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Incentivo all’esodo e tassazione all’europea

L’Agenzia delle Entrate si adegua, suo malgrado, a quanto disposto dalla Corte di Giustizia Europea

Con circolare n° 62E l’Agenzia delle Entrate dirime definitivamente una disputa sorta tre anni orsono, in seguito ad una sentenza della Corte di Giustizia Europea (C 207/2004) la quale sanciva l’inadeguatezza di una norma fiscale del nostro ordinamento, rispetto ai principi comunitari di parità di trattamento tra uomini e donne. Questi stessi principi, peraltro, proprio di recente (1) hanno sensibilizzato il Legislatore Italiano all’esecuzione di un arduo compito, considerato il peso degli interessi sociali coinvolti, quale quello di equiparare l’età pensionabile prevista rispettivamente per gli uomini e per le donne.

La norma dell’ordinamento fiscale oggetto di incompatibilità rispetto ai suddetti principi, era quella sulla tassazione applicabile alle somme corrisposte dai datori di lavoro al fine di incentivare l’esodo dei propri dipendenti, presente nel TUIR (art. 19 comma 4-bis). Il comma in questione è stato soppresso, in seguito alla sentenza europea, dalla L. 248 del 4 agosto 2006 (2).

Nonostante l’immediato recepimento del pensiero comunitario, si sono evidenziati subito problemi sostanziali di applicabilità relativamente ai periodi transitori. Infatti casi plurimi di accordi firmati prima dell’entrata in vigore della Legge, quindi con la vigenza della diversa tassazione tra i due sessi, dovevano conoscere la disciplina applicabile; inoltre, se pareva chiaro come la previsione del nostro ordinamento integrasse una situazione di disparità tra due trattamenti, non pareva invece scontato quale dei due fosse corretto applicare.

In risposta a tali problemi, prontamente l’amministrazione finanziaria con risoluzione 112/E (3) chiariva: in merito al primo punto che “…il Legislatore ha ritenuto opportuno abrogare il comma 4-bis dell’art. 19 del TUIR, facendo salvi però i diritti di coloro che avevano già contrattato un piano incentivato di esodo…” quindi la stipula di accordi in data precedente alla soppressione, garantiva la soggezione all’aliquota come originariamente prevista dal TUIR, indipendentemente dalla effettiva data di cessazione. Ma è riguardo al secondo punto che l’organo emittente prendeva posizione in merito alla questione più spinosa precisando che “…si esprime l’avviso che le eventuali istanze di parziale rimborso dell’imposta pagata non possano trovare accoglimento…” e più precisamente “…la sentenza della Corte di Giustizia ha solamente affermato l’illegittimità…non ha invece affermato che il legislatore italiano avrebbe dovuto estendere anche agli uomini il limite di età più vantaggioso, previsto per le donne…l’adeguamento alla statuizione della Corte potrebbe anche consistere, in linea teorica, nell’applicazione alla donna del limite di età più sfavorevole (cinquantacinque anni) per l’accesso al beneficio…”

Acquisite tali posizioni la Corte di Giustizia Europea notava quindi come in casi particolari come quelli descritti, l’interpretazione dell’amministrazione finanziaria italiana assecondasse nuovamente la disparita precedentemente censurata, facendo intendere che il dubbio sull’applicazione del dettato comunitario dovesse comunque pendere a Suo favore.

Pertanto il medesimo organo comunitario interveniva con ordinanza del 16 gennaio 2008, questa volta chiamando in causa direttamente il potere giudiziario italiano nell’esercizio delle proprie funzioni, tentano quindi di imporre l’applicazione almeno in giudizio di quanto non recepito dal Legislatore.

Il chiarimento ulteriore quindi, precisa che in giudizio comunque non si potrà ignorare direttiva del Consiglio 9 febbraio 1976, n. 76/207/CEE (recante indicazioni sulla parità dei trattamenti), risolvendo i problemi interpretativi relativi alle cause vigenti nello specifico: “…Qualora sia accertata una discriminazione incompatibile con il diritto comunitario finché non siano adottate misure volte a ripristinare la parità di trattamento, il giudice nazionale è tenuto a disapplicare qualsiasi disposizione discriminatoria, senza doverne chiedere o attendere la previa rimozione da parte del legislatore, e deve applicare ai componenti della categoria sfavorita lo stesso regime che viene riservato alle persone dell’altra categoria…”

Importante notare come l’ordinanza, nell’ultimo periodo evidenziato, affermi che il regime da applicare ad entrambe le categorie sia quello più favorevole, sciogliendo quindi qualsivoglia nodo interpretativo e rovesciando il parere delle Entrate.

Tale ultima precisazione ha quindi ulteriormente rafforzato le precedenti interpretazioni, che in Italia la stessa Avvocatura dello Stato aveva condiviso con due note emanate una in ottobre ed una in novembre di quest’anno, obbligando l’Agenzia delle Entrate a richiamare la disapplicazione di quanto precisato dalla risoluzione 112/E del 13 ottobre 2006 con la quale si intendeva porre rimedio a casi dubbi, che ora trovano chiara definizione.

L’applicazione delle nuove indicazioni riguarderanno quindi i casi pendenti, e quelli già definiti. Infatti la circolare parla di contenzioso pertanto solo chi avrà richiesto il rimborso, oppure chi avrà applicato la disciplina più favorevole a prescindere, vedrà assecondata la propria scelta.

Considerato quindi che l’Agenzia delle Entrate difficilmente rimborserà d’ufficio chi ha applicato l’aliquota sfavorevole senza alcuna remora, sarà onere dei sostituti stessi quella richiedere nei termini prescrizionali il rimborso di quanto versato.



1. Sentenza Corte di Giustizia Europea 13 novembre 2008 C 46/07 in merito al regime pensionistico dei dipendenti pubblici;

2. Legge Bersani-Visco in conversione del D.L. 223 del 4 luglio 2006;

3. Tale risoluzione prende spunto un’istanza di interpello da parte di un Unione Industriali di una data provincia. Tale quesito risulta inammissibile a parere delle Entrate, in quanto incorporante interessi diffusi e non direttamente inerenti il soggetto istante. Considerata però la particolarità della questione, l’Agenzia delle Entrate ritiene comunque utile esprimere il proprio pensiero in merito, emanando detto documento.

Con circolare n° 62E l’Agenzia delle Entrate dirime definitivamente una disputa sorta tre anni orsono, in seguito ad una sentenza della Corte di Giustizia Europea (C 207/2004) la quale sanciva l’inadeguatezza di una norma fiscale del nostro ordinamento, rispetto ai principi comunitari di parità di trattamento tra uomini e donne. Questi stessi principi, peraltro, proprio di recente (1) hanno sensibilizzato il Legislatore Italiano all’esecuzione di un arduo compito, considerato il peso degli interessi sociali coinvolti, quale quello di equiparare l’età pensionabile prevista rispettivamente per gli uomini e per le donne.

La norma dell’ordinamento fiscale oggetto di incompatibilità rispetto ai suddetti principi, era quella sulla tassazione applicabile alle somme corrisposte dai datori di lavoro al fine di incentivare l’esodo dei propri dipendenti, presente nel TUIR (art. 19 comma 4-bis). Il comma in questione è stato soppresso, in seguito alla sentenza europea, dalla L. 248 del 4 agosto 2006 (2).

Nonostante l’immediato recepimento del pensiero comunitario, si sono evidenziati subito problemi sostanziali di applicabilità relativamente ai periodi transitori. Infatti casi plurimi di accordi firmati prima dell’entrata in vigore della Legge, quindi con la vigenza della diversa tassazione tra i due sessi, dovevano conoscere la disciplina applicabile; inoltre, se pareva chiaro come la previsione del nostro ordinamento integrasse una situazione di disparità tra due trattamenti, non pareva invece scontato quale dei due fosse corretto applicare.

In risposta a tali problemi, prontamente l’amministrazione finanziaria con risoluzione 112/E (3) chiariva: in merito al primo punto che “…il Legislatore ha ritenuto opportuno abrogare il comma 4-bis dell’art. 19 del TUIR, facendo salvi però i diritti di coloro che avevano già contrattato un piano incentivato di esodo…” quindi la stipula di accordi in data precedente alla soppressione, garantiva la soggezione all’aliquota come originariamente prevista dal TUIR, indipendentemente dalla effettiva data di cessazione. Ma è riguardo al secondo punto che l’organo emittente prendeva posizione in merito alla questione più spinosa precisando che “…si esprime l’avviso che le eventuali istanze di parziale rimborso dell’imposta pagata non possano trovare accoglimento…” e più precisamente “…la sentenza della Corte di Giustizia ha solamente affermato l’illegittimità…non ha invece affermato che il legislatore italiano avrebbe dovuto estendere anche agli uomini il limite di età più vantaggioso, previsto per le donne…l’adeguamento alla statuizione della Corte potrebbe anche consistere, in linea teorica, nell’applicazione alla donna del limite di età più sfavorevole (cinquantacinque anni) per l’accesso al beneficio…”

Acquisite tali posizioni la Corte di Giustizia Europea notava quindi come in casi particolari come quelli descritti, l’interpretazione dell’amministrazione finanziaria italiana assecondasse nuovamente la disparita precedentemente censurata, facendo intendere che il dubbio sull’applicazione del dettato comunitario dovesse comunque pendere a Suo favore.

Pertanto il medesimo organo comunitario interveniva con ordinanza del 16 gennaio 2008, questa volta chiamando in causa direttamente il potere giudiziario italiano nell’esercizio delle proprie funzioni, tentano quindi di imporre l’applicazione almeno in giudizio di quanto non recepito dal Legislatore.

Il chiarimento ulteriore quindi, precisa che in giudizio comunque non si potrà ignorare direttiva del Consiglio 9 febbraio 1976, n. 76/207/CEE (recante indicazioni sulla parità dei trattamenti), risolvendo i problemi interpretativi relativi alle cause vigenti nello specifico: “…Qualora sia accertata una discriminazione incompatibile con il diritto comunitario finché non siano adottate misure volte a ripristinare la parità di trattamento, il giudice nazionale è tenuto a disapplicare qualsiasi disposizione discriminatoria, senza doverne chiedere o attendere la previa rimozione da parte del legislatore, e deve applicare ai componenti della categoria sfavorita lo stesso regime che viene riservato alle persone dell’altra categoria…”

Importante notare come l’ordinanza, nell’ultimo periodo evidenziato, affermi che il regime da applicare ad entrambe le categorie sia quello più favorevole, sciogliendo quindi qualsivoglia nodo interpretativo e rovesciando il parere delle Entrate.

Tale ultima precisazione ha quindi ulteriormente rafforzato le precedenti interpretazioni, che in Italia la stessa Avvocatura dello Stato aveva condiviso con due note emanate una in ottobre ed una in novembre di quest’anno, obbligando l’Agenzia delle Entrate a richiamare la disapplicazione di quanto precisato dalla risoluzione 112/E del 13 ottobre 2006 con la quale si intendeva porre rimedio a casi dubbi, che ora trovano chiara definizione.

L’applicazione delle nuove indicazioni riguarderanno quindi i casi pendenti, e quelli già definiti. Infatti la circolare parla di contenzioso pertanto solo chi avrà richiesto il rimborso, oppure chi avrà applicato la disciplina più favorevole a prescindere, vedrà assecondata la propria scelta.

Considerato quindi che l’Agenzia delle Entrate difficilmente rimborserà d’ufficio chi ha applicato l’aliquota sfavorevole senza alcuna remora, sarà onere dei sostituti stessi quella richiedere nei termini prescrizionali il rimborso di quanto versato.



1. Sentenza Corte di Giustizia Europea 13 novembre 2008 C 46/07 in merito al regime pensionistico dei dipendenti pubblici;

2. Legge Bersani-Visco in conversione del D.L. 223 del 4 luglio 2006;

3. Tale risoluzione prende spunto un’istanza di interpello da parte di un Unione Industriali di una data provincia. Tale quesito risulta inammissibile a parere delle Entrate, in quanto incorporante interessi diffusi e non direttamente inerenti il soggetto istante. Considerata però la particolarità della questione, l’Agenzia delle Entrate ritiene comunque utile esprimere il proprio pensiero in merito, emanando detto documento.