubblicato su Filodiritto (www.filodiritto.com), url https://www.filodiritto.com/index.php?azione=visualizza&iddoc=659, il 2 maggio 2007.

[3] Come probabilmente avvenuto finora in alcune realtà locali, con proposte e indicazioni di Zone Franche Urbane avanzate e in qualche caso anche formalizzate, nonostante i criteri selettivi per l’individuazione delle stesse non fossero mai stati formalmente definiti.

[4] Per esempio, non sono mancate nel corso del dibattito generale e locale proposte di costituzione in Zona Franca Urbana di interi territori comunali, provinciali, regionali oppure in ambito esclusivamente portuale.

[5] Il riferimento è alla possibilità teorica di istituzione di Zone Franche per la trasformazione di materie prime e semilavorati e per l’esportazione di merci, normalmente in ambito portuale, in esenzione dai dazi, dalle misure di politica commerciale o anche dall’Iva all’importazione. In questo caso, inoltre, è ormai acclarata la tendenza restrittiva, sostanzialmente negativa, da parte delle istituzioni europee, che non solo negli ultimi anni hanno progressivamente ridotto le autorizzazioni per nuove Zone Franche doganali (sempre meno necessarie nell’epoca dei mercati globali, degli accordi sulle tariffe e delle aree di libero scambio, come l’imminente Euro-Mediterranea), ma si accingono nel Codice Doganale Comunitario aggiornato, in questi mesi in discussione, ad abrogare la possibilità di destinazione delle merci a Zona Franca doganale “non interclusa”, modello che, per ragioni fisiche e tecniche di fondo che non si ritiene utile approfondire in questa sede, si integra e interagisce col sistema economico locale, divenendo strumento di politiche fiscali o occupazionali di vantaggio, per l’appunto potenzialmente lesive dei più volte citati principi comunitari.

[6] Per un interessante e autorevole approfondimento di questi aspetti specifici, si rinvia a Del Genio, Valeria, “Le politiche di riqualificazione urbana e la fiscalità di vantaggio” in Economia dei Servizi, anno II, numero 2, maggio-agosto 2007, pp. 341-359, ed. Il Mulino, Bologna.