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Gli strumenti di protezione del patrimonio familiare: Fondo Patrimoniale e Trust

1. Aspetti generali del fondo patrimoniale

2. Portata del divieto di azioni esecutive sui beni ad esso destinati (art. 170 c.c.)

3. Il concetto di estraneità del debito (esemplificazione pratica)

4. Critica al divieto di cui all’art. 170 c.c. 

5. Gli orientamenti giurisprudenziali

6. I dubbi di legittimità costituzionale

7. Il Trust (brevi cenni)

1.- Aspetti generali del fondo patrimoniale

Il fondo patrimoniale, che consiste in un vincolo posto nell’interesse della famiglia su di un complesso di beni determinati (immobili, mobili registrati o titoli di credito), realizza la costituzione di un patrimonio separato o di destinazione, con limitazione dei poteri dispositivi dei costituenti (ciascuno o ambedue i coniugi, un terzo, anche per testamento).

Funzione del vincolo è quella di destinare i beni conferiti al soddisfacimento dei diritti di mantenimento, di assistenza e di contribuzione esistenti nell’ambito della famiglia.

Nella collocazione codicistica, con la legge di riforma del diritto di famiglia (n. 151 del 19.05.1975), la normativa del fondo patrimoniale (artt. 167 - 171 c.c.) ha sostituito quella del patrimonio familiare.

La sostanziale differenza tra i due istituti risiede nella intensità del vincolo di destinazione, assai rigido nel secondo, così da assicurare a quel complesso di beni stabilità e durata in armonia con quelli che erano un tempo anche i caratteri del matrimonio (potendo i coniugi disporre dei beni soltanto previa autorizzazione del giudice nei casi di necessità o utilità evidente e con l’obbligo del reimpiego della somma ricavata, ed i creditori agire soltanto sui frutti dei beni, purchè non fossero stati a conoscenza che i debiti venivano contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia); più tenue e labile nel primo, posto che i coniugi (art. 169 c.c.) possono disporre dei beni liberamente, senza obbligo di reimpiego, non soltanto quando sia loro consentito dall’atto di costituzione, ma anche quando abbiano raggiunto l’accordo sull’atto di disposizione e, allorchè vi siano figli minori, nei soli casi di necessità od utilità evidente e con l’autorizzazione del Tribunale, che provvede in Camera di consiglio sentito il Pubblico ministero (art. 38, commi 2 e 3, disp. att. c.c.).

2.- Portata del divieto di azioni esecutive sui beni ad esso destinati (art. 170 c.c.)

Tra gli ulteriori effetti del fondo, merita particolare attenzione il divieto di esecuzione sui beni ad esso destinati (e sui relativi frutti) “ … per debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia” (art. 170 c.c.): i beni del fondo ed i loro frutti rispondono soltanto per obbligazioni assunte nell’interesse della famiglia (così come avveniva per i frutti del patrimonio familiare).

La consapevolezza del creditore della estraneità del debito alle esigenze familiari deve sussistere al momento del perfezionamento della fonte dell’obbligazione e deve costituire oggetto di prova da parte di colui che si oppone all’espropriazione forzata.

La prova può essere fornita anche mediante presunzioni semplici, essendo sufficiente dimostrare che lo scopo dell’obbligazione appariva come normalmente estraneo ai bisogni della famiglia.

In ordine al significato ed alla portata dell’art. 170 c.c., la giurisprudenza (Cass., Sez. I, 18.09.2001 n. 11683; conf. Cass., Sez. III, 7.01.1984 n. 134) ha chiarito che “ In tema di esecuzione sui beni del fondo patrimoniale, il disposto dell’art. 170 c.c. -nel testo di cui alla legge 19 maggio 1975 n. 151- per il quale detta esecuzione non può aver luogo per debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia, va inteso non in senso restrittivo, come riferentesi cioè alla necessità di soddisfare l’indispensabile per l’esistenza della famiglia, bensì -analogamente a quanto, prima della riforma di cui alla richiamata legge n. 151 del 1975, avveniva per i frutti dei beni dotali- nel senso di ricomprendere in detti bisogni anche quelle esigenze volte al pieno mantenimento ed all’armonico sviluppo della famiglia, nonché al potenziamento della sua capacità lavorativa, restando escluse solo le esigenze voluttuarie o caratterizzate da intenti meramente speculativi”.

Appare, quindi, del tutto superato l’orientamento restrittivo che considerava i bisogni familiari sinonimo di “esigenze indispensabili” della famiglia, perché necessarie alla sua stessa esistenza.

Un aspetto importante e discusso è, invece, quello se si possano annoverare nei bisogni familiari, al cui soddisfacimento sono destinati i beni del fondo, anche le spese e le obbligazioni assunte per l’attività d’impresa dei coniugi o di uno di essi o per l’impresa familiare.

Alla stregua del principio giurisprudenziale testè enucleato, certamente non potrebbero ritenersi contratti per “scopi estranei” i debiti inerenti l’attività di lavoro autonomo di un coniuge, allorquando da tale attività la famiglia tragga i mezzi di mantenimento.

Parimenti preferibile sembra l’opzione interpretativa che ritiene contratti per bisogni familiari i debiti dell’impresa familiare nella quale prestino la loro attività i membri della famiglia, atteso che in tal caso gli interessi di famiglia ed impresa sono totalmente coincidenti, in ragione della destinazione degli utili di impresa anche e soprattutto alle esigenze familiari.

3.- Il concetto di estraneità del debito (esemplificazione pratica)

L’esemplificazione è riferita ad un imprenditore individuale che ha destinato a fondo patrimoniale un immobile in comunione legale con la moglie.

Per le linee di credito concesse per far fronte alle esigenze della propria attività esercitata con la Ditta individuale, e nell’ipotesi in cui dai rapporti creditizi in essere derivino saldi passivi, la Banca, previa revoca degli affidamenti e promosse le azioni del caso per conseguire un titolo esecutivo, potrebbe sottoporre ad esecuzione forzata la quota di sua proprietà pari ad ½ dell’immobile già costituito in fondo patrimoniale, non applicandosi in via di principio il divieto di esecuzione sui beni del fondo previsto dall’art. 170 c.c.

Il divieto in questione opera, difatti, solo allorquando i debiti siano stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia, bisogni che secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale vanno intesi non nel senso restrittivo, cioè come quelle “esigenze indispensabili” della famiglia, perché necessarie alla sua esistenza.

Nella fattispecie, le linee di credito sono state erogate in favore dell’imprenditore per esigenze inerenti la propria attività di lavoro autonomo esercitata con una Ditta individuale, attività dalla quale si presume che la famiglia tragga i redditi necessari al suo pieno ed adeguato mantenimento; ed il corrispondente debito verso la Banca risulterebbe così contratto anche per soddisfare bisogni della famiglia, oltre che per esigenze connesse all’attività imprenditoriale.

Per converso, la stessa quota di proprietà immobiliare in fondo patrimoniale non potrebbe essere aggredita per un eventuale saldo passivo derivante dal rapporto creditizio intrattenuto dalla S.r.l. di cui la moglie del nostro imprenditore è socia, rapporto che ha garantito con fideiussione, trattandosi di linee di credito concesse ad una Società con personalità giuridica e con conseguente autonomia patrimoniale perfetta, e senz’altro destinate esclusivamente ad esigenze economiche, produttive e/o commerciali della Società stessa.

Per ragioni analoghe a quelle di cui sopra, la quota di proprietà immobiliare in fondo patrimoniale non potrebbe essere aggredita per eventuali debiti contratti dalla S.a.s. di cui il soggetto è socio accomandatario ed amministratore, debiti per i quali è, pertanto, solidalmente ed illimitatamente responsabile con la S.a.s. stessa.

Difatti, anche la S.a.s., società di persone, benché in quanto tale sprovvista di personalità giuridica, costituisce pur sempre un autonomo soggetto di diritto che può essere centro di imputazione di rapporti contrattuali distinti rispetto alle posizioni dei singoli soci, ed è altresì dotata di una propria parziale autonomia patrimoniale.

In conclusione, anche se il fondo patrimoniale già costituito si consoliderà per il decorso del termine quinquennale di prescrizione dell’azione revocatoria ordinaria, permane il potenziale rischio di espropriazione forzata per la quota di proprietà immobiliare in fondo patrimoniale, ma unicamente in relazione ad eventuali debiti contratti dalla Ditta individuale, salvo fornire la prova rigorosa che il debito è del tutto estraneo alle esigenze familiari (prova peraltro “diabolica” se la famiglia non ha altri redditi).

4.- La critica al divieto di cui all’art. 170 c.c.

Nel corso degli anni, purtroppo, le finalità originarie dell’istituto in esame sono state in larga parte disattese, proprio in funzione del divieto di esecuzione forzata.

E’, difatti, opinione comune in dottrina che il fondo patrimoniale, nella prassi, sia stato assai raramente utilizzato per le originarie funzioni solidaristiche che il codice civile gli attribuisce.

Invero, si registra come la maggior parte dei fondi patrimoniali siano stati e vengano tutt’ora costituiti in epoca successiva al sorgere del credito e per una finalità strumentale (la sottrazione di determinati beni alla generica garanzia di tutti i creditori), con conseguente deviazione dalla funzione tipica che l’ordinamento attribuisce al negozio.

Tale deviazione è stata peraltro avvertita anche dal G.E. del Tribunale di Chieti, il quale, in propria ordinanza, nel respingere un’istanza di sospensione dell’esecuzione, ha così motivato “… la Sig.ra Tizia, infatti, ebbe a costituire il fondo patrimoniale l’11.9.1995, e cioè -forse fu solo una mera coincidenza- quattro giorni dopo che la Banca aveva iscritto su di essi ipoteca giudiziale (il 7.9.1995), e quando erano trascorsi già 18 anni dalle nozze …”.

5.- Gli orientamenti giurisprudenziali

Sul fronte della giurisprudenza, si sottolinea come la funzione strumentale che il fondo patrimoniale ha nella prassi assunto sia stata di fatto avallata.

Si segnala, sul punto, l’unico precedente giurisprudenziale esistente (Cass., Sez. III, 9.04.1996 n. 3251) secondo cui “Con riguardo a beni conferiti in fondo patrimoniale, l’art. 170 c.c. -secondo cui l’esecuzione sui beni del fondo e sui frutti non può aver luogo per debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia- non limita il divieto di esecuzione forzata ai soli crediti (estranei ai bisogni della famiglia) sorti successivamente alla costituzione del fondo.

Ne consegue che detto divieto estende la sua efficacia anche ai crediti sorti prima di tale data, ferma restando in questo caso la possibilità del creditore di agire in revocatoria ordinaria, qualora ne ricorrano i presupposti, al fine di far dichiarare l’inefficacia nei propri confronti dell’atto costitutivo del fondo patrimoniale”.

Il principio giurisprudenziale testè enucleato, seppure di fonte autorevole, se accolto sic et simpliciter, suscita perplessità e, difatti, ad esso si contrappongono alcune pronunce di merito.

Di particolare interesse, per i pregievoli argomenti critici alla citata sentenza della S.C., è la sentenza del Tribunale Ragusa 21.12.1999, nella quale si afferma testualmente che: “La costituzione del fondo patrimoniale in epoca successiva al sorgere del o dei debiti personali dei coniugi confligge ragionevolmente con il sistema della responsabilità patrimoniale (artt. 2740 e 2741 c.c.), per cui non è consentito -in mancanza di dati obiettivi e coerenti- restringere la difesa dei terzi creditori all’azione ex art. 2901 e ss. c.c., l’inespropriabilità sancita dall’art. 170 dovendo collegarsi con i crediti successivi alla pubblicità della convenzione matrimoniale” (nello stesso senso, anche Tribunale Milano 5.11.1990: “L’art. 170 c.c., nel porre un limite all’azione dei creditori, postula necessariamente che la costituzione del fondo sia avvenuta prima del sorgere del credito per il cui soddisfacimento essi agiscono”).

Le argomentazioni utilizzate dal Tribunale di Ragusa per discostarsi dal precedente della S.C. possono così riassumersi:

- all’affermazione secondo cui l’espropriabilità dei beni del fondo patrimoniale va ricollegata esclusivamente alla natura dell’obbligazione (se inerente o meno ai bisogni familiari), "essendo ininfluente il tempo della sua nascita", il Giudice ragusano ha obiettato che "Il rischio dell’inespropria-bilità del bene per effetto -riguardo i rapporti estranei ai bisogni familiari- della eventuale successiva costituzione del fondo, ben può indurre il terzo a non prestare credito, e pertanto introduce una variabile di grande incertezza nel delicato bilanciamento degli interessi delle parti (coniugi/terzi)";

- ed ancora che "... all’infuori della convenzione la natura dell’obbligazione non ha rilievo; e se allora l’acquista con la convenzione, non può essere svalutato il principio della sua opponibilità ai terzi se e in quanto sia espletata la relativa pubblicità".

All’ulteriore argomentazione (dedotta dal previgente art. 169 com-ma 3 c.c.) secondo cui l’art. 170 c.c. "... non riproduce la regola secondo cui la inalienabilità dei beni costituenti il patrimonio familiare non era opponibile ai terzi il cui diritto fosse sorto anteriormente alla trascrizione dell’atto o alla nascita del vincolo sui titoli di credito ...", il Giudice ragusano ha poi replicato che "... la sua plausibilità è apparente, poichè secondo dottrina pressochè unanime l’istituto del fondo patrimoniale è qualitativamente diverso dal patrimonio familiare e questa disomogeneità pertanto esclude una valida possibilità di raffronto. Il novum consiste nella iniziativa di entrambi i coniugi, nella titolarità comune dei beni, nella uguaglianza dei poteri di amministrazione: tanto è sufficiente per recidere ogni legame con l’abrogato istituto del patrimonio familiare (pensato e realizzato in ben altre temperie storico-sociali). Se si considera che ognuno dei coniugi ha facoltà di conferire i propri beni nel fondo e che l’annotazione della convenzione si inscrive in un sistema incardinato sulla comunione legale familiare, che viene derogata appunto dal fondo patrimoniale; se si aggiunge che l’art. 166, comma 3, abr. coesisteva, all’origine, con il divieto di donazione tra i coniugi, è difficilmente contestabile la insignificanza, sul piano sistematico, della abrogata disciplina del patrimonio familiare".

6.- I dubbi di legittimità costituzionale

Le pertinenti osservazioni appena esposte privilegiano, dunque, l’opzione interpretativa che esclude l’applicabilità dell’art. 170 c.c. qualora il debito sia stato contratto in epoca precedente alla costituzione del fondo patrimoniale, interpretazione che, peraltro, appare maggiormente in linea con i principi fondamentali del nostro ordinamento.

Ed invero, ove si accedesse alla contrapposta tesi (secondo cui le limitazioni di cui all’art. 170 c.c. avrebbero carattere assoluto e generalizzato, colpendo indistintamente non soltanto i crediti successivi, ma anche quelli precedenti alla costituzione del fondo), si introdurrebbe e legittimerebbe un mezzo per eludere il sistema della responsabilità patrimoniale del debitore.

Si cita l’esempio di un Istituto di credito, il quale -confidando nella solvibilità dell’utente, poiché proprietario di immobile libero da iscrizioni e trascrizioni pregiudizievoli- conceda le richieste linee di credito.

Se si consentisse a colui che abbia così ottenuto affidamenti di cautelarsi da preordinate insolvenze e conseguenti azioni esecutive, mediante destinazione successiva dei propri beni al fondo patrimoniale, si introdurrebbe appunto un mero espediente elusivo e lesivo, che vieppiù prospetterebbe la q.l.c. dell’art. 170 c.c., in relazione agli artt. 3 e 24 Cost., nella parte in cui estende l’inespropriabilità dei beni destinati al fondo patrimoniale anche all’ipotesi in cui i crediti siano sorti in epoca precedente alla costituzione del fondo medesimo.

Il dubbio di contrasto con l’art. 3 Cost. (per violazione del principio di uguaglianza) si fonda sul rilievo che mentre per i creditori successivi vi sarebbe la previa possibilità di acquisire informazioni sulla destinazione del credito ovvero di cautelarsi dagli effetti della costituzione medesima, concedendo unicamente finanziamenti da destinare a ben determinate esigenze familiari, quali le cure mediche del figlio, per i creditori precedenti una siffatta indagine oppure, in alternativa, l’adozione di un siffatto strumento di "autotutela" (quale, appunto, il c.d. prestito finalizzato o finanziamento di scopo), in assenza del fondo patrimoniale, non avrebbero, invece, significato alcuno.

In altri termini, non avrebbe senso richiedere la conoscenza della estraneità del debito ai bisogni familiari se già non risultasse trascritto il fondo patrimoniale, posto che l’eventuale estraneità potrebbe incidere sul diritto di agire in executivis solo in presenza della convenzione, mentre in sua assenza assumerebbero una valenza neutra, cioè priva di rilievo ai fini dell’operazione creditizia, sempre che non si voglia imporre al creditore l’onere di preconizzare l’intenzione dei coniugi contraenti di costituire in futuro un fondo patrimoniale.

Parimenti fondato è il vulnus all’art. 3 Cost. per irragionevolezza sopravvenuta e/o anacronismo delle scelte legislative, atteso che -come peraltro osservato dal Tribunale di Ragusa- la limitazione al diritto di agire in executivis di cui all’art. 170 c.c. confliggerebbe con il sistema della responsabilità patrimoniale (artt. 2740 e 2741 c.c.), introducendo un regime derogatorio ingiustificato ed incoerente.

Ed invero, proprio in ragione del disposto di cui all’art. 170 c.c., il fondo patrimoniale ha ormai assunto -nella prassi- una funzione strumentale e distorta rispetto alla sua originaria finalità solidaristica (il soddisfacimento delle esigenze familiari), rappresentando -come accennato- un mero espediente successivo all’erogazione del credito, posto in essere per sottrarre determinati beni alla generica garanzia di tutti i creditori, conservandone peraltro la piena proprietà.

In relazione alla violazione dell’art. 24 Cost., pure prospettata, si rileva che la limitazione de quo restringerebbe la difesa dei terzi creditori all’azione revocatoria che, pertanto, pur presentando complessi profili probatori, costituirebbe l’unico rimedio per evitare gli irreversibili pregiudizi (sopravvenuta assenza di garanzie) della co-stituzione successiva del fondo patrimoniale.

Sul punto, il risalente ed ormai consolidato orientamento della Corte Costituzionale (sentenze n. 94/1973 e n. 5/1974), pur ammettendo diversificazioni e limitazioni del sistema di tutela giurisdizionale, ha sempre affermato che l’evenienza va circoscritta alle ipotesi in cui si ponga l’esigenza di salvaguardare interessi razionalmente ritenuti degni di tutela.

Tale esigenza, seppure sussistente all’epoca della legge di riforma del diritto di famiglia (che ha appunto introdotto il fondo patrimoniale in sostituzione del patrimonio familiare) in ragione del carattere ancora patriarcale della famiglia e del diverso contesto storico-sociale esistente, ha da anni assunto connotazioni marginali e residuali, riconducibili alla crisi ed alla dissoluzione della famiglia legittima (si pensi al recente scontro politico sulla regolamentazione delle coppie di fatto).

7.- Il Trust (brevi cenni)

La parola Trust in lingua inglese significa “affidamento”.

Ed è proprio sulla fiducia che si basa questo innovativo strumento di pianificazione patrimoniale, conosciuto ed utilizzato in Italia solo da pochi anni, precisamente da quando il nostro Paese ha ratificato la Convenzione dell’Aja (art. 2 della L. 16.10.1989 n. 364, in vigore dal 1992).

E’ la Convenzione stessa che fornisce la definizione di Trust, stabilendo che con tale termine debbano intendersi i rapporti giuridici istituiti da una persona con atto tra vivi o "mortis causa", qualora dei beni siano stati posti sotto il controllo di un "Trustee" nell’interesse di un “Beneficiario” o per un fine specifico.

In altri termini, il Trust realizza una netta separazione tra il patrimonio del Disponente (di colui, cioè, che dà vita al Trust stesso) e quello dell’effettivo Beneficiario e del Trustee.

Quindi, alla costituzione ed alla gestione del Trust, generalmente, intervengono tre soggetti: il Disponente, cioè il proprietario dei beni; il Trustee, cioè il gestore fiduciario dei beni; il Beneficiario, cioè il soggetto nell’interesse del quale i beni vengono conferiti nel Trust e gestiti dal Trustee.

Lo schema contrattuale tipico del Trust è il seguente: il Disponente trasferisce i propri beni e istituisce il Trust attribuendo la proprietà degli stessi al Trustee (gestore), che è la figura chiave di tutto lo strumento e che, oltre a divenire l’effettivo proprietario, assume funzioni di gestione; Il Trustee, a sua volta, dispone dei beni secondo l’atto di Trust, ma è comunque obbligato a gestirli nell’interesse dei Beneficiari od allo scopo determinato dal Disponente.

Il Disponente ed il Trustee possono anche coincidere nella stessa persona, se il Trust è istituto per il perseguimento di uno specifico scopo (Trust di scopo).

Il punto sostanziale che caratterizza un Trust è la piena separazione ed il totale distacco del patrimonio conferito dalla sfera giuridica del Disponente, per passare in piena proprietà al Trustee, seppure a titolo fiduciario e nell’interesse del Beneficiario.

Possiamo esemplificare dicendo che il patrimonio conferito nel Trust è messo al riparo da eventuali pretese creditorie di terzi cosi individuati:

1. i creditori del Disponente, poichè il patrimonio non è più di sua proprietà;

2. i creditori del Trustee, poichè il Trustee, seppure effettivo proprietario del patrimonio stesso, lo deterrà solo ed esclusivamente nella sua qualità di Trustee e mai a titolo personale;

3. i creditori del Beneficiario, fino a quando esso non riceva i beni con successivo passaggio dal Trustee.

Riassumendo, le caratteristiche essenziali di un Trust sono le seguenti:

1. i beni trasferiti dal Disponente costituiscono una massa distinta e non fanno parte del patrimonio nè del Trustee, né tantomeno del Disponente medesimo, che li ha ceduti;

2. i beni del Trust sono intestati a titolo fiduciario al Trustee;

3. il Trustee è investito del potere e dell’onere di gestire, amministrare e disporre dei beni secondo i termini del Trust, deve agire nell’esclusivo interesse dei Beneficiari ed è sottoposto al potere di vigilanza e di cooperazione del Disponente;

4. i beni che formano oggetto di Trust non sono in tal modo aggredibili dai creditori del Trustee e neppure da quelli del Disponente, in quanto costituiscono un patrimonio separato ovvero segregato.

Nel Trust possono essere conferiti tutti i beni mobili o immobili e tutti i diritti che appartengono a persone fisiche e/o a società (es. titolo di credito, conti bancari, somme di denaro, azioni, quote di società immobiliari, preziosi, opere d’arte, quote di fondi comuni d’investimento, immobili, autoveicoli, imbarcazioni, mobili ed arredi).

1. Aspetti generali del fondo patrimoniale

2. Portata del divieto di azioni esecutive sui beni ad esso destinati (art. 170 c.c.)

3. Il concetto di estraneità del debito (esemplificazione pratica)

4. Critica al divieto di cui all’art. 170 c.c. 

5. Gli orientamenti giurisprudenziali

6. I dubbi di legittimità costituzionale

7. Il Trust (brevi cenni)

1.- Aspetti generali del fondo patrimoniale

Il fondo patrimoniale, che consiste in un vincolo posto nell’interesse della famiglia su di un complesso di beni determinati (immobili, mobili registrati o titoli di credito), realizza la costituzione di un patrimonio separato o di destinazione, con limitazione dei poteri dispositivi dei costituenti (ciascuno o ambedue i coniugi, un terzo, anche per testamento).

Funzione del vincolo è quella di destinare i beni conferiti al soddisfacimento dei diritti di mantenimento, di assistenza e di contribuzione esistenti nell’ambito della famiglia.

Nella collocazione codicistica, con la legge di riforma del diritto di famiglia (n. 151 del 19.05.1975), la normativa del fondo patrimoniale (artt. 167 - 171 c.c.) ha sostituito quella del patrimonio familiare.

La sostanziale differenza tra i due istituti risiede nella intensità del vincolo di destinazione, assai rigido nel secondo, così da assicurare a quel complesso di beni stabilità e durata in armonia con quelli che erano un tempo anche i caratteri del matrimonio (potendo i coniugi disporre dei beni soltanto previa autorizzazione del giudice nei casi di necessità o utilità evidente e con l’obbligo del reimpiego della somma ricavata, ed i creditori agire soltanto sui frutti dei beni, purchè non fossero stati a conoscenza che i debiti venivano contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia); più tenue e labile nel primo, posto che i coniugi (art. 169 c.c.) possono disporre dei beni liberamente, senza obbligo di reimpiego, non soltanto quando sia loro consentito dall’atto di costituzione, ma anche quando abbiano raggiunto l’accordo sull’atto di disposizione e, allorchè vi siano figli minori, nei soli casi di necessità od utilità evidente e con l’autorizzazione del Tribunale, che provvede in Camera di consiglio sentito il Pubblico ministero (art. 38, commi 2 e 3, disp. att. c.c.).

2.- Portata del divieto di azioni esecutive sui beni ad esso destinati (art. 170 c.c.)

Tra gli ulteriori effetti del fondo, merita particolare attenzione il divieto di esecuzione sui beni ad esso destinati (e sui relativi frutti) “ … per debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia” (art. 170 c.c.): i beni del fondo ed i loro frutti rispondono soltanto per obbligazioni assunte nell’interesse della famiglia (così come avveniva per i frutti del patrimonio familiare).

La consapevolezza del creditore della estraneità del debito alle esigenze familiari deve sussistere al momento del perfezionamento della fonte dell’obbligazione e deve costituire oggetto di prova da parte di colui che si oppone all’espropriazione forzata.

La prova può essere fornita anche mediante presunzioni semplici, essendo sufficiente dimostrare che lo scopo dell’obbligazione appariva come normalmente estraneo ai bisogni della famiglia.

In ordine al significato ed alla portata dell’art. 170 c.c., la giurisprudenza (Cass., Sez. I, 18.09.2001 n. 11683; conf. Cass., Sez. III, 7.01.1984 n. 134) ha chiarito che “ In tema di esecuzione sui beni del fondo patrimoniale, il disposto dell’art. 170 c.c. -nel testo di cui alla legge 19 maggio 1975 n. 151- per il quale detta esecuzione non può aver luogo per debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia, va inteso non in senso restrittivo, come riferentesi cioè alla necessità di soddisfare l’indispensabile per l’esistenza della famiglia, bensì -analogamente a quanto, prima della riforma di cui alla richiamata legge n. 151 del 1975, avveniva per i frutti dei beni dotali- nel senso di ricomprendere in detti bisogni anche quelle esigenze volte al pieno mantenimento ed all’armonico sviluppo della famiglia, nonché al potenziamento della sua capacità lavorativa, restando escluse solo le esigenze voluttuarie o caratterizzate da intenti meramente speculativi”.

Appare, quindi, del tutto superato l’orientamento restrittivo che considerava i bisogni familiari sinonimo di “esigenze indispensabili” della famiglia, perché necessarie alla sua stessa esistenza.

Un aspetto importante e discusso è, invece, quello se si possano annoverare nei bisogni familiari, al cui soddisfacimento sono destinati i beni del fondo, anche le spese e le obbligazioni assunte per l’attività d’impresa dei coniugi o di uno di essi o per l’impresa familiare.

Alla stregua del principio giurisprudenziale testè enucleato, certamente non potrebbero ritenersi contratti per “scopi estranei” i debiti inerenti l’attività di lavoro autonomo di un coniuge, allorquando da tale attività la famiglia tragga i mezzi di mantenimento.

Parimenti preferibile sembra l’opzione interpretativa che ritiene contratti per bisogni familiari i debiti dell’impresa familiare nella quale prestino la loro attività i membri della famiglia, atteso che in tal caso gli interessi di famiglia ed impresa sono totalmente coincidenti, in ragione della destinazione degli utili di impresa anche e soprattutto alle esigenze familiari.

3.- Il concetto di estraneità del debito (esemplificazione pratica)

L’esemplificazione è riferita ad un imprenditore individuale che ha destinato a fondo patrimoniale un immobile in comunione legale con la moglie.

Per le linee di credito concesse per far fronte alle esigenze della propria attività esercitata con la Ditta individuale, e nell’ipotesi in cui dai rapporti creditizi in essere derivino saldi passivi, la Banca, previa revoca degli affidamenti e promosse le azioni del caso per conseguire un titolo esecutivo, potrebbe sottoporre ad esecuzione forzata la quota di sua proprietà pari ad ½ dell’immobile già costituito in fondo patrimoniale, non applicandosi in via di principio il divieto di esecuzione sui beni del fondo previsto dall’art. 170 c.c.

Il divieto in questione opera, difatti, solo allorquando i debiti siano stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia, bisogni che secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale vanno intesi non nel senso restrittivo, cioè come quelle “esigenze indispensabili” della famiglia, perché necessarie alla sua esistenza.

Nella fattispecie, le linee di credito sono state erogate in favore dell’imprenditore per esigenze inerenti la propria attività di lavoro autonomo esercitata con una Ditta individuale, attività dalla quale si presume che la famiglia tragga i redditi necessari al suo pieno ed adeguato mantenimento; ed il corrispondente debito verso la Banca risulterebbe così contratto anche per soddisfare bisogni della famiglia, oltre che per esigenze connesse all’attività imprenditoriale.

Per converso, la stessa quota di proprietà immobiliare in fondo patrimoniale non potrebbe essere aggredita per un eventuale saldo passivo derivante dal rapporto creditizio intrattenuto dalla S.r.l. di cui la moglie del nostro imprenditore è socia, rapporto che ha garantito con fideiussione, trattandosi di linee di credito concesse ad una Società con personalità giuridica e con conseguente autonomia patrimoniale perfetta, e senz’altro destinate esclusivamente ad esigenze economiche, produttive e/o commerciali della Società stessa.

Per ragioni analoghe a quelle di cui sopra, la quota di proprietà immobiliare in fondo patrimoniale non potrebbe essere aggredita per eventuali debiti contratti dalla S.a.s. di cui il soggetto è socio accomandatario ed amministratore, debiti per i quali è, pertanto, solidalmente ed illimitatamente responsabile con la S.a.s. stessa.

Difatti, anche la S.a.s., società di persone, benché in quanto tale sprovvista di personalità giuridica, costituisce pur sempre un autonomo soggetto di diritto che può essere centro di imputazione di rapporti contrattuali distinti rispetto alle posizioni dei singoli soci, ed è altresì dotata di una propria parziale autonomia patrimoniale.

In conclusione, anche se il fondo patrimoniale già costituito si consoliderà per il decorso del termine quinquennale di prescrizione dell’azione revocatoria ordinaria, permane il potenziale rischio di espropriazione forzata per la quota di proprietà immobiliare in fondo patrimoniale, ma unicamente in relazione ad eventuali debiti contratti dalla Ditta individuale, salvo fornire la prova rigorosa che il debito è del tutto estraneo alle esigenze familiari (prova peraltro “diabolica” se la famiglia non ha altri redditi).

4.- La critica al divieto di cui all’art. 170 c.c.

Nel corso degli anni, purtroppo, le finalità originarie dell’istituto in esame sono state in larga parte disattese, proprio in funzione del divieto di esecuzione forzata.

E’, difatti, opinione comune in dottrina che il fondo patrimoniale, nella prassi, sia stato assai raramente utilizzato per le originarie funzioni solidaristiche che il codice civile gli attribuisce.

Invero, si registra come la maggior parte dei fondi patrimoniali siano stati e vengano tutt’ora costituiti in epoca successiva al sorgere del credito e per una finalità strumentale (la sottrazione di determinati beni alla generica garanzia di tutti i creditori), con conseguente deviazione dalla funzione tipica che l’ordinamento attribuisce al negozio.

Tale deviazione è stata peraltro avvertita anche dal G.E. del Tribunale di Chieti, il quale, in propria ordinanza, nel respingere un’istanza di sospensione dell’esecuzione, ha così motivato “… la Sig.ra Tizia, infatti, ebbe a costituire il fondo patrimoniale l’11.9.1995, e cioè -forse fu solo una mera coincidenza- quattro giorni dopo che la Banca aveva iscritto su di essi ipoteca giudiziale (il 7.9.1995), e quando erano trascorsi già 18 anni dalle nozze …”.

5.- Gli orientamenti giurisprudenziali

Sul fronte della giurisprudenza, si sottolinea come la funzione strumentale che il fondo patrimoniale ha nella prassi assunto sia stata di fatto avallata.

Si segnala, sul punto, l’unico precedente giurisprudenziale esistente (Cass., Sez. III, 9.04.1996 n. 3251) secondo cui “Con riguardo a beni conferiti in fondo patrimoniale, l’art. 170 c.c. -secondo cui l’esecuzione sui beni del fondo e sui frutti non può aver luogo per debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia- non limita il divieto di esecuzione forzata ai soli crediti (estranei ai bisogni della famiglia) sorti successivamente alla costituzione del fondo.

Ne consegue che detto divieto estende la sua efficacia anche ai crediti sorti prima di tale data, ferma restando in questo caso la possibilità del creditore di agire in revocatoria ordinaria, qualora ne ricorrano i presupposti, al fine di far dichiarare l’inefficacia nei propri confronti dell’atto costitutivo del fondo patrimoniale”.

Il principio giurisprudenziale testè enucleato, seppure di fonte autorevole, se accolto sic et simpliciter, suscita perplessità e, difatti, ad esso si contrappongono alcune pronunce di merito.

Di particolare interesse, per i pregievoli argomenti critici alla citata sentenza della S.C., è la sentenza del Tribunale Ragusa 21.12.1999, nella quale si afferma testualmente che: “La costituzione del fondo patrimoniale in epoca successiva al sorgere del o dei debiti personali dei coniugi confligge ragionevolmente con il sistema della responsabilità patrimoniale (artt. 2740 e 2741 c.c.), per cui non è consentito -in mancanza di dati obiettivi e coerenti- restringere la difesa dei terzi creditori all’azione ex art. 2901 e ss. c.c., l’inespropriabilità sancita dall’art. 170 dovendo collegarsi con i crediti successivi alla pubblicità della convenzione matrimoniale” (nello stesso senso, anche Tribunale Milano 5.11.1990: “L’art. 170 c.c., nel porre un limite all’azione dei creditori, postula necessariamente che la costituzione del fondo sia avvenuta prima del sorgere del credito per il cui soddisfacimento essi agiscono”).

Le argomentazioni utilizzate dal Tribunale di Ragusa per discostarsi dal precedente della S.C. possono così riassumersi:

- all’affermazione secondo cui l’espropriabilità dei beni del fondo patrimoniale va ricollegata esclusivamente alla natura dell’obbligazione (se inerente o meno ai bisogni familiari), "essendo ininfluente il tempo della sua nascita", il Giudice ragusano ha obiettato che "Il rischio dell’inespropria-bilità del bene per effetto -riguardo i rapporti estranei ai bisogni familiari- della eventuale successiva costituzione del fondo, ben può indurre il terzo a non prestare credito, e pertanto introduce una variabile di grande incertezza nel delicato bilanciamento degli interessi delle parti (coniugi/terzi)";

- ed ancora che "... all’infuori della convenzione la natura dell’obbligazione non ha rilievo; e se allora l’acquista con la convenzione, non può essere svalutato il principio della sua opponibilità ai terzi se e in quanto sia espletata la relativa pubblicità".

All’ulteriore argomentazione (dedotta dal previgente art. 169 com-ma 3 c.c.) secondo cui l’art. 170 c.c. "... non riproduce la regola secondo cui la inalienabilità dei beni costituenti il patrimonio familiare non era opponibile ai terzi il cui diritto fosse sorto anteriormente alla trascrizione dell’atto o alla nascita del vincolo sui titoli di credito ...", il Giudice ragusano ha poi replicato che "... la sua plausibilità è apparente, poichè secondo dottrina pressochè unanime l’istituto del fondo patrimoniale è qualitativamente diverso dal patrimonio familiare e questa disomogeneità pertanto esclude una valida possibilità di raffronto. Il novum consiste nella iniziativa di entrambi i coniugi, nella titolarità comune dei beni, nella uguaglianza dei poteri di amministrazione: tanto è sufficiente per recidere ogni legame con l’abrogato istituto del patrimonio familiare (pensato e realizzato in ben altre temperie storico-sociali). Se si considera che ognuno dei coniugi ha facoltà di conferire i propri beni nel fondo e che l’annotazione della convenzione si inscrive in un sistema incardinato sulla comunione legale familiare, che viene derogata appunto dal fondo patrimoniale; se si aggiunge che l’art. 166, comma 3, abr. coesisteva, all’origine, con il divieto di donazione tra i coniugi, è difficilmente contestabile la insignificanza, sul piano sistematico, della abrogata disciplina del patrimonio familiare".

6.- I dubbi di legittimità costituzionale

Le pertinenti osservazioni appena esposte privilegiano, dunque, l’opzione interpretativa che esclude l’applicabilità dell’art. 170 c.c. qualora il debito sia stato contratto in epoca precedente alla costituzione del fondo patrimoniale, interpretazione che, peraltro, appare maggiormente in linea con i principi fondamentali del nostro ordinamento.

Ed invero, ove si accedesse alla contrapposta tesi (secondo cui le limitazioni di cui all’art. 170 c.c. avrebbero carattere assoluto e generalizzato, colpendo indistintamente non soltanto i crediti successivi, ma anche quelli precedenti alla costituzione del fondo), si introdurrebbe e legittimerebbe un mezzo per eludere il sistema della responsabilità patrimoniale del debitore.

Si cita l’esempio di un Istituto di credito, il quale -confidando nella solvibilità dell’utente, poiché proprietario di immobile libero da iscrizioni e trascrizioni pregiudizievoli- conceda le richieste linee di credito.

Se si consentisse a colui che abbia così ottenuto affidamenti di cautelarsi da preordinate insolvenze e conseguenti azioni esecutive, mediante destinazione successiva dei propri beni al fondo patrimoniale, si introdurrebbe appunto un mero espediente elusivo e lesivo, che vieppiù prospetterebbe la q.l.c. dell’art. 170 c.c., in relazione agli artt. 3 e 24 Cost., nella parte in cui estende l’inespropriabilità dei beni destinati al fondo patrimoniale anche all’ipotesi in cui i crediti siano sorti in epoca precedente alla costituzione del fondo medesimo.

Il dubbio di contrasto con l’art. 3 Cost. (per violazione del principio di uguaglianza) si fonda sul rilievo che mentre per i creditori successivi vi sarebbe la previa possibilità di acquisire informazioni sulla destinazione del credito ovvero di cautelarsi dagli effetti della costituzione medesima, concedendo unicamente finanziamenti da destinare a ben determinate esigenze familiari, quali le cure mediche del figlio, per i creditori precedenti una siffatta indagine oppure, in alternativa, l’adozione di un siffatto strumento di "autotutela" (quale, appunto, il c.d. prestito finalizzato o finanziamento di scopo), in assenza del fondo patrimoniale, non avrebbero, invece, significato alcuno.

In altri termini, non avrebbe senso richiedere la conoscenza della estraneità del debito ai bisogni familiari se già non risultasse trascritto il fondo patrimoniale, posto che l’eventuale estraneità potrebbe incidere sul diritto di agire in executivis solo in presenza della convenzione, mentre in sua assenza assumerebbero una valenza neutra, cioè priva di rilievo ai fini dell’operazione creditizia, sempre che non si voglia imporre al creditore l’onere di preconizzare l’intenzione dei coniugi contraenti di costituire in futuro un fondo patrimoniale.

Parimenti fondato è il vulnus all’art. 3 Cost. per irragionevolezza sopravvenuta e/o anacronismo delle scelte legislative, atteso che -come peraltro osservato dal Tribunale di Ragusa- la limitazione al diritto di agire in executivis di cui all’art. 170 c.c. confliggerebbe con il sistema della responsabilità patrimoniale (artt. 2740 e 2741 c.c.), introducendo un regime derogatorio ingiustificato ed incoerente.

Ed invero, proprio in ragione del disposto di cui all’art. 170 c.c., il fondo patrimoniale ha ormai assunto -nella prassi- una funzione strumentale e distorta rispetto alla sua originaria finalità solidaristica (il soddisfacimento delle esigenze familiari), rappresentando -come accennato- un mero espediente successivo all’erogazione del credito, posto in essere per sottrarre determinati beni alla generica garanzia di tutti i creditori, conservandone peraltro la piena proprietà.

In relazione alla violazione dell’art. 24 Cost., pure prospettata, si rileva che la limitazione de quo restringerebbe la difesa dei terzi creditori all’azione revocatoria che, pertanto, pur presentando complessi profili probatori, costituirebbe l’unico rimedio per evitare gli irreversibili pregiudizi (sopravvenuta assenza di garanzie) della co-stituzione successiva del fondo patrimoniale.

Sul punto, il risalente ed ormai consolidato orientamento della Corte Costituzionale (sentenze n. 94/1973 e n. 5/1974), pur ammettendo diversificazioni e limitazioni del sistema di tutela giurisdizionale, ha sempre affermato che l’evenienza va circoscritta alle ipotesi in cui si ponga l’esigenza di salvaguardare interessi razionalmente ritenuti degni di tutela.

Tale esigenza, seppure sussistente all’epoca della legge di riforma del diritto di famiglia (che ha appunto introdotto il fondo patrimoniale in sostituzione del patrimonio familiare) in ragione del carattere ancora patriarcale della famiglia e del diverso contesto storico-sociale esistente, ha da anni assunto connotazioni marginali e residuali, riconducibili alla crisi ed alla dissoluzione della famiglia legittima (si pensi al recente scontro politico sulla regolamentazione delle coppie di fatto).

7.- Il Trust (brevi cenni)

La parola Trust in lingua inglese significa “affidamento”.

Ed è proprio sulla fiducia che si basa questo innovativo strumento di pianificazione patrimoniale, conosciuto ed utilizzato in Italia solo da pochi anni, precisamente da quando il nostro Paese ha ratificato la Convenzione dell’Aja (art. 2 della L. 16.10.1989 n. 364, in vigore dal 1992).

E’ la Convenzione stessa che fornisce la definizione di Trust, stabilendo che con tale termine debbano intendersi i rapporti giuridici istituiti da una persona con atto tra vivi o "mortis causa", qualora dei beni siano stati posti sotto il controllo di un "Trustee" nell’interesse di un “Beneficiario” o per un fine specifico.

In altri termini, il Trust realizza una netta separazione tra il patrimonio del Disponente (di colui, cioè, che dà vita al Trust stesso) e quello dell’effettivo Beneficiario e del Trustee.

Quindi, alla costituzione ed alla gestione del Trust, generalmente, intervengono tre soggetti: il Disponente, cioè il proprietario dei beni; il Trustee, cioè il gestore fiduciario dei beni; il Beneficiario, cioè il soggetto nell’interesse del quale i beni vengono conferiti nel Trust e gestiti dal Trustee.

Lo schema contrattuale tipico del Trust è il seguente: il Disponente trasferisce i propri beni e istituisce il Trust attribuendo la proprietà degli stessi al Trustee (gestore), che è la figura chiave di tutto lo strumento e che, oltre a divenire l’effettivo proprietario, assume funzioni di gestione; Il Trustee, a sua volta, dispone dei beni secondo l’atto di Trust, ma è comunque obbligato a gestirli nell’interesse dei Beneficiari od allo scopo determinato dal Disponente.

Il Disponente ed il Trustee possono anche coincidere nella stessa persona, se il Trust è istituto per il perseguimento di uno specifico scopo (Trust di scopo).

Il punto sostanziale che caratterizza un Trust è la piena separazione ed il totale distacco del patrimonio conferito dalla sfera giuridica del Disponente, per passare in piena proprietà al Trustee, seppure a titolo fiduciario e nell’interesse del Beneficiario.

Possiamo esemplificare dicendo che il patrimonio conferito nel Trust è messo al riparo da eventuali pretese creditorie di terzi cosi individuati:

1. i creditori del Disponente, poichè il patrimonio non è più di sua proprietà;

2. i creditori del Trustee, poichè il Trustee, seppure effettivo proprietario del patrimonio stesso, lo deterrà solo ed esclusivamente nella sua qualità di Trustee e mai a titolo personale;

3. i creditori del Beneficiario, fino a quando esso non riceva i beni con successivo passaggio dal Trustee.

Riassumendo, le caratteristiche essenziali di un Trust sono le seguenti:

1. i beni trasferiti dal Disponente costituiscono una massa distinta e non fanno parte del patrimonio nè del Trustee, né tantomeno del Disponente medesimo, che li ha ceduti;

2. i beni del Trust sono intestati a titolo fiduciario al Trustee;

3. il Trustee è investito del potere e dell’onere di gestire, amministrare e disporre dei beni secondo i termini del Trust, deve agire nell’esclusivo interesse dei Beneficiari ed è sottoposto al potere di vigilanza e di cooperazione del Disponente;

4. i beni che formano oggetto di Trust non sono in tal modo aggredibili dai creditori del Trustee e neppure da quelli del Disponente, in quanto costituiscono un patrimonio separato ovvero segregato.

Nel Trust possono essere conferiti tutti i beni mobili o immobili e tutti i diritti che appartengono a persone fisiche e/o a società (es. titolo di credito, conti bancari, somme di denaro, azioni, quote di società immobiliari, preziosi, opere d’arte, quote di fondi comuni d’investimento, immobili, autoveicoli, imbarcazioni, mobili ed arredi).