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Diritto al nome e rettificazione: una bambina chiamata Andrea

Nota a Tribunale di Catanzaro, Decreto 14 aprile 2009
I genitori non hanno un diritto potestativo alla attribuzione al minore del nome che desiderano.

Il diritto al nome, infatti, è un diritto soggettivo incomprimibile della persona che lo porta, la quale, tuttavia, al momento della nascita non è in grado di sceglierlo ed allora sono i suoi rappresentanti legali ad indicarlo, ma nell’esercizio di un potere-dovere proprio di un munus quale la potestà genitoriale (v. art. 7, comma I, Conv. diritti del fanciullo, New York 1989). Si giustifica, quindi, l’intervento dello Stato, in sede di rettificazione, ove la scelta dei genitori non corrisponda all’interesse del minore ed, anzi, sia idonea ad arrecargli pregiudizio.

Ai sensi dell’art. 35 d.P.R. 396/2000, il nome imposto al bambino deve corrispondere al sesso. Per verificare se il nome attribuito al minore corrisponda al suo sesso (e, dunque, per verificare la valenza maschile o femminile del nome stesso) occorre guardare alla tradizione italiana, non intesa quale consuetudine statica e cristallizzata nel tempo ma quale insieme di valori e costumi in continua evoluzione.

Con decreto del 14 aprile 2009, il Tribunale di Catanzaro si occupa del caso di una bambina, nata in Francia da genitori italiani, chiamata “Andrea”, la cui nascita era stata trascritta in Italia dal Comune di A., con la seguente indicazione: "sesso femminile essendo, tuttavia, il suddetto nome di valenza maschile”.

Sulla base della segnalazione del Comune di A., la Procura presentava, ai sensi dell’art. 95 D.P.R. 396/2000, istanza di rettificazione del nome della bambina al Tribunale competente.

Nel decreto in esame, il Tribunale riporta le disposizioni del D.P.R. 396/2000, secondo cui “il nome imposto al bambino deve corrispondere al sesso” (art. 35) ed “è vietato imporre al bambino (…) nomi ridicoli o vergognosi” (art. 34). Dal combinato di tali norme emerge chiaramente, si legge nel decreto, il divieto di attribuire ad una bambina di sesso femminile un nome da uomo, visto che la sua identità potrebbe essere esposta alla derisione altrui.

Anche se in Francia il nome “Andrea” ha valenza femminile, considerato che la bambina non è ancora cittadina francese, si deve guardare, secondo il Tribunale, alla tradizione italiana e dai dati Istat sulla natalità e fecondità della popolazione residente in Italia risulta che il nome Andrea ha valenza maschile, essendo il terzo nome maschile più diffuso nel nostro Paese.

Nel caso in esame, verrebbe minacciato, inoltre, l’interesse pubblico alla certezza dei rapporti giuridici e della identificazione delle persone, che “non comprime il diritto dei genitori alla scelta del nome, ma lo condiziona”.

Il Tribunale di Catanzaro si sofferma, infine, sul diritto al nome e sul ruolo dei genitori e dello Stato in ordine alla sua attribuzione e rettificazione. Mentre, infatti, il nome è un diritto per il minore, ai sensi dell’art. 7 della Convenzione sui diritti del fanciullo, la scelta attribuita ai genitori non costituisce un diritto potestativo, ma una potestà. Essi esercitano un diritto del minore e per questo motivo non devono violare il contenuto “minimo” del diritto al nome, che si fonda su tre principi fondamentali: 1) il nome non deve esporre il minore al ridicolo o alla vergogna; 2) il nome deve rispecchiare il sesso del minore; 3) il nome deve perseguire il fine di realizzare il diritto all’identità personale del minore.

Con queste argomentazioni il Tribunale di Catanzaro accoglie l’istanza della Procura e dispone, con decreto del 14 aprile 2009, la rettificazione dell’atto di nascita della bambina in relazione al nome “Andrea”, invitando i genitori a scegliere entro trenta giorni dalla notifica del decreto un onomastico femminile da anteporre al nome “Andrea”. Decorso tale termine, l’ufficiale dello Stato civile del Comune di A. dovrà provvedere immediatamente alla rettificazione disposta, nei sensi indicati dai genitori della minore o, in mancanza, secondo le disposizioni del Tribunale medesimo.

In tema di diritto al nome, si rinvia ad una recente pronuncia della Corte di appello di Genova, che ha affermato il seguente principio: “Il nome “Venerdì”, dato ad un bambino dai genitori, è ridicolo, in quanto è quello di un giorno della settimana, evocante oltretutto la sfortuna, ed inoltre è proprio di un personaggio letterario caratterizzato da sudditanza e inferiorità e pertanto, atteso il divieto di nomi ridicoli o vergognosi, ne va disposta la rettifica” (Corte app. Genova, 10 novembre 2007, in Giur. merito 2009, 2, 357, con nota di G. Casaburi).

I genitori non hanno un diritto potestativo alla attribuzione al minore del nome che desiderano.

Il diritto al nome, infatti, è un diritto soggettivo incomprimibile della persona che lo porta, la quale, tuttavia, al momento della nascita non è in grado di sceglierlo ed allora sono i suoi rappresentanti legali ad indicarlo, ma nell’esercizio di un potere-dovere proprio di un munus quale la potestà genitoriale (v. art. 7, comma I, Conv. diritti del fanciullo, New York 1989). Si giustifica, quindi, l’intervento dello Stato, in sede di rettificazione, ove la scelta dei genitori non corrisponda all’interesse del minore ed, anzi, sia idonea ad arrecargli pregiudizio.

Ai sensi dell’art. 35 d.P.R. 396/2000, il nome imposto al bambino deve corrispondere al sesso. Per verificare se il nome attribuito al minore corrisponda al suo sesso (e, dunque, per verificare la valenza maschile o femminile del nome stesso) occorre guardare alla tradizione italiana, non intesa quale consuetudine statica e cristallizzata nel tempo ma quale insieme di valori e costumi in continua evoluzione.

Con decreto del 14 aprile 2009, il Tribunale di Catanzaro si occupa del caso di una bambina, nata in Francia da genitori italiani, chiamata “Andrea”, la cui nascita era stata trascritta in Italia dal Comune di A., con la seguente indicazione: "sesso femminile essendo, tuttavia, il suddetto nome di valenza maschile”.

Sulla base della segnalazione del Comune di A., la Procura presentava, ai sensi dell’art. 95 D.P.R. 396/2000, istanza di rettificazione del nome della bambina al Tribunale competente.

Nel decreto in esame, il Tribunale riporta le disposizioni del D.P.R. 396/2000, secondo cui “il nome imposto al bambino deve corrispondere al sesso” (art. 35) ed “è vietato imporre al bambino (…) nomi ridicoli o vergognosi” (art. 34). Dal combinato di tali norme emerge chiaramente, si legge nel decreto, il divieto di attribuire ad una bambina di sesso femminile un nome da uomo, visto che la sua identità potrebbe essere esposta alla derisione altrui.

Anche se in Francia il nome “Andrea” ha valenza femminile, considerato che la bambina non è ancora cittadina francese, si deve guardare, secondo il Tribunale, alla tradizione italiana e dai dati Istat sulla natalità e fecondità della popolazione residente in Italia risulta che il nome Andrea ha valenza maschile, essendo il terzo nome maschile più diffuso nel nostro Paese.

Nel caso in esame, verrebbe minacciato, inoltre, l’interesse pubblico alla certezza dei rapporti giuridici e della identificazione delle persone, che “non comprime il diritto dei genitori alla scelta del nome, ma lo condiziona”.

Il Tribunale di Catanzaro si sofferma, infine, sul diritto al nome e sul ruolo dei genitori e dello Stato in ordine alla sua attribuzione e rettificazione. Mentre, infatti, il nome è un diritto per il minore, ai sensi dell’art. 7 della Convenzione sui diritti del fanciullo, la scelta attribuita ai genitori non costituisce un diritto potestativo, ma una potestà. Essi esercitano un diritto del minore e per questo motivo non devono violare il contenuto “minimo” del diritto al nome, che si fonda su tre principi fondamentali: 1) il nome non deve esporre il minore al ridicolo o alla vergogna; 2) il nome deve rispecchiare il sesso del minore; 3) il nome deve perseguire il fine di realizzare il diritto all’identità personale del minore.

Con queste argomentazioni il Tribunale di Catanzaro accoglie l’istanza della Procura e dispone, con decreto del 14 aprile 2009, la rettificazione dell’atto di nascita della bambina in relazione al nome “Andrea”, invitando i genitori a scegliere entro trenta giorni dalla notifica del decreto un onomastico femminile da anteporre al nome “Andrea”. Decorso tale termine, l’ufficiale dello Stato civile del Comune di A. dovrà provvedere immediatamente alla rettificazione disposta, nei sensi indicati dai genitori della minore o, in mancanza, secondo le disposizioni del Tribunale medesimo.

In tema di diritto al nome, si rinvia ad una recente pronuncia della Corte di appello di Genova, che ha affermato il seguente principio: “Il nome “Venerdì”, dato ad un bambino dai genitori, è ridicolo, in quanto è quello di un giorno della settimana, evocante oltretutto la sfortuna, ed inoltre è proprio di un personaggio letterario caratterizzato da sudditanza e inferiorità e pertanto, atteso il divieto di nomi ridicoli o vergognosi, ne va disposta la rettifica” (Corte app. Genova, 10 novembre 2007, in Giur. merito 2009, 2, 357, con nota di G. Casaburi).