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Christian Dior / Copad: diritti del titolare di un marchio apposto su prodotti di prestigio

Nota a Corte di Giustizia CE, Sentenza 23 aprile 2009

Il titolare di un marchio con l’azione di contraffazione può opporsi alla rivendita dei suoi prodotti di prestigio da parte di venditori di partite in saldo ai quali i prodotti in questione sono stati ceduti dal licenziatario del marchio.

Questo importante principio è stato enunciato dalla Corte di Giustizia CE nella sentenza Copad (sentenza del 23 aprile 2009, caso C-59/08, Copad/ Christian Dior e Société industrielle lingerie, SIL) pronunziata in sede di giurisdizione pregiudiziale ex art. 234 CE. L’oggetto della questione sollevata dalla Corte di Cassazione francese riguardava l’interpretazione degli articoli 7, e particolare, 8.2 della direttiva marchi. Quest’ultimo stabilisce che “ Il titolare di un marchio di impresa può far valere i diritti conferiti da tale marchio contro un licenziatario che trasgredisca una disposizione del contratto di licenza per quanto riguarda la sua durata, la forma disciplinata dalla registrazione nella quale si può usare il marchio di impresa, la natura dei prodotti o servizi per i quali la licenza è rilasciata, il territorio in cui il marchio di impresa può essere apposto, o la qualità dei prodotti fabbricati o dei servizi forniti dal licenziatario”. Tale norma nel nostro ordinamento è stata recepita nell’art. 2, comma 3 del codice di proprietà intellettuale.

Il caso

Nel maggio 2000 la Dior e la SIL avevano concluso un contratto di licenza di marchio per la fabbricazione e distribuzione di prodotti di prestigio di corsetteria contrassegnati con il marchio Christian Dior. Le parti avevano inserito nel detto contratto una clausola per la quale «al fine di mantenere la notorietà e il prestigio del marchio, il licenziatario si impegna a non effettuare vendite a grossisti, collettività, rivenditori di partite in saldo, società di vendita per corrispondenza o che operano con il sistema di vendita porta a porta o domiciliare, salvo previo consenso scritto del concedente, nonché a garantire con opportuni provvedimenti il rispetto di tale disposizione anche da parte dei suoi distributori o dettaglianti».Trovandosi in una situazione di difficoltà economiche, la SIL come previsto nel contratto aveva richiesto alla Dior l’autorizzazione a vendere i prodotti recenti il marchio Christian Dior anche ad acquirenti non facenti parte della rete di distribuzione selettiva. Nonostante il diniego del titolare del marchio, la SIL procedeva comunque, in violazione degli obblighi derivanti dal contratto di licenza, alla vendita dei prodotti contrassegnati con il marchio in questione alla Copad, un rivenditore di partite di merce in saldo. La Dior conveniva quindi la SIL e la Copad dinanzi al competente giudice francese, il Tribunal de Grande Instance di Bobigny, per contraffazione del marchio. Come sopra visto, la Corte di Cassazione francese, davanti alla quale la causa era nel frattempo giunta, ha richiesto l’intervento dei giudici comunitari per stabilire se la Dior ai sensi degli articoli 7 e 8.2 può agire per contraffazione contro il licenziatario e il suo avente causa.

La sentenza

La questione giuridica affrontata dai giudici comunitari riguarda gli strumenti di tutela esperibili dal titolare di un marchio, rectius titolare di un marchio per prodotti di prestigio, in caso di inadempimento del licenziatario degli obblighi posti dal contratto di licenza relativamente alla commercializzazione dei prodotti contrassegnati con tale marchio. La questione è se il titolare, oltre alla tutela per inadempimento contrattuale può contare sulla tutela per contraffazione del marchio, invocando a tal fine l’articolo 8.2 della direttiva marchi.

Per poter affermare che il titolare di un marchio che ha concluso un contratto di licenza di marchio ha accesso alla tutela prevista dall’articolo 8.2 della direttiva marchi è necessario risolvere la questione preliminare se con il contratto di licenza si è verificato l’esaurimento del diritto del titolare sul marchio.

Secondo il consolidato orientamento delle corti comunitarie, per l’articolo 7 della direttiva marchi la commercializzazione di prodotti contrassegnati dal marchio da parte del licenziatario equivale alla commercializzazione di tali prodotti con il consenso del titolare. Da ciò ne consegue che il diritto del titolare sul marchio si esaurisce anche quando i prodotti contrassegnati dal marchio sono messi in commercio dal licenziatario. Tuttavia, come precisa la corte, il contratto di licenza non equivale al consenso assoluto e incondizionato del titolare del marchio. Quest’ultimo, quindi in caso di violazione del contratto di licenza, può ancora far valere i diritti sul marchio nei confronto del licenziatario. L’articolo 8.2 rientra in questi casi.

Così risolta la questione preliminare, i giudici quindi procedono a verificare se la ricorrente può avvalersi della protezione accordata dall’articolo 8.2 direttiva marchi, del quale, si può sin d’ora anticipare, ne danno una lettura estensiva e decisamente a favore dei titolari. Come emerge dalla costante giurisprudenza delle corti comunitarie,” il marchio deve costituire la garanzia che tutti i prodotti o servizi che ne sono contrassegnati sono stati fabbricati o forniti sotto il controllo di un’unica impresa alla quale possa attribuirsi la responsabilità della loro qualità”. Ora, la qualità dei prodotti di prestigio, come quelli commercializzati con il marchio i Christian Dior “non risulta solo dalle loro caratteristiche materiali, ma anche dallo stile e dall’immagine di prestigio che conferisce loro un’aura di lusso”. Continua, la Corte, “poiché i prodotti di prestigio costituiscono articoli esclusivi, l’aura di lusso che li circonda è un elemento essenziale affinché i consumatori li distinguano da altri prodotti simili.” Ne consegue che “un danno a tale aura di lusso può compromettere la qualità stessa di tali prodotti.” Si deve quindi stabilire se il licenziatario cedendo prodotti di prestigio a rivenditori di partite in saldo non appartenenti alla rete di distribuzione selettiva abbia arrecato tale danno. La commercializzazione di prodotti di prestigio attraverso un’adeguata rete di distribuzione selettiva costituisce una modalità di presentazione idonea a valorizzare tali prodotti. La Corte quindi non esclude che la vendita da parte del licenziatario a terzi non facenti parte della rete potrebbe pregiudicare la qualità dei prodotti di prestigio, e tale compito spetta al giudice nazionale sulla base dei criteri indicati dai giudici comunitari, i quali comprendono: “la natura dei prodotti di prestigio contraddistinti dal marchio, il volume e il carattere sistematico oppure saltuario delle vendite di tali prodotti da parte del licenziatario a rivenditori di partite in saldo che non fanno parte della rete di distribuzione selettiva e, dall’altro lato, la natura dei prodotti commercializzati abitualmente da tali rivenditori, nonché le forme di normale commercializzazione nel settore in cui essi esercitano la loro attività.”

Conclusioni

La vendita da parte di un licenziatario di prodotti di prestigio in violazione del contatto di licenza a terzi operatori di vendite di partite a saldo e non facenti parte dalle rete di distribuzione selettiva del titolare del marchio costituisce quindi una contraffazione del marchio, oltre ovviamente ad inadempimento contrattuale. Così, i giudici comunitari rafforzano la posizione dei titolari di marchi apposti a prodotti di prestigio, e di conseguenza, anche la tutela dell’impermeabilità della rete di distribuzione selettiva. Di fronte della vendita dei prodotti contrassegnati del marchio a terzi esterni alla rete di distribuzione selettiva, il titolare del diritto potrà reagire nei confronti del licenziatario infedele o sulla base delle regole generali in materia di inadempimento delle obbligazioni contrattuali; ovvero, potrà esperire un’azione di contraffazione del marchio. Non si tratta di una questione di poco conto, considerato gli efficaci strumenti di tutela applicabili in caso di contraffazione. Il titolare, a seguito dell’accoglimento della domanda di contraffazione, potrà ottenere, tra l’altro, l’inibitoria definitiva di uso del marchio da parte del contraffattore, l’ordine di ritiro dal commercio dei prodotti contraffatti, e in alternativa al risarcimento del lucro cessante, la restituzione dei profitti conseguiti dal contraffattore. Giova sul punto rimarcare che tali utili possono essere maggiori dei danni subiti dal titolare del marchio a seguito della contraffazione.

Infine, un’ ultima questione che merita di essere affrontata in questa sede è determinare quali sono i prodotti di prestigio indicati nella sentenza Copad. Al riguardo, è possibile scorgere una certa somiglianza tra la sentenza Copad e gli orientamenti delle istituzioni comunitarie sulle condizioni in presenza delle quali gli accordi di distribuzione selettiva con clausole restrittive della concorrenza non sono vietati ex articolo 81 CE per quanto riguarda l’individuazione dei prodotti oggetto rispettivamente del contratto di licenza e della rete di distribuzione selettiva. I prodotti di prestigio indicati nella sentenza Copad, la commercializzazione dei quali al di fuori della rete di distribuzione selettiva ne può pregiudicare la qualità, data anche dall’aurea di lusso che li caratterizza, sono simili ai prodotti con una forte immagine di brand, i quali, per la loro natura non possono che essere messi in commercio che attraverso una rete di distribuzione selettiva e che concorrono con altri elementi a rendere la rete compatibile con l’articolo 81 CE. Tali prodotti a titolo esemplificativo sono stati individuati in profumi e cosmetici di lusso, ceramiche da tavolo e gioielli d’oro e d’argento. È allora possibile ipotizzare che i prodotti con una forte immagine di brand rilevanti ex articolo 81 EC coincidano con i prodotti di prestigio della sentenza Copad.

Il titolare di un marchio con l’azione di contraffazione può opporsi alla rivendita dei suoi prodotti di prestigio da parte di venditori di partite in saldo ai quali i prodotti in questione sono stati ceduti dal licenziatario del marchio.

Questo importante principio è stato enunciato dalla Corte di Giustizia CE nella sentenza Copad (sentenza del 23 aprile 2009, caso C-59/08, Copad/ Christian Dior e Société industrielle lingerie, SIL) pronunziata in sede di giurisdizione pregiudiziale ex art. 234 CE. L’oggetto della questione sollevata dalla Corte di Cassazione francese riguardava l’interpretazione degli articoli 7, e particolare, 8.2 della direttiva marchi. Quest’ultimo stabilisce che “ Il titolare di un marchio di impresa può far valere i diritti conferiti da tale marchio contro un licenziatario che trasgredisca una disposizione del contratto di licenza per quanto riguarda la sua durata, la forma disciplinata dalla registrazione nella quale si può usare il marchio di impresa, la natura dei prodotti o servizi per i quali la licenza è rilasciata, il territorio in cui il marchio di impresa può essere apposto, o la qualità dei prodotti fabbricati o dei servizi forniti dal licenziatario”. Tale norma nel nostro ordinamento è stata recepita nell’art. 2, comma 3 del codice di proprietà intellettuale.

Il caso

Nel maggio 2000 la Dior e la SIL avevano concluso un contratto di licenza di marchio per la fabbricazione e distribuzione di prodotti di prestigio di corsetteria contrassegnati con il marchio Christian Dior. Le parti avevano inserito nel detto contratto una clausola per la quale «al fine di mantenere la notorietà e il prestigio del marchio, il licenziatario si impegna a non effettuare vendite a grossisti, collettività, rivenditori di partite in saldo, società di vendita per corrispondenza o che operano con il sistema di vendita porta a porta o domiciliare, salvo previo consenso scritto del concedente, nonché a garantire con opportuni provvedimenti il rispetto di tale disposizione anche da parte dei suoi distributori o dettaglianti».Trovandosi in una situazione di difficoltà economiche, la SIL come previsto nel contratto aveva richiesto alla Dior l’autorizzazione a vendere i prodotti recenti il marchio Christian Dior anche ad acquirenti non facenti parte della rete di distribuzione selettiva. Nonostante il diniego del titolare del marchio, la SIL procedeva comunque, in violazione degli obblighi derivanti dal contratto di licenza, alla vendita dei prodotti contrassegnati con il marchio in questione alla Copad, un rivenditore di partite di merce in saldo. La Dior conveniva quindi la SIL e la Copad dinanzi al competente giudice francese, il Tribunal de Grande Instance di Bobigny, per contraffazione del marchio. Come sopra visto, la Corte di Cassazione francese, davanti alla quale la causa era nel frattempo giunta, ha richiesto l’intervento dei giudici comunitari per stabilire se la Dior ai sensi degli articoli 7 e 8.2 può agire per contraffazione contro il licenziatario e il suo avente causa.

La sentenza

La questione giuridica affrontata dai giudici comunitari riguarda gli strumenti di tutela esperibili dal titolare di un marchio, rectius titolare di un marchio per prodotti di prestigio, in caso di inadempimento del licenziatario degli obblighi posti dal contratto di licenza relativamente alla commercializzazione dei prodotti contrassegnati con tale marchio. La questione è se il titolare, oltre alla tutela per inadempimento contrattuale può contare sulla tutela per contraffazione del marchio, invocando a tal fine l’articolo 8.2 della direttiva marchi.

Per poter affermare che il titolare di un marchio che ha concluso un contratto di licenza di marchio ha accesso alla tutela prevista dall’articolo 8.2 della direttiva marchi è necessario risolvere la questione preliminare se con il contratto di licenza si è verificato l’esaurimento del diritto del titolare sul marchio.

Secondo il consolidato orientamento delle corti comunitarie, per l’articolo 7 della direttiva marchi la commercializzazione di prodotti contrassegnati dal marchio da parte del licenziatario equivale alla commercializzazione di tali prodotti con il consenso del titolare. Da ciò ne consegue che il diritto del titolare sul marchio si esaurisce anche quando i prodotti contrassegnati dal marchio sono messi in commercio dal licenziatario. Tuttavia, come precisa la corte, il contratto di licenza non equivale al consenso assoluto e incondizionato del titolare del marchio. Quest’ultimo, quindi in caso di violazione del contratto di licenza, può ancora far valere i diritti sul marchio nei confronto del licenziatario. L’articolo 8.2 rientra in questi casi.

Così risolta la questione preliminare, i giudici quindi procedono a verificare se la ricorrente può avvalersi della protezione accordata dall’articolo 8.2 direttiva marchi, del quale, si può sin d’ora anticipare, ne danno una lettura estensiva e decisamente a favore dei titolari. Come emerge dalla costante giurisprudenza delle corti comunitarie,” il marchio deve costituire la garanzia che tutti i prodotti o servizi che ne sono contrassegnati sono stati fabbricati o forniti sotto il controllo di un’unica impresa alla quale possa attribuirsi la responsabilità della loro qualità”. Ora, la qualità dei prodotti di prestigio, come quelli commercializzati con il marchio i Christian Dior “non risulta solo dalle loro caratteristiche materiali, ma anche dallo stile e dall’immagine di prestigio che conferisce loro un’aura di lusso”. Continua, la Corte, “poiché i prodotti di prestigio costituiscono articoli esclusivi, l’aura di lusso che li circonda è un elemento essenziale affinché i consumatori li distinguano da altri prodotti simili.” Ne consegue che “un danno a tale aura di lusso può compromettere la qualità stessa di tali prodotti.” Si deve quindi stabilire se il licenziatario cedendo prodotti di prestigio a rivenditori di partite in saldo non appartenenti alla rete di distribuzione selettiva abbia arrecato tale danno. La commercializzazione di prodotti di prestigio attraverso un’adeguata rete di distribuzione selettiva costituisce una modalità di presentazione idonea a valorizzare tali prodotti. La Corte quindi non esclude che la vendita da parte del licenziatario a terzi non facenti parte della rete potrebbe pregiudicare la qualità dei prodotti di prestigio, e tale compito spetta al giudice nazionale sulla base dei criteri indicati dai giudici comunitari, i quali comprendono: “la natura dei prodotti di prestigio contraddistinti dal marchio, il volume e il carattere sistematico oppure saltuario delle vendite di tali prodotti da parte del licenziatario a rivenditori di partite in saldo che non fanno parte della rete di distribuzione selettiva e, dall’altro lato, la natura dei prodotti commercializzati abitualmente da tali rivenditori, nonché le forme di normale commercializzazione nel settore in cui essi esercitano la loro attività.”

Conclusioni

La vendita da parte di un licenziatario di prodotti di prestigio in violazione del contatto di licenza a terzi operatori di vendite di partite a saldo e non facenti parte dalle rete di distribuzione selettiva del titolare del marchio costituisce quindi una contraffazione del marchio, oltre ovviamente ad inadempimento contrattuale. Così, i giudici comunitari rafforzano la posizione dei titolari di marchi apposti a prodotti di prestigio, e di conseguenza, anche la tutela dell’impermeabilità della rete di distribuzione selettiva. Di fronte della vendita dei prodotti contrassegnati del marchio a terzi esterni alla rete di distribuzione selettiva, il titolare del diritto potrà reagire nei confronti del licenziatario infedele o sulla base delle regole generali in materia di inadempimento delle obbligazioni contrattuali; ovvero, potrà esperire un’azione di contraffazione del marchio. Non si tratta di una questione di poco conto, considerato gli efficaci strumenti di tutela applicabili in caso di contraffazione. Il titolare, a seguito dell’accoglimento della domanda di contraffazione, potrà ottenere, tra l’altro, l’inibitoria definitiva di uso del marchio da parte del contraffattore, l’ordine di ritiro dal commercio dei prodotti contraffatti, e in alternativa al risarcimento del lucro cessante, la restituzione dei profitti conseguiti dal contraffattore. Giova sul punto rimarcare che tali utili possono essere maggiori dei danni subiti dal titolare del marchio a seguito della contraffazione.

Infine, un’ ultima questione che merita di essere affrontata in questa sede è determinare quali sono i prodotti di prestigio indicati nella sentenza Copad. Al riguardo, è possibile scorgere una certa somiglianza tra la sentenza Copad e gli orientamenti delle istituzioni comunitarie sulle condizioni in presenza delle quali gli accordi di distribuzione selettiva con clausole restrittive della concorrenza non sono vietati ex articolo 81 CE per quanto riguarda l’individuazione dei prodotti oggetto rispettivamente del contratto di licenza e della rete di distribuzione selettiva. I prodotti di prestigio indicati nella sentenza Copad, la commercializzazione dei quali al di fuori della rete di distribuzione selettiva ne può pregiudicare la qualità, data anche dall’aurea di lusso che li caratterizza, sono simili ai prodotti con una forte immagine di brand, i quali, per la loro natura non possono che essere messi in commercio che attraverso una rete di distribuzione selettiva e che concorrono con altri elementi a rendere la rete compatibile con l’articolo 81 CE. Tali prodotti a titolo esemplificativo sono stati individuati in profumi e cosmetici di lusso, ceramiche da tavolo e gioielli d’oro e d’argento. È allora possibile ipotizzare che i prodotti con una forte immagine di brand rilevanti ex articolo 81 EC coincidano con i prodotti di prestigio della sentenza Copad.