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Minori e giustizia: custodia cautelare in carcere per un baby pusher

Corte di Cassazione - Sezione Terza Penale, Sentenza 13 novembre 2008, n. 46040
Con la Sentenza 13 novembre 2008, n. 46040, la III Sezione Penale della Corte di Cassazione ha affrontato il problema dell’applicazione della misura cautelare in carcere nei confronti di un minore straniero indagato per detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti.

Nella specie il minore era stato arrestato in flagranza di reato perché sorpreso dalle forze dell’ordine in possesso di 30 grammi circa di hashish, pari a numerose dosi droganti.

Il Giudice per le indagini preliminari di Perugia aveva disposto con ordinanza l’applicazione della più rigida misura cautelare indicando gravi indirizzi di colpevolezza che si basavano sulla fuga e sul ritrovamento delle sostanze stupefacenti, nonché dei proventi derivanti dallo spaccio di alcune dosi. L’ordinanza è stata confermata prima dal Tribunale per i minori di Perugia e in seguito a ricorso per Cassazione, dalla Suprema Corte con la sentenza in esame.

La III Sezione penale motiva il rigetto del ricorso proposto dal difensore del minore affermando che la misura è l’unica in grado di soddisfare le esigenze cautelari di cui all’art. 274 cpp tenuto conto che l’indagato, sottoposto ad altri procedimenti penali pendenti, si era sempre sottratto ai tentativi dei Servizi Sociali di avvicinarlo, anzi si era reso irreperibile da circa un anno. Inoltre, dato il suo stile di vita privo di regole, il minore era stato sostanzialmente abbandonato dai familiari i quali avevano dichiarato di “non nutrire più interesse per le vicende di quest’ultimo”.

Alla luce di queste ragioni la Suprema Corte conferma l’ordinanza di custodia cautelare in carcere al fine di scongiurare o quantomeno attenuare la reiterazione di delitti della stessa specie di quelli per cui si procede fermo restando quanto dichiarato dal Gip presso il Tribunale per i minorenni il quale si è riservato nel prosieguo di verificare la fattibilità di un eventuale collocamento in Comunità.

La pronuncia in esame non può non far riflettere sulle problematiche legate alla presenza di minori stranieri sul territorio italiano, i quali, secondo la stima del Dossier Statistico Immigrazione Caritas Migrantes all’inizio del 2005 erano 491.000 rappresentando il 17,6% della popolazione straniera complessiva.

Giungono dall’Africa, dall’Asia, dai Paesi Balcanici, con le famiglie o da soli, in cerca di un futuro migliore, di un sogno per attuare il quale sono spesso vittime della criminalità comune od organizzata che li utilizza come manovalanza. Sono bambini sfruttati, privati della loro infanzia, tanto breve e triste, spesso segregati e picchiati se non portano ai loro sfruttatori risultati economici tangibili, provenienti dall’accattonaggio, dallo spaccio di stupefacenti, dalla prostituzione.

Bambini e bambine ridotti in schiavitù, costretti a lavorare all’interno di capannoni ore ed ore, impegnati nelle rapine, presenti ai semafori come lavavetri, in giro fra la pioggia, il vento, la neve con le manine aperte ed il viso triste, con il loro non essere più bambini spensierati, non essere più piccoli.

E non c’è da stupirsi se in tali condizioni anche la personalità di un minore si deforma, irrimediabilmente. Sono la violazione di diritti, il disagio fisico e psicologico, la mancanza di una famiglia, la carenza di affetti, l’assenza di educazione le conseguenze di una povertà che spinge i minori ad essere prede della criminalità, a rinunciare per sempre ad essere se stessi.

Non è diverso il caso di specie come confermato dalle parole stesse dei giudici della Suprema Corte i quali affermano che “non può essere emessa una prognosi favorevole sul futuro comportamento dell’indagato, né può ragionevolmente prevedersi che possa essere concesso il perdono giudiziale o la sospensione condizionale della pena”.

In casi come questi la strada diventa non solo il luogo dell’attività illecita svolta durante il giorno, ma addirittura casa, sito da vivere a tuttotondo, scappando alla vista di un agente delle forze dell’ordine.

Il carcere diviene allora la pena da scontare dopo la condanna, ma spesso anche la misura cautelare preventiva, non essendone possibili, come nel caso di specie, altre quali l’affidamento alle comunità o la messa alla prova. Tutto però tenendo sempre presente la finalità propria del processo minorile e della sua capacità di non interrompere i processi educativi in atto.

Con la Sentenza 13 novembre 2008, n. 46040, la III Sezione Penale della Corte di Cassazione ha affrontato il problema dell’applicazione della misura cautelare in carcere nei confronti di un minore straniero indagato per detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti.

Nella specie il minore era stato arrestato in flagranza di reato perché sorpreso dalle forze dell’ordine in possesso di 30 grammi circa di hashish, pari a numerose dosi droganti.

Il Giudice per le indagini preliminari di Perugia aveva disposto con ordinanza l’applicazione della più rigida misura cautelare indicando gravi indirizzi di colpevolezza che si basavano sulla fuga e sul ritrovamento delle sostanze stupefacenti, nonché dei proventi derivanti dallo spaccio di alcune dosi. L’ordinanza è stata confermata prima dal Tribunale per i minori di Perugia e in seguito a ricorso per Cassazione, dalla Suprema Corte con la sentenza in esame.

La III Sezione penale motiva il rigetto del ricorso proposto dal difensore del minore affermando che la misura è l’unica in grado di soddisfare le esigenze cautelari di cui all’art. 274 cpp tenuto conto che l’indagato, sottoposto ad altri procedimenti penali pendenti, si era sempre sottratto ai tentativi dei Servizi Sociali di avvicinarlo, anzi si era reso irreperibile da circa un anno. Inoltre, dato il suo stile di vita privo di regole, il minore era stato sostanzialmente abbandonato dai familiari i quali avevano dichiarato di “non nutrire più interesse per le vicende di quest’ultimo”.

Alla luce di queste ragioni la Suprema Corte conferma l’ordinanza di custodia cautelare in carcere al fine di scongiurare o quantomeno attenuare la reiterazione di delitti della stessa specie di quelli per cui si procede fermo restando quanto dichiarato dal Gip presso il Tribunale per i minorenni il quale si è riservato nel prosieguo di verificare la fattibilità di un eventuale collocamento in Comunità.

La pronuncia in esame non può non far riflettere sulle problematiche legate alla presenza di minori stranieri sul territorio italiano, i quali, secondo la stima del Dossier Statistico Immigrazione Caritas Migrantes all’inizio del 2005 erano 491.000 rappresentando il 17,6% della popolazione straniera complessiva.

Giungono dall’Africa, dall’Asia, dai Paesi Balcanici, con le famiglie o da soli, in cerca di un futuro migliore, di un sogno per attuare il quale sono spesso vittime della criminalità comune od organizzata che li utilizza come manovalanza. Sono bambini sfruttati, privati della loro infanzia, tanto breve e triste, spesso segregati e picchiati se non portano ai loro sfruttatori risultati economici tangibili, provenienti dall’accattonaggio, dallo spaccio di stupefacenti, dalla prostituzione.

Bambini e bambine ridotti in schiavitù, costretti a lavorare all’interno di capannoni ore ed ore, impegnati nelle rapine, presenti ai semafori come lavavetri, in giro fra la pioggia, il vento, la neve con le manine aperte ed il viso triste, con il loro non essere più bambini spensierati, non essere più piccoli.

E non c’è da stupirsi se in tali condizioni anche la personalità di un minore si deforma, irrimediabilmente. Sono la violazione di diritti, il disagio fisico e psicologico, la mancanza di una famiglia, la carenza di affetti, l’assenza di educazione le conseguenze di una povertà che spinge i minori ad essere prede della criminalità, a rinunciare per sempre ad essere se stessi.

Non è diverso il caso di specie come confermato dalle parole stesse dei giudici della Suprema Corte i quali affermano che “non può essere emessa una prognosi favorevole sul futuro comportamento dell’indagato, né può ragionevolmente prevedersi che possa essere concesso il perdono giudiziale o la sospensione condizionale della pena”.

In casi come questi la strada diventa non solo il luogo dell’attività illecita svolta durante il giorno, ma addirittura casa, sito da vivere a tuttotondo, scappando alla vista di un agente delle forze dell’ordine.

Il carcere diviene allora la pena da scontare dopo la condanna, ma spesso anche la misura cautelare preventiva, non essendone possibili, come nel caso di specie, altre quali l’affidamento alle comunità o la messa alla prova. Tutto però tenendo sempre presente la finalità propria del processo minorile e della sua capacità di non interrompere i processi educativi in atto.