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Le sanzioni amministrative. La giurisprudenza delle Sezioni Civili della Corte di Cassazione

Non sono moltissime le pronunce del 2007 sui principi generali in materia di sanzioni amministrative che abbiano carattere di particolare novità; in giurisprudenza si segnala un trend di sostanziale consolidamento delle indicazioni dei precedenti anni.

Interessanti appaiono, soprattutto, alcune pronunce della Suprema Corte su fattispecie sanzionatorie amministrative riguardanti non la tradizionale materia del codice della strada, ma quelle dei mercati mobiliari e della legislazione cosiddetta antiriciclaggio.

Prendendo le mosse dai principi generali contenuti nel capo I, sezione I, della legge 689 del 1981, va segnalata la sentenza n. 11826 che nel ribadire il principio di legalità di cui all’art. 1 della 689, ha escluso, di conseguenza, che una circolare esplicativa di una legge possa estendere l’applicazione della sanzione ad una condotta non prevista dalla legge medesima; nella specie, i Supremi giudici hanno ritenuto che, siccome l’art. 23 del decreto legislativo n. 46 del 1997 sanziona soltanto l’immissione o la messa in servizio di dispositivi medici “privi della marcatura CE o dell’attestato di conformità”, non è punibile l’inosservanza da parte dei medici dentisti dell’obbligo, previsto da una circolare del ministero della salute, di consegnare ai pazienti, all’esito dell’applicazione di dispositivi odontoiatrici su misura, la dichiarazione di conformità CE degli apparecchi medesimi.

Sia pure indirettamente connessa con il principio di legalità, è la sentenza n. 11125 che ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 4 del decreto legge n. 370 del 1987 convertito in legge n. 460 del 1987, nella parte in cui prevede un’identica sanzione pecuniaria per le inosservanze delle disposizioni contenute nei regolamenti comunitari in materia agricola.

Con riguardo all’elemento psicologico dell’illecito amministrativo, regolato dall’art. 3 della legge n. 689 del 1981, la sentenza n. 13610, pur ribadendo il consolidato e particolarmente rigoroso orientamento della “presunzione di colpa in ordine al fatto vietato a carico di chi lo ha commesso, riservando poi a questi l’onere di provare di aver agito senza colpa” ha significativamente aperto in ordine alla rilevanza dell’error iuris. Ha, infatti, ritenuto - al pari di quanto avviene in diritto penale dopo la famosa sentenza n. 354 del 1988 con cui la Corte Costituzionale ha dichiarato parzialmente illegittimo l’art. 5 del c.p. - , che può essere invocata la buona fede come causa di esclusione della responsabilità amministrativa, quando sussistano elementi positivi idonei ad ingenerare nell’autore della violazione il convincimento della liceità della sua condotta e risulti che il trasgressore abbia fatto tutto quanto possibile per conformarsi al precetto di legge, onde nessun rimprovero possa essergli mosso.

Con riferimento al tema della solidarietà ex art. 6 l. 689 del 1981, la sentenza n. 12264 ha significativamente evidenziato come la responsabilità solidale delle società o degli enti in genere - prevista in funzione di garanzia del pagamento della somma dovuta dall’autore della violazione ed anche con la finalità di sollecitare la vigilanza delle persone e degli enti chiamati a rispondere del fatto altrui - per gli illeciti commessi dai legali rappresentanti o dipendenti, richieda, quale criterio d’imputazione, che l’illecito sia stato commesso dalla persona fisica nell’esercizio delle proprie funzioni o incombenze, e non anche che il dipendente abbia operato nell’interesse dell’ente.

La sentenza n. 5880, prendendo le mosse dal principio di in trasmissibilità dell’obbligazione ai sensi dell’art. 7 l. 689 del 1981, ha ribadito che la morte dell’autore di una violazione amministrativa comporta, sul piano sostanziale, l’estinzione dell’obbligazione di pagare la sanzione pecuniaria e, su quello processuale, la cessazione della materia del contendere che può essere pronunciata anche dalla Corte di cassazione, pur in mancanza di esplicita previsione processuale.

Trattando dell’istituto della continuazione, previsto dall’art. 8 l. 689 del 1981, la sentenza n. 5204 ha precisato che esso è applicabile solo nel caso in cui, con più azioni od omissioni, risultino violate le norme sanzionatorie in materia di assistenza e previdenza obbligatoria ed è, pertanto, da escludersi in caso di emissione di più assegni bancari senza provvista o senza autorizzazione.

Alcune interessanti pronunce hanno affrontato i temi relativi ai principi generali contenuti nella sezione II della legge n. 689 del 1981 che si occupa dell’applicazione della sanzione amministrativa.

La sentenza n. 5199, in conformità al disposto dell’art. 13 legge n. 689 del 1981, ha affermato che gli ufficiali e gli agenti di polizia municipale, in quanto organi di polizia giudiziaria con competenza estesa su tutto il territorio comunale, hanno il potere di accertare le violazioni in materia di circolazione stradale punite con sanzioni amministrative in tale territorio e solo nell’ambito di esso.

Sempre in tema di accertamento e successiva contestazione degli illeciti in materia di circolazione stradale, la sentenza n. 1414 ha evidenziato - anche sulla scorta dell’art. 385 del regolamento di attuazione del nuovo codice della strada (Decreto del Presidente della Repubblica n. 495 del 1992) - che il fatto che il verbale sia stato compilato da un agente diverso da quello che ha proceduto al rilevamento dell’infrazione non incide sulla validità della constatazione.

Particolarmente interessante è l’affermazione della sentenza n. 9311 secondo cui l’attività di accertamento dell’illecito non coincide con il momento in cui viene acquisito il “fatto” nella sua materialità, ma è comprensiva del tempo necessario alla valutazione dei dati acquisiti e afferenti anche agli elementi (oggettivi e soggettivi) dell’infrazione. Da questo momento decorre il dies a quo, di cui all’art. 14 legge n. 689 del 1981, per effettuare la contestazione e sarà compito del giudice di merito – con giudizio sindacabile, in sede di legittimità, solo sotto il profilo del vizio di motivazione - verificare quale sia il tempo ragionevolmente necessario all’Amministrazione per giungere a una completa conoscenza del fatto illecito; in ossequio al principio, è stata cassata la sentenza di merito che aveva annullato, in quanto emesso tardivamente, il provvedimento del Ministero del Tesoro, irrogativo di sanzioni amministrative a carico di un direttore di filiale bancaria e della banca, per omessa segnalazione di alcune operazioni finanziarie, senza valutare adeguatamente la complessità delle indagini in materia di riciclaggio.

La sentenza n. 12693, occupandosi, invece, dell’istituto dell’analisi su campione previsto dall’art. 15 legge n. 689 del 1981, ha enucleato il principio secondo cui il mancato esercizio della facoltà di richiedere la revisione dei risultati delle analisi, con lettera raccomandata, da parte dell’interessato rende incontestabili i risultati medesimi.

Con riferimento al diritto del presunto trasgressore al contraddittorio, si segnala la sentenza n. 4019 per la quale la convocazione della parte interessata che ne abbia fatto richiesta con il ricorso costituisce per l’Amministrazione, ai sensi dell’art. 18 legge n. 689 del 1981, un obbligo posto a garanzia dei diritti di difesa del privato, e l’eventuale omissione vizia il procedimento, rendendo illegittima l’ordinanza-ingiunzione emanata a conclusione di esso; tuttavia, tale l’illegittimità va dedotta dall’interessato, tra i motivi del ricorso in opposizione, ed il giudice non può rilevarla d’ufficio.

In tema di ordinanza-ingiunzione appaiono meritevoli di menzione tre sentenze; la n. 871 ritiene che l’ordinanza possa essere motivata per relationem con il richiamo al verbale di accertamento e contestazione quando il privato, nelle sue deduzioni, si sia limitato a far riferimento a fatti già presi in considerazione nel verbale medesimo; se, invece, siano allegati fatti nuovi e diversi, l’obbligo di motivazione impone di prendere in esame tali deduzioni, illustrando le ragioni del loro eventuale mancato accoglimento; la n. 6638 ritiene legittimo per l’autorità amministrativa, al momento dell’emissione dell’ordinanza ingiunzione, il mutamento dei termini della contestazione che riguardi soltanto la qualificazione giuridica del fatto oggetto dell’accertamento; in tal caso, infatti, non si verifica alcuna violazione del diritto di difesa, mantenendo il trasgressore la possibilità di contestare l’addebito, in relazione all’unico fatto materiale accertato nel rispetto delle garanzie del contraddittorio; la sentenza n. 143, infine, che con riferimento alle infrazioni omissive e/o commissive di carattere permanente, riconosce alla notifica dell’ordinanza ingiunzione – analogamente alla sentenza penale di primo grado relativa al reato permanente – la capacità di interrompere la permanenza.

Quanto alle norme che riguardano il procedimento che si instaura a seguito di proposizione da parte dell’interessato di opposizione all’ordinanza-ingiunzione, la sentenza n. 325 ha evidenziato come legittimato all’opposizione sia esclusivamente il destinatario dell’ingiunzione e non sia consentita la partecipazione al giudizio di soggetti diversi dall’amministrazione ingiungente e dall’ingiunto, mentre il fatto di essere esposto ad una eventuale azione di regresso integra un semplice interesse di fatto che non trova tutela nel giudizio in esame.

La sentenza n. 5277 ha, poi, precisato che nel procedimento di opposizione al provvedimento irrogativo di una sanzione amministrativa pecuniaria, l’Amministrazione, pur essendo formalmente convenuta in giudizio, assume sostanzialmente la veste di attrice e spetta, quindi, ad essa, ai sensi dell’art. 2697 c.c., fornire la prova dell’esistenza degli elementi di fatto integranti la violazione contestata e della loro riferibilità all’intimato, mentre compete all’opponente, che assume di fatto la veste di convenuto, la prova dei fatti impeditivi o estintivi.

Secondo la sentenza n. 4385, la decisione che conclude il procedimento di opposizione la cui motivazione consiste nel solo richiamo ai verbali di contestazione va considerata nulla perché non consente di comprendere l’iter argomentativo sottostante.

La sentenza n. 6415 precisa che nel giudizio di opposizione che si conclude con la convalida del provvedimento impugnato, con l’ordinanza di cui al comma 5 dell’art. 23 legge n. 689 del 1981, qualora l’opponente non sia comparso alla prima udienza e non abbia fatto pervenire tempestiva notizia di un suo legittimo impedimento, è necessario che il giudice dia atto di aver valutato la documentazione prodotta e di averne tratto il convincimento della non manifesta illegittimità del provvedimento stesso in relazione alle censure mosse dall’opponente, senza necessità di specifica puntuale disamina in ordine a ciascuna delle doglianze mosse. Una motivazione che risponda ai riferiti requisiti minimi indicati, non può essere sindacata, in sede di legittimità, sotto il profilo della completezza valutativa o della sua esattezza.

La sentenza n. 5871 puntualizza, poi, che è ammessa l’opposizione, ai sensi della legge n. 689 del 1981, avverso una cartella esattoriale emessa per la riscossione di sanzioni amministrative pecuniarie solo quando la parte deduca che essa costituisce il primo atto con il quale è venuta a conoscenza della sanzione irrogatale, perché è mancata la notificazione dell’ordinanza-ingiunzione o del processo verbale di contestazione; in tal modo, infatti, l’opposizione consente all’interessato di recuperare il mezzo di tutela previsto dalla legge; se, invece, il destinatario voglia contestare l’esistenza del titolo esecutivo può esperire l’opposizione all’esecuzione ex art. 615 ovvero, se intenda dedurre vizi formali della cartella, l’opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.pc..

Quanto all’esame della casistica relativa all’applicazione delle sanzioni amministrative, si segnala la sentenza n. 12826 secondo cui l’attività di bagarinaggio non rientra nel concetto di “agenzia di affari”, per il cui esercizio è necessaria la licenza prevista dall’art. 115 del T.U.L.P.S., in quanto non è strumentale all’intermediazione nella conclusione di affari altrui, nè consta di una organizzazione finalizzata allo svolgimento continuativo e professionale di tale attività di intermediazione e non è, quindi, per essa irrogabile alcuna sanzione amministrativa.

La sentenza n. 4203, in materia di finanziamento illecito ai partiti, ha indicato come competente ad irrogare la sanzione amministrativa per la violazione di legge sanzionata dall’art. 4 della legge 659/81 - omessa comunicazione della dichiarazione congiunta di erogazione di finanziamenti o contributi di cui alla legge medesima - esclusivamente il Prefetto di Roma, dovendosi ritenere che nella Capitale si verifica l’inadempimento dell’obbligo di comunicazione.

In tema di sanzioni amministrative per violazione della normativa antiriciclaggio, la sentenza n. 8698 ha sancito che il divieto posto dall’art. 1 decreto legge 143/91, conv. in legge 197/91, di trasferire denaro contante e titoli al portatore per importi superiori a lire 20.000.000 (ora euro 12.500) senza il tramite di intermediari abilitati, fa riferimento al valore dell’intera operazione economica alla quale il trasferimento è funzionale e si applica anche quando detto trasferimento si sia realizzato mediante il compimento di più operazioni, ciascuna di valore inferiore o pari al massimo consentito.

Con riferimento, invece, al tema delle sanzioni amministrative previste per la violazione delle norme che disciplinano l’attività di intermediazione finanziaria, si segnalano due decisioni di interesse; per la n. 5395 la distinzione tra gli organi della CONSOB, deputati, rispettivamente, alla constatazione ed alla valutazione dei fatti costituenti violazioni amministrative, è ininfluente ai fini della decorrenza del termine da rispettare per la contestazione degli illeciti, che va individuata nel giorno in cui la Commissione in composizione collegiale, dopo l’esaurimento dell’attività ispettiva e di quella istruttoria, è in grado di adottare le decisioni di sua competenza, senza che si possa tenere conto di ingiustificati ritardi, derivanti da disfunzioni burocratiche o artificiose protrazioni nello svolgimento dei compiti assegnati ai suddetti organi;

secondo, invece, la n. 4873, che sull’argomento è andata di contrario avviso ad una decisione del 2005 (la n. 5099), il procedimento di irrogazione delle sanzioni amministrative previste in tema di intermediazione finanziaria, disciplinato dall’art. 195 del decreto legislativo n. 58 del 1998, il termine di centottanta giorni per la formulazione da parte della Consob della proposta sanzionatoria – stabilito dal regolamento Consob n. 12697 del 2000 – non ha natura perentoria né l’emissione della proposta sanzionatoria oltre il predetto termine presenta, per questo solo fatto, profili di illegittimità, attesa la inidoneità del regolamento interno a modificare le disposizioni sul procedimento di irrogazione delle sanzioni amministrative dettate dalla legge n. 689 del 1981.

Con riferimento, infine, alle sanzioni amministrative previste dal codice della strada vanno ricordate due pronunce.

La n. 116 ha affermato che in ipotesi di irrogazione di sanzione pecuniaria per la sosta di autoveicolo nelle zone di parcheggio a pagamento (c.d. “strisce blu”) senza l’esposizione del tagliando attestante il pagamento delle somme dovute per la sosta, il controllo del giudice ordinario nel giudizio di opposizione in ordine ai verbali di accertamento e di contestazione, se resta escluso con riguardo alle valutazioni di merito attinenti all’esercizio del potere discrezionale dell’amministrazione, deve ritenersi consentito con riguardo agli eventuali vizi di legittimità del provvedimento medesimo (sia pure al limitato fine della sua disapplicazione), come quello consistente nella violazione dell’obbligo di istituire zone di parcheggio gratuito e libero in prossimità di aree in cui venga vietata la sosta o previsto il parcheggio solo a

pagamento.

La n. 10650 ha, invece, stabilito che nel caso in cui ad una violazione del codice della strada consegua anche la sanzione accessoria dell’obbligo di ripristino dello stato dei luoghi o di rimozione delle opere abusive da eseguire entro un determinato termine, nell’ipotesi di inottemperanza del trasgressore l’ordinanza-ingiunzione emessa dal Prefetto nei suoi confronti per il rimborso delle spese sostenute dall’amministrazione per il ripristino dei luoghi o la rimozione delle opere è un provvedimento funzionalmente collegato a quello impositivo della sanzione accessoria rimasto ineseguito e, quindi, opponibile nelle forme previste dagli artt. 22 e 23 della legge n. 689 del 1981.

Non sono moltissime le pronunce del 2007 sui principi generali in materia di sanzioni amministrative che abbiano carattere di particolare novità; in giurisprudenza si segnala un trend di sostanziale consolidamento delle indicazioni dei precedenti anni.

Interessanti appaiono, soprattutto, alcune pronunce della Suprema Corte su fattispecie sanzionatorie amministrative riguardanti non la tradizionale materia del codice della strada, ma quelle dei mercati mobiliari e della legislazione cosiddetta antiriciclaggio.

Prendendo le mosse dai principi generali contenuti nel capo I, sezione I, della legge 689 del 1981, va segnalata la sentenza n. 11826 che nel ribadire il principio di legalità di cui all’art. 1 della 689, ha escluso, di conseguenza, che una circolare esplicativa di una legge possa estendere l’applicazione della sanzione ad una condotta non prevista dalla legge medesima; nella specie, i Supremi giudici hanno ritenuto che, siccome l’art. 23 del decreto legislativo n. 46 del 1997 sanziona soltanto l’immissione o la messa in servizio di dispositivi medici “privi della marcatura CE o dell’attestato di conformità”, non è punibile l’inosservanza da parte dei medici dentisti dell’obbligo, previsto da una circolare del ministero della salute, di consegnare ai pazienti, all’esito dell’applicazione di dispositivi odontoiatrici su misura, la dichiarazione di conformità CE degli apparecchi medesimi.

Sia pure indirettamente connessa con il principio di legalità, è la sentenza n. 11125 che ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 4 del decreto legge n. 370 del 1987 convertito in legge n. 460 del 1987, nella parte in cui prevede un’identica sanzione pecuniaria per le inosservanze delle disposizioni contenute nei regolamenti comunitari in materia agricola.

Con riguardo all’elemento psicologico dell’illecito amministrativo, regolato dall’art. 3 della legge n. 689 del 1981, la sentenza n. 13610, pur ribadendo il consolidato e particolarmente rigoroso orientamento della “presunzione di colpa in ordine al fatto vietato a carico di chi lo ha commesso, riservando poi a questi l’onere di provare di aver agito senza colpa” ha significativamente aperto in ordine alla rilevanza dell’error iuris. Ha, infatti, ritenuto - al pari di quanto avviene in diritto penale dopo la famosa sentenza n. 354 del 1988 con cui la Corte Costituzionale ha dichiarato parzialmente illegittimo l’art. 5 del c.p. - , che può essere invocata la buona fede come causa di esclusione della responsabilità amministrativa, quando sussistano elementi positivi idonei ad ingenerare nell’autore della violazione il convincimento della liceità della sua condotta e risulti che il trasgressore abbia fatto tutto quanto possibile per conformarsi al precetto di legge, onde nessun rimprovero possa essergli mosso.

Con riferimento al tema della solidarietà ex art. 6 l. 689 del 1981, la sentenza n. 12264 ha significativamente evidenziato come la responsabilità solidale delle società o degli enti in genere - prevista in funzione di garanzia del pagamento della somma dovuta dall’autore della violazione ed anche con la finalità di sollecitare la vigilanza delle persone e degli enti chiamati a rispondere del fatto altrui - per gli illeciti commessi dai legali rappresentanti o dipendenti, richieda, quale criterio d’imputazione, che l’illecito sia stato commesso dalla persona fisica nell’esercizio delle proprie funzioni o incombenze, e non anche che il dipendente abbia operato nell’interesse dell’ente.

La sentenza n. 5880, prendendo le mosse dal principio di in trasmissibilità dell’obbligazione ai sensi dell’art. 7 l. 689 del 1981, ha ribadito che la morte dell’autore di una violazione amministrativa comporta, sul piano sostanziale, l’estinzione dell’obbligazione di pagare la sanzione pecuniaria e, su quello processuale, la cessazione della materia del contendere che può essere pronunciata anche dalla Corte di cassazione, pur in mancanza di esplicita previsione processuale.

Trattando dell’istituto della continuazione, previsto dall’art. 8 l. 689 del 1981, la sentenza n. 5204 ha precisato che esso è applicabile solo nel caso in cui, con più azioni od omissioni, risultino violate le norme sanzionatorie in materia di assistenza e previdenza obbligatoria ed è, pertanto, da escludersi in caso di emissione di più assegni bancari senza provvista o senza autorizzazione.

Alcune interessanti pronunce hanno affrontato i temi relativi ai principi generali contenuti nella sezione II della legge n. 689 del 1981 che si occupa dell’applicazione della sanzione amministrativa.

La sentenza n. 5199, in conformità al disposto dell’art. 13 legge n. 689 del 1981, ha affermato che gli ufficiali e gli agenti di polizia municipale, in quanto organi di polizia giudiziaria con competenza estesa su tutto il territorio comunale, hanno il potere di accertare le violazioni in materia di circolazione stradale punite con sanzioni amministrative in tale territorio e solo nell’ambito di esso.

Sempre in tema di accertamento e successiva contestazione degli illeciti in materia di circolazione stradale, la sentenza n. 1414 ha evidenziato - anche sulla scorta dell’art. 385 del regolamento di attuazione del nuovo codice della strada (Decreto del Presidente della Repubblica n. 495 del 1992) - che il fatto che il verbale sia stato compilato da un agente diverso da quello che ha proceduto al rilevamento dell’infrazione non incide sulla validità della constatazione.

Particolarmente interessante è l’affermazione della sentenza n. 9311 secondo cui l’attività di accertamento dell’illecito non coincide con il momento in cui viene acquisito il “fatto” nella sua materialità, ma è comprensiva del tempo necessario alla valutazione dei dati acquisiti e afferenti anche agli elementi (oggettivi e soggettivi) dell’infrazione. Da questo momento decorre il dies a quo, di cui all’art. 14 legge n. 689 del 1981, per effettuare la contestazione e sarà compito del giudice di merito – con giudizio sindacabile, in sede di legittimità, solo sotto il profilo del vizio di motivazione - verificare quale sia il tempo ragionevolmente necessario all’Amministrazione per giungere a una completa conoscenza del fatto illecito; in ossequio al principio, è stata cassata la sentenza di merito che aveva annullato, in quanto emesso tardivamente, il provvedimento del Ministero del Tesoro, irrogativo di sanzioni amministrative a carico di un direttore di filiale bancaria e della banca, per omessa segnalazione di alcune operazioni finanziarie, senza valutare adeguatamente la complessità delle indagini in materia di riciclaggio.

La sentenza n. 12693, occupandosi, invece, dell’istituto dell’analisi su campione previsto dall’art. 15 legge n. 689 del 1981, ha enucleato il principio secondo cui il mancato esercizio della facoltà di richiedere la revisione dei risultati delle analisi, con lettera raccomandata, da parte dell’interessato rende incontestabili i risultati medesimi.

Con riferimento al diritto del presunto trasgressore al contraddittorio, si segnala la sentenza n. 4019 per la quale la convocazione della parte interessata che ne abbia fatto richiesta con il ricorso costituisce per l’Amministrazione, ai sensi dell’art. 18 legge n. 689 del 1981, un obbligo posto a garanzia dei diritti di difesa del privato, e l’eventuale omissione vizia il procedimento, rendendo illegittima l’ordinanza-ingiunzione emanata a conclusione di esso; tuttavia, tale l’illegittimità va dedotta dall’interessato, tra i motivi del ricorso in opposizione, ed il giudice non può rilevarla d’ufficio.

In tema di ordinanza-ingiunzione appaiono meritevoli di menzione tre sentenze; la n. 871 ritiene che l’ordinanza possa essere motivata per relationem con il richiamo al verbale di accertamento e contestazione quando il privato, nelle sue deduzioni, si sia limitato a far riferimento a fatti già presi in considerazione nel verbale medesimo; se, invece, siano allegati fatti nuovi e diversi, l’obbligo di motivazione impone di prendere in esame tali deduzioni, illustrando le ragioni del loro eventuale mancato accoglimento; la n. 6638 ritiene legittimo per l’autorità amministrativa, al momento dell’emissione dell’ordinanza ingiunzione, il mutamento dei termini della contestazione che riguardi soltanto la qualificazione giuridica del fatto oggetto dell’accertamento; in tal caso, infatti, non si verifica alcuna violazione del diritto di difesa, mantenendo il trasgressore la possibilità di contestare l’addebito, in relazione all’unico fatto materiale accertato nel rispetto delle garanzie del contraddittorio; la sentenza n. 143, infine, che con riferimento alle infrazioni omissive e/o commissive di carattere permanente, riconosce alla notifica dell’ordinanza ingiunzione – analogamente alla sentenza penale di primo grado relativa al reato permanente – la capacità di interrompere la permanenza.

Quanto alle norme che riguardano il procedimento che si instaura a seguito di proposizione da parte dell’interessato di opposizione all’ordinanza-ingiunzione, la sentenza n. 325 ha evidenziato come legittimato all’opposizione sia esclusivamente il destinatario dell’ingiunzione e non sia consentita la partecipazione al giudizio di soggetti diversi dall’amministrazione ingiungente e dall’ingiunto, mentre il fatto di essere esposto ad una eventuale azione di regresso integra un semplice interesse di fatto che non trova tutela nel giudizio in esame.

La sentenza n. 5277 ha, poi, precisato che nel procedimento di opposizione al provvedimento irrogativo di una sanzione amministrativa pecuniaria, l’Amministrazione, pur essendo formalmente convenuta in giudizio, assume sostanzialmente la veste di attrice e spetta, quindi, ad essa, ai sensi dell’art. 2697 c.c., fornire la prova dell’esistenza degli elementi di fatto integranti la violazione contestata e della loro riferibilità all’intimato, mentre compete all’opponente, che assume di fatto la veste di convenuto, la prova dei fatti impeditivi o estintivi.

Secondo la sentenza n. 4385, la decisione che conclude il procedimento di opposizione la cui motivazione consiste nel solo richiamo ai verbali di contestazione va considerata nulla perché non consente di comprendere l’iter argomentativo sottostante.

La sentenza n. 6415 precisa che nel giudizio di opposizione che si conclude con la convalida del provvedimento impugnato, con l’ordinanza di cui al comma 5 dell’art. 23 legge n. 689 del 1981, qualora l’opponente non sia comparso alla prima udienza e non abbia fatto pervenire tempestiva notizia di un suo legittimo impedimento, è necessario che il giudice dia atto di aver valutato la documentazione prodotta e di averne tratto il convincimento della non manifesta illegittimità del provvedimento stesso in relazione alle censure mosse dall’opponente, senza necessità di specifica puntuale disamina in ordine a ciascuna delle doglianze mosse. Una motivazione che risponda ai riferiti requisiti minimi indicati, non può essere sindacata, in sede di legittimità, sotto il profilo della completezza valutativa o della sua esattezza.

La sentenza n. 5871 puntualizza, poi, che è ammessa l’opposizione, ai sensi della legge n. 689 del 1981, avverso una cartella esattoriale emessa per la riscossione di sanzioni amministrative pecuniarie solo quando la parte deduca che essa costituisce il primo atto con il quale è venuta a conoscenza della sanzione irrogatale, perché è mancata la notificazione dell’ordinanza-ingiunzione o del processo verbale di contestazione; in tal modo, infatti, l’opposizione consente all’interessato di recuperare il mezzo di tutela previsto dalla legge; se, invece, il destinatario voglia contestare l’esistenza del titolo esecutivo può esperire l’opposizione all’esecuzione ex art. 615 ovvero, se intenda dedurre vizi formali della cartella, l’opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.pc..

Quanto all’esame della casistica relativa all’applicazione delle sanzioni amministrative, si segnala la sentenza n. 12826 secondo cui l’attività di bagarinaggio non rientra nel concetto di “agenzia di affari”, per il cui esercizio è necessaria la licenza prevista dall’art. 115 del T.U.L.P.S., in quanto non è strumentale all’intermediazione nella conclusione di affari altrui, nè consta di una organizzazione finalizzata allo svolgimento continuativo e professionale di tale attività di intermediazione e non è, quindi, per essa irrogabile alcuna sanzione amministrativa.

La sentenza n. 4203, in materia di finanziamento illecito ai partiti, ha indicato come competente ad irrogare la sanzione amministrativa per la violazione di legge sanzionata dall’art. 4 della legge 659/81 - omessa comunicazione della dichiarazione congiunta di erogazione di finanziamenti o contributi di cui alla legge medesima - esclusivamente il Prefetto di Roma, dovendosi ritenere che nella Capitale si verifica l’inadempimento dell’obbligo di comunicazione.

In tema di sanzioni amministrative per violazione della normativa antiriciclaggio, la sentenza n. 8698 ha sancito che il divieto posto dall’art. 1 decreto legge 143/91, conv. in legge 197/91, di trasferire denaro contante e titoli al portatore per importi superiori a lire 20.000.000 (ora euro 12.500) senza il tramite di intermediari abilitati, fa riferimento al valore dell’intera operazione economica alla quale il trasferimento è funzionale e si applica anche quando detto trasferimento si sia realizzato mediante il compimento di più operazioni, ciascuna di valore inferiore o pari al massimo consentito.

Con riferimento, invece, al tema delle sanzioni amministrative previste per la violazione delle norme che disciplinano l’attività di intermediazione finanziaria, si segnalano due decisioni di interesse; per la n. 5395 la distinzione tra gli organi della CONSOB, deputati, rispettivamente, alla constatazione ed alla valutazione dei fatti costituenti violazioni amministrative, è ininfluente ai fini della decorrenza del termine da rispettare per la contestazione degli illeciti, che va individuata nel giorno in cui la Commissione in composizione collegiale, dopo l’esaurimento dell’attività ispettiva e di quella istruttoria, è in grado di adottare le decisioni di sua competenza, senza che si possa tenere conto di ingiustificati ritardi, derivanti da disfunzioni burocratiche o artificiose protrazioni nello svolgimento dei compiti assegnati ai suddetti organi;

secondo, invece, la n. 4873, che sull’argomento è andata di contrario avviso ad una decisione del 2005 (la n. 5099), il procedimento di irrogazione delle sanzioni amministrative previste in tema di intermediazione finanziaria, disciplinato dall’art. 195 del decreto legislativo n. 58 del 1998, il termine di centottanta giorni per la formulazione da parte della Consob della proposta sanzionatoria – stabilito dal regolamento Consob n. 12697 del 2000 – non ha natura perentoria né l’emissione della proposta sanzionatoria oltre il predetto termine presenta, per questo solo fatto, profili di illegittimità, attesa la inidoneità del regolamento interno a modificare le disposizioni sul procedimento di irrogazione delle sanzioni amministrative dettate dalla legge n. 689 del 1981.

Con riferimento, infine, alle sanzioni amministrative previste dal codice della strada vanno ricordate due pronunce.

La n. 116 ha affermato che in ipotesi di irrogazione di sanzione pecuniaria per la sosta di autoveicolo nelle zone di parcheggio a pagamento (c.d. “strisce blu”) senza l’esposizione del tagliando attestante il pagamento delle somme dovute per la sosta, il controllo del giudice ordinario nel giudizio di opposizione in ordine ai verbali di accertamento e di contestazione, se resta escluso con riguardo alle valutazioni di merito attinenti all’esercizio del potere discrezionale dell’amministrazione, deve ritenersi consentito con riguardo agli eventuali vizi di legittimità del provvedimento medesimo (sia pure al limitato fine della sua disapplicazione), come quello consistente nella violazione dell’obbligo di istituire zone di parcheggio gratuito e libero in prossimità di aree in cui venga vietata la sosta o previsto il parcheggio solo a

pagamento.

La n. 10650 ha, invece, stabilito che nel caso in cui ad una violazione del codice della strada consegua anche la sanzione accessoria dell’obbligo di ripristino dello stato dei luoghi o di rimozione delle opere abusive da eseguire entro un determinato termine, nell’ipotesi di inottemperanza del trasgressore l’ordinanza-ingiunzione emessa dal Prefetto nei suoi confronti per il rimborso delle spese sostenute dall’amministrazione per il ripristino dei luoghi o la rimozione delle opere è un provvedimento funzionalmente collegato a quello impositivo della sanzione accessoria rimasto ineseguito e, quindi, opponibile nelle forme previste dagli artt. 22 e 23 della legge n. 689 del 1981.