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Regimi fiscali applicabili ai prodotti in concorrenza e l’articolo 90 CE: la sentenza della Corte di Giustizia nel caso Commissione/Svezia

Considerazioni introduttive

Ancora una volta i giudici comunitari sono chiamati a pronunciarsi sulla compatibilità della legislazione svedese in materia di vendita delle bevande alcoliche con il diritto comunitario (Corte di Giustizia CE, causa C-167/05, 8 aprile 2008, Commissione CE/Svezia). In questa occasione la normativa controversa era la legge del 15 dicembre 1994, 1994:1564 (lagen om alkoholskatt) riguardante le accise applicabili alle bevande alcoliche.

La Corte, riunita in grande sezione, ha rigettato il ricorso per inadempimento proposto dalla Commissione ex art. 226 CE contro la Svezia alla quale si rimproverava che la normativa di cui sopra prevedeva un regime di tassazione discriminatorio contro il vino in favore della birra. Tali censure, come meglio vedremo, non state ritenute fondate dalla Corte a giudizio della quale la normativa svedese contestata non viola il diritto comunitario in quanto non produce alcun effetto discriminatorio sulla vendita del vino.

 La sentenza qui annotata è meritevole di interesse per descrivere in modo chiaro il procedimento di applicazione dell’art. 90 CE e confermare l’indirizzo comunitario per quanto concerne la valutazione della natura discriminatoria di una misura fiscale nazionale. 

 La sentenza della Corte

Nel nostro caso la misura fiscale controversa è il diverso trattamento tributario previsto dalla legge svedese per la birra e il vino. Le accise dovute sulla birra, essenzialmente un prodotto nazionale, risultavano essere inferiori alle accise applicabili al vino,  principalmente un prodotto di importazione.

La normativa svedese appariva quindi essere in contrasto con l’art. 90 CE il quale vieta agli stati membri l’adozione di misure fiscali tali da determinare una discriminazione, diretta o indiretta, tra prodotti nazionali e importati simili (primo comma); ovvero tali da garantire ai prodotti nazionali una protezione indiretta a danno dei prodotti importati (secondo comma). In breve, il sistema fiscale degli stati membri, per poter essere compatibile con l’art. 90 CE deve essere neutrale rispetto alla  circolazione delle merci; non deve avere alcun effetto discriminatorio in danno dei prodotti importati.

 Più precisamente, dato che il regime fiscale controverso riguardava le accise dovute su birra e vino, quindi prodotti non simili, è la disposizione di cui all’art. 90, secondo comma CE che la normativa svedese deve rispettare al fine di non risultare incompatibile con il diritto comunitario. Come ricorda la Corte, la ratio di questa disposizione è la proibizione di ogni forma di protezionismo fiscale a danno di prodotti importati che sono in rapporto di concorrenza anche parziale, indiretta o potenziale con i prodotti nazionali pur non essendo simili a questi (Corte di Giustizia CE, sentenza 9 luglio 1987, causa 356/85 , Commissione/Belgio, Racc. pag. 3269).

Secondo la consolidata giurisprudenza dei giudici comunitari il giudizio di compatibilità di una normativa nazionale con l’art. 90 secondo comma CE si compone di tre fasi distinte: l’accertamento di un rapporto di concorrenza tra i prodotti oggetto della misura contestata; l’esame comparativo del regime fiscale previsto dalla misura nazionale per i prodotti di cui sopra; l’accertamento della natura discriminatoria del regime fiscale.

Il primo compito che deve essere affrontato è stabilire se tra i prodotti nazionali e importati, nel nostro caso la birra e il vino, esiste un rapporto di concorrenza. Nella prima fase temporale dell’applicazione dell’art. 90 CE le istituzioni comunitarie propendevano per un approccio globale sul punto. La distinzione tra prodotti e similari e prodotti in concorrenza era ritenuta superflua e l’art. 90 CE trovava applicazione in tutti i casi nei quali risultava l’esistenza di un rapporto di concorrenza tra i prodotti oggetto delle misure nazionali almeno potenziale o indiretto.(Corte di Giustizia CE, sentenza 27 febbraio 1980, causa  168/78, Commissione/Francia, Racc. pag. 347).

Solo successivamente si è affermato un orientamento più analitico che distingue chiaramente tra prodotti similari e prodotti in concorrenza ai fini dell’individuazione di quale disciplina comunitaria applicare alla misura nazionale contestata.

La nozione di prodotti concorrenti rilevante ai fini del secondo comma dell’art. 90 CE quindi è differente e più ampia non solo della nozione di prodotti simili prevista dal prima comma ma anche del concetto del mercato rilevante del prodotto che si applica nel contesto del diritto della concorrenza.

Per stabilire se esiste una relazione di concorrenza ex art. 90 secondo comma CE non è richiesta un analisi particolarmente dettagliata delle caratteristiche dei prodotti. Per contro, è sufficiente rilevare un certo grado di sostituibilità reciproca tra i prodotti in questione.

La Corte in precedenza ha già riconosciuto che tra vino e birra esiste un determinato grado di sostituibilità, essendo destinati al  soddisfacimento di bisogni quasi identici.(Corte di Giustizia CE, sentenza 12 luglio 1983, causa 170/78, Commissione/Regno Unito, Racc. pag. 417). La birra può trovarsi in relazione di concorrenza in modo particolare con i vini più accessibili al pubblico, quali i vini più leggeri e meno cari (Corte di Giustizia CE, sentenza 9 luglio 1987, causa 356/85, Commissione/Belgio, cit.).

Nel caso Commissione CE/Svezia una relazione di concorrenza è stata rilevata tra vini della categoria intermedia e le birre forti in ragione di alcune caratteristiche comuni. In primo luogo queste bevande hanno una simile gradazione alcolica. Altro elemento comune ai due prodotti e rilevante al fine di accertare il rapporto di concorrenza è il regime di vendita al dettaglio. La società pubblica svedese responsabile della commercializzazione delle sostanze alcoliche, il Systembolaget, ha infatti il monopolio esclusivo per la vendita al dettaglio di entrambe le bevande.

La seconda fase dell’applicazione dell’art. 90 secondo comma CE consiste nella comparazione del regime di tassazione applicabile ai prodotti nazionali e importati,  tra i quali è stato accertata la relazione di concorrenza. Nel caso di specie l’esame comparativo ha riguardato le accise applicate a vini intermedi e birra forte. Al riguardo, la Corte ha preso in considerazione le accise determinate in funzione della gradazione alcolica. Ne è risultato che il vino è assoggettato a un regime di tassazione più elevato di quello applicabile alla birra.

Nella terza fase, quella forse più delicata,  si deve accertare la natura discriminatoria del diverso  regime di tassazione. Lo scopo dell’esame è di verificare se il regime fiscale contestato è tale da  avere effetti negativi sulla circolazione dei prodotti, in particolare causando una riduzione del consumo potenziale dei prodotti importati a vantaggio dei prodotti nazionali concorrenti (Corte di Giustizia CE, sentenza 12 luglio 1983, causa 170/78, Commissione/Regno Unito, cit.). In breve, il regime di tassazione nazionale contestato non deve avere un effetto di protezione delle produzioni nazionali a danno dei prodotti importati.

La Corte quindi chiarisce il contenuto dell’onere probatorio spettante alla Commissione per la dimostrazione della natura discriminatoria della misura contestata. Si deve esaminare la differenza dei prezzi di vendita dei prodotti considerati e l’incidenza della tassazione sulle scelte dei consumatori. In linea con l’orientamento giurisprudenziale ormai consolidato, la Commissione non è tenuta a fornire dei precisi dati statistici con riguardo agli effetti protezionistici di un regime impositivo.

L’onere probatorio che la Corte richiede alla Commissione è perciò meno stringente. È allora sufficiente perché la Commissione adempia a tale onere che, sulla base della valutazione delle caratteristiche del regime fiscale contestato, dimostrare che tale regime, in virtù di tale caratteristiche, possa avere effetti protezionistici (Corte di Giustizia CE, sentenza 12 luglio 1983, causa 170/78, Commissione/Regno Unito, cit. 417).

Nel caso in commento la Commissione ha raffrontato il prezzo di un litro di birra e di vino, tenendo conto dell’incidenza che il regime di tassazione ha sul prezzo finale. A questo scopo, la Commissione ha considerato i prezzi di vendita dei prodotti prima e dopo l’applicazione del regime fiscale. Il risultato è che la differenza tra i prezzi della birra e del vino prima dell’applicazione delle accise è quasi identica alla differenza tra i prezzi della birra e del vino dopo l’applicazione delle accise. Nonostante un’ovvia riduzione del prezzo del vino a seguito dell’ipotetica applicazione della minore accisa prevista per la birra, il rapporto tra il prezzo della birra e del vino non si discosta dalla grandezza di 1 a 2, così come risultante dall’imposizione del regime fiscale contestato.

 La conclusione della Corte è che le differenza rilevate tra il prezzo di vendita del vino e della birra non sono così rilevanti da poter avere effetti sulla condotta dei consumatori. Quindi il differente regime di tassazione applicabile alle categorie di birra e vino concorrenti, nonostante imponga al vino accise più elevate di quelle applicate alla birra, non sembra idoneo ad avere effetti  protezionistici.

Le conclusioni dell’Avvocato Generale

A questo riguardo, la Corte non ha accolto le conclusioni dell’Avvocato Generale Mengozzi, il quale ha dato una diversa interpretazione dei risultati dell’esame condotto dalla Commissione. L’Avvocato Generale, così come la Corte, ha escluso che la Commissione deve provare la natura discriminatoria della misura contestata mediante dati statistici. Peraltro, i dati statistici prodotti in giudizio dalla Commissione, al massimo indicavano la sensibilità dei consumatori alle modifiche di prezzo conseguenti alle modifiche del regime fiscali. La Commissione, invece, tenendo conto delle caratteristiche oggettive della misura fiscale in questione, deve stabilire se, considerato il regime fiscale previgente, vi sono elementi sufficienti a fondare la presunzione che le misure fiscali controverse siano idonee a produrre effetti protezionistici.

Secondo l’Avvocato Generale tali elementi sussistono nel caso in esame. Il regime fiscale contestato ha, innovando a quello precedente, alterato la parità fiscale sino ad allora esistente tra il vino intermedio e la birra forte e ha imposto al vino un’imposizione fiscale decisamente più elevata di quella prevista per la birra. A tali fattori si deve aggiungere la sensibilità del consumatore svedese verso gli aumenti di prezzo determinati da modifiche del regime impositivo.

 Osservazioni conclusive

Nella sentenza qui in commento la Corte di Giustizia ha confermato il sua consolidato orientamento per quanto riguarda l’interpretazione e l’applicazione dell’ art. 90 secondo comma CE, in modo particolare la metodologia da seguire per accertare la natura discriminatoria del regime fiscale nazionale. L’onere probatorio a carico della Commissione non è particolarmente rigido non richiedendosi a questa la produzione di dati statistici e econometrici al fine della dimostrazione di eventuali effetti protezionistici imputabili al regime fiscale contestato.

La prova della natura discriminatoria può essere raggiunta anche con analisi di tipo qualitativo, quando sulla base dell’apprezzamento delle caratteristiche delle misure fiscali esaminate è possibile ritenere che queste siano idonei a produrre gli effetti protezionistici vietati dall’art. 90 secondo comma CE.

Infine, è curioso notare che, sebbene la Corte e l’Avvocato Generale abbiamo applicato la stesso metodo per l’esame della natura discriminatoria del regime fiscale contestato, siano invece giunti a risultati diametralmente opposti. La Corte infatti ha escluso l’idoneità del regime a produrre effetti protezionistici, ammessa invece dall’Avvocato Generale.

La ragione per la quale  la Corte non ha aderito alle conclusione dell’ Avvocato Generale può essere forse individuata nella diversa valutazione del rapporto di proporzionalità tra i prezzi di vendita della birra e del vino prima e dopo l’imposizione delle misure fiscali contestate.  

Per l’Avvocato Generale  minore è il rapporto tra i prezzi di due prodotti in concorrenza, maggiore è il grado di sostituibilità tra questi e minore è la variazione del prezzo che determina un effetto di sostituzione con conseguenze sulla scelte dei consumatori. In altre parole, se lo scarto tra i prezzi dei prodotti in concorrenza non è ampio sarà sufficiente un aumento di prezzo determinato dal regime di tassazione anche non particolarmente elevato per dissuadere i consumatori dall’acquistare il prodotto in questione.

Nelle sue conclusioni l’Avvocato Generale aveva già indicato come la Commissione aveva dimostrato la sensibilità dei consumatori svedesi agli aumenti di prezzo imputabili all’aumento dell’accise. Per questa ragione non è possibile escludere che la normativa svedese non abbia natura discriminatoria. L’Avvocato Generale si riferisce ad un caso precedente il quale aveva ad oggetto la compatibilità con l’art. 90 secondo comma CE di una normativa belga simile a quella svedese. Anche in quella occasione la Corte aveva escluso la natura discriminatoria delle misure fiscali nazionali contestate (Corte di Giustizia CE, sentenza 9 luglio 1987, causa 356/85, Commissione/Belgio, cit.).

Ma quanto stabilito dalla Corte nel caso Commissione/Belgio, così sostiene l’Avvocato Generale, non può essere di utilità in questo caso in ragione delle differenze tra le normativa svedese e quella belga: diverso è infatti il rapporto tra lo scarto dei prezzi e l’aumento percentuale che si verifica a seguito dell’applicazione della misura fiscale contestata. Nel caso belga il rapporto tra il prezzo della birra e del vino era di 1 a 4, e l’accisa ha importato un aumento del prezzo del vino del 6,5%. Nel caso svedese, a fronte di una rapporto tra il prezzo della birra e del vino pari a 1 a 2, l’applicazione dell’accisa ha importato un aumento del prezzo del vino, pari a 5% e quindi proporzionalmente maggiore. Tanto basta all’Avvocato Generale per sostenere che la normativa svedese, a differenza di quella belga, è idonea ad avere effetti protezionistici ed è perciò incompatibile con il diritto comunitario.

Nella sentenza non vi è alcuna traccia di simili considerazioni e le argomentazioni elaborate dalla Corte sul punto sono decisamente meno analitiche. La Corte si concentra sulla differenza tra il prezzo di birra e vino prima e dopo l’applicazione delle accise. Vero è che le differenza del prezzo di birra e vino accertata nel caso Commissione/Svezia è inferiore a quella individuata nel caso Commissione/Belgio. Tuttavia, tale differenza non è rilevante per potere presumere la natura discriminatoria del regime di tassazione, perché la differenza tra le imposte applicabili a vino e birra, tenuto conto anche dello scarto esistente tra i rispettivi prezzi di vendita, non sono tali da influenzare le scelte dei consumatori.  

Considerazioni introduttive

Ancora una volta i giudici comunitari sono chiamati a pronunciarsi sulla compatibilità della legislazione svedese in materia di vendita delle bevande alcoliche con il diritto comunitario (Corte di Giustizia CE, causa C-167/05, 8 aprile 2008, Commissione CE/Svezia). In questa occasione la normativa controversa era la legge del 15 dicembre 1994, 1994:1564 (lagen om alkoholskatt) riguardante le accise applicabili alle bevande alcoliche.

La Corte, riunita in grande sezione, ha rigettato il ricorso per inadempimento proposto dalla Commissione ex art. 226 CE contro la Svezia alla quale si rimproverava che la normativa di cui sopra prevedeva un regime di tassazione discriminatorio contro il vino in favore della birra. Tali censure, come meglio vedremo, non state ritenute fondate dalla Corte a giudizio della quale la normativa svedese contestata non viola il diritto comunitario in quanto non produce alcun effetto discriminatorio sulla vendita del vino.

 La sentenza qui annotata è meritevole di interesse per descrivere in modo chiaro il procedimento di applicazione dell’art. 90 CE e confermare l’indirizzo comunitario per quanto concerne la valutazione della natura discriminatoria di una misura fiscale nazionale. 

 La sentenza della Corte

Nel nostro caso la misura fiscale controversa è il diverso trattamento tributario previsto dalla legge svedese per la birra e il vino. Le accise dovute sulla birra, essenzialmente un prodotto nazionale, risultavano essere inferiori alle accise applicabili al vino,  principalmente un prodotto di importazione.

La normativa svedese appariva quindi essere in contrasto con l’art. 90 CE il quale vieta agli stati membri l’adozione di misure fiscali tali da determinare una discriminazione, diretta o indiretta, tra prodotti nazionali e importati simili (primo comma); ovvero tali da garantire ai prodotti nazionali una protezione indiretta a danno dei prodotti importati (secondo comma). In breve, il sistema fiscale degli stati membri, per poter essere compatibile con l’art. 90 CE deve essere neutrale rispetto alla  circolazione delle merci; non deve avere alcun effetto discriminatorio in danno dei prodotti importati.

 Più precisamente, dato che il regime fiscale controverso riguardava le accise dovute su birra e vino, quindi prodotti non simili, è la disposizione di cui all’art. 90, secondo comma CE che la normativa svedese deve rispettare al fine di non risultare incompatibile con il diritto comunitario. Come ricorda la Corte, la ratio di questa disposizione è la proibizione di ogni forma di protezionismo fiscale a danno di prodotti importati che sono in rapporto di concorrenza anche parziale, indiretta o potenziale con i prodotti nazionali pur non essendo simili a questi (Corte di Giustizia CE, sentenza 9 luglio 1987, causa 356/85 , Commissione/Belgio, Racc. pag. 3269).

Secondo la consolidata giurisprudenza dei giudici comunitari il giudizio di compatibilità di una normativa nazionale con l’art. 90 secondo comma CE si compone di tre fasi distinte: l’accertamento di un rapporto di concorrenza tra i prodotti oggetto della misura contestata; l’esame comparativo del regime fiscale previsto dalla misura nazionale per i prodotti di cui sopra; l’accertamento della natura discriminatoria del regime fiscale.

Il primo compito che deve essere affrontato è stabilire se tra i prodotti nazionali e importati, nel nostro caso la birra e il vino, esiste un rapporto di concorrenza. Nella prima fase temporale dell’applicazione dell’art. 90 CE le istituzioni comunitarie propendevano per un approccio globale sul punto. La distinzione tra prodotti e similari e prodotti in concorrenza era ritenuta superflua e l’art. 90 CE trovava applicazione in tutti i casi nei quali risultava l’esistenza di un rapporto di concorrenza tra i prodotti oggetto delle misure nazionali almeno potenziale o indiretto.(Corte di Giustizia CE, sentenza 27 febbraio 1980, causa  168/78, Commissione/Francia, Racc. pag. 347).

Solo successivamente si è affermato un orientamento più analitico che distingue chiaramente tra prodotti similari e prodotti in concorrenza ai fini dell’individuazione di quale disciplina comunitaria applicare alla misura nazionale contestata.

La nozione di prodotti concorrenti rilevante ai fini del secondo comma dell’art. 90 CE quindi è differente e più ampia non solo della nozione di prodotti simili prevista dal prima comma ma anche del concetto del mercato rilevante del prodotto che si applica nel contesto del diritto della concorrenza.

Per stabilire se esiste una relazione di concorrenza ex art. 90 secondo comma CE non è richiesta un analisi particolarmente dettagliata delle caratteristiche dei prodotti. Per contro, è sufficiente rilevare un certo grado di sostituibilità reciproca tra i prodotti in questione.

La Corte in precedenza ha già riconosciuto che tra vino e birra esiste un determinato grado di sostituibilità, essendo destinati al  soddisfacimento di bisogni quasi identici.(Corte di Giustizia CE, sentenza 12 luglio 1983, causa 170/78, Commissione/Regno Unito, Racc. pag. 417). La birra può trovarsi in relazione di concorrenza in modo particolare con i vini più accessibili al pubblico, quali i vini più leggeri e meno cari (Corte di Giustizia CE, sentenza 9 luglio 1987, causa 356/85, Commissione/Belgio, cit.).

Nel caso Commissione CE/Svezia una relazione di concorrenza è stata rilevata tra vini della categoria intermedia e le birre forti in ragione di alcune caratteristiche comuni. In primo luogo queste bevande hanno una simile gradazione alcolica. Altro elemento comune ai due prodotti e rilevante al fine di accertare il rapporto di concorrenza è il regime di vendita al dettaglio. La società pubblica svedese responsabile della commercializzazione delle sostanze alcoliche, il Systembolaget, ha infatti il monopolio esclusivo per la vendita al dettaglio di entrambe le bevande.

La seconda fase dell’applicazione dell’art. 90 secondo comma CE consiste nella comparazione del regime di tassazione applicabile ai prodotti nazionali e importati,  tra i quali è stato accertata la relazione di concorrenza. Nel caso di specie l’esame comparativo ha riguardato le accise applicate a vini intermedi e birra forte. Al riguardo, la Corte ha preso in considerazione le accise determinate in funzione della gradazione alcolica. Ne è risultato che il vino è assoggettato a un regime di tassazione più elevato di quello applicabile alla birra.

Nella terza fase, quella forse più delicata,  si deve accertare la natura discriminatoria del diverso  regime di tassazione. Lo scopo dell’esame è di verificare se il regime fiscale contestato è tale da  avere effetti negativi sulla circolazione dei prodotti, in particolare causando una riduzione del consumo potenziale dei prodotti importati a vantaggio dei prodotti nazionali concorrenti (Corte di Giustizia CE, sentenza 12 luglio 1983, causa 170/78, Commissione/Regno Unito, cit.). In breve, il regime di tassazione nazionale contestato non deve avere un effetto di protezione delle produzioni nazionali a danno dei prodotti importati.

La Corte quindi chiarisce il contenuto dell’onere probatorio spettante alla Commissione per la dimostrazione della natura discriminatoria della misura contestata. Si deve esaminare la differenza dei prezzi di vendita dei prodotti considerati e l’incidenza della tassazione sulle scelte dei consumatori. In linea con l’orientamento giurisprudenziale ormai consolidato, la Commissione non è tenuta a fornire dei precisi dati statistici con riguardo agli effetti protezionistici di un regime impositivo.

L’onere probatorio che la Corte richiede alla Commissione è perciò meno stringente. È allora sufficiente perché la Commissione adempia a tale onere che, sulla base della valutazione delle caratteristiche del regime fiscale contestato, dimostrare che tale regime, in virtù di tale caratteristiche, possa avere effetti protezionistici (Corte di Giustizia CE, sentenza 12 luglio 1983, causa 170/78, Commissione/Regno Unito, cit. 417).

Nel caso in commento la Commissione ha raffrontato il prezzo di un litro di birra e di vino, tenendo conto dell’incidenza che il regime di tassazione ha sul prezzo finale. A questo scopo, la Commissione ha considerato i prezzi di vendita dei prodotti prima e dopo l’applicazione del regime fiscale. Il risultato è che la differenza tra i prezzi della birra e del vino prima dell’applicazione delle accise è quasi identica alla differenza tra i prezzi della birra e del vino dopo l’applicazione delle accise. Nonostante un’ovvia riduzione del prezzo del vino a seguito dell’ipotetica applicazione della minore accisa prevista per la birra, il rapporto tra il prezzo della birra e del vino non si discosta dalla grandezza di 1 a 2, così come risultante dall’imposizione del regime fiscale contestato.

 La conclusione della Corte è che le differenza rilevate tra il prezzo di vendita del vino e della birra non sono così rilevanti da poter avere effetti sulla condotta dei consumatori. Quindi il differente regime di tassazione applicabile alle categorie di birra e vino concorrenti, nonostante imponga al vino accise più elevate di quelle applicate alla birra, non sembra idoneo ad avere effetti  protezionistici.

Le conclusioni dell’Avvocato Generale

A questo riguardo, la Corte non ha accolto le conclusioni dell’Avvocato Generale Mengozzi, il quale ha dato una diversa interpretazione dei risultati dell’esame condotto dalla Commissione. L’Avvocato Generale, così come la Corte, ha escluso che la Commissione deve provare la natura discriminatoria della misura contestata mediante dati statistici. Peraltro, i dati statistici prodotti in giudizio dalla Commissione, al massimo indicavano la sensibilità dei consumatori alle modifiche di prezzo conseguenti alle modifiche del regime fiscali. La Commissione, invece, tenendo conto delle caratteristiche oggettive della misura fiscale in questione, deve stabilire se, considerato il regime fiscale previgente, vi sono elementi sufficienti a fondare la presunzione che le misure fiscali controverse siano idonee a produrre effetti protezionistici.

Secondo l’Avvocato Generale tali elementi sussistono nel caso in esame. Il regime fiscale contestato ha, innovando a quello precedente, alterato la parità fiscale sino ad allora esistente tra il vino intermedio e la birra forte e ha imposto al vino un’imposizione fiscale decisamente più elevata di quella prevista per la birra. A tali fattori si deve aggiungere la sensibilità del consumatore svedese verso gli aumenti di prezzo determinati da modifiche del regime impositivo.

 Osservazioni conclusive

Nella sentenza qui in commento la Corte di Giustizia ha confermato il sua consolidato orientamento per quanto riguarda l’interpretazione e l’applicazione dell’ art. 90 secondo comma CE, in modo particolare la metodologia da seguire per accertare la natura discriminatoria del regime fiscale nazionale. L’onere probatorio a carico della Commissione non è particolarmente rigido non richiedendosi a questa la produzione di dati statistici e econometrici al fine della dimostrazione di eventuali effetti protezionistici imputabili al regime fiscale contestato.

La prova della natura discriminatoria può essere raggiunta anche con analisi di tipo qualitativo, quando sulla base dell’apprezzamento delle caratteristiche delle misure fiscali esaminate è possibile ritenere che queste siano idonei a produrre gli effetti protezionistici vietati dall’art. 90 secondo comma CE.

Infine, è curioso notare che, sebbene la Corte e l’Avvocato Generale abbiamo applicato la stesso metodo per l’esame della natura discriminatoria del regime fiscale contestato, siano invece giunti a risultati diametralmente opposti. La Corte infatti ha escluso l’idoneità del regime a produrre effetti protezionistici, ammessa invece dall’Avvocato Generale.

La ragione per la quale  la Corte non ha aderito alle conclusione dell’ Avvocato Generale può essere forse individuata nella diversa valutazione del rapporto di proporzionalità tra i prezzi di vendita della birra e del vino prima e dopo l’imposizione delle misure fiscali contestate.  

Per l’Avvocato Generale  minore è il rapporto tra i prezzi di due prodotti in concorrenza, maggiore è il grado di sostituibilità tra questi e minore è la variazione del prezzo che determina un effetto di sostituzione con conseguenze sulla scelte dei consumatori. In altre parole, se lo scarto tra i prezzi dei prodotti in concorrenza non è ampio sarà sufficiente un aumento di prezzo determinato dal regime di tassazione anche non particolarmente elevato per dissuadere i consumatori dall’acquistare il prodotto in questione.

Nelle sue conclusioni l’Avvocato Generale aveva già indicato come la Commissione aveva dimostrato la sensibilità dei consumatori svedesi agli aumenti di prezzo imputabili all’aumento dell’accise. Per questa ragione non è possibile escludere che la normativa svedese non abbia natura discriminatoria. L’Avvocato Generale si riferisce ad un caso precedente il quale aveva ad oggetto la compatibilità con l’art. 90 secondo comma CE di una normativa belga simile a quella svedese. Anche in quella occasione la Corte aveva escluso la natura discriminatoria delle misure fiscali nazionali contestate (Corte di Giustizia CE, sentenza 9 luglio 1987, causa 356/85, Commissione/Belgio, cit.).

Ma quanto stabilito dalla Corte nel caso Commissione/Belgio, così sostiene l’Avvocato Generale, non può essere di utilità in questo caso in ragione delle differenze tra le normativa svedese e quella belga: diverso è infatti il rapporto tra lo scarto dei prezzi e l’aumento percentuale che si verifica a seguito dell’applicazione della misura fiscale contestata. Nel caso belga il rapporto tra il prezzo della birra e del vino era di 1 a 4, e l’accisa ha importato un aumento del prezzo del vino del 6,5%. Nel caso svedese, a fronte di una rapporto tra il prezzo della birra e del vino pari a 1 a 2, l’applicazione dell’accisa ha importato un aumento del prezzo del vino, pari a 5% e quindi proporzionalmente maggiore. Tanto basta all’Avvocato Generale per sostenere che la normativa svedese, a differenza di quella belga, è idonea ad avere effetti protezionistici ed è perciò incompatibile con il diritto comunitario.

Nella sentenza non vi è alcuna traccia di simili considerazioni e le argomentazioni elaborate dalla Corte sul punto sono decisamente meno analitiche. La Corte si concentra sulla differenza tra il prezzo di birra e vino prima e dopo l’applicazione delle accise. Vero è che le differenza del prezzo di birra e vino accertata nel caso Commissione/Svezia è inferiore a quella individuata nel caso Commissione/Belgio. Tuttavia, tale differenza non è rilevante per potere presumere la natura discriminatoria del regime di tassazione, perché la differenza tra le imposte applicabili a vino e birra, tenuto conto anche dello scarto esistente tra i rispettivi prezzi di vendita, non sono tali da influenzare le scelte dei consumatori.