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Annotazioni in tema di evizione e di trasferimento di beni gravati da oneri o diritti di godimento di terzi nel contratto di compravendita

Nel presente scritto, tenuto anche conto dei più recenti orientamenti giurisprudenziali e senza pretesa d’esaustività, prenderemo in considerazione il modus operandi con il quale, nella quotidiana pratica forense, la Corte di Cassazione risolve il problema di distinguere l’evizione dal trasferimento di beni gravati da oneri o diritti di godimento di terzi con riguardo al negozio giuridico della compravendita.

1) La garanzia per evizione e il trasferimento di beni gravati da oneri o diritti di godimento di terzi nel contratto di compravendita: cenni generali.

La funzione fondamentale del contratto di compravendita consiste nel far acquisire al compratore la titolarità del diritto trasferito ed il libero godimento del bene identificato nel contratto. Può tuttavia verificarsi il caso che terzi vantino diritti sul bene compravenduto, di guisa che il compratore venga privato (in tutto o in parte) della proprietà del medesimo. In questo caso si concretizza l’evizione, la quale può essere totale (alludendosi alla situazione del compratore che sia rimasto soccombente nel giudizio instaurato contro di lui da un terzo, che riesca a far condannare il compratore medesimo a consegnargli la cosa) oppure parziale (alludendosi alla situazione in cui il bene diviene soltanto in parte oggetto della pretesa del terzo).

Le due fattispecie in esame - che costituiscono una garanzia posta dalla legge in capo al venditore - sono regolamentate rispettivamente dall’articolo 1483 del codice civile e dall’articolo 1484 del codice civile; e sono differenti quanto alle conseguenze giuridiche per ciascuna di esse previste. Infatti, in caso di evizione totale, il venditore è tenuto al risarcimento del danno a mente di quanto stabilito dall’art. 1479 del codice civile; a corrispondere il valore dei frutti che il compratore è tenuto a restituire al terzo; a rimborsare le spese sostenute dal compratore stesso per la denuncia della lite e di quelle che abbia dovuto rimborsare all’attore. Invece, in caso di evizione parziale, si osservano le disposizioni dell’art. 1480 del codice civile (vendita di cosa parzialmente di altri) e, comunque, il venditore è tenuto a corrispondere il valore dei frutti che il compratore è tenuto a restituire al terzo ed a rimborsare le spese sostenute dal compratore stesso per la denuncia della lite e di quelle che abbia dovuto rimborsare all’attore.

Diversa dalle due ipotesi sopra descritte è invece la vendita di un bene gravato da oneri o diritti reali o personali, regolamentata dall’art. 1489 del codice civile. In questo caso, infatti, il venditore permette al compratore di acquisire la titolarità del diritto trasferito, ma non il libero godimento della cosa compravenduta, perché su quest’ultima insistono oneri, diritti reali o diritti di godimento a favore di un terzo. Perciò, ove ne sussistano tutti i presupposti oggettivi e soggettivi (non apparenza dell’onere o dei diritti, mancata conoscenza degli stessi da parte dell’acquirente), la norma richiamata accorda al compratore il diritto di domandare la risoluzione del contratto oppure una riduzione del prezzo secondo la disposizione dell’art. 1480 del codice civile.

Ciò premesso, pur essendo - in linea di massima - abbastanza agevole e chiara la distinzione tra le due fattispecie inerenti l’evizione (totale e parziale), nella pratica può accadere tuttavia di trovarsi a percorrere "un crinale sottile tra evizione e vizi" (Cassazione civile 25 settembre 2008, n. 24055) dovendosi discernere l’ipotesi dell’evizione da quella della vendita di un bene gravato da oneri o diritti reali o personali non apparenti che ne diminuiscano il libero godimento.

Difatti, non si può negare che - nella multiforme varietà del quotidiano divenire - almeno in apparenza e ad una prima, sommaria, disamina, la differenza tra le due fattispecie potrebbe presentarsi più sfumata e meno netta. Ed è la stessa Suprema Corte a chiarire come la dottrina talvolta discetti di evizione parziale “anche nel caso di perdita di un diritto accessorio al diritto trasferito, del quale fosse stata presupposta l’esistenza nel contratto” (Cassazione civile 25 settembre 2008, n. 24055). L’esempio classicamente addotto è quello di una servitù attiva che acceda al bene compravenduto; tuttavia - osserva sempre la Cassazione - la evizione del diritto di servitù, esplicantesi sul fondo servente e non su quello oggetto della vendita, è ipotesi ben distinguibile dall’emergere di oneri o diritti reali o personali che ineriscono la cosa trasferita e ne diminuiscono il libero godimento, pur mantenendo intatta l’attribuzione del diritto realizzata con il contratto di compravendita.

Dunque, il pericolo di giungere ad una confusione tra le diverse ipotesi regolamentate dalle norme sopra citate potrebbe sorgere - ad avviso di chi scrive - in quanto tutte le richiamate fattispecie hanno quale comune presupposto la presenza di un elemento estraneo al negozio giuridico, perfezionatosi tra venditore e compratore, che di fatto limita il godimento del bene. In parole più semplici, sia l’evizione (sia essa totale o parziale), sia l’ipotesi della compravendita di un bene gravato da oneri o di diritti di godimento di terzi, condividono l’esistenza di una pretesa, di un diritto o di un onere attribuito ad un terzo che, intromettendosi nel rapporto negoziale tra le parti come elemento estraneo, riduce - di fatto - quel "diritto di godere di disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo" (articolo 832 del codice civile) che l’acquirente pretende di conseguire attraverso la conclusione di un contratto di vendita.

Pertanto, considerata la comunanza del sopra illustrato "comune denominatore" che sottende alle singole norme, laddove nella pratica ci si trovi a fare i conti con una fattispecie che possa presentarsi come incerta perché - in apparenza - potrebbe adeguarsi sia alle norme sulle evizione, sia alla norma dell’articolo 1489 del codice civile, si renderà necessario ricercare un criterio oggettivo che consenta di dirimere l’apparente conflitto di norme, criterio che non sia dunque ancorato alla presenza di una pretesa del terzo. Difatti, non ogni pretesa di un terzo (di qualsiasi natura o titolo essa sia) su un bene compravenduto può costituire sic et simpliciter evizione.

Da qui, allora, la conseguente necessità, per l’interprete, di vincolare il proprio convincimento - in ordine alla corretta norma da applicare alla fattispecie concreta - a criteri distintivi che siano univoci ed oggettivamente caratterizzanti la singola norma e che consentano, oltre ogni ragionevole dubbio, di poter asserire con certezza se si tratti di evizione totale, parziale, oppure di bene gravato da oneri o diritti di godimento di terzi. Ed il problema non è di poco conto, sol che si considerino le diverse conseguenze giuridiche che scaturiscono dall’applicazione del precetto che si dovesse ritenere più acconcio al caso specifico.

2) La sentenza della Corte di Cassazione del 25 settembre 2008, n. 24055.

Di recente, la Corte di Cassazione è stata chiamata a dirimere una controversia la cui soluzione richiedeva, per l’appunto, la necessità di operare un distinguo tra il disposto dell’articolo 1484 e dell’articolo 1489 del codice civile.

La questione è stata dunque risolta con la sentenza del 25 settembre 2008, n. 24055, la quale si inserisce nel solco della costante giurisprudenza di legittimità in tema di distinzione tra evizione e vendita di bene gravato da oneri o diritti di godimento di terzi.

In concreto, il giudizio è stato originato dalla pretesa di un acquirente il quale, dopo avere comperato "un appartamento con accessorio posto macchina scoperto nell’area condominiale, come identificato nel regolamento di condominio non allegato all’atto", solo successivamente ebbe modo di avvedersi che una norma regolamentare prevedeva il divieto di parcheggio nel cortile, siccome l’originaria delibera che ne attribuiva il diritto ai condomini era stata impugnata e annullata con sentenza della Corte di Cassazione.

L’attore si rivolse perciò all’Autorità Giudiziaria competente, invocando - ai danni del venditore - il diritto alla garanzia per evizione, ai sensi dell’articolo 1484 del codice civile, onde ottenerne la condanna al risarcimento del danno. Dapprima il Tribunale e, successivamente, la Corte d’Appello hanno rigettato le domande attrici, rilevando in motivazione che l’acquirente non avesse ottenuto “la proprietà di un posto macchina fisicamente individuato ma al più l’uso di esso, peraltro non esclusivo ma promiscuo”.

La Corte di Cassazione ha ritenuto che il ragionamento condotto dalla Corte territoriale fosse da condividersi. E infatti, ha rilevato che “oggetto della lite condominiale non è stato un bene fisicamente individuato, la cui sottrazione all’attore possa essere qualificata come fatto evizionale: egli è infatti rimasto comproprietario dell’area (cortile comune) che era stata oggetto della vendita. Ha soltanto perso, a seguito della sentenza sfavorevole che ha annullato la delibera condominiale, la facoltà di uso di una parte dell’area comune come parcheggio dei veicoli". Ne consegue, perciò, che "la privazione sopraggiunta non si riferisce al bene ma a una delle possibilità di uso dello stesso, rimasto in proprietà dell’acquirente secondo le quote millesimali condominiali acquisite", sicché la fattispecie realizzatasi non inciderebbe "sotto l’aspetto quantitativo sulla consistenza dell’oggetto trasferito". In buona sostanza, la Corte di Cassazione ha ritenuto di escludere la sussistenza dell’evizione, posto che l’intervenuto annullamento della delibera che autorizzava il parcheggio delle autovetture nel cortile condominiale non avrebbe inciso sulla consistenza del bene trasferito (ossia la proprietà delle quote millesimali riferite al cortile comune) rimasto nella piena proprietà e disponibilità dell’acquirente, incidendo invece la pretesa evizione, non lo si dimentichi, su un posto auto non fisicamente individuato.

I rilievi in questo senso operati dalla Corte di Cassazione permettono allora di giungere alla conclusione, spesso non condivisa dalla dottrina, secondo la quale - per dirlo con le parole adoperate nella motivazione della richiamata sentenza del 25 settembre 2008 - “quel che si osserva nell’evizione è la violazione dell’impegno traslativo (secondo la controversa formula dottrinale) sotto forma di una mancata utilizzazione o rimozione del trasferimento, che fa perdere al diritto trasferito le sue caratteristiche qualitative e quantitative, mentre laddove si osservino limitazioni di godimento o oneri che lascino salva l’acquisizione patrimoniale, pur incidendo sul valore economico di quanto trasferito, non può parlarsi di evizione ai sensi degli invocati articoli 1483 e il 1484 del codice civile".

Pertanto, alla luce delle argomentazioni sviluppate nella recente sentenza della Suprema Corte, può ben sostenersi che l’oggettivo criterio distintivo tra evizione e vendita di bene gravato da oneri o da diritti di godimento di terzi - da operarsi ai fini di individuare la fattispecie in concreto applicabile - consiste nella verifica della mancata realizzazione del trasferimento del diritto che con la compravendita dovrebbe avvenire. Vale a dire, cioè, che in tutti i casi in cui si assista alla rimozione del trasferimento del bene compravenduto (sia essa avvenuta in tutto o in parte) ad opera del terzo, quasi sicuramente si tratterà di evizione; mentre, per converso, ove si realizzi una limitazione del godimento, pur rimanendo immutato l’effetto traslativo realizzato con la compravendita del bene, ricorrerà l’ipotesi prevista dall’articolo 1489 del codice civile.

Sotto questo profilo, appare poi superfluo ribadire che, per l’applicazione del precetto dell’articolo 1489 del codice civile, occorrerà comunque il concorso degli altri presupposti ivi indicati, vale a dire la mancata dichiarazione nel contratto degli oneri o dei diritti reali o personali di godimento, la loro non apparenza e la mancata conoscenza di essi da parte del compratore, da verificarsi nel merito di ciascun giudizio.

3) Conclusioni.

Premesso quanto precede, quel che più importa evidenziare con riferimento alla recente sentenza della Cassazione, è altresì il ragionamento che è stato condotto per giungere alla conclusione di ritenere applicabile, al caso di specie, il disposto dell’articolo 1489 del codice civile. Ed invero, a parere della Cassazione, di conforto allo sviluppato approccio alla distinzione tra le singole fattispecie militano:

- gli orientamenti manifestati dalla dottrina e dalla giurisprudenza nella ben più grave ipotesi di alienazione di immobile le cui potenzialità edificatorie siano totalmente o parzialmente compromesse: ipotesi che è stata ricondotta all’articolo citato. In proposito la Corte ha statuito che “nell’ipotesi di vendita di cosa gravata da diritti o da oneri ai sensi dell’art. 1489 c.c. (che trova, fra l’altro, applicazione nel caso di vendita di immobile le cui potenzialità edificatorie risultino ridotte per effetto di cosiddetto trasferimento di cubatura) il compratore ha diritto, oltre alla risoluzione del contratto o alla riduzione del prezzo, secondo quanto stabilito dall’art. 1480 c.c., anche al risarcimento del danno, ai fini del quale non si richiede la malafede del venditore ma è sufficiente che questi versi in colpa, essendo il risarcimento del danno fondato sulle norme generali degli artt. 1218 e 1223 c.c. in base al richiamo di quest’ultima disposizione da parte dell’art. 1479 c.c., a sua volta richiamato dall’art. 1480 c.c., cui rinvia ancora il citato art. 1489 c.c.” (Cassazione civile 4 febbraio 2003, n. 1613). E, ancora “nell’ipotesi di vendita di cosa gravata da diritti o da oneri ai sensi dell’art. 1489 c.c. (che trova applicazione nel caso di vendita di immobile le cui potenzialità edificatorie risultino ridotte per effetto di cosiddetto trasferimento di cubatura) il compratore ha diritto oltre alla risoluzione del contratto o alla riduzione del prezzo, secondo quanto stabilito dall’art. 1480 c.c., anche al risarcimento del danno, ai fini del quale non si richiede la malafede del venditore ma è sufficiente che questi versi in colpa, essendo il risarcimento del danno fondato sulle norme generali degli art. 1218 e 1223 in base al richiamo di quest’ultima disposizione da parte dell’art. 1479, a sua volta richiamato dall’art. 1480, cui rinvia ancora il citato, art. 1489" (Cassazione civile 22 febbraio 1996, n. 1352). L’applicabilità dell’art. 1489 del codice civile in luogo dell’evizione deriva da una tradizionale poszione della Corte di Cassazione, la quale è infatti costantemente orientata (tra le altre, Cassazione civile 17 dicembre 1999 n. 14226) nel senso che "se nel contratto definitivo di compravendita il venditore abbia espressamente garantito la destinazione edificatoria del suolo compravenduto, specificando l’indice di edificabilità, il compratore, appresa l’esistenza di un vincolo urbanistico di inedificabilità che riduca la cubatura realizzabile sull’area (nella specie, parte dell’area era risultata attraversata da una strada nel piano particolareggiato), può avvalersi, essendo anche il vincolo non agevolmente riconoscibile per effetto delle asserzioni del venditore, della garanzia prevista dall’art. 1489 c.c., in materia di cosa gravata da oneri non apparenti; non ricorre, infatti, l’ipotesi del vizio redibitorio, che attiene alla materialità del bene compravenduto ed al suo modo di essere nella realtà materiale, bensì l’ipotesi di onere a favore di terzo gravante sulla "res vendita", che consiste in un vincolo giuridico incidente sul godimento del proprietario e sul suo diritto" (Cassazione civile 4 febbraio 2003, n. 1613);

- le affermazioni rese dalla Corte di Cassazione in tema di vendita di cosa costruita in violazione del limite legale della proprietà, laddove l’applicazione della garanzia prevista dall’articolo 1489 del codice civile (in luogo di quella propria del paradigma dell’evizione) è stata ricollegata al fatto che fosse rimasta ferma "l’identità strutturale della cosa" (Cassazione civile 6 dicembre 1984, n. 6402; Cassazione civile 23 ottobre 1975, n. 3504);

- il precedente costituito da Cassazione civile 3 luglio 2003, n. 10523, a mente del quale "concreta la fattispecie prevista dall’articolo 1489 del codice civile quella in cui il bene alienato si riveli inidoneo all’uso di abitazione per i quali era stato acquistato, in presenza di una clausola del regolamento di condominio contrattuale che vieti il mutamento di destinazione d’uso dell’immobile da cantina ad abitazione".

Come si potrà facilmente notare, allora, sino dagli anni ’70 del secolo scorso la Corte di Cassazione ha sempre utilizzato quale criterio per distinguere l’evizione dalla compravendita di cosa gravata da oneri o da diritti di godimento di terzi l’indagine circa il mantenimento dell’identità strutturale della cosa, giungendo alfine a porre e consolidare il principio secondo il quale le norme dettate in materia di evizione (articoli 1483 e 1484 del codice civile) possano invocarsi soltanto nel momento in cui venga meno siffatta identità strutturale, intendendosi questo concetto come il venire meno - in tutto o in parte - del trasferimento del bene compravenduto ad opera di un intervento del terzo in danno dell’acquirente. Diversamente - quando cioè l’effetto traslativo non sia stato vanificato dall’intervento del terzo - l’unico rimedio esperibile dall’acquirente rimane quello previsto dall’articolo 1480 del codice civile.

In conclusione e riassumendo, allora, sulla scorta anche del più recente orientamento giurisprudenziale della Corte di Cassazione, si ricava il principio secondo il quale l’evizione (totale o parziale) si realizza ogni qualvolta venga meno l’identità strutturale del diritto oggetto del contratto di vendita, ossia intervenga (ad opera di un terzo estraneo al rapporto negoziale intercorso) una rimozione del trasferimento, che faccia perdere al diritto trasferito le sue caratteristiche qualitative e quantitative. Invece e per contro, laddove si verifichino limitazioni al godimento del bene, le quali però facciano salva l’acquisizione patrimoniale che il contratto di vendita ha realizzato, troverà sicura applicazione l’art. 1489 del codice civile. E, conseguentemente, sarà ben diverso anche il regime di tutela accordato al compratore, a mente delle norme richiamate nel presente scritto.

Nel presente scritto, tenuto anche conto dei più recenti orientamenti giurisprudenziali e senza pretesa d’esaustività, prenderemo in considerazione il modus operandi con il quale, nella quotidiana pratica forense, la Corte di Cassazione risolve il problema di distinguere l’evizione dal trasferimento di beni gravati da oneri o diritti di godimento di terzi con riguardo al negozio giuridico della compravendita.

1) La garanzia per evizione e il trasferimento di beni gravati da oneri o diritti di godimento di terzi nel contratto di compravendita: cenni generali.

La funzione fondamentale del contratto di compravendita consiste nel far acquisire al compratore la titolarità del diritto trasferito ed il libero godimento del bene identificato nel contratto. Può tuttavia verificarsi il caso che terzi vantino diritti sul bene compravenduto, di guisa che il compratore venga privato (in tutto o in parte) della proprietà del medesimo. In questo caso si concretizza l’evizione, la quale può essere totale (alludendosi alla situazione del compratore che sia rimasto soccombente nel giudizio instaurato contro di lui da un terzo, che riesca a far condannare il compratore medesimo a consegnargli la cosa) oppure parziale (alludendosi alla situazione in cui il bene diviene soltanto in parte oggetto della pretesa del terzo).

Le due fattispecie in esame - che costituiscono una garanzia posta dalla legge in capo al venditore - sono regolamentate rispettivamente dall’articolo 1483 del codice civile e dall’articolo 1484 del codice civile; e sono differenti quanto alle conseguenze giuridiche per ciascuna di esse previste. Infatti, in caso di evizione totale, il venditore è tenuto al risarcimento del danno a mente di quanto stabilito dall’art. 1479 del codice civile; a corrispondere il valore dei frutti che il compratore è tenuto a restituire al terzo; a rimborsare le spese sostenute dal compratore stesso per la denuncia della lite e di quelle che abbia dovuto rimborsare all’attore. Invece, in caso di evizione parziale, si osservano le disposizioni dell’art. 1480 del codice civile (vendita di cosa parzialmente di altri) e, comunque, il venditore è tenuto a corrispondere il valore dei frutti che il compratore è tenuto a restituire al terzo ed a rimborsare le spese sostenute dal compratore stesso per la denuncia della lite e di quelle che abbia dovuto rimborsare all’attore.

Diversa dalle due ipotesi sopra descritte è invece la vendita di un bene gravato da oneri o diritti reali o personali, regolamentata dall’art. 1489 del codice civile. In questo caso, infatti, il venditore permette al compratore di acquisire la titolarità del diritto trasferito, ma non il libero godimento della cosa compravenduta, perché su quest’ultima insistono oneri, diritti reali o diritti di godimento a favore di un terzo. Perciò, ove ne sussistano tutti i presupposti oggettivi e soggettivi (non apparenza dell’onere o dei diritti, mancata conoscenza degli stessi da parte dell’acquirente), la norma richiamata accorda al compratore il diritto di domandare la risoluzione del contratto oppure una riduzione del prezzo secondo la disposizione dell’art. 1480 del codice civile.

Ciò premesso, pur essendo - in linea di massima - abbastanza agevole e chiara la distinzione tra le due fattispecie inerenti l’evizione (totale e parziale), nella pratica può accadere tuttavia di trovarsi a percorrere "un crinale sottile tra evizione e vizi" (Cassazione civile 25 settembre 2008, n. 24055) dovendosi discernere l’ipotesi dell’evizione da quella della vendita di un bene gravato da oneri o diritti reali o personali non apparenti che ne diminuiscano il libero godimento.

Difatti, non si può negare che - nella multiforme varietà del quotidiano divenire - almeno in apparenza e ad una prima, sommaria, disamina, la differenza tra le due fattispecie potrebbe presentarsi più sfumata e meno netta. Ed è la stessa Suprema Corte a chiarire come la dottrina talvolta discetti di evizione parziale “anche nel caso di perdita di un diritto accessorio al diritto trasferito, del quale fosse stata presupposta l’esistenza nel contratto” (Cassazione civile 25 settembre 2008, n. 24055). L’esempio classicamente addotto è quello di una servitù attiva che acceda al bene compravenduto; tuttavia - osserva sempre la Cassazione - la evizione del diritto di servitù, esplicantesi sul fondo servente e non su quello oggetto della vendita, è ipotesi ben distinguibile dall’emergere di oneri o diritti reali o personali che ineriscono la cosa trasferita e ne diminuiscono il libero godimento, pur mantenendo intatta l’attribuzione del diritto realizzata con il contratto di compravendita.

Dunque, il pericolo di giungere ad una confusione tra le diverse ipotesi regolamentate dalle norme sopra citate potrebbe sorgere - ad avviso di chi scrive - in quanto tutte le richiamate fattispecie hanno quale comune presupposto la presenza di un elemento estraneo al negozio giuridico, perfezionatosi tra venditore e compratore, che di fatto limita il godimento del bene. In parole più semplici, sia l’evizione (sia essa totale o parziale), sia l’ipotesi della compravendita di un bene gravato da oneri o di diritti di godimento di terzi, condividono l’esistenza di una pretesa, di un diritto o di un onere attribuito ad un terzo che, intromettendosi nel rapporto negoziale tra le parti come elemento estraneo, riduce - di fatto - quel "diritto di godere di disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo" (articolo 832 del codice civile) che l’acquirente pretende di conseguire attraverso la conclusione di un contratto di vendita.

Pertanto, considerata la comunanza del sopra illustrato "comune denominatore" che sottende alle singole norme, laddove nella pratica ci si trovi a fare i conti con una fattispecie che possa presentarsi come incerta perché - in apparenza - potrebbe adeguarsi sia alle norme sulle evizione, sia alla norma dell’articolo 1489 del codice civile, si renderà necessario ricercare un criterio oggettivo che consenta di dirimere l’apparente conflitto di norme, criterio che non sia dunque ancorato alla presenza di una pretesa del terzo. Difatti, non ogni pretesa di un terzo (di qualsiasi natura o titolo essa sia) su un bene compravenduto può costituire sic et simpliciter evizione.

Da qui, allora, la conseguente necessità, per l’interprete, di vincolare il proprio convincimento - in ordine alla corretta norma da applicare alla fattispecie concreta - a criteri distintivi che siano univoci ed oggettivamente caratterizzanti la singola norma e che consentano, oltre ogni ragionevole dubbio, di poter asserire con certezza se si tratti di evizione totale, parziale, oppure di bene gravato da oneri o diritti di godimento di terzi. Ed il problema non è di poco conto, sol che si considerino le diverse conseguenze giuridiche che scaturiscono dall’applicazione del precetto che si dovesse ritenere più acconcio al caso specifico.

2) La sentenza della Corte di Cassazione del 25 settembre 2008, n. 24055.

Di recente, la Corte di Cassazione è stata chiamata a dirimere una controversia la cui soluzione richiedeva, per l’appunto, la necessità di operare un distinguo tra il disposto dell’articolo 1484 e dell’articolo 1489 del codice civile.

La questione è stata dunque risolta con la sentenza del 25 settembre 2008, n. 24055, la quale si inserisce nel solco della costante giurisprudenza di legittimità in tema di distinzione tra evizione e vendita di bene gravato da oneri o diritti di godimento di terzi.

In concreto, il giudizio è stato originato dalla pretesa di un acquirente il quale, dopo avere comperato "un appartamento con accessorio posto macchina scoperto nell’area condominiale, come identificato nel regolamento di condominio non allegato all’atto", solo successivamente ebbe modo di avvedersi che una norma regolamentare prevedeva il divieto di parcheggio nel cortile, siccome l’originaria delibera che ne attribuiva il diritto ai condomini era stata impugnata e annullata con sentenza della Corte di Cassazione.

L’attore si rivolse perciò all’Autorità Giudiziaria competente, invocando - ai danni del venditore - il diritto alla garanzia per evizione, ai sensi dell’articolo 1484 del codice civile, onde ottenerne la condanna al risarcimento del danno. Dapprima il Tribunale e, successivamente, la Corte d’Appello hanno rigettato le domande attrici, rilevando in motivazione che l’acquirente non avesse ottenuto “la proprietà di un posto macchina fisicamente individuato ma al più l’uso di esso, peraltro non esclusivo ma promiscuo”.

La Corte di Cassazione ha ritenuto che il ragionamento condotto dalla Corte territoriale fosse da condividersi. E infatti, ha rilevato che “oggetto della lite condominiale non è stato un bene fisicamente individuato, la cui sottrazione all’attore possa essere qualificata come fatto evizionale: egli è infatti rimasto comproprietario dell’area (cortile comune) che era stata oggetto della vendita. Ha soltanto perso, a seguito della sentenza sfavorevole che ha annullato la delibera condominiale, la facoltà di uso di una parte dell’area comune come parcheggio dei veicoli". Ne consegue, perciò, che "la privazione sopraggiunta non si riferisce al bene ma a una delle possibilità di uso dello stesso, rimasto in proprietà dell’acquirente secondo le quote millesimali condominiali acquisite", sicché la fattispecie realizzatasi non inciderebbe "sotto l’aspetto quantitativo sulla consistenza dell’oggetto trasferito". In buona sostanza, la Corte di Cassazione ha ritenuto di escludere la sussistenza dell’evizione, posto che l’intervenuto annullamento della delibera che autorizzava il parcheggio delle autovetture nel cortile condominiale non avrebbe inciso sulla consistenza del bene trasferito (ossia la proprietà delle quote millesimali riferite al cortile comune) rimasto nella piena proprietà e disponibilità dell’acquirente, incidendo invece la pretesa evizione, non lo si dimentichi, su un posto auto non fisicamente individuato.

I rilievi in questo senso operati dalla Corte di Cassazione permettono allora di giungere alla conclusione, spesso non condivisa dalla dottrina, secondo la quale - per dirlo con le parole adoperate nella motivazione della richiamata sentenza del 25 settembre 2008 - “quel che si osserva nell’evizione è la violazione dell’impegno traslativo (secondo la controversa formula dottrinale) sotto forma di una mancata utilizzazione o rimozione del trasferimento, che fa perdere al diritto trasferito le sue caratteristiche qualitative e quantitative, mentre laddove si osservino limitazioni di godimento o oneri che lascino salva l’acquisizione patrimoniale, pur incidendo sul valore economico di quanto trasferito, non può parlarsi di evizione ai sensi degli invocati articoli 1483 e il 1484 del codice civile".

Pertanto, alla luce delle argomentazioni sviluppate nella recente sentenza della Suprema Corte, può ben sostenersi che l’oggettivo criterio distintivo tra evizione e vendita di bene gravato da oneri o da diritti di godimento di terzi - da operarsi ai fini di individuare la fattispecie in concreto applicabile - consiste nella verifica della mancata realizzazione del trasferimento del diritto che con la compravendita dovrebbe avvenire. Vale a dire, cioè, che in tutti i casi in cui si assista alla rimozione del trasferimento del bene compravenduto (sia essa avvenuta in tutto o in parte) ad opera del terzo, quasi sicuramente si tratterà di evizione; mentre, per converso, ove si realizzi una limitazione del godimento, pur rimanendo immutato l’effetto traslativo realizzato con la compravendita del bene, ricorrerà l’ipotesi prevista dall’articolo 1489 del codice civile.

Sotto questo profilo, appare poi superfluo ribadire che, per l’applicazione del precetto dell’articolo 1489 del codice civile, occorrerà comunque il concorso degli altri presupposti ivi indicati, vale a dire la mancata dichiarazione nel contratto degli oneri o dei diritti reali o personali di godimento, la loro non apparenza e la mancata conoscenza di essi da parte del compratore, da verificarsi nel merito di ciascun giudizio.

3) Conclusioni.

Premesso quanto precede, quel che più importa evidenziare con riferimento alla recente sentenza della Cassazione, è altresì il ragionamento che è stato condotto per giungere alla conclusione di ritenere applicabile, al caso di specie, il disposto dell’articolo 1489 del codice civile. Ed invero, a parere della Cassazione, di conforto allo sviluppato approccio alla distinzione tra le singole fattispecie militano:

- gli orientamenti manifestati dalla dottrina e dalla giurisprudenza nella ben più grave ipotesi di alienazione di immobile le cui potenzialità edificatorie siano totalmente o parzialmente compromesse: ipotesi che è stata ricondotta all’articolo citato. In proposito la Corte ha statuito che “nell’ipotesi di vendita di cosa gravata da diritti o da oneri ai sensi dell’art. 1489 c.c. (che trova, fra l’altro, applicazione nel caso di vendita di immobile le cui potenzialità edificatorie risultino ridotte per effetto di cosiddetto trasferimento di cubatura) il compratore ha diritto, oltre alla risoluzione del contratto o alla riduzione del prezzo, secondo quanto stabilito dall’art. 1480 c.c., anche al risarcimento del danno, ai fini del quale non si richiede la malafede del venditore ma è sufficiente che questi versi in colpa, essendo il risarcimento del danno fondato sulle norme generali degli artt. 1218 e 1223 c.c. in base al richiamo di quest’ultima disposizione da parte dell’art. 1479 c.c., a sua volta richiamato dall’art. 1480 c.c., cui rinvia ancora il citato art. 1489 c.c.” (Cassazione civile 4 febbraio 2003, n. 1613). E, ancora “nell’ipotesi di vendita di cosa gravata da diritti o da oneri ai sensi dell’art. 1489 c.c. (che trova applicazione nel caso di vendita di immobile le cui potenzialità edificatorie risultino ridotte per effetto di cosiddetto trasferimento di cubatura) il compratore ha diritto oltre alla risoluzione del contratto o alla riduzione del prezzo, secondo quanto stabilito dall’art. 1480 c.c., anche al risarcimento del danno, ai fini del quale non si richiede la malafede del venditore ma è sufficiente che questi versi in colpa, essendo il risarcimento del danno fondato sulle norme generali degli art. 1218 e 1223 in base al richiamo di quest’ultima disposizione da parte dell’art. 1479, a sua volta richiamato dall’art. 1480, cui rinvia ancora il citato, art. 1489" (Cassazione civile 22 febbraio 1996, n. 1352). L’applicabilità dell’art. 1489 del codice civile in luogo dell’evizione deriva da una tradizionale poszione della Corte di Cassazione, la quale è infatti costantemente orientata (tra le altre, Cassazione civile 17 dicembre 1999 n. 14226) nel senso che "se nel contratto definitivo di compravendita il venditore abbia espressamente garantito la destinazione edificatoria del suolo compravenduto, specificando l’indice di edificabilità, il compratore, appresa l’esistenza di un vincolo urbanistico di inedificabilità che riduca la cubatura realizzabile sull’area (nella specie, parte dell’area era risultata attraversata da una strada nel piano particolareggiato), può avvalersi, essendo anche il vincolo non agevolmente riconoscibile per effetto delle asserzioni del venditore, della garanzia prevista dall’art. 1489 c.c., in materia di cosa gravata da oneri non apparenti; non ricorre, infatti, l’ipotesi del vizio redibitorio, che attiene alla materialità del bene compravenduto ed al suo modo di essere nella realtà materiale, bensì l’ipotesi di onere a favore di terzo gravante sulla "res vendita", che consiste in un vincolo giuridico incidente sul godimento del proprietario e sul suo diritto" (Cassazione civile 4 febbraio 2003, n. 1613);

- le affermazioni rese dalla Corte di Cassazione in tema di vendita di cosa costruita in violazione del limite legale della proprietà, laddove l’applicazione della garanzia prevista dall’articolo 1489 del codice civile (in luogo di quella propria del paradigma dell’evizione) è stata ricollegata al fatto che fosse rimasta ferma "l’identità strutturale della cosa" (Cassazione civile 6 dicembre 1984, n. 6402; Cassazione civile 23 ottobre 1975, n. 3504);

- il precedente costituito da Cassazione civile 3 luglio 2003, n. 10523, a mente del quale "concreta la fattispecie prevista dall’articolo 1489 del codice civile quella in cui il bene alienato si riveli inidoneo all’uso di abitazione per i quali era stato acquistato, in presenza di una clausola del regolamento di condominio contrattuale che vieti il mutamento di destinazione d’uso dell’immobile da cantina ad abitazione".

Come si potrà facilmente notare, allora, sino dagli anni ’70 del secolo scorso la Corte di Cassazione ha sempre utilizzato quale criterio per distinguere l’evizione dalla compravendita di cosa gravata da oneri o da diritti di godimento di terzi l’indagine circa il mantenimento dell’identità strutturale della cosa, giungendo alfine a porre e consolidare il principio secondo il quale le norme dettate in materia di evizione (articoli 1483 e 1484 del codice civile) possano invocarsi soltanto nel momento in cui venga meno siffatta identità strutturale, intendendosi questo concetto come il venire meno - in tutto o in parte - del trasferimento del bene compravenduto ad opera di un intervento del terzo in danno dell’acquirente. Diversamente - quando cioè l’effetto traslativo non sia stato vanificato dall’intervento del terzo - l’unico rimedio esperibile dall’acquirente rimane quello previsto dall’articolo 1480 del codice civile.

In conclusione e riassumendo, allora, sulla scorta anche del più recente orientamento giurisprudenziale della Corte di Cassazione, si ricava il principio secondo il quale l’evizione (totale o parziale) si realizza ogni qualvolta venga meno l’identità strutturale del diritto oggetto del contratto di vendita, ossia intervenga (ad opera di un terzo estraneo al rapporto negoziale intercorso) una rimozione del trasferimento, che faccia perdere al diritto trasferito le sue caratteristiche qualitative e quantitative. Invece e per contro, laddove si verifichino limitazioni al godimento del bene, le quali però facciano salva l’acquisizione patrimoniale che il contratto di vendita ha realizzato, troverà sicura applicazione l’art. 1489 del codice civile. E, conseguentemente, sarà ben diverso anche il regime di tutela accordato al compratore, a mente delle norme richiamate nel presente scritto.