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La fissazione del prezzo di rivendita: i c.d. "prezzi consigliati"

Le intese

L’articolo 2 della legge 287/90 definisce intese “gli accordi e/o le pratiche concordate tra imprese nonché le deliberazioni, anche se adottate ai sensi di disposizioni statutarie o regolamentari, di consorzi, associazioni di imprese ed altri organismi similari".

L’articolo 2, comma 2, della medesima legge vieta, definendole nulle ad ogni effetto, le intese tra imprese che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare in maniera consistente il gioco della concorrenza all’interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante, anche attraverso attività consistenti nel:

a) fissare direttamente o indirettamente i prezzi d’acquisto o di vendita ovvero altre condizioni contrattuali;

b) impedire o limitare la produzione, gli sbocchi o gli accessi al mercato, gli investimenti, lo sviluppo tecnico o il progresso tecnologico;

c) ripartire i mercati o le fonti di approvvigionamento;

d) applicare, nei rapporti commerciali con altri contraenti, condizioni oggettivamente diverse per prestazioni equivalenti, così da determinare per essi ingiustificati svantaggi nella concorrenza;

e) subordinare la conclusione di contratti all’accettazione da parte degli altri contraenti di prestazioni supplementari che, per loro natura o secondo gli usi commerciali, non abbiano alcun rapporto con l’oggetto dei contratti stessi

Nel nostro ordinamento, dunque, non tutte le intese sono considerate illegali: le intese vietate dalla legge 287/90 sono solo quelle suscettibili di restringere, in maniera importante, il gioco della concorrenza nei mercati interessati.

L’autorizzazione in deroga alle intese

Sul modello dell’ordinamento comunitario, la legge 287/90 prevede che l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) possa “concedere” alle imprese che intendono porre in essere una intesa restrittiva della concorrenza, laddove siano soddisfatte particolari condizioni, un’autorizzazione in deroga (o esenzione) finalizzata a rendere “lecite” intese intrinsecamente anti-competitive.

La ratio di tale disposizione si ravvisa nella possibilità che un’intesa, seppur vietata ai sensi della legge 287/90, possa apportare dei benefici che suscettibili di compensare, più che proporzionalmente, gli effetti anti-concorrenziali.

Nel valutare la sussistenza delle condizioni previste per il rilascio dell’autorizzazione in deroga, l’Autorità procede ad una valutazione complessiva degli effetti dell’intesa sulla base delle quattro condizioni enunciate dall’articolo 4 della legge n. 287/90, le quali ricalcano quelle dell’articolo 81.3 del Trattato.

In particolare, ai fini della concessione della deroga prevista dalla 287/90, l’Autorità dovrà accertare che l’intesa

• sia suscettibile di determinare un miglioramento delle condizioni di offerta sul mercato dei beni o servizi interessati;

• comporta dei benefici ai consumatori (c.d. condizioni positive);

• non realizza restrizioni della concorrenza non strettamente necessarie al raggiungimento delle finalità positive di cui sopra;

• non elimini la concorrenza in una parte sostanziale del mercato (c.d. condizioni negative).

L’onere di provare la ricorrenza delle quattro condizioni sopra citate spetta ai soggetti che richiedono l’autorizzazione in deroga attraverso la compilazione di un formulario ad hoc predisposto dall’Autorità.

In sintesi, al fine di verificare l’esentabilità dell’intesa, occorre effettuare un bilancio concorrenziale mirante a stabilire se la valenza positiva della fattispecie sia prevalente e, comunque, tale da legittimare, per un periodo limitato, la restrizione della concorrenza che essa produce.

Tipologia di intese: le intese verticali

La legge 287/90 prevede due diverse tipologie di intese: le intese orizzonatali (e, cioè, quelle che coinvolgono due o più imprese operanti nel medesimo stadio del processo produttivo/distributivo e che, nella maggioranza dei casi, sono in concorrenza diretta fra loro) e le intese verticali (che intervengono tra operatori appartenenti a livelli diversi del processo produttivo).

Tale ultima tipologia di intese gode, generalmente, di un trattamento più favorevole rispetto alle intese orizzontali in quanto, contrariamente a queste ultime, non coinvolgono imprese in diretta concorrenza fra loro e, in ragione delle sinergie e delle complementarità delle imprese partecipanti all’intesa, sono suscettibili di determinare guadagni di efficienza generando, di conseguenza, degli effetti pro-competitivi.

Tuttavia, in determinate circostanze e ricorrendo determinati presupposti, anche questa ultima tipologia di intese può produrre due diverse tipologie di effetti restrittivi della concorrenza: la concorrenza inter-brand (cioè limitazioni di concorrenza tra produttori di marche diverse) e la concorrenza intra-brand (ossia limitazioni di concorrenza tra distributori di uno stesso produttore).

Segue: la fissazione del prezzo di rivendita (resale price maintenance)

L’ipotesi di restrizione verticale intra-brand, considerata più dannosa per la concorrenza, è quella consistente nell’imposizione verticale del prezzo da parte di un produttore ai suoi distributori.

Tali forme di intese sono ritenute, in quanto tali, restrittive della concorrenza (sulla base di una mera valutazione del loro oggetto), in quanto volte ad impedire ai distributori di decidere liberamente i prezzi di commercializzazione dei beni, eliminado la concorrenza a livello distributivo.

Inoltre, lo strumento della fissazione verticale del prezzo da parte del produttore è spesso strumentale ad una più efficace realizzazione di forme di collusione – tacite o esplicite – orizzontali inter-brand, a causa del conseguente aumento della trasparenza del mercato (nel senso che l’uniformità del prezzo praticato a valle dai rivenditori consente ai produttori di monitorare più facilmente le condotte dei propri concorrenti e le eventuali devianze di condotte concordate).

Per tali ragioni, queste forme di intese sono condannate automaticamente, sulla base della valutazione del loro oggetto (senza verificarne gli effetti).

Anche nel Regolamento in materia di intese verticali (2790/99), la Commissione ha ribadito un orientamento molto severo nei confronti delle clausole di fissazione dei prezzi o prescrizione di prezzi minimi di rivendita da parte di un produttore, qualificandole come hardcore restrcitions e, pertanto, mai esentabili.

Tuttavia, nel medesimo documento, la Commissione ha precisato che le mere raccomandazioni del prezzo o la fissazione dei prezzi massimi praticabili dai rivenditori possono, in presenza di determinati presupposti (quali, ad esempio, la breve durata dell’offerta promozionale, la non vincolatività dei prezzi “consigliati”), possono beneficiare dell’esenzione.

E’ poi, fondamentale fare riferimento alla quota di mercato delle imprese coinvolte che, ai fini dell’applicazione della sanzione, non potrà essere superiore al 30%.

In particolare, nelle Linee Direttrici, la Commissione ha chiarito che non si può escludere a priori che anche un prezzo semplicemente “consigliato” possa costituire un punto di riferimento per tutti i rivenditori uniformandone le strategie di vendita oppure possa agevolare la collusione tra i fabbricanti di uno stesso prodotto.

Pertanto, vanno considerati con la massima prudenza anche i potenziali effetti anti-concorrenziali connessi alle ipotesi esentabili, assumendo come principale parametro valutativo il potere di mercato tanto del produttore interessato dall’accordo che dei suoi concorrenti.

La disciplina italiana dei c.d. “prezzi consigliati”: alcuni casi emblematici

Sulla base delle considerazioni che precedono, appare, dunque, evidente che la non vincolatività delle indicazioni di prezzo non fa venire meno il carattere anti- competitivo dell’intesa; ed infatti, anche i prezzi semplicemente “consigliati” o “suggeriti” possono facilitare, in presenza di certe condizioni, l’individuazione delle future scelte commerciali dei concorrenti e, conseguentemente, l’omogeneizzazione delle condizioni di mercato.

Il caso “Sony”

In data 6 Marzo 2003, la Sony Music Entertainment Italy (Sony) comunicava all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) un’intesa consistente in una iniziativa commerciale rivolta dalla casa discografica ai rivenditori al dettaglio, ai fini di ottenere l’esenzione di cui all’art 14 della 287/90.

L’accordo commerciale comunicato da Sony riguardava alcune campagne promozionali, di durata non superiore a due mesi, aventi ad oggetto alcuni titoli di compact disc del catalogo Sony ed era rivolta a tutti i rivenditori dei diversi canali distributivi aderenti.

Per ciascuna campagna promozionale la Sony “suggeriva” uno specifico prezzo di vendita al consumatore predisponendo un packaging specifico, consistente in un involucro plastico trasparente (rimovibile) su cui veniva apposta la dicitura “prezzo consigliato”.

A tale proposito va sottolineato che la casa discografica aveva evidenziato, sin dall’inizio, che il prezzo “suggerito” al pubblico non aveva carattere vincolante per i rivenditori in quanto questi ultimi erano assolutamente liberi di applicare il prezzo che ritenevano più opportuno.

Sulla base di quanto su esposto, l’AGCM ha ritenuto che, nel caso di specie, l’indicazione del prezzo di rivendita al pubblico da parte di Sony risultava essere semplicemente un prezzo consigliato che i rivenditori erano incentivati a praticare in quanto, a fronte di un determinato numero di copie acquistate, potevano beneficiare di una corrispondente riduzione dei propri prezzi di acquisto (nonché di un presumibile aumento dei volumi di vendita).

Pertanto, l’intesa comunicata, data la sua durata e consistenza limitata e, in quanto, “pur prevedendo il suggerimento del prezzo al pubblico, non utilizza strumenti in grado di vincolare il comportamento del rivenditore", non risultava idonea a restringere il gioco della concorrenza nei mercati interessati.

Il caso del "listino dei prezzi del pane"

In data 26 settembre 2007, l’associazione “Altroconsumo” segnalava all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) la presunta esistenza di comportamenti concertati finalizzati all’aumento, nelle principali città italiane, dei prezzi del pane (e, in particolar modo, delle rosette e del pane casereccio).

In data 10 Ottobre 2007, l’AGCM avviava, ai sensi dell’art 14 della legge 287/90, un procedimento istruttorio nei confronti dell’Unione Panificatori di Roma e provincia volto ad accertare l’esistenza di una violazione dell’articolo 2 della legge summenzionata.

La documentazione acquisita nell’ambito degli accertamenti ispettivi confermava la predisposizione e la diffusione di un listino di “prezzi consigliati” contenente le seguenti indicazioni:

ROSETTA

Ingrosso (Euro 2,00/2,20)

Al pubblico (Euro 2,60/2,80)

CASERECCIO

Ingrosso (Euro 1,60/1,80)

Al pubblico (Euro 2,20/2,40)

Al fine di escludere l’intento anti-competitivo dell’intesa, nonché l’eventuale applicazione di una sanzione pecuniaria, l’Unione Panificatori precisava che la riunione del 23 settembre 2007, nella quale si era deciso di predisporre il listino dei prezzi “consigliati”, era finalizzata unicamente ad informare, in maniera chiara e trasparente, il consumatore, in merito al recente aumento dei costi di panificazione, oggetto di continua attenzione mediatica.

L’Unione Panificatori aveva, poi, più volte ribadito la natura meramente “esemplificativa” delle indicazioni di prezzo fornite, escludendone il carattere vincolante.

Tuttavia, nonostante le argomentazioni fornite da Altroconsumo, l’AGCM stabiliva che “la natura anticoncorrenziale delle intese aventi ad oggetto i prezzi di vendita si rinviene indipendentemente dal carattere vincolante o meno delle indicazioni di prezzo in quanto queste ultime sono comunque suscettibili di svolgere una funzione di orientamento per il coordinamento del comportamento degli operatori, i quali sono in condizione di prevedere quasi con certezza quale sarà la politica dei prezzi dei concorrenti”.

Sulla base delle considerazioni su esposte, l’AGCM comminava all’Unione Panificatori una sanzione pari ad Euro 4.430.

Conclusioni

Sulla base delle considerazioni su esposte si può, dunque, ritenere che l’applicabilità di prezzi “consigliati” o “suggeriti” non è esclusa in quanto tale, potendo, in presenza di determinate condizioni, beneficiare dell’esenzione prevista dalla legge 287/90.

A tal fine, appare necessaria la completa assenza di vincoli in relazione alla fissazione del prezzo di rivendita, lasciando ai distributori la facoltà di scegliere se aderire o meno alle iniziative, promozionali e no, lanciate dal produttore (si, veda, ad esempio, il caso Sony).

Da ciò si evince, dunque, che l’analisi in merito ai possibili effetti concorrenziali di un’intesa intra-brand volta alla fissazione dei prezzi finali (anche attraverso i c.d. prezzi “consigliati”) andrà effettuata caso per caso al fine di valutarne il possibile impatto anti-competitivo.

Le intese

L’articolo 2 della legge 287/90 definisce intese “gli accordi e/o le pratiche concordate tra imprese nonché le deliberazioni, anche se adottate ai sensi di disposizioni statutarie o regolamentari, di consorzi, associazioni di imprese ed altri organismi similari".

L’articolo 2, comma 2, della medesima legge vieta, definendole nulle ad ogni effetto, le intese tra imprese che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare in maniera consistente il gioco della concorrenza all’interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante, anche attraverso attività consistenti nel:

a) fissare direttamente o indirettamente i prezzi d’acquisto o di vendita ovvero altre condizioni contrattuali;

b) impedire o limitare la produzione, gli sbocchi o gli accessi al mercato, gli investimenti, lo sviluppo tecnico o il progresso tecnologico;

c) ripartire i mercati o le fonti di approvvigionamento;

d) applicare, nei rapporti commerciali con altri contraenti, condizioni oggettivamente diverse per prestazioni equivalenti, così da determinare per essi ingiustificati svantaggi nella concorrenza;

e) subordinare la conclusione di contratti all’accettazione da parte degli altri contraenti di prestazioni supplementari che, per loro natura o secondo gli usi commerciali, non abbiano alcun rapporto con l’oggetto dei contratti stessi

Nel nostro ordinamento, dunque, non tutte le intese sono considerate illegali: le intese vietate dalla legge 287/90 sono solo quelle suscettibili di restringere, in maniera importante, il gioco della concorrenza nei mercati interessati.

L’autorizzazione in deroga alle intese

Sul modello dell’ordinamento comunitario, la legge 287/90 prevede che l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) possa “concedere” alle imprese che intendono porre in essere una intesa restrittiva della concorrenza, laddove siano soddisfatte particolari condizioni, un’autorizzazione in deroga (o esenzione) finalizzata a rendere “lecite” intese intrinsecamente anti-competitive.

La ratio di tale disposizione si ravvisa nella possibilità che un’intesa, seppur vietata ai sensi della legge 287/90, possa apportare dei benefici che suscettibili di compensare, più che proporzionalmente, gli effetti anti-concorrenziali.

Nel valutare la sussistenza delle condizioni previste per il rilascio dell’autorizzazione in deroga, l’Autorità procede ad una valutazione complessiva degli effetti dell’intesa sulla base delle quattro condizioni enunciate dall’articolo 4 della legge n. 287/90, le quali ricalcano quelle dell’articolo 81.3 del Trattato.

In particolare, ai fini della concessione della deroga prevista dalla 287/90, l’Autorità dovrà accertare che l’intesa

• sia suscettibile di determinare un miglioramento delle condizioni di offerta sul mercato dei beni o servizi interessati;

• comporta dei benefici ai consumatori (c.d. condizioni positive);

• non realizza restrizioni della concorrenza non strettamente necessarie al raggiungimento delle finalità positive di cui sopra;

• non elimini la concorrenza in una parte sostanziale del mercato (c.d. condizioni negative).

L’onere di provare la ricorrenza delle quattro condizioni sopra citate spetta ai soggetti che richiedono l’autorizzazione in deroga attraverso la compilazione di un formulario ad hoc predisposto dall’Autorità.

In sintesi, al fine di verificare l’esentabilità dell’intesa, occorre effettuare un bilancio concorrenziale mirante a stabilire se la valenza positiva della fattispecie sia prevalente e, comunque, tale da legittimare, per un periodo limitato, la restrizione della concorrenza che essa produce.

Tipologia di intese: le intese verticali

La legge 287/90 prevede due diverse tipologie di intese: le intese orizzonatali (e, cioè, quelle che coinvolgono due o più imprese operanti nel medesimo stadio del processo produttivo/distributivo e che, nella maggioranza dei casi, sono in concorrenza diretta fra loro) e le intese verticali (che intervengono tra operatori appartenenti a livelli diversi del processo produttivo).

Tale ultima tipologia di intese gode, generalmente, di un trattamento più favorevole rispetto alle intese orizzontali in quanto, contrariamente a queste ultime, non coinvolgono imprese in diretta concorrenza fra loro e, in ragione delle sinergie e delle complementarità delle imprese partecipanti all’intesa, sono suscettibili di determinare guadagni di efficienza generando, di conseguenza, degli effetti pro-competitivi.

Tuttavia, in determinate circostanze e ricorrendo determinati presupposti, anche questa ultima tipologia di intese può produrre due diverse tipologie di effetti restrittivi della concorrenza: la concorrenza inter-brand (cioè limitazioni di concorrenza tra produttori di marche diverse) e la concorrenza intra-brand (ossia limitazioni di concorrenza tra distributori di uno stesso produttore).

Segue: la fissazione del prezzo di rivendita (resale price maintenance)

L’ipotesi di restrizione verticale intra-brand, considerata più dannosa per la concorrenza, è quella consistente nell’imposizione verticale del prezzo da parte di un produttore ai suoi distributori.

Tali forme di intese sono ritenute, in quanto tali, restrittive della concorrenza (sulla base di una mera valutazione del loro oggetto), in quanto volte ad impedire ai distributori di decidere liberamente i prezzi di commercializzazione dei beni, eliminado la concorrenza a livello distributivo.

Inoltre, lo strumento della fissazione verticale del prezzo da parte del produttore è spesso strumentale ad una più efficace realizzazione di forme di collusione – tacite o esplicite – orizzontali inter-brand, a causa del conseguente aumento della trasparenza del mercato (nel senso che l’uniformità del prezzo praticato a valle dai rivenditori consente ai produttori di monitorare più facilmente le condotte dei propri concorrenti e le eventuali devianze di condotte concordate).

Per tali ragioni, queste forme di intese sono condannate automaticamente, sulla base della valutazione del loro oggetto (senza verificarne gli effetti).

Anche nel Regolamento in materia di intese verticali (2790/99), la Commissione ha ribadito un orientamento molto severo nei confronti delle clausole di fissazione dei prezzi o prescrizione di prezzi minimi di rivendita da parte di un produttore, qualificandole come hardcore restrcitions e, pertanto, mai esentabili.

Tuttavia, nel medesimo documento, la Commissione ha precisato che le mere raccomandazioni del prezzo o la fissazione dei prezzi massimi praticabili dai rivenditori possono, in presenza di determinati presupposti (quali, ad esempio, la breve durata dell’offerta promozionale, la non vincolatività dei prezzi “consigliati”), possono beneficiare dell’esenzione.

E’ poi, fondamentale fare riferimento alla quota di mercato delle imprese coinvolte che, ai fini dell’applicazione della sanzione, non potrà essere superiore al 30%.

In particolare, nelle Linee Direttrici, la Commissione ha chiarito che non si può escludere a priori che anche un prezzo semplicemente “consigliato” possa costituire un punto di riferimento per tutti i rivenditori uniformandone le strategie di vendita oppure possa agevolare la collusione tra i fabbricanti di uno stesso prodotto.

Pertanto, vanno considerati con la massima prudenza anche i potenziali effetti anti-concorrenziali connessi alle ipotesi esentabili, assumendo come principale parametro valutativo il potere di mercato tanto del produttore interessato dall’accordo che dei suoi concorrenti.

La disciplina italiana dei c.d. “prezzi consigliati”: alcuni casi emblematici

Sulla base delle considerazioni che precedono, appare, dunque, evidente che la non vincolatività delle indicazioni di prezzo non fa venire meno il carattere anti- competitivo dell’intesa; ed infatti, anche i prezzi semplicemente “consigliati” o “suggeriti” possono facilitare, in presenza di certe condizioni, l’individuazione delle future scelte commerciali dei concorrenti e, conseguentemente, l’omogeneizzazione delle condizioni di mercato.

Il caso “Sony”

In data 6 Marzo 2003, la Sony Music Entertainment Italy (Sony) comunicava all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) un’intesa consistente in una iniziativa commerciale rivolta dalla casa discografica ai rivenditori al dettaglio, ai fini di ottenere l’esenzione di cui all’art 14 della 287/90.

L’accordo commerciale comunicato da Sony riguardava alcune campagne promozionali, di durata non superiore a due mesi, aventi ad oggetto alcuni titoli di compact disc del catalogo Sony ed era rivolta a tutti i rivenditori dei diversi canali distributivi aderenti.

Per ciascuna campagna promozionale la Sony “suggeriva” uno specifico prezzo di vendita al consumatore predisponendo un packaging specifico, consistente in un involucro plastico trasparente (rimovibile) su cui veniva apposta la dicitura “prezzo consigliato”.

A tale proposito va sottolineato che la casa discografica aveva evidenziato, sin dall’inizio, che il prezzo “suggerito” al pubblico non aveva carattere vincolante per i rivenditori in quanto questi ultimi erano assolutamente liberi di applicare il prezzo che ritenevano più opportuno.

Sulla base di quanto su esposto, l’AGCM ha ritenuto che, nel caso di specie, l’indicazione del prezzo di rivendita al pubblico da parte di Sony risultava essere semplicemente un prezzo consigliato che i rivenditori erano incentivati a praticare in quanto, a fronte di un determinato numero di copie acquistate, potevano beneficiare di una corrispondente riduzione dei propri prezzi di acquisto (nonché di un presumibile aumento dei volumi di vendita).

Pertanto, l’intesa comunicata, data la sua durata e consistenza limitata e, in quanto, “pur prevedendo il suggerimento del prezzo al pubblico, non utilizza strumenti in grado di vincolare il comportamento del rivenditore", non risultava idonea a restringere il gioco della concorrenza nei mercati interessati.

Il caso del "listino dei prezzi del pane"

In data 26 settembre 2007, l’associazione “Altroconsumo” segnalava all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) la presunta esistenza di comportamenti concertati finalizzati all’aumento, nelle principali città italiane, dei prezzi del pane (e, in particolar modo, delle rosette e del pane casereccio).

In data 10 Ottobre 2007, l’AGCM avviava, ai sensi dell’art 14 della legge 287/90, un procedimento istruttorio nei confronti dell’Unione Panificatori di Roma e provincia volto ad accertare l’esistenza di una violazione dell’articolo 2 della legge summenzionata.

La documentazione acquisita nell’ambito degli accertamenti ispettivi confermava la predisposizione e la diffusione di un listino di “prezzi consigliati” contenente le seguenti indicazioni:

ROSETTA

Ingrosso (Euro 2,00/2,20)

Al pubblico (Euro 2,60/2,80)

CASERECCIO

Ingrosso (Euro 1,60/1,80)

Al pubblico (Euro 2,20/2,40)

Al fine di escludere l’intento anti-competitivo dell’intesa, nonché l’eventuale applicazione di una sanzione pecuniaria, l’Unione Panificatori precisava che la riunione del 23 settembre 2007, nella quale si era deciso di predisporre il listino dei prezzi “consigliati”, era finalizzata unicamente ad informare, in maniera chiara e trasparente, il consumatore, in merito al recente aumento dei costi di panificazione, oggetto di continua attenzione mediatica.

L’Unione Panificatori aveva, poi, più volte ribadito la natura meramente “esemplificativa” delle indicazioni di prezzo fornite, escludendone il carattere vincolante.

Tuttavia, nonostante le argomentazioni fornite da Altroconsumo, l’AGCM stabiliva che “la natura anticoncorrenziale delle intese aventi ad oggetto i prezzi di vendita si rinviene indipendentemente dal carattere vincolante o meno delle indicazioni di prezzo in quanto queste ultime sono comunque suscettibili di svolgere una funzione di orientamento per il coordinamento del comportamento degli operatori, i quali sono in condizione di prevedere quasi con certezza quale sarà la politica dei prezzi dei concorrenti”.

Sulla base delle considerazioni su esposte, l’AGCM comminava all’Unione Panificatori una sanzione pari ad Euro 4.430.

Conclusioni

Sulla base delle considerazioni su esposte si può, dunque, ritenere che l’applicabilità di prezzi “consigliati” o “suggeriti” non è esclusa in quanto tale, potendo, in presenza di determinate condizioni, beneficiare dell’esenzione prevista dalla legge 287/90.

A tal fine, appare necessaria la completa assenza di vincoli in relazione alla fissazione del prezzo di rivendita, lasciando ai distributori la facoltà di scegliere se aderire o meno alle iniziative, promozionali e no, lanciate dal produttore (si, veda, ad esempio, il caso Sony).

Da ciò si evince, dunque, che l’analisi in merito ai possibili effetti concorrenziali di un’intesa intra-brand volta alla fissazione dei prezzi finali (anche attraverso i c.d. prezzi “consigliati”) andrà effettuata caso per caso al fine di valutarne il possibile impatto anti-competitivo.