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Assegni e riciclaggio, la prassi e la teoria

“Dal 30 aprile 2008 non vedremo più assegni liberi in circolazione”.

Con questa frase, a metà tra l’apocalittico ed il nostalgico, a seconda dei punti di vista, gli assertori della teoria che gli assegni debbano sempre più essere tracciabili, e per ciò stesso nominativi e non trasferibili, si sono sbilanciati sulla questione dell’applicazione delle nuove norme contro il riciclaggio all’indomani dell’entrata in vigore delle regole del decreto 231.

Siamo il Paese europeo che utilizza più assegni, forse è vero; siamo quello che effettua meno transazioni con moneta elettronica, che utilizza ancora molto contante.

Che ciò abbia favorito il riciclaggio non è dimostrato né facilmente dimostrabile; in America, patria del denaro di plastica, non risulta inferiore alla media, anzi la supera, l’infiltrazione di criminalità finanziaria e l’utilizzo del sistema delle transazioni bancarie per scopi di riciclaggio e finanziamento del terrorismo.  

Gli assegni sono tracciabili quantomeno quanto le carte, debbono passare per le banche per forza, sennò non si pagano, sono carta straccia.

In Italia, la normativa civilistica e quella propria in materia (risalente al 1936, e poi aggiornata con efficacia con l’introduzione della Centrale di Allarme Interbancaria), “blindano” la circolazione e la negoziazione dei titoli di credito così bene che la giurisprudenza dominante ha da sempre concesso a chi è beneficiario di un assegno le possibilità ed i diritti più ampi per riscuoterlo.

Le leggi contro il riciclaggio, sin dal 1991, hanno giustamente “limitato” l’utilizzo di tali strumenti, stabilendo delle soglie oltre le quali quelli “liberi” – ossia trasferibili illimitatamente mediante girata – dovessero diventare necessariamente nominativi e non trasferibili, onde essere incassati solo dall’effettivo beneficiario.

Con il decreto 231 del 2007, si badi bene non con la terza direttiva europea, l’Italia ha optato per un “brusco” (e unico, in Europa) abbassamento della soglia di “libertà” di emissione a euro 5000; da questa cifra (compresa) in poi, solo assegni non trasferibili, anche perché i moduli risultano già prestampati con tale clausola dalle banche o dalle poste.

Al di sotto, rimane la facoltà dell’assegno al portatore, senza clausole limitative della circolazione, a patto che si paghi una tassa e che si arricchiscano le girate con i codici fiscali dei giranti.

La mancanza o la palese erroneità di detti codici sancisce la nullità delle girate che vi si accompagnano, con la conseguenza di rendere impagabile il titolo all’ultimo prenditore.

Banche e poste stanno quindi rifiutando, dal 30 aprile mattina, assegni per importi inferiori ai 5000 euro che, con più girate, ne presentino una senza codice fiscale, invitando il giratario a recarsi presso il girante che ha omesso il predetto codice e farglielo “regolarizzare”.

Lo stesso accade se il codice è palesemente errato oppure, come precisato dal Ministero dell’Economia in una nota del 21 marzo scorso, è incompatibile con la firma di girata.

Da qui i problemi della firma illeggibile, evidentemente non risolvibili – se non ritenendo prevalente il codice fiscale apparentemente giusto sulla sottoscrizione del girante -, della firma apocrifa, della firma leggibile ma del codice fiscale mancante di un carattere o che appaia formalmente non corretto. Senza parlare degli assegni “invisibili”, quelli cioè che le banche non vedono fisicamente (secondo la nota – solo agli addetti ai lavori - procedura della “check truncation”), che a seconda degli importi, e per economia dei costi di handling e trasporto dei medesimi, non vengono regolati in stanza, ma a video attraverso i sistemi degli istituti di credito. La sola banca negoziatrice vede fisicamente il titolo (consegnatole dal cliente), la trattaria (obbligata al pagamento) no, con la conseguenza che le infrazioni alle norme suddette sarebbero rilevabili solo dalla prima, sempre che – precisa il Ministero nella nota citata – la seconda (trattaria), per non incorrere in responsabilità, “abbia certezza in ordine all’effettuazione da parte della negoziatrice di tale adempimento”.

All’evidenza, anche questa risoluzione sta creando notevoli problemi alle banche, le quali – in applicazione di detta procedura – vedono gli assegni solo su richiesta, e le trattarie ligie al dovere potrebbero di diritto chiedere alle negoziatrici di “vedere” gli assegni; in tal caso, è sin troppo ovvio che la semplificazione operativa alla base dell’invenzione di questa procedura interbancaria viene miseramente a cadere!     

Un altro problema operativo di non poco momento è dato dalla previsione legata alle girate di persone giuridiche: il MEF prescrive che la girata effettuata da queste ultime deve recare non il codice fiscale della persona fisica del girante (colui che ha il potere di firma), bensì dell’ente (società o altra figura giuridica). Orbene, si è posto allora il caso, non infrequente, che il codice fiscale delle società coincida quasi sempre (al di là di quelle di più antica costituzione) con la partita iva; quest’ultima, come noto, è una successione di numeri, mentre il codice fiscale è alfanumerico.

Quale dei due codici sarà giusto? A rigore, secondo l’interpretazione ministeriale, quello fiscale, per cui la partita iva avrebbe annullato la girata che la dovesse recare.

Onde evitare problemi di incalcolabile portata, nella bozza di testo unico da poco licenziata dalla Competente Commissione Ministeriale è presente un aggiustamento che, ad oggi, solo in via interpretativa – perché evidentemente non vigente – consentirà di uscire da questa impasse.

L’art. 50 del Testo (ex 49 del decreto 231), prevede infatti, al comma 9, che ciascuna girata deve recare, a pena di nullità, “il codice fiscale o la partita iva” del girante.

Tale previsione è di indubbia portata semplificatoria rispetto al nuovo regime di circolazione degli assegni, anche se forse sarebbe stato più semplice far apporre il codice fiscale del girante persona fisica che rappresenta (ed ha evidentemente idonea procura, nonché risulta dallo specimen di firma depositato in banca) l’ente che trasferisce il titolo.

Ma le norme della discordia, che hanno rivoluzionato il sistema di circolazione, con deroga implicita (ai limiti della costituzionalità e, comunque, come già chi scrive ha detto dalle colonne di questo giornale, in eccesso di delega) alla legge sugli assegni, stanno producendo interpretazioni a soggetto da parte del sistema degli intermediari, che rifiutano assegni regolari, impongono clausole su quelli che non le dovrebbero avere, rifiutano pagamenti di titoli con girate la cui veridicità dei rispettivi codici è difficile da verificare (anche se magari questi sono corretti).

Per non parlare degli assegni “a me medesimo”, che pur potendo essere negoziati da soggetti diversi, pena la sola sanzione pecuniaria per il trasferimento irregolare, stanno inondando le stanze della Commissione per le infrazioni valutarie del MEF, nel mentre che vengono regolarmente pagati – come si afferma nella nota del 21 marzo – all’ultimo giratario.

Urgono riflessioni e soluzioni, che il TU non può evidentemente dare; le Autorità, dopo aver sentito il mercato, sono richiamate all’ordine.

 

“Dal 30 aprile 2008 non vedremo più assegni liberi in circolazione”.

Con questa frase, a metà tra l’apocalittico ed il nostalgico, a seconda dei punti di vista, gli assertori della teoria che gli assegni debbano sempre più essere tracciabili, e per ciò stesso nominativi e non trasferibili, si sono sbilanciati sulla questione dell’applicazione delle nuove norme contro il riciclaggio all’indomani dell’entrata in vigore delle regole del decreto 231.

Siamo il Paese europeo che utilizza più assegni, forse è vero; siamo quello che effettua meno transazioni con moneta elettronica, che utilizza ancora molto contante.

Che ciò abbia favorito il riciclaggio non è dimostrato né facilmente dimostrabile; in America, patria del denaro di plastica, non risulta inferiore alla media, anzi la supera, l’infiltrazione di criminalità finanziaria e l’utilizzo del sistema delle transazioni bancarie per scopi di riciclaggio e finanziamento del terrorismo.  

Gli assegni sono tracciabili quantomeno quanto le carte, debbono passare per le banche per forza, sennò non si pagano, sono carta straccia.

In Italia, la normativa civilistica e quella propria in materia (risalente al 1936, e poi aggiornata con efficacia con l’introduzione della Centrale di Allarme Interbancaria), “blindano” la circolazione e la negoziazione dei titoli di credito così bene che la giurisprudenza dominante ha da sempre concesso a chi è beneficiario di un assegno le possibilità ed i diritti più ampi per riscuoterlo.

Le leggi contro il riciclaggio, sin dal 1991, hanno giustamente “limitato” l’utilizzo di tali strumenti, stabilendo delle soglie oltre le quali quelli “liberi” – ossia trasferibili illimitatamente mediante girata – dovessero diventare necessariamente nominativi e non trasferibili, onde essere incassati solo dall’effettivo beneficiario.

Con il decreto 231 del 2007, si badi bene non con la terza direttiva europea, l’Italia ha optato per un “brusco” (e unico, in Europa) abbassamento della soglia di “libertà” di emissione a euro 5000; da questa cifra (compresa) in poi, solo assegni non trasferibili, anche perché i moduli risultano già prestampati con tale clausola dalle banche o dalle poste.

Al di sotto, rimane la facoltà dell’assegno al portatore, senza clausole limitative della circolazione, a patto che si paghi una tassa e che si arricchiscano le girate con i codici fiscali dei giranti.

La mancanza o la palese erroneità di detti codici sancisce la nullità delle girate che vi si accompagnano, con la conseguenza di rendere impagabile il titolo all’ultimo prenditore.

Banche e poste stanno quindi rifiutando, dal 30 aprile mattina, assegni per importi inferiori ai 5000 euro che, con più girate, ne presentino una senza codice fiscale, invitando il giratario a recarsi presso il girante che ha omesso il predetto codice e farglielo “regolarizzare”.

Lo stesso accade se il codice è palesemente errato oppure, come precisato dal Ministero dell’Economia in una nota del 21 marzo scorso, è incompatibile con la firma di girata.

Da qui i problemi della firma illeggibile, evidentemente non risolvibili – se non ritenendo prevalente il codice fiscale apparentemente giusto sulla sottoscrizione del girante -, della firma apocrifa, della firma leggibile ma del codice fiscale mancante di un carattere o che appaia formalmente non corretto. Senza parlare degli assegni “invisibili”, quelli cioè che le banche non vedono fisicamente (secondo la nota – solo agli addetti ai lavori - procedura della “check truncation”), che a seconda degli importi, e per economia dei costi di handling e trasporto dei medesimi, non vengono regolati in stanza, ma a video attraverso i sistemi degli istituti di credito. La sola banca negoziatrice vede fisicamente il titolo (consegnatole dal cliente), la trattaria (obbligata al pagamento) no, con la conseguenza che le infrazioni alle norme suddette sarebbero rilevabili solo dalla prima, sempre che – precisa il Ministero nella nota citata – la seconda (trattaria), per non incorrere in responsabilità, “abbia certezza in ordine all’effettuazione da parte della negoziatrice di tale adempimento”.

All’evidenza, anche questa risoluzione sta creando notevoli problemi alle banche, le quali – in applicazione di detta procedura – vedono gli assegni solo su richiesta, e le trattarie ligie al dovere potrebbero di diritto chiedere alle negoziatrici di “vedere” gli assegni; in tal caso, è sin troppo ovvio che la semplificazione operativa alla base dell’invenzione di questa procedura interbancaria viene miseramente a cadere!     

Un altro problema operativo di non poco momento è dato dalla previsione legata alle girate di persone giuridiche: il MEF prescrive che la girata effettuata da queste ultime deve recare non il codice fiscale della persona fisica del girante (colui che ha il potere di firma), bensì dell’ente (società o altra figura giuridica). Orbene, si è posto allora il caso, non infrequente, che il codice fiscale delle società coincida quasi sempre (al di là di quelle di più antica costituzione) con la partita iva; quest’ultima, come noto, è una successione di numeri, mentre il codice fiscale è alfanumerico.

Quale dei due codici sarà giusto? A rigore, secondo l’interpretazione ministeriale, quello fiscale, per cui la partita iva avrebbe annullato la girata che la dovesse recare.

Onde evitare problemi di incalcolabile portata, nella bozza di testo unico da poco licenziata dalla Competente Commissione Ministeriale è presente un aggiustamento che, ad oggi, solo in via interpretativa – perché evidentemente non vigente – consentirà di uscire da questa impasse.

L’art. 50 del Testo (ex 49 del decreto 231), prevede infatti, al comma 9, che ciascuna girata deve recare, a pena di nullità, “il codice fiscale o la partita iva” del girante.

Tale previsione è di indubbia portata semplificatoria rispetto al nuovo regime di circolazione degli assegni, anche se forse sarebbe stato più semplice far apporre il codice fiscale del girante persona fisica che rappresenta (ed ha evidentemente idonea procura, nonché risulta dallo specimen di firma depositato in banca) l’ente che trasferisce il titolo.

Ma le norme della discordia, che hanno rivoluzionato il sistema di circolazione, con deroga implicita (ai limiti della costituzionalità e, comunque, come già chi scrive ha detto dalle colonne di questo giornale, in eccesso di delega) alla legge sugli assegni, stanno producendo interpretazioni a soggetto da parte del sistema degli intermediari, che rifiutano assegni regolari, impongono clausole su quelli che non le dovrebbero avere, rifiutano pagamenti di titoli con girate la cui veridicità dei rispettivi codici è difficile da verificare (anche se magari questi sono corretti).

Per non parlare degli assegni “a me medesimo”, che pur potendo essere negoziati da soggetti diversi, pena la sola sanzione pecuniaria per il trasferimento irregolare, stanno inondando le stanze della Commissione per le infrazioni valutarie del MEF, nel mentre che vengono regolarmente pagati – come si afferma nella nota del 21 marzo – all’ultimo giratario.

Urgono riflessioni e soluzioni, che il TU non può evidentemente dare; le Autorità, dopo aver sentito il mercato, sono richiamate all’ordine.