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La Corte di Cassazione interviene ancora sulla nozione di sottoprodotto

Nota a Corte di Cassazione - Sezione Terza Penale, Sentenza 29 luglio 2008, n. 31462
Dopo l’entrata in vigore del d.lg. n. 4/08, che ha modificato la nozione di sottoprodotto dettata dall’art. 183 d.lg. n. 152/06, interviene sul tema la Corte di Cassazione, sez. III Penale. Nella sentenza n. 31462 del 29.07.2008 (udienza 12.06.2008 Pres. DE MAIO, Rel. LOMBARDI) la Corte afferma che, ai fini della qualifica di un materiale o una sostanza come sottoprodotto, non è necessario che il riutilizzo avvenga nello stesso processo produttivo essendo sufficiente che il processo di utilizzazione sia stato preventivamente individuato e definito.

La pronuncia è significativa perché si discosta da quanto affermato dalla stessa Corte in passato (sentenza n. 14557 dell’11.04.2007, udienza 21.12.2006, Pres. VITALONE, Est. ONORATO) . Si legge infatti nella motivazione: «Per l’attribuzione della qualifica di sottoprodotto occorre, secondo la definizione di cui al punto 2) dell’art. 183, primo comma lett. P), del D. Lgs n. 152/06, come modificato dal D. Lgs n. 4 del 2008, tra l’altro, che: "il loro impiego sia certo sin dalla fase di produzione integrale e avvenga direttamente nel corso del processo di produzione o di utilizzazione preventivamente individuato e definito". Alla luce di tale definizione, pertanto, non è necessario che l’utilizzazione del materiale, da qualificarsi sottoprodotto, avvenga nello stesso processo produttivo da cui ha avuto origine, essendo, invece, sufficiente che il processo di utilizzazione, peraltro integrale, del sottoprodotto sia stato preventivamente individuato e definito».

Il riferimento è dunque alla condizione sub 2 dettata dall’art. 183 lett. p): «il loro impiego sia certo, sin dalla fase della produzione, integrale e avvenga direttamente nel corso del processo di produzione o di utilizzazione preventivamente individuato e definito». E’ dunque da questa previsione (che, come è già stato osservato, presenta margini di ambiguità ) che si ricava l’ammissibilità del riutilizzo presso un impianto diverso da quello che l’ha originato.

Di sicuro interesse risulta anche la sentenza n. 35235 del 12.09.2008 (udienza 10.07.08, Pres. LUPO, Rel. PETTI) con la quale la Corte Suprema rimarca l’importanza del valore economico («elemento determinante per la distinzione tra scarto e sottoprodotto anche se spesso è stato trascurato dagli interpreti e dallo stesso legislatore») chiarisce che l’accertamento compiuto dal Tribunale in merito allo stato di abbandono degli scarti non basta ad escludere la qualifica degli stessi come sottoprodotto atteso infatti che «la questione controversa era e continua ad essere costituita dall’accertamento della natura del materiale in questione e consiste tuttora nello stabilire se esso sia un sottoprodotto riutilizzabile. Quindi nell’ambito di tale accertamento qualsiasi elemento poteva essere utilizzato dal giudice di merito».

Molto interessante anche il passaggio motivazionale in merito agli elementi di prova offerti dall’imputato ma che il Tribunale (errando, secondo la Corte Suprema) non ha adeguatamente considerato: «il deposito dei residui di produzione nel luogo in cui gli stessi vengono prodotti o nelle vicinanze o in altro luogo non costituisce di per sé elemento univoco per qualificarli come rifiuti se dalle modalità del deposito, dalla sua durata e da altre circostanze non può desumersi con certezza una situazione di effettivo abbandono. Nella fattispecie, in relazione a tale elemento l’indagato ha fornito giustificazioni e prodotto documenti che non sono stati adeguatamente apprezzati dal tribunale. Invero l’indagato ha fatto presente di non avere finora riutilizzato quel materiale per la pendenza del giudizio e, per escludere la sussistenza di una situazione di abbandono, ha prodotti alcuni documenti tendenti a dimostrare l’effettiva utilizzazione. Il giudice ha escluso la valenza probatoria di tali documenti solo perché privi di certezza sulla provenienza e la data in quanto prodotti in fotocopia. Invece tali incertezze potevano essere colmate interpellando l’interessato, il quale, secondo il difensore, era presente ovvero con l’invito a produrre gli originali o con la richiesta di attestazione di conformità».

>Dopo l’entrata in vigore del d.lg. n. 4/08, che ha modificato la nozione di sottoprodotto dettata dall’art. 183 d.lg. n. 152/06, interviene sul tema la Corte di Cassazione, sez. III Penale. Nella sentenza n. 31462 del 29.07.2008 (udienza 12.06.2008 Pres. DE MAIO, Rel. LOMBARDI) la Corte afferma che, ai fini della qualifica di un materiale o una sostanza come sottoprodotto, non è necessario che il riutilizzo avvenga nello stesso processo produttivo essendo sufficiente che il processo di utilizzazione sia stato preventivamente individuato e definito.

La pronuncia è significativa perché si discosta da quanto affermato dalla stessa Corte in passato (sentenza n. 14557 dell’11.04.2007, udienza 21.12.2006, Pres. VITALONE, Est. ONORATO) . Si legge infatti nella motivazione: «Per l’attribuzione della qualifica di sottoprodotto occorre, secondo la definizione di cui al punto 2) dell’art. 183, primo comma lett. P), del D. Lgs n. 152/06, come modificato dal D. Lgs n. 4 del 2008, tra l’altro, che: "il loro impiego sia certo sin dalla fase di produzione integrale e avvenga direttamente nel corso del processo di produzione o di utilizzazione preventivamente individuato e definito". Alla luce di tale definizione, pertanto, non è necessario che l’utilizzazione del materiale, da qualificarsi sottoprodotto, avvenga nello stesso processo produttivo da cui ha avuto origine, essendo, invece, sufficiente che il processo di utilizzazione, peraltro integrale, del sottoprodotto sia stato preventivamente individuato e definito».

Il riferimento è dunque alla condizione sub 2 dettata dall’art. 183 lett. p): «il loro impiego sia certo, sin dalla fase della produzione, integrale e avvenga direttamente nel corso del processo di produzione o di utilizzazione preventivamente individuato e definito». E’ dunque da questa previsione (che, come è già stato osservato, presenta margini di ambiguità ) che si ricava l’ammissibilità del riutilizzo presso un impianto diverso da quello che l’ha originato.

Di sicuro interesse risulta anche la sentenza n. 35235 del 12.09.2008 (udienza 10.07.08, Pres. LUPO, Rel. PETTI) con la quale la Corte Suprema rimarca l’importanza del valore economico («elemento determinante per la distinzione tra scarto e sottoprodotto anche se spesso è stato trascurato dagli interpreti e dallo stesso legislatore») chiarisce che l’accertamento compiuto dal Tribunale in merito allo stato di abbandono degli scarti non basta ad escludere la qualifica degli stessi come sottoprodotto atteso infatti che «la questione controversa era e continua ad essere costituita dall’accertamento della natura del materiale in questione e consiste tuttora nello stabilire se esso sia un sottoprodotto riutilizzabile. Quindi nell’ambito di tale accertamento qualsiasi elemento poteva essere utilizzato dal giudice di merito».

Molto interessante anche il passaggio motivazionale in merito agli elementi di prova offerti dall’imputato ma che il Tribunale (errando, secondo la Corte Suprema) non ha adeguatamente considerato: «il deposito dei residui di produzione nel luogo in cui gli stessi vengono prodotti o nelle vicinanze o in altro luogo non costituisce di per sé elemento univoco per qualificarli come rifiuti se dalle modalità del deposito, dalla sua durata e da altre circostanze non può desumersi con certezza una situazione di effettivo abbandono. Nella fattispecie, in relazione a tale elemento l’indagato ha fornito giustificazioni e prodotto documenti che non sono stati adeguatamente apprezzati dal tribunale. Invero l’indagato ha fatto presente di non avere finora riutilizzato quel materiale per la pendenza del giudizio e, per escludere la sussistenza di una situazione di abbandono, ha prodotti alcuni documenti tendenti a dimostrare l’effettiva utilizzazione. Il giudice ha escluso la valenza probatoria di tali documenti solo perché privi di certezza sulla provenienza e la data in quanto prodotti in fotocopia. Invece tali incertezze potevano essere colmate interpellando l’interessato, il quale, secondo il difensore, era presente ovvero con l’invito a produrre gli originali o con la richiesta di attestazione di conformità».