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La Corte di Giustizia condanna la Spagna per aver ostacolato la concentrazione E.ON/Endesa

La procedura e normativa rilevante

L’affaire E.ON/-Endesa con la recente sentenza pronunziata dalla Corte Europea di Giustizia dovrebbe essere finalmente giunto a termine (Corte di Giustizia CE, causa C-196/07, Commissione c Spagna). Tutto ebbe inizio nel 2006 quando la tedesca E.ON lanciò un OPA sulla spagnola Endesa. La Commissione Europea non avendo riscontrato alcun problema concorrenziale autorizzò l’operazione senza imporre nessuna condizione alle parti (Commissione CE, decisione del 26 settembre 2006, caso COMP/M.4197, E.ON./Endesa).

Nel frattempo, il governo spagnolo, non convinto della decisione della Commissione e spinto da un malcelato protezionismo economico volto alla protezione dei propri campioni nazionali contro i “predatori stranieri”, aveva modificato il quadro regolatore al quale la proposta concentrazione era soggetta. Più precisamente, con il decreto reale n. 4/2006 è stato attribuito al regolatore nazionale del settore energetico, la Commissione Nazionale dell’Energia (CNE) il potere di autorizzare le concentrazioni tra imprese operanti in questo settore, e quindi, anche la concentrazione E.ON/Endesa.

La CNE, non inaspettatamente, ha valutato in modo diverso dalla Commissione Europea la proposta acquisizione dell’Endesa da parte di E.ON. L’E.ON si è cosi vista imporre ben 19 condizioni da ottemperare al fine di poter concludere l’operazione. Tali condizioni implicavano importanti modifiche alla struttura dell’operazione come originariamente concepita dall’ EO.N, la quale avrebbe così dovuto cedere molti importanti assets produttivi di Endesa.

La risposta della Commissione Europea non si è fatta attendere. Così, alcune di queste condizioni sono state ritenute dalla Commissione incompatibili con il diritto comunitario con la decisione presa il 27 luglio 2006. Successivamente, l’autorità ministeriale spagnola, davanti alla quale la decisione della CNE era stata impugnata, riformava parzialmente la medesima, eliminando alcune delle condizioni e riformulandone altre. Ma anche in questo caso, per la Commissione alcune delle condizioni previste dalle autorità spagnole erano incompatibili con il diritto comunitario.

Constatato successivamente che le condizioni imposte dalle autorità spagnole, nonostante la contrarietà con il diritto comunitario, non erano state ancora eliminate, la Commissione Europea, ritenendo che il governo spagnolo non avesse attuate le sue due precedenti decisioni, iniziava un procedura di infrazione davanti la Corte di Giustizia. Nel frattempo l’OPA di E.ON sull’Endesa era fallita non essendo l’offerta di acquisto stata accettata da un numero sufficiente di azionisti di Endesa.

In particolare, secondo la Commissione Europea le decisioni della CNE e dell’autorità ministeriale spagnola non erano compatibili con il diritto comunitario per due ragioni. Alcune delle condizioni previste dalle decisioni contestate costituivano una restrizione alla libertà di stabilimento ed alla libera circolazione dei capitali. Inoltre le decisioni erano state adottate ed attuate in violazione dell’art. 21 del Regolamento CE 139/2004, per il quale l’adozione di tali misure nazionali deve essere preliminarmente autorizzata dalla Commissione.

L’art. 21.4 del Regolamento CE 139/2004 recita che: “nonostante i paragrafi 2 e 3, gli Stati membri possono adottare opportuni provvedimenti per tutelare interessi legittimi diversi da quelli presi in considerazione dal presente regolamento e compatibili con i principi generali e le altre disposizioni del diritto comunitario.

Sono considerati interessi legittimi ai sensi del primo comma la sicurezza pubblica, la pluralità dei mezzi di informazione, le norme prudenziali.

Qualsiasi altro interesse pubblico è comunicato dallo Stato membro interessato alla Commissione ed accettato dalla stessa, previo esame della sua compatibilità con i principi generali e le altre disposizioni del diritto comunitario, prima che i provvedimenti de cui sopra possano essere presi. La Commissione notifica la sua decisione allo Stato membro interessato entro 25 giorni lavorativi dalla data della suddetta comunicazione

La disposizione sopra riportata costituisce un’eccezione a uno dei principi generali della disciplina comunitaria in materia di controllo delle concentrazioni: il principio dell’one stop shop. Secondo tale principio l’esame concorrenziale di una concentrazione avente dimensione comunitaria è attribuito all’esclusiva competenza della Commissione Europea. Tuttavia, gli stati membri possono pur sempre adottare delle misure che possono pregiudicare, in diritto o de facto, una determinata concentrazione al fine di tutelare interessi nazionali diversi da quelli che sono presi in considerazione dalla normativa comunitaria.

Al riguardo, il Regolamento CE 139/2004 prevede due distinte procedure in funzione della natura degli interessi nazionali che si intendono tutelare affinché gli stati possano legittimamente adottare le misure nazionali restrittive.

La prima procedura ha ad oggetto l’adozione di misure nazionali per la tutela di alcuni interessi legittimi espressamente individuati dalla normativa comunitaria, quali la sicurezza pubblica, la pluralità dei mezzi di informazioni e le norme prudenziali. In questo caso lo stato può immediatamente adottare e attuare le misure nazionali senza che sia richiesta la preventiva autorizzazione comunitaria, a condizione che le misure in questione siano compatibili con il diritto comunitario.

La seconda procedura riguarda tutti gli altri interessi legittimi diversi da quelli sopra indicati. Le misure nazionali adottate per la tutela di questi interessi devono essere comunicate in via preventiva alla Commissione, la quale ne valuterà la compatibilità con il diritto comunitario entro il termine di 25 giorni dalla comunicazione. Solo dopo aver ricevuto l’approvazione della Commissione, gli stati potranno adottare e porre in atto le misure protettive.

Giova quindi ricordare che, trattandosi l’art. 21.4 del Regolamento CE 139/2004 di norma di natura eccezionale, questo è stato interpretato dalla Commissione in modo alquanto restrittivo e il più della volte è stata rilevata l’incompatibilità con il diritto comunitario delle misure nazionali protettive.

Ad esempio, nel caso Champalimaud riguardante una concentrazione tra imprese operanti nel settore finanziario la Commissione ha considerato incompatibile con il diritto comunitario la decisione del governo portoghese di vietare ex art. 21.4 l’operazione per esigenze di vigilanza prudenziale e ne ha richiesto l’eliminazione. (Commissione CE, decisione del 20 ottobre 1999, caso M-1724, BSCH/Champalimaud). Stessa sorte ha avuto la decisione delle autorità portoghesi di vietare la concentrazione nel caso Cimpor. Tale decisione negativa è stata ritenuta dalla Commissione contraria al diritto comunitario in quanto nessuno degli interessi legittimi invocati erano riconducibili gli interessi legittimi di cui all’art. 21.3 e in ogni caso alla Commissione non erano stati comunicati altri interessi legittimi tutelati dalla misura nazionale restrittiva. (Commissione CE, decisione del 13 luglio 2000, caso M-2054, Secil/Holderbank/Cimpor).

La sentenza della Corte di Giustizia

La prima questione che la Corte di Giustizia ha dovuto affrontare riguarda l’oggetto della procedura di infrazione. Il governo spagnolo ha eccepito che il ricorso per infrazione deve essere rigettato per mancanza dell’oggetto posto che la concentrazione proposta non è stata realizzata e quindi le misure nazionali contestate sono prive di ogni rilevanza giuridica. La Corte ha però replicato che l’infrazione di uno stato deve essere valutata in riferimento alla situazione in essere al momento della decorrenza del termine stabilito nel parere motivato della Commissione entro il quale lo stato incolpato deve porre fine all’infrazione e ottemperare al diritto comunitario. Le modifiche intervenute successivamente sono quindi irrilevanti.

L’EO.N ha rinunciato all’OPA il 10 aprile 2007, mentre il termine stabilito nel parere motivato scadeva il 16 marzo 2007. Quindi la mancata esecuzione dell’OPA di certo non priva la procedura di infrazione dell’oggetto, dato che allo scadere del termine il governo spagnolo non aveva preso alcun misura per ottemperare alla decisione della Commissione. Anzi, è pur sempre ravvisabile un interesse comunitario alla prosecuzione della procedura al fine di chiarire la portata delle obbligazioni a carico dello stato membro anche a vantaggio dei terzi ai quali la normativa comunitaria che si assume violata attribuisce dei diritti.

Né, inoltre, come invece sostenuto dal governo spagnolo, la mancata realizzazione dell’OPA avrebbe determinato l’impossibilità di applicare le decisioni della Commissione. La mancata attuazione della concentrazione, così argomentano i giudici comunitari, non comporta l’impossibilità assoluta di dare attuazione alle decisioni della Commissione. Al contrario, le autorità spagnole avrebbero pur sempre potuto rimuovere le condizioni imposte all’ EO.N che erano incompatibili con il diritto comunitario.

Il governo spagnolo ha altresì sostenuto che le condizioni imposte all’EO.N riguardavano l’esigenza di garantire la sicurezza degli approvvigionamenti energetici, ed erano quindi riconducibili all’interesse legittimo alla sicurezza pubblica. Di conseguenza, la Commissione ha erroneamente deciso l’incompatibilità delle condizioni con il diritto comunitario.

Questa censura è pero respinta dalla Corte sulla base di argomentazioni relative al sistema generale di tutela giurisdizionale previsto dal diritto comunitario. I trattati CE distinguono tra la procedura di infrazione avente ad oggetto l’accertamento della mancata attuazione di una norma comunitaria da parte di uno stato e i ricorsi di annullamento e in carenza aventi come fine di accertare la legittimità di una condotta posta in essere dalle istituzioni comunitarie.

Uno stato membro contro il quale sia iniziata una procedura di infrazione a causa della mancata attuazione di un determinato atto comunitario di cui è destinatario non può opporre in via di eccezione l’illegittimità dell’atto medesimo, salvo nei casi in cui ciò sia espressamente autorizzato dalla normativa vigente. Se lo stato intendeva contestare l’illegittimità dell’atto comunitario avrebbe dovuto impugnare l’atto e richiederne l’annullamento ai sensi dell’ art. 230 CE.

Nel nostro caso il governo spagnolo non aveva indicato alla Commissione gli interessi nazionali legittimi per la tutela dei quali le misure restrittive contestate erano state adottate. La Commissione non poteva far altro che valutare la legittimità delle misure nazionale come previsto dall’art. 21.4, seconda parte del Regolamento CE 139/2004.

In ogni caso, visto che, per le ragioni sopra esposte, la validità di un atto delle istituzioni comunitarie non può essere contestata nell’ambito di una procedura di infrazione proposta, accertare se gli interessi legittimi invocati dal governo spagnolo siano o meno riconducibili al concetto di sicurezza pubblica sarebbe stato superfluo.

Conclusioni

Con la sentenza della Corte di Giustizia l’esclusiva competenza della Commissione in materia di controllo delle concentrazioni aventi dimensione comunitarie ne esce rafforzata. In particolare, la Corte ha approvato le valutazioni della Commissione riguardanti l’incompatibilità con il diritto comunitario delle condizioni al rispetto delle quali le autorità spagnole avevano subordinato l’acquisizione di Endesa da parte di E.ON. Di qui, la condanna del governo spagnolo per il mancato adempimento dell’obbligo di eliminare le condizioni incompatibili previsto nelle decisioni della Commissione.

In conclusione, la Corte conferma che gli stati membri sono tenuti ad ottemperare alle richieste della Commissione di rimuovere le misure nazionali rivolte alla protezione di interessi nazionali, tali da impedire o ostacolare la realizzazione di concentrazioni transfrontaliere aventi dimensione comunitaria e quindi soggette al controllo esclusivo della Commissione. Il diritto comunitario riconosce alla Commissione il potere di verificare la compatibilità con il diritto comunitario, e quindi sancirne l’eventuale illegittimità, delle misure prese a tutela di interessi nazionali che pregiudicano le concentrazioni sopra indicate e non siano né necessarie né proporzionali per la tutela degli interessi nazionali legittimi perseguiti.

La procedura e normativa rilevante

L’affaire E.ON/-Endesa con la recente sentenza pronunziata dalla Corte Europea di Giustizia dovrebbe essere finalmente giunto a termine (Corte di Giustizia CE, causa C-196/07, Commissione c Spagna). Tutto ebbe inizio nel 2006 quando la tedesca E.ON lanciò un OPA sulla spagnola Endesa. La Commissione Europea non avendo riscontrato alcun problema concorrenziale autorizzò l’operazione senza imporre nessuna condizione alle parti (Commissione CE, decisione del 26 settembre 2006, caso COMP/M.4197, E.ON./Endesa).

Nel frattempo, il governo spagnolo, non convinto della decisione della Commissione e spinto da un malcelato protezionismo economico volto alla protezione dei propri campioni nazionali contro i “predatori stranieri”, aveva modificato il quadro regolatore al quale la proposta concentrazione era soggetta. Più precisamente, con il decreto reale n. 4/2006 è stato attribuito al regolatore nazionale del settore energetico, la Commissione Nazionale dell’Energia (CNE) il potere di autorizzare le concentrazioni tra imprese operanti in questo settore, e quindi, anche la concentrazione E.ON/Endesa.

La CNE, non inaspettatamente, ha valutato in modo diverso dalla Commissione Europea la proposta acquisizione dell’Endesa da parte di E.ON. L’E.ON si è cosi vista imporre ben 19 condizioni da ottemperare al fine di poter concludere l’operazione. Tali condizioni implicavano importanti modifiche alla struttura dell’operazione come originariamente concepita dall’ EO.N, la quale avrebbe così dovuto cedere molti importanti assets produttivi di Endesa.

La risposta della Commissione Europea non si è fatta attendere. Così, alcune di queste condizioni sono state ritenute dalla Commissione incompatibili con il diritto comunitario con la decisione presa il 27 luglio 2006. Successivamente, l’autorità ministeriale spagnola, davanti alla quale la decisione della CNE era stata impugnata, riformava parzialmente la medesima, eliminando alcune delle condizioni e riformulandone altre. Ma anche in questo caso, per la Commissione alcune delle condizioni previste dalle autorità spagnole erano incompatibili con il diritto comunitario.

Constatato successivamente che le condizioni imposte dalle autorità spagnole, nonostante la contrarietà con il diritto comunitario, non erano state ancora eliminate, la Commissione Europea, ritenendo che il governo spagnolo non avesse attuate le sue due precedenti decisioni, iniziava un procedura di infrazione davanti la Corte di Giustizia. Nel frattempo l’OPA di E.ON sull’Endesa era fallita non essendo l’offerta di acquisto stata accettata da un numero sufficiente di azionisti di Endesa.

In particolare, secondo la Commissione Europea le decisioni della CNE e dell’autorità ministeriale spagnola non erano compatibili con il diritto comunitario per due ragioni. Alcune delle condizioni previste dalle decisioni contestate costituivano una restrizione alla libertà di stabilimento ed alla libera circolazione dei capitali. Inoltre le decisioni erano state adottate ed attuate in violazione dell’art. 21 del Regolamento CE 139/2004, per il quale l’adozione di tali misure nazionali deve essere preliminarmente autorizzata dalla Commissione.

L’art. 21.4 del Regolamento CE 139/2004 recita che: “nonostante i paragrafi 2 e 3, gli Stati membri possono adottare opportuni provvedimenti per tutelare interessi legittimi diversi da quelli presi in considerazione dal presente regolamento e compatibili con i principi generali e le altre disposizioni del diritto comunitario.

Sono considerati interessi legittimi ai sensi del primo comma la sicurezza pubblica, la pluralità dei mezzi di informazione, le norme prudenziali.

Qualsiasi altro interesse pubblico è comunicato dallo Stato membro interessato alla Commissione ed accettato dalla stessa, previo esame della sua compatibilità con i principi generali e le altre disposizioni del diritto comunitario, prima che i provvedimenti de cui sopra possano essere presi. La Commissione notifica la sua decisione allo Stato membro interessato entro 25 giorni lavorativi dalla data della suddetta comunicazione

La disposizione sopra riportata costituisce un’eccezione a uno dei principi generali della disciplina comunitaria in materia di controllo delle concentrazioni: il principio dell’one stop shop. Secondo tale principio l’esame concorrenziale di una concentrazione avente dimensione comunitaria è attribuito all’esclusiva competenza della Commissione Europea. Tuttavia, gli stati membri possono pur sempre adottare delle misure che possono pregiudicare, in diritto o de facto, una determinata concentrazione al fine di tutelare interessi nazionali diversi da quelli che sono presi in considerazione dalla normativa comunitaria.

Al riguardo, il Regolamento CE 139/2004 prevede due distinte procedure in funzione della natura degli interessi nazionali che si intendono tutelare affinché gli stati possano legittimamente adottare le misure nazionali restrittive.

La prima procedura ha ad oggetto l’adozione di misure nazionali per la tutela di alcuni interessi legittimi espressamente individuati dalla normativa comunitaria, quali la sicurezza pubblica, la pluralità dei mezzi di informazioni e le norme prudenziali. In questo caso lo stato può immediatamente adottare e attuare le misure nazionali senza che sia richiesta la preventiva autorizzazione comunitaria, a condizione che le misure in questione siano compatibili con il diritto comunitario.

La seconda procedura riguarda tutti gli altri interessi legittimi diversi da quelli sopra indicati. Le misure nazionali adottate per la tutela di questi interessi devono essere comunicate in via preventiva alla Commissione, la quale ne valuterà la compatibilità con il diritto comunitario entro il termine di 25 giorni dalla comunicazione. Solo dopo aver ricevuto l’approvazione della Commissione, gli stati potranno adottare e porre in atto le misure protettive.

Giova quindi ricordare che, trattandosi l’art. 21.4 del Regolamento CE 139/2004 di norma di natura eccezionale, questo è stato interpretato dalla Commissione in modo alquanto restrittivo e il più della volte è stata rilevata l’incompatibilità con il diritto comunitario delle misure nazionali protettive.

Ad esempio, nel caso Champalimaud riguardante una concentrazione tra imprese operanti nel settore finanziario la Commissione ha considerato incompatibile con il diritto comunitario la decisione del governo portoghese di vietare ex art. 21.4 l’operazione per esigenze di vigilanza prudenziale e ne ha richiesto l’eliminazione. (Commissione CE, decisione del 20 ottobre 1999, caso M-1724, BSCH/Champalimaud). Stessa sorte ha avuto la decisione delle autorità portoghesi di vietare la concentrazione nel caso Cimpor. Tale decisione negativa è stata ritenuta dalla Commissione contraria al diritto comunitario in quanto nessuno degli interessi legittimi invocati erano riconducibili gli interessi legittimi di cui all’art. 21.3 e in ogni caso alla Commissione non erano stati comunicati altri interessi legittimi tutelati dalla misura nazionale restrittiva. (Commissione CE, decisione del 13 luglio 2000, caso M-2054, Secil/Holderbank/Cimpor).

La sentenza della Corte di Giustizia

La prima questione che la Corte di Giustizia ha dovuto affrontare riguarda l’oggetto della procedura di infrazione. Il governo spagnolo ha eccepito che il ricorso per infrazione deve essere rigettato per mancanza dell’oggetto posto che la concentrazione proposta non è stata realizzata e quindi le misure nazionali contestate sono prive di ogni rilevanza giuridica. La Corte ha però replicato che l’infrazione di uno stato deve essere valutata in riferimento alla situazione in essere al momento della decorrenza del termine stabilito nel parere motivato della Commissione entro il quale lo stato incolpato deve porre fine all’infrazione e ottemperare al diritto comunitario. Le modifiche intervenute successivamente sono quindi irrilevanti.

L’EO.N ha rinunciato all’OPA il 10 aprile 2007, mentre il termine stabilito nel parere motivato scadeva il 16 marzo 2007. Quindi la mancata esecuzione dell’OPA di certo non priva la procedura di infrazione dell’oggetto, dato che allo scadere del termine il governo spagnolo non aveva preso alcun misura per ottemperare alla decisione della Commissione. Anzi, è pur sempre ravvisabile un interesse comunitario alla prosecuzione della procedura al fine di chiarire la portata delle obbligazioni a carico dello stato membro anche a vantaggio dei terzi ai quali la normativa comunitaria che si assume violata attribuisce dei diritti.

Né, inoltre, come invece sostenuto dal governo spagnolo, la mancata realizzazione dell’OPA avrebbe determinato l’impossibilità di applicare le decisioni della Commissione. La mancata attuazione della concentrazione, così argomentano i giudici comunitari, non comporta l’impossibilità assoluta di dare attuazione alle decisioni della Commissione. Al contrario, le autorità spagnole avrebbero pur sempre potuto rimuovere le condizioni imposte all’ EO.N che erano incompatibili con il diritto comunitario.

Il governo spagnolo ha altresì sostenuto che le condizioni imposte all’EO.N riguardavano l’esigenza di garantire la sicurezza degli approvvigionamenti energetici, ed erano quindi riconducibili all’interesse legittimo alla sicurezza pubblica. Di conseguenza, la Commissione ha erroneamente deciso l’incompatibilità delle condizioni con il diritto comunitario.

Questa censura è pero respinta dalla Corte sulla base di argomentazioni relative al sistema generale di tutela giurisdizionale previsto dal diritto comunitario. I trattati CE distinguono tra la procedura di infrazione avente ad oggetto l’accertamento della mancata attuazione di una norma comunitaria da parte di uno stato e i ricorsi di annullamento e in carenza aventi come fine di accertare la legittimità di una condotta posta in essere dalle istituzioni comunitarie.

Uno stato membro contro il quale sia iniziata una procedura di infrazione a causa della mancata attuazione di un determinato atto comunitario di cui è destinatario non può opporre in via di eccezione l’illegittimità dell’atto medesimo, salvo nei casi in cui ciò sia espressamente autorizzato dalla normativa vigente. Se lo stato intendeva contestare l’illegittimità dell’atto comunitario avrebbe dovuto impugnare l’atto e richiederne l’annullamento ai sensi dell’ art. 230 CE.

Nel nostro caso il governo spagnolo non aveva indicato alla Commissione gli interessi nazionali legittimi per la tutela dei quali le misure restrittive contestate erano state adottate. La Commissione non poteva far altro che valutare la legittimità delle misure nazionale come previsto dall’art. 21.4, seconda parte del Regolamento CE 139/2004.

In ogni caso, visto che, per le ragioni sopra esposte, la validità di un atto delle istituzioni comunitarie non può essere contestata nell’ambito di una procedura di infrazione proposta, accertare se gli interessi legittimi invocati dal governo spagnolo siano o meno riconducibili al concetto di sicurezza pubblica sarebbe stato superfluo.

Conclusioni

Con la sentenza della Corte di Giustizia l’esclusiva competenza della Commissione in materia di controllo delle concentrazioni aventi dimensione comunitarie ne esce rafforzata. In particolare, la Corte ha approvato le valutazioni della Commissione riguardanti l’incompatibilità con il diritto comunitario delle condizioni al rispetto delle quali le autorità spagnole avevano subordinato l’acquisizione di Endesa da parte di E.ON. Di qui, la condanna del governo spagnolo per il mancato adempimento dell’obbligo di eliminare le condizioni incompatibili previsto nelle decisioni della Commissione.

In conclusione, la Corte conferma che gli stati membri sono tenuti ad ottemperare alle richieste della Commissione di rimuovere le misure nazionali rivolte alla protezione di interessi nazionali, tali da impedire o ostacolare la realizzazione di concentrazioni transfrontaliere aventi dimensione comunitaria e quindi soggette al controllo esclusivo della Commissione. Il diritto comunitario riconosce alla Commissione il potere di verificare la compatibilità con il diritto comunitario, e quindi sancirne l’eventuale illegittimità, delle misure prese a tutela di interessi nazionali che pregiudicano le concentrazioni sopra indicate e non siano né necessarie né proporzionali per la tutela degli interessi nazionali legittimi perseguiti.