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L’importanza della marca nelle strategie di sviluppo internazionale delle imprese

Il caso delle produzioni ad alto contenuto di tipicità
[Sintesi dell’intervento tenuto al convegno "Marchi, marketing pubblicità" - Università di Parma, Venerdì 26 ottobre 2007]

La valorizzazione in chiave di marketing dei prodotti agro-alimentari italiani ad alto contenuto di tipicità non costituisce un esercizio semplice, soprattutto se lo si vuole applicare al di fuori dei confini territoriali di origine delle proposte considerate.

Alla luce delle dinamiche in atto nella competizione internazionale, il concetto di “Made in Italy” in sé e per sé non basta più (in realtà, non è mai stato sufficiente …) per competere efficacemente sui mercati esteri del largo e generale consumo: necessitano prima di tutto robusti progetti di marca.

In effetti, da qualche anno si fa un gran parlare di “Made in Italy” inteso, da un lato, come concetto di sintesi per promuovere la nostra offerta più qualificata e, più in generale, il nostro sistema valoriale (italian life-style …); dall’altro, come strumento di contrasto dei sempre più agguerriti concorrenti internazionali, sotto la duplice forma degli imitatori e, quella ben più dannosa, dei contraffattori.

Purtroppo, per “proteggere” i nostri prodotti e il nostro sistema di offerta, e i valori ad esso connessi, non basta - come proposto da alcuni - apporre un’etichetta aggiuntiva con la scritta “Made in Italy” a fianco, magari, di una bandiera tricolore. In realtà, ciò da cui non si può prescindere è la presenza di una marca forte. E che sia aziendale o collettiva poco importa in questo caso.

Il problema è che di marche nazionali forti ne possediamo davvero poche, nel contesto di una competizione internazionale sempre più intensa e allargata. Se si considera che anche il nostro migliore sistema di offerta è ancora caratterizzato da un elevato grado di frammentazione (dentro gli ormai angusti confini distrettuali e/o i territori dei prodotti tipici), si capisce molto bene come l’Italia su questi temi abbia bisogno almeno di due elementi-chiave per competere a livello internazionale: la creazione e lo sviluppo di alcuni progetti mirati di marketing e marca collettiva, in abbinamento ad un robusto intervento di rivitalizzazione sull’istituto centrale di promozione e valorizzazione dei nostri prodotti sui mercati esteri. Purtroppo, su entrambi questi fronti scontiamo carenze e ritardi impressionanti nell’era della competizione allargata e time-based.

Peccato, perché si sta perdendo l’opportunità di cavalcare l’onda del crescente successo internazionale ottenuto dall’alimentazione italian style. Il nostro modello eno-gastronomico sta infatti gradualmente conquistando il mondo intero e non solo grazie alla pizza e agli spaghetti.

La principale evidenza di questa accresciuta popolarità è che per conquistare oggi i mercati internazionali occorre “esportare” un modello di alimentazione a 360°, in cui il singolo prodotto tipico è solo un input, in un più ampio e articolato processo di consumo.

Per ottenere questo risultato è necessario passare, una volta per tutte, da una logica parcellizzata sui singoli prodotti ad un approccio di sistema: utilizzando i prodotti-core del nostro “Made in ….” e i gruppi industriali più dinamici come apri-pista. In sostanza, l’orizzonte delle collaborazioni dovrebbe estendersi anche a produttori di filiere diverse, ma affini e/o complementari, fino a comprendere tutti i soggetti che hanno a cuore la promozione dei prodotti tipici e, più in generale, del territorio.

Anche in questo caso, la strada da percorrere è quindi quella della ricerca di accordi interaziendali, orizzontali e verticali, e della creazione di nuove marche-ombrello (sempre più multi-prodotto/del territorio). Naturalmente, l’implementazione di queste nuove, possibili strategie esige il superamento di alcuni impegnativi ostacoli, che finora si sono dimostrati quasi insormontabili, sia a livello di governance che di modelli organizzativi.

Ancora una volta tutto dipenderà dal grado di apertura e dalla visione dei nostri piccoli-medi imprenditori posti di fronte a questa nuova sfida. In ogni caso, è ormai utopistico pensare di competere sui mercati internazionali senza la presenza di una marca nota e reclamizzata e la possibilità di esercitare un significativo presidio sui principali canali di sbocco dei propri prodotti. Purtroppo, si tratta di due condizioni vitali che davvero poche piccole (e medie) realtà agro-alimentari italiane possono pensare di perseguire da sole.

[Sintesi dell’intervento tenuto al convegno "Marchi, marketing pubblicità" - Università di Parma, Venerdì 26 ottobre 2007]

La valorizzazione in chiave di marketing dei prodotti agro-alimentari italiani ad alto contenuto di tipicità non costituisce un esercizio semplice, soprattutto se lo si vuole applicare al di fuori dei confini territoriali di origine delle proposte considerate.

Alla luce delle dinamiche in atto nella competizione internazionale, il concetto di “Made in Italy” in sé e per sé non basta più (in realtà, non è mai stato sufficiente …) per competere efficacemente sui mercati esteri del largo e generale consumo: necessitano prima di tutto robusti progetti di marca.

In effetti, da qualche anno si fa un gran parlare di “Made in Italy” inteso, da un lato, come concetto di sintesi per promuovere la nostra offerta più qualificata e, più in generale, il nostro sistema valoriale (italian life-style …); dall’altro, come strumento di contrasto dei sempre più agguerriti concorrenti internazionali, sotto la duplice forma degli imitatori e, quella ben più dannosa, dei contraffattori.

Purtroppo, per “proteggere” i nostri prodotti e il nostro sistema di offerta, e i valori ad esso connessi, non basta - come proposto da alcuni - apporre un’etichetta aggiuntiva con la scritta “Made in Italy” a fianco, magari, di una bandiera tricolore. In realtà, ciò da cui non si può prescindere è la presenza di una marca forte. E che sia aziendale o collettiva poco importa in questo caso.

Il problema è che di marche nazionali forti ne possediamo davvero poche, nel contesto di una competizione internazionale sempre più intensa e allargata. Se si considera che anche il nostro migliore sistema di offerta è ancora caratterizzato da un elevato grado di frammentazione (dentro gli ormai angusti confini distrettuali e/o i territori dei prodotti tipici), si capisce molto bene come l’Italia su questi temi abbia bisogno almeno di due elementi-chiave per competere a livello internazionale: la creazione e lo sviluppo di alcuni progetti mirati di marketing e marca collettiva, in abbinamento ad un robusto intervento di rivitalizzazione sull’istituto centrale di promozione e valorizzazione dei nostri prodotti sui mercati esteri. Purtroppo, su entrambi questi fronti scontiamo carenze e ritardi impressionanti nell’era della competizione allargata e time-based.

Peccato, perché si sta perdendo l’opportunità di cavalcare l’onda del crescente successo internazionale ottenuto dall’alimentazione italian style. Il nostro modello eno-gastronomico sta infatti gradualmente conquistando il mondo intero e non solo grazie alla pizza e agli spaghetti.

La principale evidenza di questa accresciuta popolarità è che per conquistare oggi i mercati internazionali occorre “esportare” un modello di alimentazione a 360°, in cui il singolo prodotto tipico è solo un input, in un più ampio e articolato processo di consumo.

Per ottenere questo risultato è necessario passare, una volta per tutte, da una logica parcellizzata sui singoli prodotti ad un approccio di sistema: utilizzando i prodotti-core del nostro “Made in ….” e i gruppi industriali più dinamici come apri-pista. In sostanza, l’orizzonte delle collaborazioni dovrebbe estendersi anche a produttori di filiere diverse, ma affini e/o complementari, fino a comprendere tutti i soggetti che hanno a cuore la promozione dei prodotti tipici e, più in generale, del territorio.

Anche in questo caso, la strada da percorrere è quindi quella della ricerca di accordi interaziendali, orizzontali e verticali, e della creazione di nuove marche-ombrello (sempre più multi-prodotto/del territorio). Naturalmente, l’implementazione di queste nuove, possibili strategie esige il superamento di alcuni impegnativi ostacoli, che finora si sono dimostrati quasi insormontabili, sia a livello di governance che di modelli organizzativi.

Ancora una volta tutto dipenderà dal grado di apertura e dalla visione dei nostri piccoli-medi imprenditori posti di fronte a questa nuova sfida. In ogni caso, è ormai utopistico pensare di competere sui mercati internazionali senza la presenza di una marca nota e reclamizzata e la possibilità di esercitare un significativo presidio sui principali canali di sbocco dei propri prodotti. Purtroppo, si tratta di due condizioni vitali che davvero poche piccole (e medie) realtà agro-alimentari italiane possono pensare di perseguire da sole.