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Appunti sulla divisione del testatore

Rapporti fra gli articoli 734 e 735 Codice Civile

ART. 735 C.C. E ALTRI PROBLEMI SULLA DIVISIONE DEL TESTATORE.

In questo scritto ci si soffermerà sugli aspetti più rilevanti, soprattutto a livello pratico, posti dall’analisi degli artt. 734 e 735 c.c. in tema di divisione del testatore, che rappresenta uno degli istituti e strumenti tecnici più importanti per l’esplicazione dell’autonomia del testatore. Quest’ultimo, infatti, attraverso la divisione dei propri beni fra gli eredi, può liberamente formare le porzioni concrete spettanti ai propri successori, formando anche la porzione concreta spettante ai legittimari (questo sembra il senso da attribuire all’espressione di cui all’art. 734 co. 1 c.c. “comprendendo nella divisione anche la parte non disponibile”).

Iniziamo, nell’analisi, dal 1° comma dell’art. 735 c.c., che prevede la nullità della divisione effettuata dal testatore, nella quale, quest’ultimo, non abbia compreso qualcuno dei legittimari o degli eredi istituiti nel testamento.

a) GIUSTIFICAZIONE DELLA NULLITA’. Secondo l’opinione prevalente, la nullità dell’art. 735 c.1 c.c., in caso di preterizione di uno dei legittimari o degli eredi istituiti, si giustifica in quanto ogni divisione (compresa quella effettuata dal testatore) per poter realizzare la sua funzione di apporzionamento di tutti i condividenti, richiede la necessaria partecipazione di tutti gli aventi diritto. La mancanza di alcuno di essi non consente alla divisione di realizzare la sua funzione, e, pertanto,  si ha un difetto originario della causa che dà luogo, conformemente ai principi generali, alla nullità ex art. 1418 co.2 c.c.. Se, infatti, per poter sciogliere la comunione, occorre che tutti i comunisti siano apporzionati, cioè siano attribuiti a ciascuno di essi valori corrispondenti alla quota di diritto loro spettante, la mancanza di qualcuno dei condividenti determina la mancanza della causa stessa.

b) CONCETTO DI PRETERIZIONE. La preterizione riguarda la divisione e non l’istituzione, per espressa disposizione legislativa dell’art. 735 c.c. (“La divisione nella quale il testatore non abbia compreso qualcuno dei legittimari o degli eredi istituiti è nulla”). Una prima tesi minoritaria (sostenuta da Casulli e Cicu) ritiene che, per aversi nullità, occorra il semplice mancato apporzionamento di uno dei legittimari o degli eredi istituiti nel testamento. Es. Istituisco eredi in quote uguali i miei figli Primo, Secondo e Terzo e poi divido una parte dei miei beni solo a Primo e Secondo, omettendo nel riparto Terzo. In questo caso, la divisione sarebbe sempre nulla tout court (tesi della preterizione in senso formale). 

Una seconda tesi, prevalente in dottrina, e preferibile, ritiene che si abbia nullità ex art. 735 co. 1 solo in caso di preterizione sostanziale, cioè solo quando all’erede istituito o al legittimario (non istituito) non siano lasciati beni residui di valore corrispondente a quello della quota loro spettante. Questa tesi si basa sulle conseguenze assurde cui si giungerebbe considerando la preterizione in senso formale. Ad es., se l’erede fosse stato istituito, ma apporzionato in misura inferiore al quarto rispetto alla quota di diritto a lui spettante, egli non potrebbe agire contro la divisione neppure per farla rescindere, ai sensi dell’art. 763 co. 2 c.c.. Se, invece, lo stesso erede non fosse stato istituito, ma gli fossero stati lasciati, fuori dall’apporzionamento testamentario, beni di valore inferiore ad un quarto rispetto alla sua quota di diritto (es. come successore legittimo), lo stesso erede potrebbe far dichiarare nulla la divisione. Inoltre, nella preterizione sostanziale, per ragioni di giustizia sostanziale, occorre considerare come legittimari pretermessi solo quelli che non siano stati già tacitati, precedentemente alla divisione, nella loro quota di riserva con donazioni in conto di legittima o con legati in sostituzione ex art. 551 c.c..

Una terza tesi (Mengoni L., La Divisione testamentaria, Milano 1950, pg. 103 ss., in particolare p.109), accoglie il concetto di preterizione sostanziale, ma solo per l’institutio ex re certa ex art. 588 c.c., cioè solo quando il testatore abbia distribuito parte dei suoi beni in funzione di quota senza predeterminazione delle quote di diritto. Qualora, invece, vi fosse la predeterminazione di quote e il testatore avesse determinato quote che, sommate tra loro, raggiungano l’intero, allora, per aversi la nullità prevista dall’art. 735 c.c., basterebbe la preterizione formale di un erede istituito (non legittimario), in quanto la somma delle quote che raggiungono l’intero comporta l’esclusione della successione legittima sui beni residui.  Dunque, per Mengoni, essendo l’apporzionamento indiretto dell’erede formalmente preterito nei beni residui basato sulla legge, quando è esclusa la possibilità di concorso della vocazione legittima per volontà del testatore, dovrà ritenersi esclusa qualsiasi possibilità di apporzionamento indiretto. La critica che si fa è che l’apporzionamento del coerede preterito non trova il proprio titolo nella legge, bensì in una volontà distributiva del testatore, espressa attraverso un contegno concludente (così Bilotti paragr. 16 in Riv. Not. 4/2002). 

Altra autorevole dottrina (Forchielli-Angeloni, Divisione, in Commentario Scialoja-Branca a cura di Galgano, Libro secondo: Successioni art. 713-768, 2^ediz. 2000, pg. 338), che si è occupata ex professo dell’argomento, aggiunge che, volendo il testatore istituire in quota l’erede solo formalmente preterito nell’apporzionamento, e lasciando dei beni residui fuori dal riparto divisorio, il medesimo testatore intenda lasciare quei beni residui proprio per formare la quota del preterito. Anche per questo motivo, che sembra fondato, si accoglie in questo scritto l’idea della divisione del testatore come strumento tecnico di ripartizione dei beni caratterizzato dalla necessaria predeterminazione delle quote astratte. A chiarimento di questa presa di posizione valga un esempio. Se il testatore ha 3 figli e 3 beni di uguale valore e lascia la quota di 1/3 a Primo e di 1/3 a Secondo, attribuendo 2 dei 3 cespiti ai primi 2 figli, solo se si sono predeterminate le quote spettanti ai figli, e se resta un terzo bene fuori dalle attribuzioni testamentarie di valore pari ad 1/3 dell’intero asse ereditario, questo bene andrà al figlio Terzo, in quanto le attribuzioni fatte agli altri 2 figli sono bastate a soddisfare la loro quota di diritto, all’infuori della quale non spetta loro più niente. Solo così (dicendo che i beni assegnati ex testamento hanno di fatto “riempito” la quota di diritto degli istituiti) si evita la successione legittima di tutti i figli sul terzo bene. Ciò in quanto predeterminare le quote degli eredi istituiti, significa anche limitarne le attribuzioni a quelle derivanti dal testamento, senza comprendere altro bene che non sia indicato nel testamento stesso. Se le quote degli istituiti sono state correttamente formate e si è realizzato l’apporzionamento, i beni fuori dal testamento, non assegnati, vanno all’erede pretermesso nel riparto divisionale. Al contrario, se le quote non fossero predeterminate, ciascun erede istituito e a cui sono lasciati beni, se fosse anche erede legittimo concorrerebbe con gli altri eredi legittimi nella successione legittima che si aprirebbe sui restanti beni (seguendo la tesi di Capozzi, Successioni e donazioni, vol. 1, Milano 2002, pg. 52 per cui l’institutio ex re certa attribuisce solo i beni assegnati con la disposizione testamentaria, aprendosi sui rimanenti beni la successione legittima, cui concorreranno, se ed in quanto eredi legittimi, anche gli istituiti ex certa re). Per cui, nel caso esposto, per non aversi preterizione, occorrerebbe che i beni residui fossero così “capienti” da soddisfare la quota del pretermesso, che si troverebbe in comunione su questi beni residui secondo le norme sulla successione legittima. Es. Se Tizio ha 3 figli (legittimari) e assegna beni solo ai primi 2 senza predeterminare le quote, occorrerebbe lasciare fuori dal testamento beni di valore almeno pari ai 2/3 del patrimonio, di modo che, aprendosi su questi la successione legittima in parti uguali, al figlio pretermesso gli sia attribuita almeno la quota che gli spetta come legittimario ( cioè i 2/9).

Una quarta tesi (Morelli, Palazzo), invece, interpreta assai rigidamente il concetto di preterizione sostanziale ritenendo che per non aversi nullità, occorra che i beni residui fuori dalla divisione siano perfettamente corrispondenti nel valore a quello della quota astratta. La critica che si fa a questa tesi è che, in tal modo, si determinerebbe una grossa ed ingiustificata disparità di trattamento tra l’erede istituito ed apporzionato in misura inferiore al quarto (che non potrebbe fare niente contro questa divisione, oppure potrebbe agire per la sola rescissione, ex art. 763 co. 2 c.c., se la lesione fosse superiore al quarto) e l’erede solo istituito, ma non apporzionato nel testamento, ed al quale siano lasciati beni residui di valore  poco inferiore alla sua quota di diritto (il quale, secondo questa tesi criticata, potrebbe agire per la nullità della divisione ex art. 735 co.1 c.c.).

c) DIFFERENZA FRA PRETERIZIONE DELL’EREDE ISTITUITO E DEL LEGITTIMARIO NON ISTITUITO. Secondo l’opinione prevalente, la differenza fra le 2 categorie di soggetti starebbe soprattutto nella circostanza che, mentre l’erede istituito, ma pretermesso in sede di divisione ed al quale non sia stato lasciato niente fuori dalla divisione, può agire subito per far dichiarare la nullità della divisione ex art. 735 co. 1 c.c., il legittimario che non sia erede istituito e non sia stato quindi proprio considerato in sede di istituzione ereditaria (cd. preterizione istitutiva) deve, invece, prima diventare erede esperendo vittoriosamente l’azione di riduzione e  poi agire per far dichiarare la nullità della sola divisione. Questo perché (Bilotti in Riv. Not. 4/2002) l’interesse ad agire per far dichiarare la nullità del riparto divisionale spetta solo a chi è erede, a colui che è entrato a far parte della comunione ereditaria e che, pur facendo parte di essa, non è stato apporzionato (anche qui c’è difetto originario della causa, consistente nel mancato apporzionamento di tutti gli aventi diritto). Dunque, il problema a monte è: quando il legittimario diventa erede? Secondo una prima tesi, più antica (sostenuta da Cicu), il legittimario sarebbe erede ex lege all’apertura della successione. La tesi prevalente (Capozzi, Successioni, cit., p.756,) ritiene, invece, che il legittimario diventi erede solo dopo l’esperimento vittorioso dell’azione di riduzione.   

d) PRETERIZIONE DELL’EREDE ISTITUITO POSSIBILE O NO NELLA DIVISIONE DEL TESTATORE SENZA PREDETERMINAZIONE DI QUOTE E NELLA INSTITUTIO EX RE CERTA? Autorevole dottrina, che si condivide, afferma che in caso di institutio ex re certa (per la quale sono d’accordo Mengoni e Cicu, citati da Forchielli, Divisione, cit., pg. 338 in nota 2) ed in caso di divisione testamentaria senza predeterminazione di quote (ipotesi qui rifiutata come fattispecie autonoma dall’institutio ex re certa prevista dall’art. 588 c.c.), solo il legittimario pretermesso potrebbe agire per la nullità ex art. 735 c.c., e non anche l’erede istituito. Questo perché, in tale ipotesi, istituzione ereditaria e distribuzione coincidono nella stessa dichiarazione.  Altra dottrina (Burdese in Riv.dir.civ., 1986, II, 467) replica affermando che l’erede istituito potrebbe essere sì istituito, ma potrebbe non essergli lasciato nulla come beni apporzionati, essendosi per ipotesi dimenticato il testatore di apporzionarlo in sede di riparto divisionale.  La dottrina che si condivide (Bilotti, Riv. Not. 4/2002, cit. e Forchielli, cit., p. 332 ss.) contesta questo argomento, affermando che  un’istituzione ereditaria solo nominale (es. si istituisce erede Tizio, ma poi non gli si attribuisce nulla) o è un’istituzione indeterminata (e quindi non ha valore negoziale, oppure ha valore di institutio ex art. 588, se c’è questa intenzione del testatore, ed allora saranno eredi istituiti solo quelli a cui sono stati lasciati dei beni, e non anche i “nominati”), oppure è un’istituzione universale congiuntiva (e quindi le quote spettanti agli eredi sono uguali, e la distribuzione fatta dal testatore integrerà una pluralità di assegni divisionali o di disposizioni a titolo particolare, ma mai una divisione testamentaria senza predeterminazione di quote).

e) CONSEGUENZE DELLA NULLITA’ EX ART. 735 CO.1.  Secondo la tesi prevalente, dichiarata la nullità della divisione, resta in piedi l’istituzione ereditaria e si ripristina la comunione ereditaria. Nella nuova divisione, susseguente alla nullità della prima, e che potrà essere richiesta ex art. 713 c.c. da qualsiasi interessato, nella formazione delle porzioni dovrà farsi capo al testamento per la predeterminazione astratta delle quote spettanti ai singoli coeredi istituiti (Forchielli, cit., p. 341). Infatti, cade la divisione ma non l’istituzione ereditaria testamentaria, data l’autonomia fra i 2 negozi (e per la quale si veda, infra, il problema della struttura della divisione del testatore). La divisione nulla potrà valere, ex art. 1424 c.c. (e nei limiti in cui non si venga con ciò a ledere le quote di riserva), come norme dettate dal testatore per la divisione ex art. 733 c.c.

ART. 735 COMMA 2: secondo l’opinione nettamente prevalente, è un’applicazione speciale dell’azione di riduzione generale, serve a correggere il riparto divisionale e riguarda il legittimario leso (quello pretermesso è disciplinato dal comma 1 dell’art. 735 c.c.). Anche la lesione del legittimario, si ritiene debba essere sostanziale (Forchielli, cit., 342).

PROBLEMI NELL’ANALISI DELL’ART. 734 C.C.

COME SI GIUSTIFICA LA DIVISIONE TESTAMENTARIA EX ART. 734 NELL’AMBITO DELLA DIVISIONE IN GENERALE? Questa divisione, infatti, a differenza delle ipotesi “normali” di divisione, non scioglie una precedente comunione, perché al momento dell’apertura della successione i beni vengono direttamente assegnati dal testatore ai coeredi, non essendoci un momento di comunione fra i coeredi. Come si fa ancora a definire divisione la figura dell’art. 734 c.c. se manca uno degli elementi essenziali della causa, cioè lo scioglimento della comunione? E’ vera divisione o cosa? Inoltre, tutte le divisioni devono essere caratterizzate dallo scioglimento di una precedente comunione? Questi problemi connessi hanno dato luogo a 3 opinioni principali. 

Secondo una prima tesi, più risalente, per aversi divisione occorre che vi sia comunque una comunione e quindi il legislatore, per dare rilievo alla volontà distributiva del testatore, è ricorso, nella figura prevista dall’art. 734 c.c., ad una finzione di esistenza di una precedente comunione da sciogliere.

Secondo un’altra tesi (definibile come l’evoluzione della prima, cfr. Capozzi, Successioni, cit., pg. 750), ci sarebbe un momento logico, ma non cronologico, di esistenza di una precedente comunione da sciogliere.

Tutte queste tesi, benché autorevolmente sostenute, sono costrette ad ammettere l’esistenza di qualcosa (la comunione) che comunque non esiste, se è vero che, all’apertura della successione, i beni attribuiti agli eredi vanno direttamente ed immediatamente a formare la quota di questi ultimi, senza che sia necessaria alcuna attività ulteriore (a differenza di quanto accade nell’ipotesi prevista dall’art. 733 co.1 c.c.). Per cui, la dottrina più moderna (per tutti, Bilotti in Riv. Not. 3/2002), afferma che l’esistenza di una precedente comunione da sciogliere è elemento “naturale” e non “essenziale” per l’esistenza di una divisione in senso tecnico. In altri termini, vi sono divisioni caratterizzate dall’esistenza di una precedente comunione da sciogliere e altre in cui questa precedente comunione da sciogliere non c’è proprio, come accade nella figura prevista dall’art. 734 c.c.. L’unico elemento unificante delle diverse ipotesi di divisione è l’apporzionamento, inteso come l’attribuzione a ciascuno dei condividenti di valori proporzionali e corrispondenti alla quota astratta. Nella divisione ex art. 734 c.c. c’è l’apporzionamento e, pertanto, delle norme sulla divisione in generale contenute nel titolo IV del libro II del c.c. in materia di successioni, si applicheranno, alla divisione prevista dall’art. 734 c.c., quelle norme poste a garanzia dell’attuazione del principio di proporzionalità tra porzioni e quote.

Tra queste, l’ art. 763 co. 2 c.c. ( concernente la rescissione per lesione ultra quartum, che può riguardare solo la divisione con predeterminazione di quote e non quella senza: punto questo assolutamente pacifico in dottrina, anche per chi ammette la divisione senza predeterminazione di quote), gli artt. 758 e 759 c.c., in quanto, anche in caso di evizione di un coerede non si realizza, neppure nella divisione del testatore, l’apporzionamento caratteristico di tutte le ipotesi di divisione, gli artt.720, 722, 727 co. 2 c.c., sulla formazione delle quote, ed, infine, l’art. 728 c.c. sui conguagli.

PROBLEMA DEI CONGUAGLI. E’ questo uno dei problemi più discussi e rilevanti, che vede divise ancora oggi dottrina e giurisprudenza. Tecnicamente, il conguaglio è una somma di denaro non facente parte della comunione da sciogliere, da corrispondere per compensare la disuguaglianza delle quote in natura. Non è, pertanto, conguaglio la somma di denaro prelevata dall’asse da dividere. In estrema sintesi, si può dire che è ammesso, dall’opinione oggi prevalente, il conguaglio nella divisione del testatore come strumento sussidiario di perequazione, rappresentando un’esigenza tecnica insopprimibile propria di ogni divisione, compresa quella del testatore, al quale non possono essere concessi poteri minori rispetto a quelli attribuiti in fase divisionale al giudice o alle parti (così, per tutti, anche Capozzi, Successioni, cit., p. 754). Anche con il conguaglio si evita la rescissione della divisione, facendola “funzionare” meglio anche in caso di mutamento del valore dei beni nel tempo intercorrente fra la redazione del testamento e l’apertura della successione. Ammesso quindi il conguaglio, si pone il problema del suo ambito di applicazione.

Secondo una prima tesi, prevalente in dottrina (Mengoni, La divisione, cit., p. 150-151 e 202) e in giurisprudenza, si ammette il conguaglio solo nelle ipotesi di stretta necessità, cioè quando la composizione del patrimonio ereditario non consenta la formazione di porzioni proporzionali alle quote. L’art. 549 c.c. sancirebbe il principio della legittima in natura, ossia il diritto del legittimario di essere soddisfatto con beni ereditari (Mengoni, cit., p. 107-108). L’idea di base di questa tesi è che le divisioni vadano effettuate in natura ex artt. 718 e 727 c.c., e che la divisione sia quindi ispirata essenzialmente al principio della quota in natura (Forchielli, Divisione, cit., p. 326 nota 4). Secondo questa tesi, ciascun coerede apporzionato ha un diritto reale pro quota sui beni facenti parte dell’asse ereditario. Non è possibile, quindi, senza il suo consenso, trasformare il proprio diritto reale sui beni dell’asse in un diritto di credito verso altri coeredi (il conguaglio in senso tecnico). Stesso discorso per il legittimario, che ha diritto ad una quota di eredità ex art. 536 c.c. Alla base di questa tesi  c’è l’idea che comunque la divisione ex art. 734 c.c. sciolga una comunione, dove ciascun coerede ha un diritto reale pro quota sui beni. Inoltre, in quanto l’erede è il continuatore della personalità del defunto, egli subentra in tutti i rapporti giuridici (purchè trasmissibili) facenti capo al de cuius. Con il conguaglio, l’erede verrebbe alla successione in beni non ereditari. Per ovviare a questo inconveniente, la giurisprudenza ha qualificato il conguaglio come legato divisionis causa.  Anche questa posizione presenta, tuttavia, un grosso inconveniente pratico. Il beneficiario del conguaglio, infatti, in quanto legatario, potrebbe rinunziare allo stesso, facendo poi “cadere” la divisione effettuata dal testatore, ed andando contro la ratio legis di mantenere ferma quanto più possibile la volontà del testatore.

Le difficoltà pratiche cui si trova a far fronte l’opinione che ammette il conguaglio solo nelle ipotesi di stretta necessità, porta a condividere la tesi secondo cui il conguaglio può essere disposto liberamente, anche oltre i casi di stretta necessità, in quanto con la divisione dell’art. 734 c.c. non c’è una precedente comunione da sciogliere, e quindi neppure un diritto pro quota dei coeredi su una precedente comunione. C’è solo, della divisione in generale, l’apporzionamento. Dunque, la regola della divisione in natura non si applica. Il testatore può quindi formare le porzioni dei suoi eredi come vuole, in conformità alla ratio del legislatore di prevedere con l’art. 734 la più ampia libertà del testatore. Altrimenti, non avrebbe avuto senso aver previsto l’art. 734, consentendo al testatore di dividere per testamento i suoi beni, in quanto un risultato quasi analogo lo avrebbero potuto ottenere i suoi eredi, con una divisione amichevole o giudiziale senza che il testatore si sforzasse invano.  D’altronde, anche per il legittimario, occorre considerare che il suo diritto alla quota di riserva è intangibile quantitativamente e non qualitativamente. Ciò significa che anche la quota di riserva potrebbe essere formata interamente da un credito verso gli altri eredi, importando al legislatore solo che il legittimario abbia una quota di valore pari a quello della legittima, e non necessariamente beni facenti parte dell’asse ereditario. Se si accoglie, come si deve, il concetto di intangibilità in senso quantitativo, è inevitabile concludere che il riservatario ha diritto solo ad un valore e non a determinati beni. Anche senza voler considerare le norme che rafforzano il concetto di intangibilità in senso quantitativo (quali ad es. l’art. 551 c.c.), è da dire che le norme sulla divisione testamentaria vengono fatte salve nell’applicazione dallo stesso art. 549 c.c., che vieta in generale di porre pesi e condizioni sulla legittima. Ciò perchè la volontà del testatore non può essere ripetuta e deve essere fatta salva quanto più possibile, specie se è la legge a consentirgli determinate attività come la divisione.

DIFFERENZE FRA ARTT. 588 E 734 C.C.. Discusso è, ancora oggi, il rapporto fra la figura dell’institutio ex re certa (prevista dall’art. 588 c.c.) e quella della divisione del testatore (prevista dall’art. 734 c.c.). Al riguardo, si sono delineate tre opinioni più seguite.

Una prima tesi ( sostenuta da Mengoni ) afferma che l’art. 588 qualifica e l’art. 734 regola le conseguenze della divisione del testatore. Si tratta di strumenti che si pongono in rapporto di genere a specie, nel senso che il 588 giustificherebbe la possibilità di attribuire beni determinati in funzione di quota ereditaria e l’art. 734 troverebbe in questa giustificazione la sua possibilità di esistere, sia sotto forma di divisione con che di divisione senza predeterminazione di quote. Anche la divisione del testatore con predeterminazione di quote, dunque, costituirebbe uno sviluppo logico dell’institutio ex re certa (Mengoni, La divisione, cit., 33-34 e 70 ss). Tuttavia, al di là della giustificazione teorica, Mengoni ammette che al risultato proprio della divisione ex art. 734 si potrebbe giungere anche con uno strumento diverso da un fascio di institutiones ex rebus certis, come ad es. la divisione con predeterminazione di quote.

Altra tesi, che si preferisce (si veda fra i sostenitori, Bilotti, Riv. Not. 3/2002 par. 9; Bombarda in Giust. civ. 1975, IV, 110-111; Giusti, in Giur. merito, 1985, 30; Morelli M.R., La comunione e la divisione ereditaria, in Giur. sist. Civ. e comm. fondata da W.Bigiavi, Torino, 1986, pag. 281), ritiene che la divisione del testatore, in senso tecnico, non possa esistere senza la necessaria predeterminazione di quote astratte in cui istituire i coeredi, e che tale predeterminazione rappresenti l’elemento distintivo rispetto all’institutio dell’art. 588 c.c..

Questa tesi si predilige per le conseguenze diverse che comporta nella disciplina dell’institutio rispetto a quella della divisione del testatore ex art. 734. Se, infatti, nel diritto si fanno delle differenze fra istituti, è perché si debbono trarre conseguenze diverse di disciplina. Ma dire che fra institutio ex art. 588 e divisione ex art. 734 differenze non ve ne siano (essendo l’uno il genus, l’altra la species), oppure che la differenza stia nella previa istituzione ereditaria (che vi sarebbe nella divisione ex art. 734 e non nell’institutio ex re certa), non comporta nessuna differenza nella disciplina da applicare. Eppure, i 2 istituti sembrano essere differenti, anche per come sono stati previsti dal legislatore. Non solo, ma distinguere fra divisione del testatore con e senza predeterminazione di quote (con conseguente diversa disciplina applicabile, ad es. in tema di rescissione ultra quartum), non trova alcun appiglio normativo. La legge distingue, infatti, solo fra divisione ex art. 734 ed institutio ex art. 588 c.c.. Anche coloro (Capozzi, Successioni, cit., 54) che sostengono che la differenza fra divisione e institutio stia nella previa istituzione ereditaria caratterizzante la prima, ritengono poi che sia alla divisione senza predeterminazione di quote che all’institutio ex re certa non si applicherà, a differenza della divisione con predeterminazione di quote, oltre che la rescissione ex art. 763 c.2 c.c. (opinione pacifica) neppure la nullità ex art. 735 c.1. (v. Forchielli, Divisione, cit., pg. 338, contra Capozzi, Successioni, cit., 54). Dunque, si finisce, seguendo le altre tesi, oltre che forzare il dato legislativo, anche con l’applicare alla divisione senza predeterminazione di quote e all’institutio ex re certa la medesima disciplina, distinguendo così non più fra divisione ex art. 734 da un lato ed institutio ex art. 588 dall’altro, bensì fra institutio e divisione senza predeterminazione di quote, insieme, da un lato, e divisione con predeterminazione di quote dall’altro.

La terza tesi (Capozzi, Successioni, cit., 54 che però si contraddice a pag. 757; Forchielli-Angeloni 304), viene detta “della preventiva istituzione ereditaria”, che non vi sarebbe nell’institutio dell’art. 588 e vi sarebbe sempre nella divisione del testatore ex art. 734. In realtà questa distinzione non viene chiaramente motivata se non dicendo che anche l’attribuzione in beni determinati, senza preventiva determinazione di quote, può integrare una disposizione a titolo universale. Questa tesi, in realtà, guarda molto al risultato pratico divisionale dei beni che si ottiene sia con l’institutio ex art. 588 sia con le divisioni testamentarie, con e senza predeterminazione di quote. Le differenze fra i 2 istituti, vengono ravvisate in questa tesi più nelle conseguenze applicative che nei presupposti. Si dice che la divisione del 734 debba necessariamente comprendere 2 o più attribuzioni, mentre l’institutio può avere ad oggetto anche una sola attribuzione. Inoltre, che alla divisione senza predeterminazione di quote, così come all’institutio del 588, non si applichi la rescissione ex art. 763 co. 2 c.c. (opinione questa, come detto, pacifica). Fra gli autori che sostengono questa tesi vi è, inoltre, un contrasto relativo all’applicabilità dell’art. 735 co. 1 (nullità della divisione per omissione nel riparto divisionale) agli eredi istituiti nella divisione senza predeterminazione di quote. Come detto sopra, solo una parte della dottrina (Capozzi, Successioni, cit., 54) ritiene che si applichi alla divisione senza predeterminazione di quote (e non  all’institutio) l’art. 735 co. 1 (e già questa, se motivata, sarebbe una bella differenza applicativa fra i 2 istituti, altrimenti quasi identici per questa tesi, molto formale). Quest’ultima tesi, a ben vedere, sembra essere lo sviluppo logico della prima di Mengoni, in quanto Forchielli, Divisione, cit., 305 ss. dice espressamente che “le fattispecie dell’art. 588 co.2 e del 734 co. 1 possono anche eventualmente coincidere, dal momento che l’institutio ex re certa può costituire uno dei mezzi per attuare la divisione del testatore. Il testatore, effettuando la divisione senza predeterminazione di quote realizza un collegamento funzionale tra le varie istituzioni di erede, le quali sono dirette a realizzare il risultato distributivo voluto dal testatore”. 

Tornando alla tesi, qui accolta, della necessaria predeterminazione di quote come elemento distintivo della divisione ex art. 734, l’idea base di questa opinione è che la divisione del 734 sia caratterizzata dall’apporzionamento e quindi dalla proporzione fra quanto si intende assegnare (quota astratta) e quanto effettivamente si assegna (porzione concreta), con la necessaria partecipazione di tutti gli aventi diritto. E’ vero che l’effetto, il risultato distributivo caratteristico della divisione si può realizzare  in altri modi (anche con l’institutio ex art. 588), ma la caratteristica della divisione in senso tecnico, ciò che distingue la divisione come negozio dagli altri istituti è la necessaria partecipazione di tutti gli aventi diritto, i quali vengono apporzionati secondo le quote astratte loro spettanti, e quindi, in sintesi, l’apporzionamento di tutti gli aventi diritto. D’altronde, l’art. 763 co.2 sulla rescissione non si applica alla divisione senza predeterminazione di quote (opinione pacifica). Già questo fa intendere come siano arbitrarie le altre tesi, in quanto il 763 c. 2 c.c. prevede la divisione del testatore in generale, senza distinguere quella con e senza predeterminazione di quote. Inoltre, neppure la nullità ex art. 735 co. 1 si applicherebbe alla divisione senza predeterminazione di quote, per quanto concerne gli eredi istituiti, data l’impossibilità tecnica di omettere un istituito (si veda sopra lettera d).

STRUTTURA DELLA DIVISIONE TESTAMENTARIA. Infine, per concludere sugli aspetti più discussi della divisione del testatore, occorre brevemente analizzare la struttura della stessa. Ciò risponde alla domanda: come è formata? Secondo una prima tesi tradizionale (Mengoni, Forchielli), essa sarebbe un complesso organico di disposizioni a titolo universale realizzato mediante l’apporzionamento di valori corrispondenti alle quote dei singoli coeredi. Altra tesi, più moderna (Bilotti in Riv. Not. 4/2002 parr. 11-13; Capozzi, Successioni, cit., 750) ritiene, più correttamente, che una cosa sia l’istituzione ereditaria, altra sia l’apporzionamento, che è negozio autonomo rispetto alla prima. Se fosse un negozio unitario (istituzione+apporzionamento), la nullità dell’apporzionamento ex art. 735 co. 1 dovrebbe condurre alla nullità dell’istituzione ereditaria testamentaria e dovrebbe aprirsi la successione legittima. Questa conclusione è, tuttavia, rifiutata dall’opinione prevalente, per l’assurdità delle conseguenze cui condurrebbe ( in particolare, l’erede istituito ex testamento, ma non successibile ex lege, dopo aver promosso e vinto l’azione di nullità ex art. 735 c.1, si vedrebbe escluso dalla successiva divisione avente luogo solo fra gli eredi legittimi).

Fonti bibliografiche:

Mengoni L., La Divisione testamentaria, Milano 1950

Capozzi G., Successioni e donazioni, 2^ediz. Giuffrè, Milano 2002, 2 tomi

Forchielli P. –Angeloni F. , Divisione, in Commentario Scialoja-Branca a cura di Galgano, Libro secondo : Successioni art. 713-768, 2^ediz. 2000

E. Bilotti, in Riv. Not. 3 e 4 del 2002

Burdese in Riv.dir.civ., 1986, II

Morelli M.R., La comunione e la divisione ereditaria, in Giur. sist. Civ. e comm. fondata da W.Bigiavi, Torino, 1986

Antonio Piccolo 1 agosto 2008

 

ART. 735 C.C. E ALTRI PROBLEMI SULLA DIVISIONE DEL TESTATORE.

In questo scritto ci si soffermerà sugli aspetti più rilevanti, soprattutto a livello pratico, posti dall’analisi degli artt. 734 e 735 c.c. in tema di divisione del testatore, che rappresenta uno degli istituti e strumenti tecnici più importanti per l’esplicazione dell’autonomia del testatore. Quest’ultimo, infatti, attraverso la divisione dei propri beni fra gli eredi, può liberamente formare le porzioni concrete spettanti ai propri successori, formando anche la porzione concreta spettante ai legittimari (questo sembra il senso da attribuire all’espressione di cui all’art. 734 co. 1 c.c. “comprendendo nella divisione anche la parte non disponibile”).

Iniziamo, nell’analisi, dal 1° comma dell’art. 735 c.c., che prevede la nullità della divisione effettuata dal testatore, nella quale, quest’ultimo, non abbia compreso qualcuno dei legittimari o degli eredi istituiti nel testamento.

a) GIUSTIFICAZIONE DELLA NULLITA’. Secondo l’opinione prevalente, la nullità dell’art. 735 c.1 c.c., in caso di preterizione di uno dei legittimari o degli eredi istituiti, si giustifica in quanto ogni divisione (compresa quella effettuata dal testatore) per poter realizzare la sua funzione di apporzionamento di tutti i condividenti, richiede la necessaria partecipazione di tutti gli aventi diritto. La mancanza di alcuno di essi non consente alla divisione di realizzare la sua funzione, e, pertanto,  si ha un difetto originario della causa che dà luogo, conformemente ai principi generali, alla nullità ex art. 1418 co.2 c.c.. Se, infatti, per poter sciogliere la comunione, occorre che tutti i comunisti siano apporzionati, cioè siano attribuiti a ciascuno di essi valori corrispondenti alla quota di diritto loro spettante, la mancanza di qualcuno dei condividenti determina la mancanza della causa stessa.

b) CONCETTO DI PRETERIZIONE. La preterizione riguarda la divisione e non l’istituzione, per espressa disposizione legislativa dell’art. 735 c.c. (“La divisione nella quale il testatore non abbia compreso qualcuno dei legittimari o degli eredi istituiti è nulla”). Una prima tesi minoritaria (sostenuta da Casulli e Cicu) ritiene che, per aversi nullità, occorra il semplice mancato apporzionamento di uno dei legittimari o degli eredi istituiti nel testamento. Es. Istituisco eredi in quote uguali i miei figli Primo, Secondo e Terzo e poi divido una parte dei miei beni solo a Primo e Secondo, omettendo nel riparto Terzo. In questo caso, la divisione sarebbe sempre nulla tout court (tesi della preterizione in senso formale). 

Una seconda tesi, prevalente in dottrina, e preferibile, ritiene che si abbia nullità ex art. 735 co. 1 solo in caso di preterizione sostanziale, cioè solo quando all’erede istituito o al legittimario (non istituito) non siano lasciati beni residui di valore corrispondente a quello della quota loro spettante. Questa tesi si basa sulle conseguenze assurde cui si giungerebbe considerando la preterizione in senso formale. Ad es., se l’erede fosse stato istituito, ma apporzionato in misura inferiore al quarto rispetto alla quota di diritto a lui spettante, egli non potrebbe agire contro la divisione neppure per farla rescindere, ai sensi dell’art. 763 co. 2 c.c.. Se, invece, lo stesso erede non fosse stato istituito, ma gli fossero stati lasciati, fuori dall’apporzionamento testamentario, beni di valore inferiore ad un quarto rispetto alla sua quota di diritto (es. come successore legittimo), lo stesso erede potrebbe far dichiarare nulla la divisione. Inoltre, nella preterizione sostanziale, per ragioni di giustizia sostanziale, occorre considerare come legittimari pretermessi solo quelli che non siano stati già tacitati, precedentemente alla divisione, nella loro quota di riserva con donazioni in conto di legittima o con legati in sostituzione ex art. 551 c.c..

Una terza tesi (Mengoni L., La Divisione testamentaria, Milano 1950, pg. 103 ss., in particolare p.109), accoglie il concetto di preterizione sostanziale, ma solo per l’institutio ex re certa ex art. 588 c.c., cioè solo quando il testatore abbia distribuito parte dei suoi beni in funzione di quota senza predeterminazione delle quote di diritto. Qualora, invece, vi fosse la predeterminazione di quote e il testatore avesse determinato quote che, sommate tra loro, raggiungano l’intero, allora, per aversi la nullità prevista dall’art. 735 c.c., basterebbe la preterizione formale di un erede istituito (non legittimario), in quanto la somma delle quote che raggiungono l’intero comporta l’esclusione della successione legittima sui beni residui.  Dunque, per Mengoni, essendo l’apporzionamento indiretto dell’erede formalmente preterito nei beni residui basato sulla legge, quando è esclusa la possibilità di concorso della vocazione legittima per volontà del testatore, dovrà ritenersi esclusa qualsiasi possibilità di apporzionamento indiretto. La critica che si fa è che l’apporzionamento del coerede preterito non trova il proprio titolo nella legge, bensì in una volontà distributiva del testatore, espressa attraverso un contegno concludente (così Bilotti paragr. 16 in Riv. Not. 4/2002). 

Altra autorevole dottrina (Forchielli-Angeloni, Divisione, in Commentario Scialoja-Branca a cura di Galgano, Libro secondo: Successioni art. 713-768, 2^ediz. 2000, pg. 338), che si è occupata ex professo dell’argomento, aggiunge che, volendo il testatore istituire in quota l’erede solo formalmente preterito nell’apporzionamento, e lasciando dei beni residui fuori dal riparto divisorio, il medesimo testatore intenda lasciare quei beni residui proprio per formare la quota del preterito. Anche per questo motivo, che sembra fondato, si accoglie in questo scritto l’idea della divisione del testatore come strumento tecnico di ripartizione dei beni caratterizzato dalla necessaria predeterminazione delle quote astratte. A chiarimento di questa presa di posizione valga un esempio. Se il testatore ha 3 figli e 3 beni di uguale valore e lascia la quota di 1/3 a Primo e di 1/3 a Secondo, attribuendo 2 dei 3 cespiti ai primi 2 figli, solo se si sono predeterminate le quote spettanti ai figli, e se resta un terzo bene fuori dalle attribuzioni testamentarie di valore pari ad 1/3 dell’intero asse ereditario, questo bene andrà al figlio Terzo, in quanto le attribuzioni fatte agli altri 2 figli sono bastate a soddisfare la loro quota di diritto, all’infuori della quale non spetta loro più niente. Solo così (dicendo che i beni assegnati ex testamento hanno di fatto “riempito” la quota di diritto degli istituiti) si evita la successione legittima di tutti i figli sul terzo bene. Ciò in quanto predeterminare le quote degli eredi istituiti, significa anche limitarne le attribuzioni a quelle derivanti dal testamento, senza comprendere altro bene che non sia indicato nel testamento stesso. Se le quote degli istituiti sono state correttamente formate e si è realizzato l’apporzionamento, i beni fuori dal testamento, non assegnati, vanno all’erede pretermesso nel riparto divisionale. Al contrario, se le quote non fossero predeterminate, ciascun erede istituito e a cui sono lasciati beni, se fosse anche erede legittimo concorrerebbe con gli altri eredi legittimi nella successione legittima che si aprirebbe sui restanti beni (seguendo la tesi di Capozzi, Successioni e donazioni, vol. 1, Milano 2002, pg. 52 per cui l’institutio ex re certa attribuisce solo i beni assegnati con la disposizione testamentaria, aprendosi sui rimanenti beni la successione legittima, cui concorreranno, se ed in quanto eredi legittimi, anche gli istituiti ex certa re). Per cui, nel caso esposto, per non aversi preterizione, occorrerebbe che i beni residui fossero così “capienti” da soddisfare la quota del pretermesso, che si troverebbe in comunione su questi beni residui secondo le norme sulla successione legittima. Es. Se Tizio ha 3 figli (legittimari) e assegna beni solo ai primi 2 senza predeterminare le quote, occorrerebbe lasciare fuori dal testamento beni di valore almeno pari ai 2/3 del patrimonio, di modo che, aprendosi su questi la successione legittima in parti uguali, al figlio pretermesso gli sia attribuita almeno la quota che gli spetta come legittimario ( cioè i 2/9).

Una quarta tesi (Morelli, Palazzo), invece, interpreta assai rigidamente il concetto di preterizione sostanziale ritenendo che per non aversi nullità, occorra che i beni residui fuori dalla divisione siano perfettamente corrispondenti nel valore a quello della quota astratta. La critica che si fa a questa tesi è che, in tal modo, si determinerebbe una grossa ed ingiustificata disparità di trattamento tra l’erede istituito ed apporzionato in misura inferiore al quarto (che non potrebbe fare niente contro questa divisione, oppure potrebbe agire per la sola rescissione, ex art. 763 co. 2 c.c., se la lesione fosse superiore al quarto) e l’erede solo istituito, ma non apporzionato nel testamento, ed al quale siano lasciati beni residui di valore  poco inferiore alla sua quota di diritto (il quale, secondo questa tesi criticata, potrebbe agire per la nullità della divisione ex art. 735 co.1 c.c.).

c) DIFFERENZA FRA PRETERIZIONE DELL’EREDE ISTITUITO E DEL LEGITTIMARIO NON ISTITUITO. Secondo l’opinione prevalente, la differenza fra le 2 categorie di soggetti starebbe soprattutto nella circostanza che, mentre l’erede istituito, ma pretermesso in sede di divisione ed al quale non sia stato lasciato niente fuori dalla divisione, può agire subito per far dichiarare la nullità della divisione ex art. 735 co. 1 c.c., il legittimario che non sia erede istituito e non sia stato quindi proprio considerato in sede di istituzione ereditaria (cd. preterizione istitutiva) deve, invece, prima diventare erede esperendo vittoriosamente l’azione di riduzione e  poi agire per far dichiarare la nullità della sola divisione. Questo perché (Bilotti in Riv. Not. 4/2002) l’interesse ad agire per far dichiarare la nullità del riparto divisionale spetta solo a chi è erede, a colui che è entrato a far parte della comunione ereditaria e che, pur facendo parte di essa, non è stato apporzionato (anche qui c’è difetto originario della causa, consistente nel mancato apporzionamento di tutti gli aventi diritto). Dunque, il problema a monte è: quando il legittimario diventa erede? Secondo una prima tesi, più antica (sostenuta da Cicu), il legittimario sarebbe erede ex lege all’apertura della successione. La tesi prevalente (Capozzi, Successioni, cit., p.756,) ritiene, invece, che il legittimario diventi erede solo dopo l’esperimento vittorioso dell’azione di riduzione.   

d) PRETERIZIONE DELL’EREDE ISTITUITO POSSIBILE O NO NELLA DIVISIONE DEL TESTATORE SENZA PREDETERMINAZIONE DI QUOTE E NELLA INSTITUTIO EX RE CERTA? Autorevole dottrina, che si condivide, afferma che in caso di institutio ex re certa (per la quale sono d’accordo Mengoni e Cicu, citati da Forchielli, Divisione, cit., pg. 338 in nota 2) ed in caso di divisione testamentaria senza predeterminazione di quote (ipotesi qui rifiutata come fattispecie autonoma dall’institutio ex re certa prevista dall’art. 588 c.c.), solo il legittimario pretermesso potrebbe agire per la nullità ex art. 735 c.c., e non anche l’erede istituito. Questo perché, in tale ipotesi, istituzione ereditaria e distribuzione coincidono nella stessa dichiarazione.  Altra dottrina (Burdese in Riv.dir.civ., 1986, II, 467) replica affermando che l’erede istituito potrebbe essere sì istituito, ma potrebbe non essergli lasciato nulla come beni apporzionati, essendosi per ipotesi dimenticato il testatore di apporzionarlo in sede di riparto divisionale.  La dottrina che si condivide (Bilotti, Riv. Not. 4/2002, cit. e Forchielli, cit., p. 332 ss.) contesta questo argomento, affermando che  un’istituzione ereditaria solo nominale (es. si istituisce erede Tizio, ma poi non gli si attribuisce nulla) o è un’istituzione indeterminata (e quindi non ha valore negoziale, oppure ha valore di institutio ex art. 588, se c’è questa intenzione del testatore, ed allora saranno eredi istituiti solo quelli a cui sono stati lasciati dei beni, e non anche i “nominati”), oppure è un’istituzione universale congiuntiva (e quindi le quote spettanti agli eredi sono uguali, e la distribuzione fatta dal testatore integrerà una pluralità di assegni divisionali o di disposizioni a titolo particolare, ma mai una divisione testamentaria senza predeterminazione di quote).

e) CONSEGUENZE DELLA NULLITA’ EX ART. 735 CO.1.  Secondo la tesi prevalente, dichiarata la nullità della divisione, resta in piedi l’istituzione ereditaria e si ripristina la comunione ereditaria. Nella nuova divisione, susseguente alla nullità della prima, e che potrà essere richiesta ex art. 713 c.c. da qualsiasi interessato, nella formazione delle porzioni dovrà farsi capo al testamento per la predeterminazione astratta delle quote spettanti ai singoli coeredi istituiti (Forchielli, cit., p. 341). Infatti, cade la divisione ma non l’istituzione ereditaria testamentaria, data l’autonomia fra i 2 negozi (e per la quale si veda, infra, il problema della struttura della divisione del testatore). La divisione nulla potrà valere, ex art. 1424 c.c. (e nei limiti in cui non si venga con ciò a ledere le quote di riserva), come norme dettate dal testatore per la divisione ex art. 733 c.c.

ART. 735 COMMA 2: secondo l’opinione nettamente prevalente, è un’applicazione speciale dell’azione di riduzione generale, serve a correggere il riparto divisionale e riguarda il legittimario leso (quello pretermesso è disciplinato dal comma 1 dell’art. 735 c.c.). Anche la lesione del legittimario, si ritiene debba essere sostanziale (Forchielli, cit., 342).

PROBLEMI NELL’ANALISI DELL’ART. 734 C.C.

COME SI GIUSTIFICA LA DIVISIONE TESTAMENTARIA EX ART. 734 NELL’AMBITO DELLA DIVISIONE IN GENERALE? Questa divisione, infatti, a differenza delle ipotesi “normali” di divisione, non scioglie una precedente comunione, perché al momento dell’apertura della successione i beni vengono direttamente assegnati dal testatore ai coeredi, non essendoci un momento di comunione fra i coeredi. Come si fa ancora a definire divisione la figura dell’art. 734 c.c. se manca uno degli elementi essenziali della causa, cioè lo scioglimento della comunione? E’ vera divisione o cosa? Inoltre, tutte le divisioni devono essere caratterizzate dallo scioglimento di una precedente comunione? Questi problemi connessi hanno dato luogo a 3 opinioni principali. 

Secondo una prima tesi, più risalente, per aversi divisione occorre che vi sia comunque una comunione e quindi il legislatore, per dare rilievo alla volontà distributiva del testatore, è ricorso, nella figura prevista dall’art. 734 c.c., ad una finzione di esistenza di una precedente comunione da sciogliere.

Secondo un’altra tesi (definibile come l’evoluzione della prima, cfr. Capozzi, Successioni, cit., pg. 750), ci sarebbe un momento logico, ma non cronologico, di esistenza di una precedente comunione da sciogliere.

Tutte queste tesi, benché autorevolmente sostenute, sono costrette ad ammettere l’esistenza di qualcosa (la comunione) che comunque non esiste, se è vero che, all’apertura della successione, i beni attribuiti agli eredi vanno direttamente ed immediatamente a formare la quota di questi ultimi, senza che sia necessaria alcuna attività ulteriore (a differenza di quanto accade nell’ipotesi prevista dall’art. 733 co.1 c.c.). Per cui, la dottrina più moderna (per tutti, Bilotti in Riv. Not. 3/2002), afferma che l’esistenza di una precedente comunione da sciogliere è elemento “naturale” e non “essenziale” per l’esistenza di una divisione in senso tecnico. In altri termini, vi sono divisioni caratterizzate dall’esistenza di una precedente comunione da sciogliere e altre in cui questa precedente comunione da sciogliere non c’è proprio, come accade nella figura prevista dall’art. 734 c.c.. L’unico elemento unificante delle diverse ipotesi di divisione è l’apporzionamento, inteso come l’attribuzione a ciascuno dei condividenti di valori proporzionali e corrispondenti alla quota astratta. Nella divisione ex art. 734 c.c. c’è l’apporzionamento e, pertanto, delle norme sulla divisione in generale contenute nel titolo IV del libro II del c.c. in materia di successioni, si applicheranno, alla divisione prevista dall’art. 734 c.c., quelle norme poste a garanzia dell’attuazione del principio di proporzionalità tra porzioni e quote.

Tra queste, l’ art. 763 co. 2 c.c. ( concernente la rescissione per lesione ultra quartum, che può riguardare solo la divisione con predeterminazione di quote e non quella senza: punto questo assolutamente pacifico in dottrina, anche per chi ammette la divisione senza predeterminazione di quote), gli artt. 758 e 759 c.c., in quanto, anche in caso di evizione di un coerede non si realizza, neppure nella divisione del testatore, l’apporzionamento caratteristico di tutte le ipotesi di divisione, gli artt.720, 722, 727 co. 2 c.c., sulla formazione delle quote, ed, infine, l’art. 728 c.c. sui conguagli.

PROBLEMA DEI CONGUAGLI. E’ questo uno dei problemi più discussi e rilevanti, che vede divise ancora oggi dottrina e giurisprudenza. Tecnicamente, il conguaglio è una somma di denaro non facente parte della comunione da sciogliere, da corrispondere per compensare la disuguaglianza delle quote in natura. Non è, pertanto, conguaglio la somma di denaro prelevata dall’asse da dividere. In estrema sintesi, si può dire che è ammesso, dall’opinione oggi prevalente, il conguaglio nella divisione del testatore come strumento sussidiario di perequazione, rappresentando un’esigenza tecnica insopprimibile propria di ogni divisione, compresa quella del testatore, al quale non possono essere concessi poteri minori rispetto a quelli attribuiti in fase divisionale al giudice o alle parti (così, per tutti, anche Capozzi, Successioni, cit., p. 754). Anche con il conguaglio si evita la rescissione della divisione, facendola “funzionare” meglio anche in caso di mutamento del valore dei beni nel tempo intercorrente fra la redazione del testamento e l’apertura della successione. Ammesso quindi il conguaglio, si pone il problema del suo ambito di applicazione.

Secondo una prima tesi, prevalente in dottrina (Mengoni, La divisione, cit., p. 150-151 e 202) e in giurisprudenza, si ammette il conguaglio solo nelle ipotesi di stretta necessità, cioè quando la composizione del patrimonio ereditario non consenta la formazione di porzioni proporzionali alle quote. L’art. 549 c.c. sancirebbe il principio della legittima in natura, ossia il diritto del legittimario di essere soddisfatto con beni ereditari (Mengoni, cit., p. 107-108). L’idea di base di questa tesi è che le divisioni vadano effettuate in natura ex artt. 718 e 727 c.c., e che la divisione sia quindi ispirata essenzialmente al principio della quota in natura (Forchielli, Divisione, cit., p. 326 nota 4). Secondo questa tesi, ciascun coerede apporzionato ha un diritto reale pro quota sui beni facenti parte dell’asse ereditario. Non è possibile, quindi, senza il suo consenso, trasformare il proprio diritto reale sui beni dell’asse in un diritto di credito verso altri coeredi (il conguaglio in senso tecnico). Stesso discorso per il legittimario, che ha diritto ad una quota di eredità ex art. 536 c.c. Alla base di questa tesi  c’è l’idea che comunque la divisione ex art. 734 c.c. sciolga una comunione, dove ciascun coerede ha un diritto reale pro quota sui beni. Inoltre, in quanto l’erede è il continuatore della personalità del defunto, egli subentra in tutti i rapporti giuridici (purchè trasmissibili) facenti capo al de cuius. Con il conguaglio, l’erede verrebbe alla successione in beni non ereditari. Per ovviare a questo inconveniente, la giurisprudenza ha qualificato il conguaglio come legato divisionis causa.  Anche questa posizione presenta, tuttavia, un grosso inconveniente pratico. Il beneficiario del conguaglio, infatti, in quanto legatario, potrebbe rinunziare allo stesso, facendo poi “cadere” la divisione effettuata dal testatore, ed andando contro la ratio legis di mantenere ferma quanto più possibile la volontà del testatore.

Le difficoltà pratiche cui si trova a far fronte l’opinione che ammette il conguaglio solo nelle ipotesi di stretta necessità, porta a condividere la tesi secondo cui il conguaglio può essere disposto liberamente, anche oltre i casi di stretta necessità, in quanto con la divisione dell’art. 734 c.c. non c’è una precedente comunione da sciogliere, e quindi neppure un diritto pro quota dei coeredi su una precedente comunione. C’è solo, della divisione in generale, l’apporzionamento. Dunque, la regola della divisione in natura non si applica. Il testatore può quindi formare le porzioni dei suoi eredi come vuole, in conformità alla ratio del legislatore di prevedere con l’art. 734 la più ampia libertà del testatore. Altrimenti, non avrebbe avuto senso aver previsto l’art. 734, consentendo al testatore di dividere per testamento i suoi beni, in quanto un risultato quasi analogo lo avrebbero potuto ottenere i suoi eredi, con una divisione amichevole o giudiziale senza che il testatore si sforzasse invano.  D’altronde, anche per il legittimario, occorre considerare che il suo diritto alla quota di riserva è intangibile quantitativamente e non qualitativamente. Ciò significa che anche la quota di riserva potrebbe essere formata interamente da un credito verso gli altri eredi, importando al legislatore solo che il legittimario abbia una quota di valore pari a quello della legittima, e non necessariamente beni facenti parte dell’asse ereditario. Se si accoglie, come si deve, il concetto di intangibilità in senso quantitativo, è inevitabile concludere che il riservatario ha diritto solo ad un valore e non a determinati beni. Anche senza voler considerare le norme che rafforzano il concetto di intangibilità in senso quantitativo (quali ad es. l’art. 551 c.c.), è da dire che le norme sulla divisione testamentaria vengono fatte salve nell’applicazione dallo stesso art. 549 c.c., che vieta in generale di porre pesi e condizioni sulla legittima. Ciò perchè la volontà del testatore non può essere ripetuta e deve essere fatta salva quanto più possibile, specie se è la legge a consentirgli determinate attività come la divisione.

DIFFERENZE FRA ARTT. 588 E 734 C.C.. Discusso è, ancora oggi, il rapporto fra la figura dell’institutio ex re certa (prevista dall’art. 588 c.c.) e quella della divisione del testatore (prevista dall’art. 734 c.c.). Al riguardo, si sono delineate tre opinioni più seguite.

Una prima tesi ( sostenuta da Mengoni ) afferma che l’art. 588 qualifica e l’art. 734 regola le conseguenze della divisione del testatore. Si tratta di strumenti che si pongono in rapporto di genere a specie, nel senso che il 588 giustificherebbe la possibilità di attribuire beni determinati in funzione di quota ereditaria e l’art. 734 troverebbe in questa giustificazione la sua possibilità di esistere, sia sotto forma di divisione con che di divisione senza predeterminazione di quote. Anche la divisione del testatore con predeterminazione di quote, dunque, costituirebbe uno sviluppo logico dell’institutio ex re certa (Mengoni, La divisione, cit., 33-34 e 70 ss). Tuttavia, al di là della giustificazione teorica, Mengoni ammette che al risultato proprio della divisione ex art. 734 si potrebbe giungere anche con uno strumento diverso da un fascio di institutiones ex rebus certis, come ad es. la divisione con predeterminazione di quote.

Altra tesi, che si preferisce (si veda fra i sostenitori, Bilotti, Riv. Not. 3/2002 par. 9; Bombarda in Giust. civ. 1975, IV, 110-111; Giusti, in Giur. merito, 1985, 30; Morelli M.R., La comunione e la divisione ereditaria, in Giur. sist. Civ. e comm. fondata da W.Bigiavi, Torino, 1986, pag. 281), ritiene che la divisione del testatore, in senso tecnico, non possa esistere senza la necessaria predeterminazione di quote astratte in cui istituire i coeredi, e che tale predeterminazione rappresenti l’elemento distintivo rispetto all’institutio dell’art. 588 c.c..

Questa tesi si predilige per le conseguenze diverse che comporta nella disciplina dell’institutio rispetto a quella della divisione del testatore ex art. 734. Se, infatti, nel diritto si fanno delle differenze fra istituti, è perché si debbono trarre conseguenze diverse di disciplina. Ma dire che fra institutio ex art. 588 e divisione ex art. 734 differenze non ve ne siano (essendo l’uno il genus, l’altra la species), oppure che la differenza stia nella previa istituzione ereditaria (che vi sarebbe nella divisione ex art. 734 e non nell’institutio ex re certa), non comporta nessuna differenza nella disciplina da applicare. Eppure, i 2 istituti sembrano essere differenti, anche per come sono stati previsti dal legislatore. Non solo, ma distinguere fra divisione del testatore con e senza predeterminazione di quote (con conseguente diversa disciplina applicabile, ad es. in tema di rescissione ultra quartum), non trova alcun appiglio normativo. La legge distingue, infatti, solo fra divisione ex art. 734 ed institutio ex art. 588 c.c.. Anche coloro (Capozzi, Successioni, cit., 54) che sostengono che la differenza fra divisione e institutio stia nella previa istituzione ereditaria caratterizzante la prima, ritengono poi che sia alla divisione senza predeterminazione di quote che all’institutio ex re certa non si applicherà, a differenza della divisione con predeterminazione di quote, oltre che la rescissione ex art. 763 c.2 c.c. (opinione pacifica) neppure la nullità ex art. 735 c.1. (v. Forchielli, Divisione, cit., pg. 338, contra Capozzi, Successioni, cit., 54). Dunque, si finisce, seguendo le altre tesi, oltre che forzare il dato legislativo, anche con l’applicare alla divisione senza predeterminazione di quote e all’institutio ex re certa la medesima disciplina, distinguendo così non più fra divisione ex art. 734 da un lato ed institutio ex art. 588 dall’altro, bensì fra institutio e divisione senza predeterminazione di quote, insieme, da un lato, e divisione con predeterminazione di quote dall’altro.

La terza tesi (Capozzi, Successioni, cit., 54 che però si contraddice a pag. 757; Forchielli-Angeloni 304), viene detta “della preventiva istituzione ereditaria”, che non vi sarebbe nell’institutio dell’art. 588 e vi sarebbe sempre nella divisione del testatore ex art. 734. In realtà questa distinzione non viene chiaramente motivata se non dicendo che anche l’attribuzione in beni determinati, senza preventiva determinazione di quote, può integrare una disposizione a titolo universale. Questa tesi, in realtà, guarda molto al risultato pratico divisionale dei beni che si ottiene sia con l’institutio ex art. 588 sia con le divisioni testamentarie, con e senza predeterminazione di quote. Le differenze fra i 2 istituti, vengono ravvisate in questa tesi più nelle conseguenze applicative che nei presupposti. Si dice che la divisione del 734 debba necessariamente comprendere 2 o più attribuzioni, mentre l’institutio può avere ad oggetto anche una sola attribuzione. Inoltre, che alla divisione senza predeterminazione di quote, così come all’institutio del 588, non si applichi la rescissione ex art. 763 co. 2 c.c. (opinione questa, come detto, pacifica). Fra gli autori che sostengono questa tesi vi è, inoltre, un contrasto relativo all’applicabilità dell’art. 735 co. 1 (nullità della divisione per omissione nel riparto divisionale) agli eredi istituiti nella divisione senza predeterminazione di quote. Come detto sopra, solo una parte della dottrina (Capozzi, Successioni, cit., 54) ritiene che si applichi alla divisione senza predeterminazione di quote (e non  all’institutio) l’art. 735 co. 1 (e già questa, se motivata, sarebbe una bella differenza applicativa fra i 2 istituti, altrimenti quasi identici per questa tesi, molto formale). Quest’ultima tesi, a ben vedere, sembra essere lo sviluppo logico della prima di Mengoni, in quanto Forchielli, Divisione, cit., 305 ss. dice espressamente che “le fattispecie dell’art. 588 co.2 e del 734 co. 1 possono anche eventualmente coincidere, dal momento che l’institutio ex re certa può costituire uno dei mezzi per attuare la divisione del testatore. Il testatore, effettuando la divisione senza predeterminazione di quote realizza un collegamento funzionale tra le varie istituzioni di erede, le quali sono dirette a realizzare il risultato distributivo voluto dal testatore”. 

Tornando alla tesi, qui accolta, della necessaria predeterminazione di quote come elemento distintivo della divisione ex art. 734, l’idea base di questa opinione è che la divisione del 734 sia caratterizzata dall’apporzionamento e quindi dalla proporzione fra quanto si intende assegnare (quota astratta) e quanto effettivamente si assegna (porzione concreta), con la necessaria partecipazione di tutti gli aventi diritto. E’ vero che l’effetto, il risultato distributivo caratteristico della divisione si può realizzare  in altri modi (anche con l’institutio ex art. 588), ma la caratteristica della divisione in senso tecnico, ciò che distingue la divisione come negozio dagli altri istituti è la necessaria partecipazione di tutti gli aventi diritto, i quali vengono apporzionati secondo le quote astratte loro spettanti, e quindi, in sintesi, l’apporzionamento di tutti gli aventi diritto. D’altronde, l’art. 763 co.2 sulla rescissione non si applica alla divisione senza predeterminazione di quote (opinione pacifica). Già questo fa intendere come siano arbitrarie le altre tesi, in quanto il 763 c. 2 c.c. prevede la divisione del testatore in generale, senza distinguere quella con e senza predeterminazione di quote. Inoltre, neppure la nullità ex art. 735 co. 1 si applicherebbe alla divisione senza predeterminazione di quote, per quanto concerne gli eredi istituiti, data l’impossibilità tecnica di omettere un istituito (si veda sopra lettera d).

STRUTTURA DELLA DIVISIONE TESTAMENTARIA. Infine, per concludere sugli aspetti più discussi della divisione del testatore, occorre brevemente analizzare la struttura della stessa. Ciò risponde alla domanda: come è formata? Secondo una prima tesi tradizionale (Mengoni, Forchielli), essa sarebbe un complesso organico di disposizioni a titolo universale realizzato mediante l’apporzionamento di valori corrispondenti alle quote dei singoli coeredi. Altra tesi, più moderna (Bilotti in Riv. Not. 4/2002 parr. 11-13; Capozzi, Successioni, cit., 750) ritiene, più correttamente, che una cosa sia l’istituzione ereditaria, altra sia l’apporzionamento, che è negozio autonomo rispetto alla prima. Se fosse un negozio unitario (istituzione+apporzionamento), la nullità dell’apporzionamento ex art. 735 co. 1 dovrebbe condurre alla nullità dell’istituzione ereditaria testamentaria e dovrebbe aprirsi la successione legittima. Questa conclusione è, tuttavia, rifiutata dall’opinione prevalente, per l’assurdità delle conseguenze cui condurrebbe ( in particolare, l’erede istituito ex testamento, ma non successibile ex lege, dopo aver promosso e vinto l’azione di nullità ex art. 735 c.1, si vedrebbe escluso dalla successiva divisione avente luogo solo fra gli eredi legittimi).

Fonti bibliografiche:

Mengoni L., La Divisione testamentaria, Milano 1950

Capozzi G., Successioni e donazioni, 2^ediz. Giuffrè, Milano 2002, 2 tomi

Forchielli P. –Angeloni F. , Divisione, in Commentario Scialoja-Branca a cura di Galgano, Libro secondo : Successioni art. 713-768, 2^ediz. 2000

E. Bilotti, in Riv. Not. 3 e 4 del 2002

Burdese in Riv.dir.civ., 1986, II

Morelli M.R., La comunione e la divisione ereditaria, in Giur. sist. Civ. e comm. fondata da W.Bigiavi, Torino, 1986

Antonio Piccolo 1 agosto 2008