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Importante revirement della cassazione in tema di illecito civile e nesso di causalità

Nota a Corte di Cassazione - Sezione Terza Civile, Sentenza 16 ottobre 2007, n. 21619
La III Sezione Civile della Suprema Corte di Cassazione, nella recente sentenza n. 21619 del 16/10/2007, ha operato un’importante revirement in tema di accertamento del nesso causale in ambito civile.

È necessario ricordare, in via preliminare, che la stessa Cassazione ha sempre sostenuto, con un orientamento potremmo dire uniforme, che il giudice di merito per verificare la sussistenza del nesso di causalità materiale - richiesto dall’articolo 2043 del codice civile in tema di responsabilità extracontrattuale - tra un’azione o un’omissione ed un evento, deve applicare il principio della "conditio sine qua non", temperato da quello della regolarità causale, sottesi agli articoli 40 e 41 del codice penale

Conseguentemente, sulla base di tale principio, si affermava poi che nei casi in cui la condotta della vittima si inserisce in una serie causale avviata da altri, concorrendo alla produzione dell’evento dannoso, il suo apporto non vale ad interrompere quella serie in quanto non è possibile distinguere fra cause mediate o immediate, dirette o indirette, precedenti o successive e si deve riconoscere a tutte la medesima efficacia; si sottolineava, poi, che diversamente l’interruzione si verifica nel momento in cui la condotta della vittima, pur inserendosi nella serie causale già intrapresa, pone in essere un’altra serie causale eccezionale ed atipica rispetto alla prima, idonea da sola a produrre l’evento dannoso, che sul piano giuridico assorbe ogni diversa serie causale, riducendola al ruolo di semplice occasione.

Come detto le pronunce in tal senso della Cassazione sono numerose: in questa sede tra le più recenti si possono citare le sentenze n. 8096 del 06/04/2006, n. 18094 del 12/09/2005 e la n. 15183 del 19/07/2005.

Con la sentenza che qui si annota, diversamente, la Suprema Corte ritiene che i principi ricavabili dagli articoli 40 e 41 del codice penale non possono essere ritenuti fondanti per la determinazione del concetto di causalità in ambito civilistico; si legge nella sentenza, infatti, che “è lo stesso principio della coincidenza tra concetto di causalità in sede penale e di causalità in sede civile che non può dirsi condivisibile”.

In particolare il Supremo Collegio, per la prima volta, afferma che in ambito civilistico “la causalità giuridica, in definitiva, obbedisce alla logica del più probabile che non”.

In questo modo la causalità civile viene ad essere caratterizzata da una soglia meno elevata di probabilità rispetto a quella penale, dove sussiste il principio dell’elevato grado di credenza razionale.

A tal proposito è possibile osservare in primo luogo come un medesimo istituto venga configurato diversamente dalla giurisprudenza di legittimità, a seconda che si versi in ambito civilistico, piuttosto che penalistico, attese le diverse esigenze e problematiche cui l’ordinamento deve far fronte.

Un precedente fondamentale in tal senso è quanto affermato in tema di possesso, la cui nozione penalistica viene nettamente distinta dalla Cassazione da quella prettamente civilistica, attribuendo alla prima un contenuto più ampio, sì da comprendere ogni ipotesi di detenzione, a qualsiasi titolo, che consenta una signoria immediata sulla cosa al di fuori della diretta sorveglianza e disponibilità, anche discontinua e mediata, da parte del proprietario o di altro soggetto che sulla cosa stessa possa vantare un maggior potere giuridico (vedi Cassazione, Penale Sezione feriale, n. 43550 del 02-09-2004).

Ritornando alla sentenza che si annota, la del tutto condivisibile conclusione cui è giunta la Cassazione in tema di nesso di causalità trova fondamento su una serie di considerazioni.

In primo luogo, da un punto di vista morfologico, va detto da un lato che alla peculiare tipicità del fatto-reato corrisponde il sistema aperto ed atipico dell’illecito civile; dall’altro che la disciplina penale pone l’attenzione sull’autore/soggetto responsabile del reato, mentre l’illecito civile ruota attorno alla figura del danneggiato; dall’altro

Da un punto di vista funzionale, poi, la Suprema Corte osserva che la valutazione del nesso di causalità fondata esclusivamente sull’accertamento di un aumento del rischio, a causa della condotta omessa, se non può essere effettuata in sede penale, poiché trasformerebbe la fattispecie del reato omissivo improprio da vicenda di danno in reato di pericolo, diversamente può trovare applicazione in sede civile, dove l’attenzione è posta sul concetto di danno ingiusto.

A ciò va poi aggiunto che la valutazione del nesso causale in ambito civile secondo criteri più elastici rispetto a quanto avviene in ambito penale, trova giustificazione anche nella interazione della normativa sull’illecito civile con altre discipline economiche e sociali, e non necessariamente solo scientifiche, che invece, in sede penali, risultano funzionali a svolgere il ruolo di “legge di copertura”.

Nel caso di specie, pertanto, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso e confermato la sentenza di secondo grado poiché “il giudice del merito mostra chiaramente di ritenere (e l’apprezzamento non è censurabile in questa sede dacchè sorretta da ampia e congrua motivazione) più probabile che non l’esistenza del nesso di causa tra il comportamento omissivo del sanitario e le lesioni subite dal P.”

La III Sezione Civile della Suprema Corte di Cassazione, nella recente sentenza n. 21619 del 16/10/2007, ha operato un’importante revirement in tema di accertamento del nesso causale in ambito civile.

È necessario ricordare, in via preliminare, che la stessa Cassazione ha sempre sostenuto, con un orientamento potremmo dire uniforme, che il giudice di merito per verificare la sussistenza del nesso di causalità materiale - richiesto dall’articolo 2043 del codice civile in tema di responsabilità extracontrattuale - tra un’azione o un’omissione ed un evento, deve applicare il principio della "conditio sine qua non", temperato da quello della regolarità causale, sottesi agli articoli 40 e 41 del codice penale

Conseguentemente, sulla base di tale principio, si affermava poi che nei casi in cui la condotta della vittima si inserisce in una serie causale avviata da altri, concorrendo alla produzione dell’evento dannoso, il suo apporto non vale ad interrompere quella serie in quanto non è possibile distinguere fra cause mediate o immediate, dirette o indirette, precedenti o successive e si deve riconoscere a tutte la medesima efficacia; si sottolineava, poi, che diversamente l’interruzione si verifica nel momento in cui la condotta della vittima, pur inserendosi nella serie causale già intrapresa, pone in essere un’altra serie causale eccezionale ed atipica rispetto alla prima, idonea da sola a produrre l’evento dannoso, che sul piano giuridico assorbe ogni diversa serie causale, riducendola al ruolo di semplice occasione.

Come detto le pronunce in tal senso della Cassazione sono numerose: in questa sede tra le più recenti si possono citare le sentenze n. 8096 del 06/04/2006, n. 18094 del 12/09/2005 e la n. 15183 del 19/07/2005.

Con la sentenza che qui si annota, diversamente, la Suprema Corte ritiene che i principi ricavabili dagli articoli 40 e 41 del codice penale non possono essere ritenuti fondanti per la determinazione del concetto di causalità in ambito civilistico; si legge nella sentenza, infatti, che “è lo stesso principio della coincidenza tra concetto di causalità in sede penale e di causalità in sede civile che non può dirsi condivisibile”.

In particolare il Supremo Collegio, per la prima volta, afferma che in ambito civilistico “la causalità giuridica, in definitiva, obbedisce alla logica del più probabile che non”.

In questo modo la causalità civile viene ad essere caratterizzata da una soglia meno elevata di probabilità rispetto a quella penale, dove sussiste il principio dell’elevato grado di credenza razionale.

A tal proposito è possibile osservare in primo luogo come un medesimo istituto venga configurato diversamente dalla giurisprudenza di legittimità, a seconda che si versi in ambito civilistico, piuttosto che penalistico, attese le diverse esigenze e problematiche cui l’ordinamento deve far fronte.

Un precedente fondamentale in tal senso è quanto affermato in tema di possesso, la cui nozione penalistica viene nettamente distinta dalla Cassazione da quella prettamente civilistica, attribuendo alla prima un contenuto più ampio, sì da comprendere ogni ipotesi di detenzione, a qualsiasi titolo, che consenta una signoria immediata sulla cosa al di fuori della diretta sorveglianza e disponibilità, anche discontinua e mediata, da parte del proprietario o di altro soggetto che sulla cosa stessa possa vantare un maggior potere giuridico (vedi Cassazione, Penale Sezione feriale, n. 43550 del 02-09-2004).

Ritornando alla sentenza che si annota, la del tutto condivisibile conclusione cui è giunta la Cassazione in tema di nesso di causalità trova fondamento su una serie di considerazioni.

In primo luogo, da un punto di vista morfologico, va detto da un lato che alla peculiare tipicità del fatto-reato corrisponde il sistema aperto ed atipico dell’illecito civile; dall’altro che la disciplina penale pone l’attenzione sull’autore/soggetto responsabile del reato, mentre l’illecito civile ruota attorno alla figura del danneggiato; dall’altro

Da un punto di vista funzionale, poi, la Suprema Corte osserva che la valutazione del nesso di causalità fondata esclusivamente sull’accertamento di un aumento del rischio, a causa della condotta omessa, se non può essere effettuata in sede penale, poiché trasformerebbe la fattispecie del reato omissivo improprio da vicenda di danno in reato di pericolo, diversamente può trovare applicazione in sede civile, dove l’attenzione è posta sul concetto di danno ingiusto.

A ciò va poi aggiunto che la valutazione del nesso causale in ambito civile secondo criteri più elastici rispetto a quanto avviene in ambito penale, trova giustificazione anche nella interazione della normativa sull’illecito civile con altre discipline economiche e sociali, e non necessariamente solo scientifiche, che invece, in sede penali, risultano funzionali a svolgere il ruolo di “legge di copertura”.

Nel caso di specie, pertanto, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso e confermato la sentenza di secondo grado poiché “il giudice del merito mostra chiaramente di ritenere (e l’apprezzamento non è censurabile in questa sede dacchè sorretta da ampia e congrua motivazione) più probabile che non l’esistenza del nesso di causa tra il comportamento omissivo del sanitario e le lesioni subite dal P.”