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La comunicazione d’impresa su internet e i conflitti tra marchi e domain names

[Sintesi dell’intervento tenuto al convegno "Marchi, marketing pubblicità" - Università di Parma, Venerdì 26 ottobre 2007]

La comunicazione d’impresa su internet è un fenomeno in costante crescita. Si noti che sono ormai rarissime le inserzioni pubblicitarie a stampa o a mezzo radiotelevisivo che non rechino un riferimento al sito internet ove sono pubblicate maggiori informazioni sulla società, sullo specifico prodotto o su una particolare campagna pubblicitaria in atto.

La promozione dei prodotti delle imprese su internet viene realizzata principalmente attraverso i seguenti canali:

i) email che vengono generalmente inviate ad un pubblico che si è preventivamente registrato per ricevere informazioni su particolari promozioni o nuovi prodotti ma tali comunicazioni a mezzo email vengono anche inviate dalle imprese a liste che vengono acquisite a tale scopo di potenziali clienti, opportunamente “profilati” da società specializzate. Si tratta di uno strumento fra i meno costosi in assoluto ma che può avere un impatto ed un’efficacia relativamente bassa anche alla luce della pletora di comunicazioni a mezzo mail indesiderate (dette “SPAM”) che sono ricevute quotidianamente sulle nostre caselle di posta elettronica. Interessante ed in constante crescita è il correlato fenomeno del “phishing”che viene utilizzato da persone senza scrupoli per installare software indesiderato sui computer degli incauti utenti internet o per ottenere con l’inganno da loro informazioni o dati riservati (tecnica di ingegneria sociale – social engineering – mirata all’appropriazione indebita di informazioni quali il numero di conto corrente, numero di carta di credito, etc).

ii) banners pubblicitari fissi o anche animati attraverso un particolare software (ed a volte anche interattivi con l’utente) che vengono pubblicati su siti di terzi selezionati in funzione della destinazione del banner stesso e/ovvero del numero di visitatori di tale sito, quali ad esempio home page di quotidiani o di motori di ricerca. Frequenti sono i casi di banners falsi che reindirizzano l’utente su siti pubblicati su nomi a dominio identici o simili, ma non gestiti dal titolare del corrispondente marchio.

iii) Pubblicità che vengono evidenziate attraverso le cosiddette pop up windows che si aprono automaticamente all’atto dell’apertura o della chiusura di una pagina web, anche se invero vengono utilizzate sempre meno in quanto i browser più recenti hanno dei filtri automatici che ne impediscono la ricezione. Sono ancora tuttavia frequenti in siti ove viene offerto in vendita materiale contraffatto o siti pornografici in quanto attraverso tale meccanismo si può ampliare l’”efficacia” della visita dell’utente (spesso inizialmente ignaro dei contenuti del sito), rinviano ad altri siti dal contenuto esplicito.

iv) Adwords di Google che consistono nella possibilità per l’inserzionista di acquisire determinate parole e/ovvero marchi anche solo per un determinato lasso di tempo. Quando tali parole o marchi vengono digitate nel motore di ricerca appare tipicamente come primo risultato od in una colonna a lato (evidenziato con uno sfondo colorato per indicare in qualche modo che si tratta di un risultato a pagamento) il link al sito dell’inserzionista con una breve descrizione dei prodotti e servizi. Selezionando tale link - che è generalmente anche collegato ad un sistema pay per click generando quindi un addizionale ritorno economico per il motore di ricerca per ogni link prescelto dal navigatore – si consente all’utente internet di avere facile accesso a tale sito. Si stima che circa l’75% delle ricerche di informazioni su internet sia oggi veicolato attraverso i motori di ricerca mentre il restante 25% si ottenga attraverso un’accesso diretto inserendo il nome a dominio corrispondente al marchio ricercato in un programma di navigazione (browser). Naturalmente, in assenza di una verifica preventiva sulla legittimità della richiesta (qualora la parola acquistata come adword corrisponda ad un marchio) anche contraffattori e/ovvero concorrenti utilizzano questo sistema per attrarre utenti internet sul proprio sito in luogo del sito del legittimo titolare del marchio.

v) Il modo più efficace ed importante di realizzare comunicazione d’impresa su Internet è comunque la realizzazione di siti dedicati a presentare l’impresa stessa, a richiamare campagne pubblicitarie effettuate anche attraverso altri mezzi di comunicazione, a promuovere la vendita diretta di prodotti o servizi on line e ad interagire ed informare il consumatore anche attraverso giochi on line ed altre iniziative di marketing diretto. Tali siti vengono pubblicati sul nome a dominio corrispondente alla denominazione della società o al marchio del prodotto o del servizio a cui si riferisce, che vengono registrati nei vari top level domains generici (ad esempio .com, .org, .net) o nel top level dei singoli paesi (.de per la Germania, .it per l’Italia, .co.uk per il Regno Unito) a cui il sito è eventualmente dedicato. La tendenza generale tuttavia è quella di realizzare uno od alcuni siti principali e fare reindirizzare tutti i nomi a dominio su tale pagina web o pagine interne al sito nella corrispondente lingua.

Appare quindi evidente che il nome a dominio gioca un ruolo essenziale anche per l’efficacia della comunicazione d’impresa su Internet e la registrazione di nomi a dominio corrispondenti alla propria denominazione ed ai propri marchi registrati è diventata una necessità sempre più sentita per ogni impresa ed in particolare per quelle che operano sul mercato globale, fornendo Internet una piattaforma per avere facilmente accesso ad un altissimo potenziale numero di consumatori senza alcuna limitazione territoriale.

Altrettanto rilevante sta diventando anche l’attività di sorveglianza sull’uso da parte di terzi di tali nomi a dominio e delle conseguenti attività di recupero dei domini identici o simili ai propri segni distintivi, in particolare qualora tali nomi a dominio siano effettivamente utilizzati da terzi per promuovere la vendita di prodotti contraffatti. Infatti un nome a dominio corrispondente o simile ad un marchio registrato, utilizzato ad arte da un contraffattore per un sito ove vengano posti in vendita prodotti contraffatti a prezzi vicini a quelli degli originali è senza dubbio più idoneo a trarre in inganno i consumatori rispetto ad un identico sito pubblicato su un dominio generico od ove non si richiamino tali segni distintivi. Di converso, il nome a dominio corrispondente al marchio sta diventando sempre più una sorta di garanzia dei provenienza dei prodotti o servizi da una determinata origine.

Non solo anche in Internet si fa perno sulla confondibilità dei domini con i marchi per vendere prodotti contraffatti ma, in sempre maggiore crescita, sono anche i fenomeni di agganciamento parassitario che si basano invece sul valore evocativo di un determinato segno per porsi “in scia” e promuovere la vendita di prodotti a basso costo apertamente contraffatti (vedere il fenomeno delle repliche). Tale attività non necessita di investimenti particolarmente ingenti essendo sufficiente, in sintesi, un sito internet ed un sistema per ricevere i pagamenti a mezzo carta di credito ed è pertanto particolarmente appetibile per i contraffattori.

Questo fenomeno ed anche i crescenti proventi garantiti dal sistema del pay per click advertising per i cosiddetti domainers (soggetti che hanno registrato un elevatissimo numero di domini simili a marchi ma anche generici sui quali sono accessibili siti recanti links a siti di terzi: selezionando tale link si genera un corrispettivo per il domainer e il registrar tarato sulla semplice visita o su ogni vendita effettivamente realizzata) sono riflessi nella crescita esponenziale del numero di nomi a dominio nei vari livelli che hanno ormai raggiunto più di 70 milioni di .com , 10 milioni di .net, 6 milioni di .org 4 milioni di .info e di numerosi milioni anche di ccTLDs..

Ma quali sono gli strumenti a disposizione delle imprese per fare fronte questi sempre maggiori attacchi dei propri segni distintivi anche su internet e recuperare i nomi a dominio in capo a terzi? Oltre ai classici strumenti di difesa dei diritti di privativa - arbitrato e ricorso alla magistratura ordinaria - è stata adottata il 24 ottobre 1999 dall’ ICANN (Internet Corporation for the Assigned Names and Numbers) la Uniform Domain Name Dispute Resolution Policy che consente ai titolari di marchi, in presenza di determinate circostanze, di ottenere il trasferimento del nome a dominio in contraffazione attraverso una procedura amministrativa che è obbligatoria per ogni titolare di un nome a dominio generico e anche in cinquanta ccTLDs.

Sarà infatti sufficiente provare nelle sedi approvate dall’ICANN per la gestione di tale procedura (i Resolution Service Providers fra i quali la WIPO) i) la titolarità di un marchio identico o simile al nome a dominio registrato da terzi, ii) che l’attuale titolare del nome a dominio non goda a sua volta di un diritto o di un interesse legittimo su tale segno e iii) che la registrazione e l’uso sia stata effettuata in mala fede per permettere al Panel di decidere a favore del Ricorrente.

In estrema sintesi la procedura ha il seguente svolgimento:

i) Il Complainant presenta il ricorso presso il RSP prescelto

ii) Il Provider lo notifica al titolare del nome a dominio invitandolo a presentare una replica

iii) il Respondent presenta la replica (ma decorso il termine previsto di 20 giorni si procede comunque in “default”)

iv) RSP nomina il Panel traendo i nomi dall’elenco di arbitri accreditati

v) Il Panel decide la controversia (ed ha a disposizione 14 giorni per rendere la decisione)

vi) Il Registrar (soggetto a cui è stata affidata la registrazione del nome e dominio) , in assenza di ricorsi alla magistratura ordinaria entro 10 giorni da parte del Respondent, attua la decisione trasferendo d’ufficio il nome a dominio.

Naturalmente prima di presentare un complaint ai sensi della procedura sopra descritta è opportuno porre in essere alcune attività preliminari atte a verificare se sarà effettivamente necessario azionare tale procedimento e contestualmente accertare l’esistenza dei requisiti necessari.

In particolare è opportuno condurre delle attività di ricerca sull’attuale titolare del nome a dominio mirate ad accertare ogni possibile informazione rilevante quali ad esempio altri nomi a dominio registrati in capo allo stesso soggetto, eventuali attività poste in essere su siti internet attivi, precedenti decisioni arbitrali rese nei confronti dello stesso soggetto ed ogni altra circostanza atta a provare la malafede di controparte nel quadro di una UDRP.

Successivamente è consigliabile prendere contatto in modo confidenziale con l’attuale titolare del nome a dominio attraverso società fiduciarie terze al fine di accertare le reali intenzioni di controparte in relazione al nome a dominio e, ove possibile, ottenere una richiesta scritta di un corrispettivo superiore al mero rimborso spese (circostanza estremamente utile per dimostrare la malafede come previsto dal paragrafo 4 b) i) della UDRP).

Qualora vi sia un interesse a raggiungere una soluzione amichevole ad esempio per una particolare urgenza e/ovvero il corrispettivo inizialmente richiesto sia considerato sufficientemente ragionevole per essere preso in considerazione o ancora non sia disponibile per il nome a dominio registrato una procedura obbligatoria quale la UDRP, possono rivelarsi particolarmente utili anche delle negoziazioni confidenziali con l’attuale titolare sulla migliori condizioni economiche possibili. Anche se non è opportuno, in linea generale, per i titolare di diritti di privativa industriale addivenire a soluzioni transattive con terzi non aventi diritto al fine di non finanziare od incoraggiare il loro operato, in presenza delle circostanze elencate sopra l’acquisto – che in ogni caso verrà inizialmente curato da società fiduciaria terza e mai direttamente dal titolare del marchio - è a volte una soluzione da prendere seriamente in considerazione.

Qualora invece la richiesta sia spropositata, circostanza come accennato utile per provare la malafede, è opportuno procedere con la redazione ed invio di una lettera di diffida da indirizzare a controparte secondo i requisiti di notifica indicati dalle procedure arbitrali adottate dalla WIPO e/ovvero dagli altri centri di risoluzione arbitrali delle controversie.

Se la diffida non genererà gli effetti sperati, si potranno attivare le procedure arbitrali ai sensi della Uniform Dispute Resolution Policy (per i gTLDs e in tutti i ccTLDs che l’abbiano adottata) o secondo altre procedure arbitrali obbligatorie disponibili nello Stato ove il nome a dominio è stato registrato (ad esempio in Italia e nel Regno Unito sono state adottate procedure formalmente autonome ma ne esistono di affatto simili alla UDRP).

In conclusione la procedura in esame è relativamente semplice e poco costosa, consente una rapida soluzione della controversia e di superare le incertezze legate alla scelta del foro ad alla legge applicabile e, aspetto molto rilevante, offre ai titolare di diritti di marchio di farli valere anche in “default” di una risposta del Respondent, sempre naturalmente che siano presenti le condizioni previste dalla UDRP. Insieme pertanto ad un’efficace strategia di registrazione preventiva e di sorveglianza, consente alle imprese attive nella comunicazione su internet di avvalersi di tutte le potenzialità di tale eccezionale strumento di promozione dei propri prodotti e servizi.

[Sintesi dell’intervento tenuto al convegno "Marchi, marketing pubblicità" - Università di Parma, Venerdì 26 ottobre 2007]

La comunicazione d’impresa su internet è un fenomeno in costante crescita. Si noti che sono ormai rarissime le inserzioni pubblicitarie a stampa o a mezzo radiotelevisivo che non rechino un riferimento al sito internet ove sono pubblicate maggiori informazioni sulla società, sullo specifico prodotto o su una particolare campagna pubblicitaria in atto.

La promozione dei prodotti delle imprese su internet viene realizzata principalmente attraverso i seguenti canali:

i) email che vengono generalmente inviate ad un pubblico che si è preventivamente registrato per ricevere informazioni su particolari promozioni o nuovi prodotti ma tali comunicazioni a mezzo email vengono anche inviate dalle imprese a liste che vengono acquisite a tale scopo di potenziali clienti, opportunamente “profilati” da società specializzate. Si tratta di uno strumento fra i meno costosi in assoluto ma che può avere un impatto ed un’efficacia relativamente bassa anche alla luce della pletora di comunicazioni a mezzo mail indesiderate (dette “SPAM”) che sono ricevute quotidianamente sulle nostre caselle di posta elettronica. Interessante ed in constante crescita è il correlato fenomeno del “phishing”che viene utilizzato da persone senza scrupoli per installare software indesiderato sui computer degli incauti utenti internet o per ottenere con l’inganno da loro informazioni o dati riservati (tecnica di ingegneria sociale – social engineering – mirata all’appropriazione indebita di informazioni quali il numero di conto corrente, numero di carta di credito, etc).

ii) banners pubblicitari fissi o anche animati attraverso un particolare software (ed a volte anche interattivi con l’utente) che vengono pubblicati su siti di terzi selezionati in funzione della destinazione del banner stesso e/ovvero del numero di visitatori di tale sito, quali ad esempio home page di quotidiani o di motori di ricerca. Frequenti sono i casi di banners falsi che reindirizzano l’utente su siti pubblicati su nomi a dominio identici o simili, ma non gestiti dal titolare del corrispondente marchio.

iii) Pubblicità che vengono evidenziate attraverso le cosiddette pop up windows che si aprono automaticamente all’atto dell’apertura o della chiusura di una pagina web, anche se invero vengono utilizzate sempre meno in quanto i browser più recenti hanno dei filtri automatici che ne impediscono la ricezione. Sono ancora tuttavia frequenti in siti ove viene offerto in vendita materiale contraffatto o siti pornografici in quanto attraverso tale meccanismo si può ampliare l’”efficacia” della visita dell’utente (spesso inizialmente ignaro dei contenuti del sito), rinviano ad altri siti dal contenuto esplicito.

iv) Adwords di Google che consistono nella possibilità per l’inserzionista di acquisire determinate parole e/ovvero marchi anche solo per un determinato lasso di tempo. Quando tali parole o marchi vengono digitate nel motore di ricerca appare tipicamente come primo risultato od in una colonna a lato (evidenziato con uno sfondo colorato per indicare in qualche modo che si tratta di un risultato a pagamento) il link al sito dell’inserzionista con una breve descrizione dei prodotti e servizi. Selezionando tale link - che è generalmente anche collegato ad un sistema pay per click generando quindi un addizionale ritorno economico per il motore di ricerca per ogni link prescelto dal navigatore – si consente all’utente internet di avere facile accesso a tale sito. Si stima che circa l’75% delle ricerche di informazioni su internet sia oggi veicolato attraverso i motori di ricerca mentre il restante 25% si ottenga attraverso un’accesso diretto inserendo il nome a dominio corrispondente al marchio ricercato in un programma di navigazione (browser). Naturalmente, in assenza di una verifica preventiva sulla legittimità della richiesta (qualora la parola acquistata come adword corrisponda ad un marchio) anche contraffattori e/ovvero concorrenti utilizzano questo sistema per attrarre utenti internet sul proprio sito in luogo del sito del legittimo titolare del marchio.

v) Il modo più efficace ed importante di realizzare comunicazione d’impresa su Internet è comunque la realizzazione di siti dedicati a presentare l’impresa stessa, a richiamare campagne pubblicitarie effettuate anche attraverso altri mezzi di comunicazione, a promuovere la vendita diretta di prodotti o servizi on line e ad interagire ed informare il consumatore anche attraverso giochi on line ed altre iniziative di marketing diretto. Tali siti vengono pubblicati sul nome a dominio corrispondente alla denominazione della società o al marchio del prodotto o del servizio a cui si riferisce, che vengono registrati nei vari top level domains generici (ad esempio .com, .org, .net) o nel top level dei singoli paesi (.de per la Germania, .it per l’Italia, .co.uk per il Regno Unito) a cui il sito è eventualmente dedicato. La tendenza generale tuttavia è quella di realizzare uno od alcuni siti principali e fare reindirizzare tutti i nomi a dominio su tale pagina web o pagine interne al sito nella corrispondente lingua.

Appare quindi evidente che il nome a dominio gioca un ruolo essenziale anche per l’efficacia della comunicazione d’impresa su Internet e la registrazione di nomi a dominio corrispondenti alla propria denominazione ed ai propri marchi registrati è diventata una necessità sempre più sentita per ogni impresa ed in particolare per quelle che operano sul mercato globale, fornendo Internet una piattaforma per avere facilmente accesso ad un altissimo potenziale numero di consumatori senza alcuna limitazione territoriale.

Altrettanto rilevante sta diventando anche l’attività di sorveglianza sull’uso da parte di terzi di tali nomi a dominio e delle conseguenti attività di recupero dei domini identici o simili ai propri segni distintivi, in particolare qualora tali nomi a dominio siano effettivamente utilizzati da terzi per promuovere la vendita di prodotti contraffatti. Infatti un nome a dominio corrispondente o simile ad un marchio registrato, utilizzato ad arte da un contraffattore per un sito ove vengano posti in vendita prodotti contraffatti a prezzi vicini a quelli degli originali è senza dubbio più idoneo a trarre in inganno i consumatori rispetto ad un identico sito pubblicato su un dominio generico od ove non si richiamino tali segni distintivi. Di converso, il nome a dominio corrispondente al marchio sta diventando sempre più una sorta di garanzia dei provenienza dei prodotti o servizi da una determinata origine.

Non solo anche in Internet si fa perno sulla confondibilità dei domini con i marchi per vendere prodotti contraffatti ma, in sempre maggiore crescita, sono anche i fenomeni di agganciamento parassitario che si basano invece sul valore evocativo di un determinato segno per porsi “in scia” e promuovere la vendita di prodotti a basso costo apertamente contraffatti (vedere il fenomeno delle repliche). Tale attività non necessita di investimenti particolarmente ingenti essendo sufficiente, in sintesi, un sito internet ed un sistema per ricevere i pagamenti a mezzo carta di credito ed è pertanto particolarmente appetibile per i contraffattori.

Questo fenomeno ed anche i crescenti proventi garantiti dal sistema del pay per click advertising per i cosiddetti domainers (soggetti che hanno registrato un elevatissimo numero di domini simili a marchi ma anche generici sui quali sono accessibili siti recanti links a siti di terzi: selezionando tale link si genera un corrispettivo per il domainer e il registrar tarato sulla semplice visita o su ogni vendita effettivamente realizzata) sono riflessi nella crescita esponenziale del numero di nomi a dominio nei vari livelli che hanno ormai raggiunto più di 70 milioni di .com , 10 milioni di .net, 6 milioni di .org 4 milioni di .info e di numerosi milioni anche di ccTLDs..

Ma quali sono gli strumenti a disposizione delle imprese per fare fronte questi sempre maggiori attacchi dei propri segni distintivi anche su internet e recuperare i nomi a dominio in capo a terzi? Oltre ai classici strumenti di difesa dei diritti di privativa - arbitrato e ricorso alla magistratura ordinaria - è stata adottata il 24 ottobre 1999 dall’ ICANN (Internet Corporation for the Assigned Names and Numbers) la Uniform Domain Name Dispute Resolution Policy che consente ai titolari di marchi, in presenza di determinate circostanze, di ottenere il trasferimento del nome a dominio in contraffazione attraverso una procedura amministrativa che è obbligatoria per ogni titolare di un nome a dominio generico e anche in cinquanta ccTLDs.

Sarà infatti sufficiente provare nelle sedi approvate dall’ICANN per la gestione di tale procedura (i Resolution Service Providers fra i quali la WIPO) i) la titolarità di un marchio identico o simile al nome a dominio registrato da terzi, ii) che l’attuale titolare del nome a dominio non goda a sua volta di un diritto o di un interesse legittimo su tale segno e iii) che la registrazione e l’uso sia stata effettuata in mala fede per permettere al Panel di decidere a favore del Ricorrente.

In estrema sintesi la procedura ha il seguente svolgimento:

i) Il Complainant presenta il ricorso presso il RSP prescelto

ii) Il Provider lo notifica al titolare del nome a dominio invitandolo a presentare una replica

iii) il Respondent presenta la replica (ma decorso il termine previsto di 20 giorni si procede comunque in “default”)

iv) RSP nomina il Panel traendo i nomi dall’elenco di arbitri accreditati

v) Il Panel decide la controversia (ed ha a disposizione 14 giorni per rendere la decisione)

vi) Il Registrar (soggetto a cui è stata affidata la registrazione del nome e dominio) , in assenza di ricorsi alla magistratura ordinaria entro 10 giorni da parte del Respondent, attua la decisione trasferendo d’ufficio il nome a dominio.

Naturalmente prima di presentare un complaint ai sensi della procedura sopra descritta è opportuno porre in essere alcune attività preliminari atte a verificare se sarà effettivamente necessario azionare tale procedimento e contestualmente accertare l’esistenza dei requisiti necessari.

In particolare è opportuno condurre delle attività di ricerca sull’attuale titolare del nome a dominio mirate ad accertare ogni possibile informazione rilevante quali ad esempio altri nomi a dominio registrati in capo allo stesso soggetto, eventuali attività poste in essere su siti internet attivi, precedenti decisioni arbitrali rese nei confronti dello stesso soggetto ed ogni altra circostanza atta a provare la malafede di controparte nel quadro di una UDRP.

Successivamente è consigliabile prendere contatto in modo confidenziale con l’attuale titolare del nome a dominio attraverso società fiduciarie terze al fine di accertare le reali intenzioni di controparte in relazione al nome a dominio e, ove possibile, ottenere una richiesta scritta di un corrispettivo superiore al mero rimborso spese (circostanza estremamente utile per dimostrare la malafede come previsto dal paragrafo 4 b) i) della UDRP).

Qualora vi sia un interesse a raggiungere una soluzione amichevole ad esempio per una particolare urgenza e/ovvero il corrispettivo inizialmente richiesto sia considerato sufficientemente ragionevole per essere preso in considerazione o ancora non sia disponibile per il nome a dominio registrato una procedura obbligatoria quale la UDRP, possono rivelarsi particolarmente utili anche delle negoziazioni confidenziali con l’attuale titolare sulla migliori condizioni economiche possibili. Anche se non è opportuno, in linea generale, per i titolare di diritti di privativa industriale addivenire a soluzioni transattive con terzi non aventi diritto al fine di non finanziare od incoraggiare il loro operato, in presenza delle circostanze elencate sopra l’acquisto – che in ogni caso verrà inizialmente curato da società fiduciaria terza e mai direttamente dal titolare del marchio - è a volte una soluzione da prendere seriamente in considerazione.

Qualora invece la richiesta sia spropositata, circostanza come accennato utile per provare la malafede, è opportuno procedere con la redazione ed invio di una lettera di diffida da indirizzare a controparte secondo i requisiti di notifica indicati dalle procedure arbitrali adottate dalla WIPO e/ovvero dagli altri centri di risoluzione arbitrali delle controversie.

Se la diffida non genererà gli effetti sperati, si potranno attivare le procedure arbitrali ai sensi della Uniform Dispute Resolution Policy (per i gTLDs e in tutti i ccTLDs che l’abbiano adottata) o secondo altre procedure arbitrali obbligatorie disponibili nello Stato ove il nome a dominio è stato registrato (ad esempio in Italia e nel Regno Unito sono state adottate procedure formalmente autonome ma ne esistono di affatto simili alla UDRP).

In conclusione la procedura in esame è relativamente semplice e poco costosa, consente una rapida soluzione della controversia e di superare le incertezze legate alla scelta del foro ad alla legge applicabile e, aspetto molto rilevante, offre ai titolare di diritti di marchio di farli valere anche in “default” di una risposta del Respondent, sempre naturalmente che siano presenti le condizioni previste dalla UDRP. Insieme pertanto ad un’efficace strategia di registrazione preventiva e di sorveglianza, consente alle imprese attive nella comunicazione su internet di avvalersi di tutte le potenzialità di tale eccezionale strumento di promozione dei propri prodotti e servizi.