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Il decreto correttivo del codice ambientale

Un importante decreto correttivo del Codice ambientale (D. Lgs. n. 152/2006) è finalmente giunto in porto. Il decreto approvato dal Governo il 21 dicembre 2007 (attualmente in attesa di pubblicazione sulla G.U.) contiene importanti innovazioni, concentrate soprattutto in cinque settori:

- L’introduzione di nuovi principi generali in materia ambientale;

- la valutazione di impatto ambientale (VIA) e la valutazione ambientale strategica (VAS), anche nei loro rapporti con la autorizzazione integrata ambientale (AIA);

- la gestione dei rifiuti;

- le bonifiche, con particolare riferimento ai criteri per l’analisi di rischio ed ai nuovi siti di preminente interesse pubblico per la riconversione industriale (SIP);

- la disciplina delle acque di scarico.

Il potere del Governo di apportare entro due anni modifiche al Codice si basava sull’art. 1, comma 6, della legge delega n. 308/2004. Come è noto, l’iter di approvazione delle “correzioni” è stato difficile, soprattutto a causa di un incidente accaduto nell’estate 2007. Ora – mentre gli interpreti iniziano a interrogarsi sul significato di molte norme del decreto del 21 dicembre – sembra che il Governo abbia già in preparazione un ulteriore ed ancora più ampio “correttivo”, per il quale però i tempi sono estremamente brevi (i due anni dall’entrata in vigore del Codice ambientale scadranno il 29 aprile 2008).

Vi sarà il tempo per riflettere sulle varie parti del provvedimento del 21 dicembre scorso. In questa sede mi limito a sintetiche osservazioni su tre aspetti:

1. i principi generali che sono stati inseriti nel provvedimento;

2. le nuove e ravvicinate scadenze che esso prevede;

3. i problemi di legittimità costituzionale che potrebbero emergere con riferimento ad alcune disposizioni.

Quanto al primo aspetto, il Governo – come sopra accennato – ha inserito nel “Codice ambientale” una serie di “principi generali” destinati sicuramente a pesare in sede di interpretazione delle disposizioni più specifiche. Poteva farlo, posto che non si tratta di correzioni a norme del D. Lgs. n. 152/2006, ma di disposizioni del tutto nuove? Secondo il Consiglio di Stato (che si è espresso in sede consultiva con parere 5 novembre 2007 n. 3838) la risposta è positiva, in quanto la legge delega n. 308/2004 consentiva (entro due anni dall’entrata in vigore del Codice) un intervento non soltanto “correttivo”, ma anche “integrativo”. Mi limito in questa sede a segnalare che assai più restrittivo fu l’orientamento seguito, in una occasione analoga, dalla Corte costituzionale (sentenza 26 giugno 2001 n. 206). Nel merito, i nuovi principi generali che sono stati inseriti spaziano da quelli relativi alla “produzione del diritto ambientale”[1] alla riproposizione di principi già vigenti sulla base del diritto comunitario[2], ad una interpretazione non priva di criticità del concetto di sviluppo sostenibile[3].

Quanto al secondo aspetto, il provvedimento prevede una serie di nuove e ravvicinate scadenze, il cui rispetto è in qualche caso indispensabile per poter proseguire attività già avviate secondo le vecchie norme. Così ad esempio:

- entro novanta giorni dall’entrata in vigore, chi sta realizzando progetti già autorizzati di utilizzo (al di fuori dal regime dei rifiuti) di terre e rocce da scavo deve, per poterli completare secondo le vecchie norme, comunicare alle Autorità una serie di informazioni (art. 2, comma 23, che modifica l’art. 186 del “Codice”);

- entro sessanta giorni dall’entrata in vigore, possono avvenire nuove iscrizioni all’Albo di imprese che operano in regime “semplificato” (art. 2, comma 30, che modifica l’art. 212, comma 8, del “Codice”);

- entro scadenze diversificate nell’ambito del 2008, devono essere modificati gli Statuti dei Consorzi che si occupano di imballaggi (art. 2, commi 30 quater e 30 quinquies);

- entro novanta giorni dall’entrata in vigore, i soggetti che effettuano quelle attività di recupero di rottami ferrosi e non ferrosi che il “Codice” considerava escluse dal regime dei rifiuti devono presentare istanza di autorizzazione (o di iscrizione all’Albo), per poter proseguire l’attività secondo le vecchie regole sino all’accoglimento o al rigetto dell’istanza (art. 2, comma 46).

Quanto al terzo aspetto, alcune disposizioni in materia di bonifiche suscitano perplessità con riferimento al necessario rispetto della legge delega. In particolare l’art. 2, comma 43 del correttivo prevede che, in riferimento alle acque sotterranee, “la CSR (concentrazione soglia di rischio) per ciascun contaminante deve essere fissata equivalente alle CSC (concentrazione soglia di contaminazione) di cui all’allegato 5”. In questo caso sembra palese la violazione di un criterio direttivo della legge delega: precisamente quello in base al quale gli obiettivi di bonifica dovevano essere definiti caso per caso sulla base dell’analisi di rischio. Il decreto correttivo individua invece a priori tali obiettivi in un valore corrispondente alle tabelle contenute nel Codice (che dovrebbero invece avere soltanto il significato di fornire un valore soglia, oltre il quale condurre l’analisi di rischio). Dunque una violazione palese della legge delega, che a mio avviso rende sotto questo profilo incostituzionale il decreto correttivo, per contrasto con l’art. 76 della Costituzione.

[1] Prevedendo fra l’altro espressamente che “I principi ambientali possono essere modificati o eliminati soltanto mediante espressa previsione di successive leggi della Repubblica italiana”: forse, per un decreto legislativo – per di più “correttivo” – è un po’ eccessivo pretendere di eliminare l’istituto della abrogazione implicita…

[2] Come il principio di precauzione, quello dell’azione preventiva, il principio “chi inquina paga”, il principio di sussidiarietà e quello sul diritto di accesso alle informazioni ambientali.

[3] Che viene declinato senza riprendere espressamente (accanto alle esigenze di sostenibilità) il concetto di “diritto allo sviluppo”, invece presente nella Dichiarazione di Rio del 1992.

Un importante decreto correttivo del Codice ambientale (D. Lgs. n. 152/2006) è finalmente giunto in porto. Il decreto approvato dal Governo il 21 dicembre 2007 (attualmente in attesa di pubblicazione sulla G.U.) contiene importanti innovazioni, concentrate soprattutto in cinque settori:

- L’introduzione di nuovi principi generali in materia ambientale;

- la valutazione di impatto ambientale (VIA) e la valutazione ambientale strategica (VAS), anche nei loro rapporti con la autorizzazione integrata ambientale (AIA);

- la gestione dei rifiuti;

- le bonifiche, con particolare riferimento ai criteri per l’analisi di rischio ed ai nuovi siti di preminente interesse pubblico per la riconversione industriale (SIP);

- la disciplina delle acque di scarico.

Il potere del Governo di apportare entro due anni modifiche al Codice si basava sull’art. 1, comma 6, della legge delega n. 308/2004. Come è noto, l’iter di approvazione delle “correzioni” è stato difficile, soprattutto a causa di un incidente accaduto nell’estate 2007. Ora – mentre gli interpreti iniziano a interrogarsi sul significato di molte norme del decreto del 21 dicembre – sembra che il Governo abbia già in preparazione un ulteriore ed ancora più ampio “correttivo”, per il quale però i tempi sono estremamente brevi (i due anni dall’entrata in vigore del Codice ambientale scadranno il 29 aprile 2008).

Vi sarà il tempo per riflettere sulle varie parti del provvedimento del 21 dicembre scorso. In questa sede mi limito a sintetiche osservazioni su tre aspetti:

1. i principi generali che sono stati inseriti nel provvedimento;

2. le nuove e ravvicinate scadenze che esso prevede;

3. i problemi di legittimità costituzionale che potrebbero emergere con riferimento ad alcune disposizioni.

Quanto al primo aspetto, il Governo – come sopra accennato – ha inserito nel “Codice ambientale” una serie di “principi generali” destinati sicuramente a pesare in sede di interpretazione delle disposizioni più specifiche. Poteva farlo, posto che non si tratta di correzioni a norme del D. Lgs. n. 152/2006, ma di disposizioni del tutto nuove? Secondo il Consiglio di Stato (che si è espresso in sede consultiva con parere 5 novembre 2007 n. 3838) la risposta è positiva, in quanto la legge delega n. 308/2004 consentiva (entro due anni dall’entrata in vigore del Codice) un intervento non soltanto “correttivo”, ma anche “integrativo”. Mi limito in questa sede a segnalare che assai più restrittivo fu l’orientamento seguito, in una occasione analoga, dalla Corte costituzionale (sentenza 26 giugno 2001 n. 206). Nel merito, i nuovi principi generali che sono stati inseriti spaziano da quelli relativi alla “produzione del diritto ambientale”[1] alla riproposizione di principi già vigenti sulla base del diritto comunitario[2], ad una interpretazione non priva di criticità del concetto di sviluppo sostenibile[3].

Quanto al secondo aspetto, il provvedimento prevede una serie di nuove e ravvicinate scadenze, il cui rispetto è in qualche caso indispensabile per poter proseguire attività già avviate secondo le vecchie norme. Così ad esempio:

- entro novanta giorni dall’entrata in vigore, chi sta realizzando progetti già autorizzati di utilizzo (al di fuori dal regime dei rifiuti) di terre e rocce da scavo deve, per poterli completare secondo le vecchie norme, comunicare alle Autorità una serie di informazioni (art. 2, comma 23, che modifica l’art. 186 del “Codice”);

- entro sessanta giorni dall’entrata in vigore, possono avvenire nuove iscrizioni all’Albo di imprese che operano in regime “semplificato” (art. 2, comma 30, che modifica l’art. 212, comma 8, del “Codice”);

- entro scadenze diversificate nell’ambito del 2008, devono essere modificati gli Statuti dei Consorzi che si occupano di imballaggi (art. 2, commi 30 quater e 30 quinquies);

- entro novanta giorni dall’entrata in vigore, i soggetti che effettuano quelle attività di recupero di rottami ferrosi e non ferrosi che il “Codice” considerava escluse dal regime dei rifiuti devono presentare istanza di autorizzazione (o di iscrizione all’Albo), per poter proseguire l’attività secondo le vecchie regole sino all’accoglimento o al rigetto dell’istanza (art. 2, comma 46).

Quanto al terzo aspetto, alcune disposizioni in materia di bonifiche suscitano perplessità con riferimento al necessario rispetto della legge delega. In particolare l’art. 2, comma 43 del correttivo prevede che, in riferimento alle acque sotterranee, “la CSR (concentrazione soglia di rischio) per ciascun contaminante deve essere fissata equivalente alle CSC (concentrazione soglia di contaminazione) di cui all’allegato 5”. In questo caso sembra palese la violazione di un criterio direttivo della legge delega: precisamente quello in base al quale gli obiettivi di bonifica dovevano essere definiti caso per caso sulla base dell’analisi di rischio. Il decreto correttivo individua invece a priori tali obiettivi in un valore corrispondente alle tabelle contenute nel Codice (che dovrebbero invece avere soltanto il significato di fornire un valore soglia, oltre il quale condurre l’analisi di rischio). Dunque una violazione palese della legge delega, che a mio avviso rende sotto questo profilo incostituzionale il decreto correttivo, per contrasto con l’art. 76 della Costituzione.

[1] Prevedendo fra l’altro espressamente che “I principi ambientali possono essere modificati o eliminati soltanto mediante espressa previsione di successive leggi della Repubblica italiana”: forse, per un decreto legislativo – per di più “correttivo” – è un po’ eccessivo pretendere di eliminare l’istituto della abrogazione implicita…

[2] Come il principio di precauzione, quello dell’azione preventiva, il principio “chi inquina paga”, il principio di sussidiarietà e quello sul diritto di accesso alle informazioni ambientali.

[3] Che viene declinato senza riprendere espressamente (accanto alle esigenze di sostenibilità) il concetto di “diritto allo sviluppo”, invece presente nella Dichiarazione di Rio del 1992.