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La commissione di massimo scoperto

Se esaminiamo un trentennio di giurisprudenza in tema di contratti bancari non possiamo che rimanere impressionati dal gran numero di sentenze che si sono espresse in tema di nullità di clausole contenute in contratti bancari. Nel repertorio del foro italiano, negli ultimi venti anni, risultano pubblicate non meno di 180 sentenze che, a vario titolo, hanno sancito la nullità di singole clausole contrattuali. Da rimarcare che nello stesso periodo considerato tutte le sentenze pubblicate in tema di nullità contrattuali sono circa 1300.

E’ del tutto evidente che un fenomeno così imponente giustifichi una riflessione unitaria tenendo presente che la nullità, proprio per il suo carattere estremo, volto a denegare gli effetti giuridici di un atto o di una pattuizione, dovrebbe avere un carattere residuale. Così non è stato nel settore dei contratti bancari e dunque è forte il sospetto che la nullità abbia costituito un importante strumento “pedagogico” ,utilizzato volta a volta dal legislatore e dalla giurisprudenza, talvolta quest’ultima in concorrenza , in contrapposizione o al fine di stimolare lo stesso legislatore, per profondamente modifica il modus operandi delle banche, al fine di meglio tutelare i clienti ma certamente anche a fini di politica economica e di contenimento dei costi bancari. Sul finire degli anni ’80 ( Cass. 29.3.1987 in Riv. Pen. 1989, 86) muta radicalmente la percezione dell’attività bancaria e viene escluso che “ la normale attività bancaria, di raccolta del risparmio fra il pubblico e di esercizio del credito in un libero mercato concorrenziale, svolta da enti creditizi sia pubblici che privati, comporti l’attribuzione a chi la esercita della qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio”.

A partire da questa storica decisione si avvia un processo, che non può dirsi ancora interamente concluso, volto: ad ammodernare e rendere più trasparente l’attività bancaria, ma anche ad incidere sui costi bancari. In questo processo il ricorso alla nullità fa la parte del leone e costituisce uno strumento strategico importante:

Secondo A Gentili (I contratti in generale pag.1426 ) “….la comminatoria di nullità appresta un’eccezione forte contro il patto,… è un buon mezzo di governo dei flussi di mercato, perché i contratti in contrasto con la norma non diventano mai sicuri per il professionista, così dissuaso.”. Certamente non esiste in Italia settore economico come quello bancario che abbia subito interventi normativi e giurisprudenziali così copiosi e così incisivi, tali da mettere a repentaglio i conti economici, scatenando filoni di contenziosi sistemici.

A tutti sono note le vicende giurisprudenziali in tema di nullità della clausola anatocistica, i problemi in tema di nullità dei tassi usurari, la recente contestazione della commissione di massimo scoperto, le altre nullità introdotte nei più vari contesti normativi che, a più riprese, in modo incalzante hanno riguardato i contratti bancari. Prima della normativa sulla trasparenza bancaria il tema della nullità/ invalidità in riferimento ai contratti bancari aveva avuto un modesto impatto riguardato essenzialmente la clausola che, per la determinazione degli interessi, rinviava all’uso piazza, la clausola che, in tema di cassette di sicurezza, limitava il valore massimo del contenuto della cassetta di sicurezza e la c.d. fideiussione omnibus per importo indeterminato. I contratti bancari, così come disciplinati dal codice, erano a forma libera ed anche con l’introduzione della normativa sulla trasparenza bancaria ( art.3 L. 17.2.1992 n. 154) la previsione della forma scritta per tutti contratti bancari era uno strumento di trasparenza ma non un elemento essenziale del contratto; infatti la normativa non prevedeva conseguenze specifiche in caso di mancato rispetto del requisito della forma scritta, che la dottrina interpretò come necessaria ai soli fini probatori. Solo con l’introduzione del TUB fu previsto ( Art.117 TUB) che la forma scritta costituisse un elemento essenziale dei contratti bancari e fu sancita un particolare tipo di nullità ( art.127 II comma TUB) che poteva esser fatta valere esclusivamente dal cliente e ciò ovviamente a maggior tutela dello stesso, impedendo che la banca potesse, invocando la nullità del contratto da lei stessa imposto, sottrarsi agli impegni assunti.

Si è parlato a questo proposito di nullità relativa e di nullità di protezione in quanto solo il cliente della banca ha il potere, imprescrittibile, di far accertare la nullità dal giudice; vi è la volontà del legislatore di riequilibrare la situazione di inferiorità presunta del cliente, considerato contraente debole anche se professionista.

Questa situazione trovò del tutto impreparate le banche non tanto per il fatto che non fossero use a contrattualizzare per iscritto i contratti bancari; si ricorda che all’epoca era pressocché generalizzato l’utilizzo da parte delle banche degli schemi contrattuali ABI ( le cd. Norme uniformi ABI ) che presupponrvano la forma scritta, quanto per la necessità di conservare e reperire nel tempo, anche a distanza di moltissimi anni, il documento contrattuale , completo in tutti i suoi elementi ed in particolare nei contenuti economici, per loro natura variabili, in connessione alle variazioni del mercato ed all’esercizio dello jus variandi.

La situazione risultò ancor più complessa in quanto i contratti ( art.117 IV comma) dovevano indicare “il tasso di interesse ed ogni altro prezzo e condizione praticata, inclusi, per i contratti di credito, gli eventuali maggiori oneri in caso di mora”.

La necessità della forma scritta risultò particolarmente critica con riferimento ai fidi utilizzabili in conto corrente. La maggior parte delle banche infatti non contrattualizzava ( almeno nei contenuti economici) l’apertura di credito in c/c, così come regolata dagli artt.1842 e ss, ma si riservava di concedere volta a volta ai propri clienti il c.d. scoperto di conto corrente e cioè la possibilità di andare allo “scoperto”; il tutto si sostanziava in un fido precario, concedibile discrezionalmente volta per volta, a condizioni economiche certamente intrasparenti. Quel che spesso difettava era l’indicazione delle condizioni economiche che avrebbero regolato gli utilizzi e la determinazione del fido stabilmente concesso.

L’uso generalizzato di rinviare alle condizioni usuali su piazza contribuiva a rendere del tutto intrasparenti le condizioni economiche ed in particolare i tassi e le commissioni di massimo scoperto.

Questo stato di cose aveva già determinato non pochi problemi alle banche in quanto la giurisprudenza aveva sempre mantenuto fisso il principio, fissato dall’art.1284 c. c. che prevedeva, a pena di nullità, la forma scritta per quanto concerneva la pattuizione di interessi extralegali.

Nel caso dei contratti bancari, conformi agli standard ABI,esisteva una pattuizione scritta per quanto concerneva i tassi e le altre condizioni economiche ma queste erano determinabili attraverso un meccanismo di rinvio agli usi di piazza, meccanismo che la giurisprudenza ha via via ritenuto invalido sotto molteplici profili e ciò ancor prima che entrasse in vigore la specifica nullità, prevista dall’art.117 VI comma del TUB,”delle clausole contrattuali di rinvio agli usi per la determinazione dei tassi di interesse e di ogni altro prezzo e condizioni praticati”. Per quanto riguarda più specificamente la commissione di massimo scoperto e cioè quella commissione che le banche applicano trimestralmente, in misura percentuale al massimo utilizzo di fido registrato in conto corrente, sia che questo sia collegato ad un’apertura di credito, regolata, appunto sul conto corrente, sia che l’utilizzo sia avvenuto, di fatto, in eccesso rispetto al fido concesso o addirittura in assenza di fido, non si registrano specifici interventi della giurisprudenza prima del 2000. La commissione infatti è un compenso che , come vedremo, in nessun modo può essere confuso con gli interessi e dunque ad essa non era applicabile il disposto del terzo comma dell’art.1284 c.c. che prescrive, per la pattuizione relativa agli interessi superiori alla misura legale, la forma scritta a pena di nullità, proprio per questo motivo, prima dell’entrata in vigore della normativa sulla trasparenza bancaria, la commissione di massimo scoperto non aveva dato luogo a particolari contestazioni. Va detto che in quegli anni le banche applicavano la commissione di massimo scoperto in misura contenuta ed in riferimento ai soli utilizzi in conto corrente.

Nel tempo questa commissione, forse proprio per la non immediata percezione da parte degli utenti, è stata resa via via più onerosa non solo aumentandone , in termini assoluti, l’incidenza ma, soprattutto, prevedendo che la stessa potesse incidere sui clienti anche in relazione ad un utilizzo per un solo giorno e anche se tale utilizzo fosse determinato da problemi di valuta.

L’aumento di ricavi connessi alla CMS, la sua scarsa percepibilità da parte dei clienti, hanno poi indotto le banche ad introdurre la CMS anche in altre linee di credito: anticipo su fatture, anticipo al salvo buon fine ecc.

Così dilatata la CMS veniva a perdere il suo originale fondamento economico e cioè di costituire una remunerazione per la messa a disposizione di una riserva di credito, che per ipotesi poteva essere utilizzata anche solo in modo marginale, remunerazione del tutto distinta da quella rappresentata dagli interessi che si traduce in un corrispettivo degli utilizzi delle somme.

Di tale stato di cose è consapevole la Banca d’Italia che, nelle istruzioni per la rilevazione del tasso effettivo globale medio ai sensi della legge sull’usura, (punto C5) dispone, nel presupposto che la CMS sia strutturalmente connessa alle sole operazioni di finanziamento per le quali l’utilizzo del credito avviene in modo variabile, che analoghe commissioni, applicate ad altre categorie di finanziamento debbano ( a differenza della CMS per gli utilizzi in conto corrente ) essere incluse nel calcolo del TEG. Dall’entrata in vigore del TUB la giurisprudenza, che ha riconosciuto, con l’eccezione di alcune sentenze di merito, su cui in prosieguo ci soffermeremo, la validità della CMS, ha tuttavia ritenuto necessario che la stessa fosse pattuita per iscritto e che fossero indicate in modo trasparente le modalità di calcolo ( T. Firenze 15.7.2006 “in Foro toscano – Toscana giur. ,2007,30, n. Bufalini “ La clausola di commissione di massimo scoperto che rappresenta un costo a carico del cliente, deve essere pattuita ed inserita espressamente nel regolamento negoziale, pena la sua inesistenza.” , conf. Trib. Lecce 29.11.2005 , in Corti Pugliesi, 2006, 843. Anche il Trib. Vibo Valentia 28.9.2005 ( Corti Calabresi,2007,216,) ritiene necessario che la commissione di massimo scoperto, come ogni altra commissione percepita dalla banca, sia oggetto di una specifica pattuizione scritta, che consenta, in concreto, la determinazione o la determinabilità del compenso spettante alla banca, diverso dagli interessi, determinato sul massimo saldo dare del cliente ed in relazione ad ogni periodo di liquidazione degli interessi.

La liceità della CMS (correttamente contrattualizzata) è stata messa in discussione da un numero modesto di decisioni in particolare dal Trib. Campobasso 1.8.2005 in Riv. Gir. Molise e Sannio, 2006,57,in una situazione in cui la clausola non era stipulata per iscritto, incidentalmente afferma la nullità della clausola per mancanza di causa rendendosi impossibile la verifica della funzione economico sociale, sostanzialmente conforme Trib. Milano 4.7.2002 in B. B. T.C., 2003, II,452 con n. Inzitari.

Il terreno su cui si è maggiormente avviato il dibattito è quello penale in quanto, nel tempo, sono stati aperti numerosi procedimenti penali per usura a carico di esponenti delle banche nel presupposto che la CMS dovesse essere cumulata al tasso ed alle altre componenti del TEG al fine di valutare se fosse stato superato il tasso soglia.

Come in parte si è già accennato il Ministero dell’Economia e delle Finanze con i decreti ministeriali, emanati in base alle previsioni della L. 108/1996, rileva la CMS media riportandola separatamente, in nota alla tabella relativa ai tassi medi non comprensivi della CMS. La Banca d’Italia poi escludeva nelle proprie istruzioni che la CMS fosse rilevante ai fini del TEG. Questa posizione, mai formalmente abbandonata, si andrà, nel tempo articolando, nell’assunto che l’eventuale superamento della “CMS soglia” non determinava di per sé l’usurarietà del rapporto purchè l’eccedenza di CMS, cumulata alle altre componenti di calcolo del TEG, non comportasse il superamento del tasso soglia. La confusione era dunque massima e la necessità di approfondire e chiarire la natura della CMS, anche ai fini difensivi, ha avviato un dibattito molto serrato che ben presto ha superato gli aspetti contingenti, legati ai vari procedimenti penali, per tradursi in iniziative prese dal Garante della concorrenza e del mercato e da tentativi legislativi, volti ad eliminare la CMS; il processo avviato da Bersani si è oggi concluso con la pubblicazione nella G.U. n. 22 del 28.1.2009 della legge di conversione 28.1.2009 n. 2 del D. L 29.11.2008 n. 185 che, all’art 2 bis, detta ulteriori disposizioni concernenti i contratti bancari.

Il primo comma dell’art. 2 bis così recita:

“Sono nulle le clausole contrattuali aventi ad oggetto la commissione di massimo scoperto se il saldo del cliente risulti a debito per un periodo continuativo inferiore a trenta giorni ovvero a fronte di utilizzi in assenza di fido”.

La norma non fornisce alcuna definizione di commissione di massimo scoperto e dunque sembra corretto il rinvio alla elaborazione fatta dalla dottrina e dalla giurisprudenza che considera la CMS quale remunerazione dovuta alla banca, ove pattuita, generalmente in misura percentuale, calcolata sul maggior utilizzo, registrato nel corso di un trimestre, su di un conto corrente, in utilizzo del fido concesso anche sottoforma di sconfinamento o di fido di fatto, per il solo fatto di tenere a disposizione del cliente una riserva di credito, indipendentemente dal concreto utilizzo che ne farà il cliente, purchè, in concreto, vi sia almeno un utilizzo puntuale. La novità legislativa è stata presentata a livello politico e dei mass media quale, sostanziale eliminazione della CMS, considerata un gravoso ed irrazionale balzello imposto dalle banche.

Ad una prima lettura parrebbe invece che il legislatore, più che abolire la C M S, come era nelle intenzioni di Bersani, abbia voluto regolamentarla prevedendo, a pena di nullità, che la clausola abbia uno specifico contenuto. Lo stile di redazione dell’art.2 bis è decisamente enfatico e tale enfasi par quasi voler nascondere un certo imbarazzo del legislatore che ponendo fine ad un dibattito tutto finalizzato all’eliminazione della CMS in realtà non la elimina ma la disciplina in modo tale da renderla più trasparente e meno gravosa ma al contempo disciplina nuovi tipi di commissione. In base alla norma il diritto alla percezione della CMS è condizionato al fatto che vi sia un contratto di fido in conto corrente, che tale commissione sia stata pattuita per iscritto e ne sia stata indicata la misura e che il cliente abbia utilizzato il fido in conto corrente per un periodo continuativo pari o superiore a trenta giorni.

La norma rappresenta un evidente compromesso tra quanti avrebbero voluto l’abolizione pura e semplice della CMS e quanti ritenevano comunque necessario che tale commissione venisse mantenuta, sia pur depotenziata e rilevante per intero ai fini del calcolo del TEG. L’impatto economico per le banche sarà certamente molto significativo. Per quanto concerne la CMS , da ora in poi operante solo in connessione a gli utilizzi del fido e nel limite del fido, non è chiaro perché il diritto sorga solo in presenza di saldi debitori che si protraggano per un periodo continuativo pari o superiore a trenta giorni.

Il fido in c/c è per sua natura elastico e poco fisiologico risulta un utilizzo continuo nel tempo; per contro, le nuove disposizioni in tema di CMS condizionano la percezione di tale commissione proprio al protrarsi nel tempo dell’utilizzo del fido.

In tale presupposto la nuova CMS nasce senza un preciso fondamento economico e sempre più risulta frutto di un mero compromesso. E’ infatti da escludersi che la nuova CMS remuneri l’impegno della banca per la messa a disposizione del cliente una riserva di credito che potrebbe per ipotesi non esser mai utilizzata o utilizzata solo sporadicamente. Infatti ove il cliente evitasse il protrarsi fino a trenta giorni consecutivi di saldi debitori nulla sarebbe dovuto alla banca a questo titolo. Un utilizzo sporadico, che poco remunera la banca in termini di interessi percepiti, non sarà, dunque, più bilanciato dalla percezione della CMS con l’ulteriore conseguenza che la banca, in tali ipotesi, risulterebbe penalizzata rispetto a diverse e più proficue allocazioni del credito in favore di altri clienti, più disponibili ad utilizzare il credito stesso. Probabilmente, come già detto, la nuova CMS è frutto di un compromesso volto a mantenere questa commissione solo nei casi in cui, per l’intenso e protratto utilizzo del fido, la percezione da parte della banca della CMS venga a gravare in modo meno significativo il cliente. In ultima analisi ; più si prolunga nel tempo la sequenza di saldi debitori che condizionino la percezione della CMS, più questa si avvicina alla nozione, perlomeno economica di interesse e ben potrebbe essere, allora, sostituita dalla previsione di tassi di interessi diversi e via via crescenti in relazione al maggior utilizzo del fido e dunque al maggior rischio assunto dalla banca o, meglio ancora, come vedremo, dall’introduzione di una commissione di affidamento.

E’, poi, davvero singolare che venga prevista la nullità della clausola ove il c/c non sia assistito da fido. Si poteva infatti obbiettare che, fino a quando il cliente operasse nei limiti del fido concesso, potesse risultare incongruo prevedere una specifica remunerazione della banca in relazione al maggior utilizzo registratosi nel trimestre; tale utilizzo, nei limiti del fido concesso, rappresentava, comunque, un preciso obbligo della banca ed una facoltà per il cliente.

La situazione era completamente diversa per quanto concerneva la CMS percepita su gli utilizzi in sconfinamento o per gli utilizzi in assenza di fido, situazioni queste in cui il cliente, al di fuori delle previsioni contrattuali, pone la banca ( certamente consenziente) di fronte ad una situazione di fatto comportante l’assunzione di rischi, non specificamente previsti e che sembrava ragionevole remunerare non solo in termini di interessi ma anche con la percezione della CMS.

Nei 30 giorni il saldo, pur restando sempre debitore, può variare e tuttavia non è dubitabile che la CMS si applichi al saldo più elevato. Il legislatore infatti non fornendo alcuna nozione di CMS intende verosimilmente rinviare alla nozione, a tutti nota, formatasi per via contrattuale, che prevede appunto il pagamento in misura percentuale di una commissione calcolata sulla punta massima di utilizzo, registratosi in un trimestre.

Si pone il problema di stabilire se il saldo debitore più elevato su cui calcolare la CMS debba registrarsi nel periodo di continuativi utilizzi non inferiori a trenta giorni o se, pur essendo necessaria l’esistenza nel trimestre di tali continuativi utilizzi, si possa prendere in considerazione il maggior saldo registrato al di fuori del periodo di continuo utilizzo.

La norma, certamente non fornisce strumenti per la soluzione del caso e dunque l’interprete deve prendere posizione tra due possibili soluzioni conteggiare la CMS sul più elevato saldo registrato nel periodo continuativo di utilizzo o prendere in considerazione, a condizione che vi sia stato tale continuativo utilizzo, il maggior saldo registrato nel trimestre anche se al di fuori del periodo continuativo di utilizzo.

La soluzione più corretta parrebbe quella di consentire e di ritener lecita una clausola contrattuale che, fermo restando il periodo di continuo utilizzo, consenta il calcolo della CMS sul maggior utilizzo, anche se registratosi al di fuori del periodo stesso.

Con tale interpretazione, strettamente letterale, si riguadagna infatti il concetto, non esplicitato dal legislatore, che tale commissione, cosi come accadeva per la “vecchia” CMS, debba essere trimestrale e continui ad operare, come per il passato, con la sola ulteriore condizione che si registri ogni trimestre un periodo di conto affidato, passivo per un periodo continuativo, non inferiore a trenta giorni.

Diversamente e cioè abbandonando la nozione comune di CMS, si potrebbe ipotizzare, fatti salvi i problemi di usura, che ogni volta che si registri un periodo continuativo di utilizzo, non inferiore a trenta giorni, la banca abbia poi diritto di percepire tale commissione ed anche più di una volta al trimestre, ove si registrino due distinti periodi di utilizzo, non inferiori ai trenta giorni.

Ciò determinerebbe, in assenza di correttivi, un’incomprensibile disparità di trattamento tra clienti che operano nei limiti dei fidi accordati e quanti operino in situazioni di sconfinamento o addirittura in assenza di fido. Un possibile correttivo potrebbe esser rappresentato da un inasprimento dei tassi debitori per gli utilizzi allo scoperto o dall’introduzione nel contratto di penali per il caso di sconfinamento o di utilizzi in assenza di fido. In tali presupposti la nuova CMS nasce senza un sicuro fondamento economico e sempre più risulta frutto di un mero compromesso. E’ infatti da escludersi che la nuova CMS remuneri l’impegno della banca per la messa a disposizione del cliente di una riserva di credito o ristori gli oneri che deve sostenere la banca per essere in grado di affrontare una rapida espansione degli utilizzi.

Come si ricorderà, nel II disegno di decreto legge Bersani era originariamente previsto che:

“Sono nulle le clausole di massimo scoperto e le clausole comunque denominate che prevedono una remunerazione accordata alla banca per la messa a disposizione di fondi a favore del correntista indipendentemente dall’effettivo prelevamento della somma ovvero che prevedono una remunerazione accordata alla banca indipendentemente dalla effettiva durata del prelevamento della somma”.

La prevista nullità della CMS e delle commissioni per la messa a disposizione dei fondi venne poi attenuata dall’emendamento Lulli che faceva salve le clausole che prevedessero la predeterminazione del corrispettivo, unitamente al tasso debitore per le somme effettivamente utilizzate, con patto scritto, non rinnovabile tacitamente, in misura omnicomprensiva e proporzionale all’importo ed alla durata dell’affidamento richiesto dal cliente.

L’art.2 bis è, dunque, da considerare di diretta derivazione dall’emendamento Lulli.

Il primo comma dell’art .2 bis sancisce, nuove nullità per clausole che potrebbero esser introdotte nei contratti bancari di fido in c/c per recuperare, almeno in parte, la redditività, persa con la nuova regolamentazione della CMS.

Il presupposto di tali clausole è diverso: nel primo caso si parla di messa a disposizione dei fondi in conto corrente, indipendentemente dall’effettivo prelevamento.

Nel secondo caso di messa a disposizione di somme e dunque di concreto utilizzo delle stesse, indipendentemente dalla durata dell’utilizzo. La principale differenza tra le due tipologie di clausole consiste nel fatto che nelle clausole del primo tipo non è rilevante se poi in concreto vi sia un utilizzo delle somme; la remunerazione della banca costituisce il corrispettivo della riserva di credito che il cliente si è assicurato. Nelle clausole del secondo tipo vi deve essere comunque un utilizzo ma la remunerazione della banca è indipendente dall’effettiva durata dell’utilizzazione.

Clausole che perseguissero tali obbiettivi risulterebbero nulle ove non fosse prevista una predeterminazione del corrispettivo, con patto scritto, unitamente al tasso debitore, in misura omnicomprensiva e proporzionale all’importo ed alla durata dell’affidamento.

Tali commissioni sarebbero incompatibili con ogni altro tipo di commissione (istruttoria fidi, diritti di segreteria, ecc) e risultare del tutto trasparenti, con precisi obblighi di rendicontazione annuale a carico della banca, anche per quanto concerne l’effettivo utilizzo del fido. Va da sé, avuto riguardo all’omnicomprensività richiesta per le commissioni previste nel secondo comma dell’art 2 bis, che non potrà coesistere la nuova commissione di massimo scoperto con la commissione d’affidamento o con la commissione che preveda una remunerazione indipendentemente dall’effettiva durata dell’utilizzazione.

Dalla regolamentazione di tali clausole emerge un disfavore del legislatore che si traduce in penetranti obblighi di trasparenza ed in una particolare enfasi posta sulla necessità che vi sia sempre consapevolezza del cliente sulla portata di tali oneri.

La possibilità per il cliente di recedere è certamente una sottolineatura enfatica del legislatore in quanto tale facoltà del cliente è già stata normativizzata in altro contesto.

Il patto relativo a tali commissioni non potrebbe, poi, esser tacitamente rinnovato.

Bisogna premettere che per i fidi in conto corrente ( l’art.2 bis presuppone solo tale tipologia di fidi) per molti anni non sono state utilizzate e comunque non hanno costituito oggetto di specifici approfondimenti, le commissioni che remunerino, indipendentemente dall’utilizzo, la mera messa a disposizione dei fondi.La recente introduzione di tali clausole per i clienti “ al dettaglio” è stato frutto di impegni presi da alcune banche a conclusione di un procedimento avviato dal Garante per la concorrenza ed il mercato per ipotizzate pratiche commerciali scorrette connesse alla CMS. Commissioni di questo tipo sono, invece, molto diffuse per linee di credito c.d. committed, generalmente operanti nel medio/lungo periodo. L’impegno della banca a tenere a disposizione del cliente una riserva di credito ha un costo e tale costo, in caso di mancato utilizzo della riserva di credito, non verrebbe remunerato in alcun modo. Si potrebbe obbiettare che nei fidi in conto corrente questa riserva di credito abbia un carattere più precario che non nelle linee di credito committed ma tale valutazione, se si poteva ritenere giustificata nel passato, ha oggi ben poco valore in quanto la formalizzazione di un’apertura di credito in conto corrente, generalmente a tempo indeterminato, ha un carattere di stabilità notevole, rafforzata dalla giurisprudenza ( Cass.22.11.2000 n.15066 ; Cass 2.4.2005 n.6923 e Cass 7.3.2008 n.6186) che, facendo leva sulla buona fede contrattuale, ha stigmatizzato il c.d. recesso brutale, arbitrario ed imprevisto. Oggi le banche si trovano di fronte ad un bivio. Da una parte hanno la maggior parte dei contratti a tempo indeterminato; ciò comporta un risparmio in termini di evitate, ripetute contrattualizzazioni; si pensi al costo di dover gestire solo aperture di credito a tempo determinato, dall’altra, il fatto che le aperture di credito siano prevalentemente a tempo indeterminato porta con sé una serie di inconvenienti legati al fatto che le modifiche normative apportate allo jus variandi rendono molto difficile “ prezzare” correttamente i clienti.

Frequentemente accade che clienti, del tutto simili per profili di rischio e merito creditizio, abbiano,in concreto, condizioni molto divaricate per il solo fatto di aver stipulato i contratti in epoche diverse. Risulta profondamente illogico sotto il profilo economico trattare in modo diverso clienti analoghi solo per il fatto che gli stessi abbiano avviato i loro rapporti in epoche diverse, quando il mercato presentava condizioni diverse. Il legislatore e la Banca d’Italia devono considerare che gli obbiettivi di politica economica, volti a contenere gli oneri finanziari, mediante un raffreddamento dello jus variandi, possono comportare la singolare eterogenesi dei fini di indurre le banche ad abbandonare le aperture di credito a tempo indeterminato, facendosi carico del costo amministrativo di contrattualizzare, per ipotesi ogni anno, la conclusione di un’apertura di credito annuale, ma assicurandosi, in tal modo, la possibilità, ogni anno, di trattare con il cliente le condizioni, rapportandosi a quelle al momento vigenti sul mercato ed evitando che lo stock dei crediti concessi risulti non correttamente prezzato.

Tornando alle commissioni di affidamento e’ da ritenere che le banche ricorreranno in modo significativo a clausole della specie per recuperare redditività ma anche per remunerare, in modo adeguato e trasparente, la riserva di credito concessa.

In concreto sono ipotizzabili numerose clausole volte ad introdurre una commissione di affidamento.

Si può ipotizzare una commissione annuale, da pagare “spalmata” sui quattro trimestri e da conteggiare in misura proporzionale al fido accordato. Tale commissione potrebbe anche esser percepita quale up front con un solo addebito in connessione al momento in cui il fido sia divenuto operativo per il cliente.

Si può, ancora, ipotizzare che la commissione di affidamento venga, in concreto, ridotta o addirittura annullata ove il cliente raggiunga predeterminati volumi di utilizzo dei servizi offerti dalla banca.

Spesso capita che, per i motivi più diversi, in presenza di più banche affidanti ve ne sia qualcuna marginale, alla quale si ricorra solo…in caso di necessità, proprio quando, il venir meno della riserva di credito, accresce il profilo di rischio del cliente.

Parrebbe del tutto logico, per incentivare la relazione con il cliente, offrire a questi la possibilità di azzerare/ ridurre la commissione di affidamento al raggiungimento di predeterminati obbiettivi, che dimostrino la non marginalità della relazione.

Così atteggiata la commissione di affidamento diverrebbe in realtà una commissione per il mancato utilizzo del fido. Soprattutto per i clienti non al dettaglio la commissione potrebbe avere l’ulteriore funzione di programmare i rapporti con la banca, consentendo di modulare i costi ed i ricavi sulla base dell’insieme dei rapporti intercorrenti. E’ da prevedere che le banche, in larga misura, rinunceranno alla nuova CMS, divenuta ben poco profittevole e preferiranno, quale strumento per correttamente prezzare l’allocazione del credito, stabilizzando i ricavi o la commissione per il mancato utilizzo del fido o per il mancato raggiungimento dei volumi programmati, per incentivare la relazione con il cliente.

La Banca d’Italia, nella bozza di Istruzioni sulla nuova trasparenza, ricavabile sul sito tra i documenti offerti in consultazione, pare voglia scoraggiare l’inserimento della nuova CMS o di clausole similari nei contratti di apertura di credito destinati ai clienti al dettaglio. Valutando tali clausole ”particolarmente ed intrinsecamente complesse” dispone che tali clausole siano specificamente spiegate nel foglio informativo in modo da chiarirne l’impatto economico anche mediante esempi.

Proseguendo l’esame degli elementi richiesti dalla norma per una valida clausola d’affidamento si può osservare una certa enfasi del legislatore là dove prevede che il corrispettivo debba essere predeterminato, con patto scritto.

Giova ricordare che l’art.117, IV° comma del TUB. dispone già la forma scritta per ogni prezzo e condizione applicabile ad un contratto bancario e dunque, il richiamo al patto scritto per le commissioni della specie non costituisce certamente una novità.

Si è a lungo discusso su quale sia il significato dell’inciso che vorrebbe non solo la predeterminazione della commissione di affidamento ma anche che ciò avvenga ”unitamente al tasso debitore, per le somme effettivamente utilizzate”.

E’ da ritenere che nel contratto debbano esser valorizzati tanto il tasso che la commissione di affidamento ma che gli stessi non debbano esser cumulati in un’unica indicazione numerica.

E’ da ritenersi ormai definitivamente acquisito che gli interessi remunerano gli utilizzi e la commissione di affidamento , che prescinde dagli utilizzi, remunera la riserva di credito. Entrambi sono costi che il cliente sosterrà ma in cambio di beni diversi.

Se esaminiamo, poi, ciò che è previsto, in sede di rendicontazione annuale per il cliente, vediamo che la commissione dovrà essere “ specificamente evidenziata” e vi dovrà essere anche “ l’indicazione dell’effettivo utilizzo avvenuto nello stesso periodo”.

La specifica evidenziazione porterebbe ad escludere un cumulo tra tasso e commissione in sede di contrattualizzazione quando, in sede di rendicontazione tali dati debbono essere forniti in modo distinto. Risulta davvero problematico esplorare la ratio del prescritto divieto di tacito rinnovo della clausola che preveda tali commissioni. E’ evidente la volontà del legislatore di far sì che il cliente abbia una specifica consapevolezza dei costi e che dunque debba esprimere in modo formale il proprio accordo perché le commissioni siano corrisposte al di là di quanto originariamente previsto e pattuito. Si pongono a questo punto non pochi problemi interpretativi in riferimento alla rinnovabilità tacita del patto.

Il concetto di rinnovabilità presuppone un contratto/ una clausola contrattuale a tempo determinato per il quale sia previsto nel contratto o dalla legge l’automatica rinnovazione, ove non intervengano specifici fatti volti ad inibire il perdurare degli effetti del contratto o della clausola. Nel nostro caso la legge intende impedire il tacito rinnovo della clausola volta a disciplinare commissioni in favore della banca.

Il portato della norma resta oscuro in quanto la prassi bancaria non registra l’adozione di clausole volte a determinare prezzi od altre condizioni economiche per i clienti che abbiano una durata inferiore alla durata, eventualmente fissata, per il contratto di credito e che comunque siano tacitamente rinnovabili.

Anche ipotizzando un’apertura di credito a tempo determinato è difficilmente ipotizzabile un tacito rinnovo dell’apertura di credito in quanto, normalmente, la scadenza del termine determinerà l’esaurirsi del contratto e renderà immediatamente esigibile la restituzione delle somme utilizzate dal cliente.

Va poi considerato che i contratti bancari sono ormai divenuti, da tempo, contratti formali; la forma scritta è richiesta, dall’art.117 ,III° del TUB, a pena di nullità.

In presenza di contratti formali nessun valore può più avere un comportamento concludente, quale sarebbe appunto il rinnovo tacito del contratto e dunque anche della clausola relativa alla commissione di affidamento..

Sotto questo profilo dunque la non rinnovabilità tacita delle clausole relative alla commissione di affidamento non rappresenta un elemento di novità; per i contratti formali non opera, comunque, il rinnovo tacito dell’intero contratto o di una sua clausola.

E’ del tutto evidente che il rinnovo del patto, che preveda una remunerazione per la messa a disposizione dei fondi o per il mancato utilizzo del credito, non si pone, neppure in astratto, nel caso di apertura di credito a tempo indeterminato.

Se fosse prevista una commissione di affidamento annuale per tutta la durata dell’affidamento, fino a quando permanesse l’apertura di credito, di anno in anno o di trimestre in trimestre, la banca avrebbe diritto di percepire la commissione.

Tale commissione non sarebbe più dovuta, solo in caso di recesso dall’apertura di credito, operata dalla banca o dal cliente e ciò anche nel caso in cui la banca non avesse conseguito il recupero del proprio credito.

Con il recesso infatti viene meno il rapporto di affidamento cui è collegata la relativa commissione, in senso conforme la giurisprudenza ( App. Lecce 27.6.2000 in Contratti, 2001, 374 e Trib. Milano 4.7.2002 , in B.B.T.C., 2003, II, 452) per quanto concerne il venir meno del diritto della banca a percepire la CMS, dopo la revoca del fido.

E’ da valutare come si possa conciliare una remunerazione, per ipotesi annuale, della messa a disposizione dei fondi con la possibilità che la banca ha di recedere unilateralmente dal contratto.

Tutto dipende dalla connotazione funzionale che si intende dare alla commissione. Non essendo ipotizzabile il venir meno della facoltà di recedere dal contratto a tempo indeterminato sembrerebbe equo prevedere che, ove la banca eserciti tale facoltà, debba riaccreditare, in tutto o in parte, il corrispettivo percepito in corso d’anno/ trimestre per la messa a disposizione dei fondi.

Esaminiamo da ultimo il tema, peraltro molto rilevante, della inclusione o meno della commissione di affidamento nel calcolo del TEG. Nel documento, offerto in consultazione dalla Banca d’Italia sul proprio sito INTERNET, riguardante le nuove Istruzioni per la rilevazione dei tassi effettivi globali medi, condotta ai sensi della legge n.108 del 7.3.1996 e previsto l’inserimento della nuova CMS e degli oneri sostitutivi nel calcolo del tasso, in conformità di quanto previsto dalla legge n.2 del 28.1.2009. La materia ha dei margini di opinabilità in quanto, come ci insegna il recente passato, almeno per le banche, le istruzioni dettate dalla Banca d’Italia per la rilevazione del tasso effettivo globale medio ai sensi della legge sull’usura hanno una impropria valenza interpretativa/ integrativa della normativa, così come si è potuto vedere per quanto concerne la conteggiabilità, ai fini del TEG, della CMS e degli interessi di mora.

La posizione della Banca d’ Italia non pare condivisibile in quanto il IV comma dell’art.644 c.p. prevede che per la determinazione del tasso di interesse usurario si tiene conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate alla erogazione del credito.

Mentre la nuova CMS è certamente una commissione collegata “ alla erogazione” del credito non altrettanto può dirsi per la commissione di affidamento in quanto tale commissione è dovuta , a prescindere dall’erogazione del credito e per il solo fatto che il cliente goda di una riserva di credito rappresentata da uno stabile “accordato”. Diversamente opinando la nozione di erogazione perderebbe ogni collegamento con l’utilizzo del credito disponibile venendo a coincidere con la stessa messa a disposizione del fido in conto corrente. Nel codice , agli artt. 1842 e ss, emerge chiaramente la distinzione tra messa a disposizione dei fondi ed il loro utilizzo, distinzione che, ora, la Banca d’Italia, in un contesto oltretutto penalistico e di stretta interpretazione, tende a parificare con gravi conseguenze.

Una lettura sistematica dell’art.2 bis della legge 2/2009 avrebbe dovuto portare ad altra valutazione circa la conteggi abilità, ai fini del TEG, delle commissioni di affidamento.

Il comma II dell’art.2 bis stabilisce, infatti, che” le commissioni e le provvigioni derivanti dalle clausole, comunque denominate, che prevedano una remunerazione.., dipendente dall’effettiva durata dell’utilizzazione dei fondi da parte del cliente, siano rilevanti” ai fini dell’usura. Una interpretazione sistematica dell’art.2 bis non può non rilevare come il legislatore abbia creato, nel micro sistema della norma, una precisa distinzione di possibili commissioni, individuando: quella per la messa a disposizione dei fondi, indipendentemente dall’effettivo prelevamento, una diversa commissione o tipologia di commissioni per la messa a disposizione delle somme, indipendentemente dall’effettiva durata dell’utilizzazione ed infine, commissioni dipendenti ( quale è appunto la nuova commissione di massimo scoperto) dall’effettiva durata dell’utilizzazione dei fondi. Solo quest’ultima tipologia di commissioni è rilevante ai fini del TEG. Pare dunque che le distinzioni contenute nell’art.2 bis tra i vari tipi di possibili commissioni abbiano avuto proprio la funzione di individuare quali di queste fossero connesse all’erogazione del credito e quali alla concessione dell’affidamento..

Sul punto è da condividere quanto considera Ferro Luzzi (Ci risiamo a proposito dell’usura e della commissione di massimo scoperto in Giur.

Comm, 2006, I, 671 e ss) circa il fatto che ( la CMS) “ può apparire un pagamento, una attribuzione patrimoniale difficilmente giustificabile sul piano giuridico, in particolare causale, se non si coglie l’autonomo valore economico innanzitutto, ma anche giuridico, della disponibilità ( del fido ) in sé prima ed indipendentemente dall’utilizzo.”. Coerente con quanto considerato circa l’estraneità delle commissioni di affidamento al TEG è la previsione di un periodo transitorio di applicazione di tassi soglia individuati sulle basi delle vecchie rilevazioni del tasso effettivo globale medio, finchè gli stessi non verranno effettuati tenendo conto delle nuove disposizioni. Ciò fa presumere che si sia in presenza di una modifica della normativa relativa all’usura. Le modifiche non riguardano tanto l’inclusione della nuova CMS nel TEG ; lo Jus novum, se mai, è da individuare nel dettato che specifica quali siano le commissioni connesse all’erogazione del credito e quali siano estranee all’erogazione del credito e dunque non determinanti al fine dell’individuazione del tasso di interesse usurario. Il terzo comma dell’art.2 bis, prevede, in fine, che i contratti di conto corrente ed i contratti che disciplinano gli affidamenti in conto corrente siano adeguati alle nuove disposizioni entro 150 giorni dalla data di entrata in vigore della legge e dunque : entro il 28.6.2009. La previsione di un periodo transitorio così lungo sottolinea l’importanza delle modifiche apportate, che avranno un forte impatto economico sui ricavi delle banche e ricorda quanto già previsto dalla L. n.154 del 1992, che consentiva nell’arco di 120 giorni, l’adeguamento e la fissazione del importo massimo garantito per le fideiussioni omnibus per importo illimitato. Il legislatore ha ben tenuto presente come la normativa introdotta venga ad incidere su contratti di massa molto diffusi ed abbia quindi optato per l’introduzione di un periodo transitorio, sufficientemente ampio, ancorchè, come vedremo, non perfettamente correlato alle intrinseche esigenze delle banche.

Impropriamente il terzo comma dell’art.2 bis parla di “ obbligo” di adeguamento dei contratti in essere; a ben considerare non vi è alcun obbligo ma , se mai, l’onere per le banche di procedere all’adeguamento dei contratti in essere, per evitare che la clausola, relativa alla commissione di massimo scoperto, venga travolta, senza l’introduzione di possibili correttivi ( nuova CMS, commissione di affidamento, ecc).

Il mancato adeguamento dei contratti in essere comporterà, in base ai consueti principi che regolano la successione nel tempo delle leggi, l’inefficacia ex nunc della veccia CMS, a partire dal 28.6.2009. Per le clausole che regolano la “vecchia” CMS, contenute nei preesistenti contratti, la sopravvenuta nullità non potrà, ovviamente incidere sugli effetti prodotti dalla clausola prima dell’entrata in vigore della legge, ma impedirà che tale clausola produca ulteriori effetti.

Sotto questo profilo, dunque, i contratti esauriti, prima dell’entrata in vigore della L. n.2/2009, in nessun modo verranno incisi dalle nuove disposizioni. E’ dunque da escludere che i ricavi, nel tempo percepiti dalle banche, in applicazione della “vecchia” CMS, saranno suscettibili di azione per la ripetizione dell’indebito pagamento .

E’ comunque probabile che l’attenzione riservata dai media alla riforma della CMS possa dare origine, comunque, ad un contenzioso diffuso in riferimento agli intervenuti addebiti della CMS nel decennio. In tale prospettiva giova ricordare che la” vecchia” CMS era perfettamente legittima se è dovuta intervenire una legge per disciplinarla in modo diverso da quello che risultava dalle prassi contrattuali. Tuttavia le clausole che disciplinavano la “ vecchia” CMS non sempre risultano conformi alle coeve disposizioni di legge sulla trasparenza bancaria.

Anche prima dell’intervento della L. 2/2009 ad aversi una valida clausola di CMS era necessario che la stessa fosse pubblicizzata sui fogli informativi, pattuita per iscritto, che fosse escluso ogni rinvio agli usi e che nel contratto fossero indicati in modo trasparente le modalità di calcolo. Per quanto concerne i contratti, stipulati nel periodo transitorio e dunque successivamente al 28.1.2009, si pongono delicati problemi per i quali la norma non fornisce dirette soluzioni.

Osserviamo che ben difficilmente i contratti stipulati nell’immediatezza dell’entrata in vigore della L. n.2/2009 risulteranno già adeguati alle nuove disposizioni.

La presenza in tali contratti di una clausola volta a disciplinare la “ vecchia” CMS comporta la nullità genetica di tale clausola, per contrasto al disposto dell’art.2 bis e l’impossibilità per le banche di avvalersi del periodo transitorio e della facoltà di adeguamento, riservata solo ai contratti in corso alla data di entrata in vigore della legge ma non anche ai contratti stipulati dopo l’entrata in vigore della legge.

In tali, inevitabili situazioni, è del tutto preferibile rinegoziare con il cliente un nuovo contratto, già reso coerente con le nuove disposizioni. Costituirebbe invece un errore avvalersi dello jus variandi, esercitabile solo in presenza di una clausola validamente stipulata. Per i contratti in corso alla data del 28.1.2009 non si porrà alcun problema per l’addebito della CMS relativa al primo trimestre 2009 in quanto le clausole relative alla “vecchia” CMS saranno ultrattive. Qualche problema si porrà in relazione all’addebito della CMS in relazione al secondo trimestre 2009 in quanto le clausole che disciplinano la “ vecchia” CMS prevedono che tale commissione sia regolata e percepita su base trimestrale.

Tale circostanza, peraltro ben nota, avrebbe potuto indurre il legislatore a far esaurire il periodo transitorio con la conclusione del secondo trimestre, rendendo in tal modo incontestabile il diritto a percepire la CMS anche per il secondo trimestre.

Si presentano, ora, diverse opzioni interpretative per quanto concerne l’addebitabilità della commissione nel secondo trimestre, opzioni che risultano certamente influenzate da possibili diversi approcci alla clausola relativa alla CMS.

Secondo una prima interpretazione sarebbe possibile addebitare anche nel secondo trimestre la CMS, calcolata sulla punta massimo di utilizzo registrata nel lasso di tempo compreso tra il I° Aprile ed il 27.6.2009. E’ infatti del tutto evidente come, ai fini del conteggio della CMS, non si possa prendere in considerazione le punte di utilizzo massime che venissero registrate in conto corrente in data 29 e 30 giugno 2009 in quanto a queste date sarebbe pienamente operante la nullità sopravvenuta delle vecchie clausole relative alla CMS.

Dal 28 giugno infatti le clausole relative alla “vecchia” CMS non sarebbero più operanti e dunque la commissione sarebbe percepibile, anche dopo tale data, ma a condizione tuttavia che il diritto a percepire la commissione sia maturato prima di tale data.

Ora è decisivo prendere posizione sulla funzione della trimestralità della CMS.

La trimestralizzazione della commissione potrebbe esser valorizzata quale mera modalità e commisurazione del pagamento ( dovuto non più di una volta a trimestre) e dunque dovuta anche in caso di un trimestre incompleto. Per contro, il trimestre potrebbe esser valorizzato quale elemento temporale il cui decorso per intero costituisca uno dei presupposti del sorgere del diritto della banca.

In giurisprudenza non si rinvengono precedenti che affermino il buon diritto della banca a percepire la commissione di massimo scoperto anche in relazione ad un trimestre non compiuto perche , prima del suo decorso, sia intervenuto, per ipotesi, il recesso della banca dall’apertura di credito. La prassi è sicuramente in questo senso e tuttavia negli operatori non vi è una chiara consapevolezza del perché la banca possa percepire tale commissione in riferimento, diversamente da quanto pattuito, al più elevato saldo registrato sul c/c in un arco temporale inferiore al trimestre. Probabilmente entra in gioco il convincimento che, ove fosse proseguito per tutto il trimestre il rapporto contrattuale, la CMS, in concreto conteggiata a carico del cliente,non sarebbe potuto esser superiore a quella che si sarebbe potuto conteggiare a fine trimestre.

Nel caso dei contratti in corso pare, invece, che non si possa conteggiare la CMS in quanto, per effetto della nullità della clausola,sopraggiunta a far tempo dal 28.6.2009, non si possano più verificare tutte le circostanze che la clausola di CMS presupponeva.

E’, poi, di tutta evidenza che le banche si avvarranno dello jus variandi per adeguare i contratti in corso alle nuove previsioni normative, ciò comporterà, come vedremo, che, fatto salvo il diritto di recesso da parte del cliente, i contratti risulteranno adeguati, dopo che sarà decorso il preavviso di 30 giorni, che comincerà a decorrere dalla ricezione, da parte del cliente, della proposta di modifica unilaterale del contratto. Ciò comporterà per i contratti, che saranno stati adeguati, necessariamente nell’arco di una pluralità di giorni, in relazione ai diversi tempi di spedizione e ricezione, ma comunque prima del 28.6.2009, che la clausola relativa alla vecchia CMS venga sostituita da altra clausola che introduca la nuova CMS o altre possibili commissioni, pure previste dall’art.2 bis. Con la sostituzione/ abolizione della clausola, volta a regolare la “ vecchia” CMS, è ben difficile ipotizzare un addebito a tale titolo, in riferimento proprio al trimestre in cui sia intervenuta la modifica contrattuale. Se così non fosse, ove la banca, in sostituzione della “ vecchia” CMS introducesse una commissione di affidamento, da percepire, per ipotesi, trimestralmente, in proporzione all’accordato, si raggiungerebbe il singolare risultato di un duplice addebito, giustificabile solo ipotizzando la coesistenza della vecchia e della nuova clausola.

La Cassazione, con sentenza del 10.5.2005 n. 9747, in Giust. Civ., I, 108 ha statuito che “ qualora , nel corso di esecuzione di un rapporto contrattuale sopravvenga una norma che sancisce la nullità di un contratto ovvero di una clausola contrattuale, la sanzione di nullità incide sul rapporto contrattuale non consentendo al contratto di produrre ulteriori effetti”. Sarebbe davvero singolare che la fase transitoria di rinegoziazione ed adeguamento del contratto potesse consentire, anche per il secondo trimestre, l’ultrattività della clausola relativa alla CMS. Il periodo transitorio ha solo il limitato fine di ritardare la nullità sopravvenuta affinche la clausola, ancora valida, possa costituire oggetto di jus variandi.

Ove non fosse stato previsto il periodo transitorio e fosse stata comminata la nullità della clausola relativa alla CMS le banche non avrebbero potuto esercitare lo jus variandi per sostituire la clausola, colpita da nullità, ancorchè sopraggiunta.

L’esercizio dello jus variandi quanto ad una clausola presuppone comunque la validità della clausola che si intende modificare in quanto la nullità èdi per sé insanabile.

Può dunque ritenersi che il legislatore abbia operato una scelta consapevole e non casuale nel fissare la scadenza del termine ultimo per adeguare i contratti prima del compimento del secondo trimestre. La situazione della vecchia CMS è diversa da quella introdotta dalla L. n.154 del 1992 per quanto riguardava la nullità sopravvenuta delle clausole contrattuali che, per la determinazione dei tassi di interesse, rinviavano agli usi. E’ infatti evidente che gli interessi maturano giorno per giorno mentre la CMS in riferimento ad un arco temporale di un trimestre e per quanto concerne il secondo trimestre 2009, prima che sia interamente trascorso sarà non solo sopraggiunta la nullità della clausola ma questa sarà stata, verosimilmente, sostituita da altra.

Il legislatore con il III° comma dell’art.2 bis ha favorito l’adeguamento dei contratti in corso mediante lo strumento dello jus variandi, previsto dall’art.118 del TUB.

A tal fine è previsto espressamente che “l’obbligo” di adeguamento dei contratti in corso costituisca, ex lege, giustificato motivo per l’esercizio dello jus variandi da parte delle banche.

In mancanza di tale specifica previsione, l’intervento del legislatore, avuto riguardo alla sua significatività, anche in termini economici, avrebbe comunque potuto costituire un giustificato motivo per l’esercizio dello jus variandi ma, in tale ipotesi, sarebbe stato sempre possibile una diversa valutazione da parte del giudice circa la ricorrenza o meno del giustificato motivo.

Opportunamente dunque la norma ha voluto eliminare, in radice, ogni possibilità di contestazione circa la sussistenza o meno del giustificato motivo.

Lo jus variandi potrà essere esercitato certamente per riconfigurare la clausola relativa alla commissione di massimo scoperto ai nuovi requisiti richiesti a pena di nullità.

E’ interessante notare che in tale ipotesi lo jus variandi avrà ad oggetto non tanto le condizioni economiche dei contratti ma la riscrittura del regolamento contrattuale.

Il legislatore non dubita minimamente della possibilità di modificare in via unilaterale lo stesso dettato contrattuale. Ciò da un punto di vista sistematico rende non più sostenibile l’assunto di quanti, ivi compreso il Ministero dello Sviluppo Economico (vedi la nota del 21.2.2007 con cui il Ministero ha fornito, tra l’altro, dei non meglio precisati “ chiarimenti” sul novellato art.118 del TUB), pongono limitazioni all’esercizio dello jus variandi, che non trovano riscontro nel disposto testuale e cadono in contraddizione con quanto, invece, previsto nel codice del consumo circa lo jus variandi nei contratti, che hanno ad oggetto la prestazione di servizi finanziari, sia pur a tempo indeterminato.

Si pone a questo punto il problema se le banche, in alternativa all’introduzione di modifiche regolamentari, tali da legittimare il permanere della nuova CMS, possano rinunciare alla CMS ed introdurre altre commissioni, conformi a quelle ipotizzate nel I° comma dell’art.2 bis. Sul punto non avrei alcun dubbio in quanto ritengo non meritevole di accoglimento le pur autorevoli opinioni di quanti ritengono che lo jus variandi non possa comportare l’introduzione di nuove clausole e dunque di nuove commissioni.

Nel recente documento di consultazione, prodotto dalla Banca d’Italia in tema di trasparenza bancaria, per quanto concerne lo jus variandi, per la prima volta, andando di contrario avviso con le tuttora vigenti istruzioni ed.2003, la Banca d’ Italia esclude che con l’esercizio dello jus variandi si possano introdurre nuove clausole.

Sul piano normativo non è intervenuta alcuna modifica che giustifichi questa nuova presa di posizione della Banca d’Italia che risulta contraddittoria con quanto oggi prevede l’art.2 bis dove chiaramente lo jus variandi è ritenuto strumento idoneo per introdurre nel contratto nuove clausole contrattuali. E’ opportuno che si acquisisca la consapevolezza che la distinzione tra jus variandi degli aspetti economici del contratto e dei profili normativi non ha un saldo fondamento concettuale proprio perché ogni modifica economica passa, in modo più o meno significativo, per la riscrittura di una regola.

Soprattutto con riferimento ai contratti di massa a tempo indeterminato lo jus variandi, in un quadro quale è quello attuale di trasparenza, di obbligo al rispetto della buona fede contrattuale e di ampia tutela dei clienti, che, in qualsiasi momento possono recedere senza penalizzazioni, rappresenta una vera e propria necessità imprenditoriale e ogni ulteriore contenimento e limitazione dello jus variandi non farebbe altro che scoraggiare la conclusione di contratti a tempo indeterminato, che rappresentano un bene per le imprese, quale strumento per il contenimento dei costi amministrativi, connessi alla conclusione dei contratti ma un bene anche per i clienti in quanto consente loro di godere di un effetto trascinamento delle condizioni pattuite.

Lo jus variandi infatti per i limiti normativi connessi alla necessità che vi sia, per il suo esercizio, un giustificato motivo, ha un effetto di stabilizzazione e di raffreddamento dei costi bancari.

Al di là dell’esigenza di adeguare i contratti in corso a quanto disposto dall’art. 2 bis si pone da ultimo il problema se il giustificato motivo ex lege riguardi solo la riformulazione della clausola relativa alla CMS o anche l’introduzione, in sostituzione di detta clausola di una delle commissioni alternative.

Il terzo comma dell’art. 2 bis non si limita alla sola CMS ma più in generale parla di adeguamento alle disposizioni (tutte) del presente articolo. Diverso è invece il discorso nel caso in cui, in alternativa o in combinazione con le modifiche da apportare alla clausola relativa alla CMS, si intenda variare, in senso sfavorevole per i clienti, altre voci di costo. Se ad esempio si intendesse maggiorare i tassi di interesse non si potrebbe invocare un giustificato motivo ex lege a fondamento dell’esercizio dello jus variandi ma si dovrebbe indicare il motivo che giustifichi la variazione. A ben considerare il giustificato motivo, suscettibile di sindacazione da parte del giudice, potrebbe proprio esser individuato nel factum principis costituito dall’entrata in vigore della norma in questione. Il venir meno di importanti ricavi, si pensi ad esempio alla inapplicabilità della nuova CMS agli extrafido, potrebbe, infatti, giustificare un inasprimento dei tassi o l’introduzione di altre forme di penalizzazione.

Se esaminiamo un trentennio di giurisprudenza in tema di contratti bancari non possiamo che rimanere impressionati dal gran numero di sentenze che si sono espresse in tema di nullità di clausole contenute in contratti bancari. Nel repertorio del foro italiano, negli ultimi venti anni, risultano pubblicate non meno di 180 sentenze che, a vario titolo, hanno sancito la nullità di singole clausole contrattuali. Da rimarcare che nello stesso periodo considerato tutte le sentenze pubblicate in tema di nullità contrattuali sono circa 1300.

E’ del tutto evidente che un fenomeno così imponente giustifichi una riflessione unitaria tenendo presente che la nullità, proprio per il suo carattere estremo, volto a denegare gli effetti giuridici di un atto o di una pattuizione, dovrebbe avere un carattere residuale. Così non è stato nel settore dei contratti bancari e dunque è forte il sospetto che la nullità abbia costituito un importante strumento “pedagogico” ,utilizzato volta a volta dal legislatore e dalla giurisprudenza, talvolta quest’ultima in concorrenza , in contrapposizione o al fine di stimolare lo stesso legislatore, per profondamente modifica il modus operandi delle banche, al fine di meglio tutelare i clienti ma certamente anche a fini di politica economica e di contenimento dei costi bancari. Sul finire degli anni ’80 ( Cass. 29.3.1987 in Riv. Pen. 1989, 86) muta radicalmente la percezione dell’attività bancaria e viene escluso che “ la normale attività bancaria, di raccolta del risparmio fra il pubblico e di esercizio del credito in un libero mercato concorrenziale, svolta da enti creditizi sia pubblici che privati, comporti l’attribuzione a chi la esercita della qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio”.

A partire da questa storica decisione si avvia un processo, che non può dirsi ancora interamente concluso, volto: ad ammodernare e rendere più trasparente l’attività bancaria, ma anche ad incidere sui costi bancari. In questo processo il ricorso alla nullità fa la parte del leone e costituisce uno strumento strategico importante:

Secondo A Gentili (I contratti in generale pag.1426 ) “….la comminatoria di nullità appresta un’eccezione forte contro il patto,… è un buon mezzo di governo dei flussi di mercato, perché i contratti in contrasto con la norma non diventano mai sicuri per il professionista, così dissuaso.”. Certamente non esiste in Italia settore economico come quello bancario che abbia subito interventi normativi e giurisprudenziali così copiosi e così incisivi, tali da mettere a repentaglio i conti economici, scatenando filoni di contenziosi sistemici.

A tutti sono note le vicende giurisprudenziali in tema di nullità della clausola anatocistica, i problemi in tema di nullità dei tassi usurari, la recente contestazione della commissione di massimo scoperto, le altre nullità introdotte nei più vari contesti normativi che, a più riprese, in modo incalzante hanno riguardato i contratti bancari. Prima della normativa sulla trasparenza bancaria il tema della nullità/ invalidità in riferimento ai contratti bancari aveva avuto un modesto impatto riguardato essenzialmente la clausola che, per la determinazione degli interessi, rinviava all’uso piazza, la clausola che, in tema di cassette di sicurezza, limitava il valore massimo del contenuto della cassetta di sicurezza e la c.d. fideiussione omnibus per importo indeterminato. I contratti bancari, così come disciplinati dal codice, erano a forma libera ed anche con l’introduzione della normativa sulla trasparenza bancaria ( art.3 L. 17.2.1992 n. 154) la previsione della forma scritta per tutti contratti bancari era uno strumento di trasparenza ma non un elemento essenziale del contratto; infatti la normativa non prevedeva conseguenze specifiche in caso di mancato rispetto del requisito della forma scritta, che la dottrina interpretò come necessaria ai soli fini probatori. Solo con l’introduzione del TUB fu previsto ( Art.117 TUB) che la forma scritta costituisse un elemento essenziale dei contratti bancari e fu sancita un particolare tipo di nullità ( art.127 II comma TUB) che poteva esser fatta valere esclusivamente dal cliente e ciò ovviamente a maggior tutela dello stesso, impedendo che la banca potesse, invocando la nullità del contratto da lei stessa imposto, sottrarsi agli impegni assunti.

Si è parlato a questo proposito di nullità relativa e di nullità di protezione in quanto solo il cliente della banca ha il potere, imprescrittibile, di far accertare la nullità dal giudice; vi è la volontà del legislatore di riequilibrare la situazione di inferiorità presunta del cliente, considerato contraente debole anche se professionista.

Questa situazione trovò del tutto impreparate le banche non tanto per il fatto che non fossero use a contrattualizzare per iscritto i contratti bancari; si ricorda che all’epoca era pressocché generalizzato l’utilizzo da parte delle banche degli schemi contrattuali ABI ( le cd. Norme uniformi ABI ) che presupponrvano la forma scritta, quanto per la necessità di conservare e reperire nel tempo, anche a distanza di moltissimi anni, il documento contrattuale , completo in tutti i suoi elementi ed in particolare nei contenuti economici, per loro natura variabili, in connessione alle variazioni del mercato ed all’esercizio dello jus variandi.

La situazione risultò ancor più complessa in quanto i contratti ( art.117 IV comma) dovevano indicare “il tasso di interesse ed ogni altro prezzo e condizione praticata, inclusi, per i contratti di credito, gli eventuali maggiori oneri in caso di mora”.

La necessità della forma scritta risultò particolarmente critica con riferimento ai fidi utilizzabili in conto corrente. La maggior parte delle banche infatti non contrattualizzava ( almeno nei contenuti economici) l’apertura di credito in c/c, così come regolata dagli artt.1842 e ss, ma si riservava di concedere volta a volta ai propri clienti il c.d. scoperto di conto corrente e cioè la possibilità di andare allo “scoperto”; il tutto si sostanziava in un fido precario, concedibile discrezionalmente volta per volta, a condizioni economiche certamente intrasparenti. Quel che spesso difettava era l’indicazione delle condizioni economiche che avrebbero regolato gli utilizzi e la determinazione del fido stabilmente concesso.

L’uso generalizzato di rinviare alle condizioni usuali su piazza contribuiva a rendere del tutto intrasparenti le condizioni economiche ed in particolare i tassi e le commissioni di massimo scoperto.

Questo stato di cose aveva già determinato non pochi problemi alle banche in quanto la giurisprudenza aveva sempre mantenuto fisso il principio, fissato dall’art.1284 c. c. che prevedeva, a pena di nullità, la forma scritta per quanto concerneva la pattuizione di interessi extralegali.

Nel caso dei contratti bancari, conformi agli standard ABI,esisteva una pattuizione scritta per quanto concerneva i tassi e le altre condizioni economiche ma queste erano determinabili attraverso un meccanismo di rinvio agli usi di piazza, meccanismo che la giurisprudenza ha via via ritenuto invalido sotto molteplici profili e ciò ancor prima che entrasse in vigore la specifica nullità, prevista dall’art.117 VI comma del TUB,”delle clausole contrattuali di rinvio agli usi per la determinazione dei tassi di interesse e di ogni altro prezzo e condizioni praticati”. Per quanto riguarda più specificamente la commissione di massimo scoperto e cioè quella commissione che le banche applicano trimestralmente, in misura percentuale al massimo utilizzo di fido registrato in conto corrente, sia che questo sia collegato ad un’apertura di credito, regolata, appunto sul conto corrente, sia che l’utilizzo sia avvenuto, di fatto, in eccesso rispetto al fido concesso o addirittura in assenza di fido, non si registrano specifici interventi della giurisprudenza prima del 2000. La commissione infatti è un compenso che , come vedremo, in nessun modo può essere confuso con gli interessi e dunque ad essa non era applicabile il disposto del terzo comma dell’art.1284 c.c. che prescrive, per la pattuizione relativa agli interessi superiori alla misura legale, la forma scritta a pena di nullità, proprio per questo motivo, prima dell’entrata in vigore della normativa sulla trasparenza bancaria, la commissione di massimo scoperto non aveva dato luogo a particolari contestazioni. Va detto che in quegli anni le banche applicavano la commissione di massimo scoperto in misura contenuta ed in riferimento ai soli utilizzi in conto corrente.

Nel tempo questa commissione, forse proprio per la non immediata percezione da parte degli utenti, è stata resa via via più onerosa non solo aumentandone , in termini assoluti, l’incidenza ma, soprattutto, prevedendo che la stessa potesse incidere sui clienti anche in relazione ad un utilizzo per un solo giorno e anche se tale utilizzo fosse determinato da problemi di valuta.

L’aumento di ricavi connessi alla CMS, la sua scarsa percepibilità da parte dei clienti, hanno poi indotto le banche ad introdurre la CMS anche in altre linee di credito: anticipo su fatture, anticipo al salvo buon fine ecc.

Così dilatata la CMS veniva a perdere il suo originale fondamento economico e cioè di costituire una remunerazione per la messa a disposizione di una riserva di credito, che per ipotesi poteva essere utilizzata anche solo in modo marginale, remunerazione del tutto distinta da quella rappresentata dagli interessi che si traduce in un corrispettivo degli utilizzi delle somme.

Di tale stato di cose è consapevole la Banca d’Italia che, nelle istruzioni per la rilevazione del tasso effettivo globale medio ai sensi della legge sull’usura, (punto C5) dispone, nel presupposto che la CMS sia strutturalmente connessa alle sole operazioni di finanziamento per le quali l’utilizzo del credito avviene in modo variabile, che analoghe commissioni, applicate ad altre categorie di finanziamento debbano ( a differenza della CMS per gli utilizzi in conto corrente ) essere incluse nel calcolo del TEG. Dall’entrata in vigore del TUB la giurisprudenza, che ha riconosciuto, con l’eccezione di alcune sentenze di merito, su cui in prosieguo ci soffermeremo, la validità della CMS, ha tuttavia ritenuto necessario che la stessa fosse pattuita per iscritto e che fossero indicate in modo trasparente le modalità di calcolo ( T. Firenze 15.7.2006 “in Foro toscano – Toscana giur. ,2007,30, n. Bufalini “ La clausola di commissione di massimo scoperto che rappresenta un costo a carico del cliente, deve essere pattuita ed inserita espressamente nel regolamento negoziale, pena la sua inesistenza.” , conf. Trib. Lecce 29.11.2005 , in Corti Pugliesi, 2006, 843. Anche il Trib. Vibo Valentia 28.9.2005 ( Corti Calabresi,2007,216,) ritiene necessario che la commissione di massimo scoperto, come ogni altra commissione percepita dalla banca, sia oggetto di una specifica pattuizione scritta, che consenta, in concreto, la determinazione o la determinabilità del compenso spettante alla banca, diverso dagli interessi, determinato sul massimo saldo dare del cliente ed in relazione ad ogni periodo di liquidazione degli interessi.

La liceità della CMS (correttamente contrattualizzata) è stata messa in discussione da un numero modesto di decisioni in particolare dal Trib. Campobasso 1.8.2005 in Riv. Gir. Molise e Sannio, 2006,57,in una situazione in cui la clausola non era stipulata per iscritto, incidentalmente afferma la nullità della clausola per mancanza di causa rendendosi impossibile la verifica della funzione economico sociale, sostanzialmente conforme Trib. Milano 4.7.2002 in B. B. T.C., 2003, II,452 con n. Inzitari.

Il terreno su cui si è maggiormente avviato il dibattito è quello penale in quanto, nel tempo, sono stati aperti numerosi procedimenti penali per usura a carico di esponenti delle banche nel presupposto che la CMS dovesse essere cumulata al tasso ed alle altre componenti del TEG al fine di valutare se fosse stato superato il tasso soglia.

Come in parte si è già accennato il Ministero dell’Economia e delle Finanze con i decreti ministeriali, emanati in base alle previsioni della L. 108/1996, rileva la CMS media riportandola separatamente, in nota alla tabella relativa ai tassi medi non comprensivi della CMS. La Banca d’Italia poi escludeva nelle proprie istruzioni che la CMS fosse rilevante ai fini del TEG. Questa posizione, mai formalmente abbandonata, si andrà, nel tempo articolando, nell’assunto che l’eventuale superamento della “CMS soglia” non determinava di per sé l’usurarietà del rapporto purchè l’eccedenza di CMS, cumulata alle altre componenti di calcolo del TEG, non comportasse il superamento del tasso soglia. La confusione era dunque massima e la necessità di approfondire e chiarire la natura della CMS, anche ai fini difensivi, ha avviato un dibattito molto serrato che ben presto ha superato gli aspetti contingenti, legati ai vari procedimenti penali, per tradursi in iniziative prese dal Garante della concorrenza e del mercato e da tentativi legislativi, volti ad eliminare la CMS; il processo avviato da Bersani si è oggi concluso con la pubblicazione nella G.U. n. 22 del 28.1.2009 della legge di conversione 28.1.2009 n. 2 del D. L 29.11.2008 n. 185 che, all’art 2 bis, detta ulteriori disposizioni concernenti i contratti bancari.

Il primo comma dell’art. 2 bis così recita:

“Sono nulle le clausole contrattuali aventi ad oggetto la commissione di massimo scoperto se il saldo del cliente risulti a debito per un periodo continuativo inferiore a trenta giorni ovvero a fronte di utilizzi in assenza di fido”.

La norma non fornisce alcuna definizione di commissione di massimo scoperto e dunque sembra corretto il rinvio alla elaborazione fatta dalla dottrina e dalla giurisprudenza che considera la CMS quale remunerazione dovuta alla banca, ove pattuita, generalmente in misura percentuale, calcolata sul maggior utilizzo, registrato nel corso di un trimestre, su di un conto corrente, in utilizzo del fido concesso anche sottoforma di sconfinamento o di fido di fatto, per il solo fatto di tenere a disposizione del cliente una riserva di credito, indipendentemente dal concreto utilizzo che ne farà il cliente, purchè, in concreto, vi sia almeno un utilizzo puntuale. La novità legislativa è stata presentata a livello politico e dei mass media quale, sostanziale eliminazione della CMS, considerata un gravoso ed irrazionale balzello imposto dalle banche.

Ad una prima lettura parrebbe invece che il legislatore, più che abolire la C M S, come era nelle intenzioni di Bersani, abbia voluto regolamentarla prevedendo, a pena di nullità, che la clausola abbia uno specifico contenuto. Lo stile di redazione dell’art.2 bis è decisamente enfatico e tale enfasi par quasi voler nascondere un certo imbarazzo del legislatore che ponendo fine ad un dibattito tutto finalizzato all’eliminazione della CMS in realtà non la elimina ma la disciplina in modo tale da renderla più trasparente e meno gravosa ma al contempo disciplina nuovi tipi di commissione. In base alla norma il diritto alla percezione della CMS è condizionato al fatto che vi sia un contratto di fido in conto corrente, che tale commissione sia stata pattuita per iscritto e ne sia stata indicata la misura e che il cliente abbia utilizzato il fido in conto corrente per un periodo continuativo pari o superiore a trenta giorni.

La norma rappresenta un evidente compromesso tra quanti avrebbero voluto l’abolizione pura e semplice della CMS e quanti ritenevano comunque necessario che tale commissione venisse mantenuta, sia pur depotenziata e rilevante per intero ai fini del calcolo del TEG. L’impatto economico per le banche sarà certamente molto significativo. Per quanto concerne la CMS , da ora in poi operante solo in connessione a gli utilizzi del fido e nel limite del fido, non è chiaro perché il diritto sorga solo in presenza di saldi debitori che si protraggano per un periodo continuativo pari o superiore a trenta giorni.

Il fido in c/c è per sua natura elastico e poco fisiologico risulta un utilizzo continuo nel tempo; per contro, le nuove disposizioni in tema di CMS condizionano la percezione di tale commissione proprio al protrarsi nel tempo dell’utilizzo del fido.

In tale presupposto la nuova CMS nasce senza un preciso fondamento economico e sempre più risulta frutto di un mero compromesso. E’ infatti da escludersi che la nuova CMS remuneri l’impegno della banca per la messa a disposizione del cliente una riserva di credito che potrebbe per ipotesi non esser mai utilizzata o utilizzata solo sporadicamente. Infatti ove il cliente evitasse il protrarsi fino a trenta giorni consecutivi di saldi debitori nulla sarebbe dovuto alla banca a questo titolo. Un utilizzo sporadico, che poco remunera la banca in termini di interessi percepiti, non sarà, dunque, più bilanciato dalla percezione della CMS con l’ulteriore conseguenza che la banca, in tali ipotesi, risulterebbe penalizzata rispetto a diverse e più proficue allocazioni del credito in favore di altri clienti, più disponibili ad utilizzare il credito stesso. Probabilmente, come già detto, la nuova CMS è frutto di un compromesso volto a mantenere questa commissione solo nei casi in cui, per l’intenso e protratto utilizzo del fido, la percezione da parte della banca della CMS venga a gravare in modo meno significativo il cliente. In ultima analisi ; più si prolunga nel tempo la sequenza di saldi debitori che condizionino la percezione della CMS, più questa si avvicina alla nozione, perlomeno economica di interesse e ben potrebbe essere, allora, sostituita dalla previsione di tassi di interessi diversi e via via crescenti in relazione al maggior utilizzo del fido e dunque al maggior rischio assunto dalla banca o, meglio ancora, come vedremo, dall’introduzione di una commissione di affidamento.

E’, poi, davvero singolare che venga prevista la nullità della clausola ove il c/c non sia assistito da fido. Si poteva infatti obbiettare che, fino a quando il cliente operasse nei limiti del fido concesso, potesse risultare incongruo prevedere una specifica remunerazione della banca in relazione al maggior utilizzo registratosi nel trimestre; tale utilizzo, nei limiti del fido concesso, rappresentava, comunque, un preciso obbligo della banca ed una facoltà per il cliente.

La situazione era completamente diversa per quanto concerneva la CMS percepita su gli utilizzi in sconfinamento o per gli utilizzi in assenza di fido, situazioni queste in cui il cliente, al di fuori delle previsioni contrattuali, pone la banca ( certamente consenziente) di fronte ad una situazione di fatto comportante l’assunzione di rischi, non specificamente previsti e che sembrava ragionevole remunerare non solo in termini di interessi ma anche con la percezione della CMS.

Nei 30 giorni il saldo, pur restando sempre debitore, può variare e tuttavia non è dubitabile che la CMS si applichi al saldo più elevato. Il legislatore infatti non fornendo alcuna nozione di CMS intende verosimilmente rinviare alla nozione, a tutti nota, formatasi per via contrattuale, che prevede appunto il pagamento in misura percentuale di una commissione calcolata sulla punta massima di utilizzo, registratosi in un trimestre.

Si pone il problema di stabilire se il saldo debitore più elevato su cui calcolare la CMS debba registrarsi nel periodo di continuativi utilizzi non inferiori a trenta giorni o se, pur essendo necessaria l’esistenza nel trimestre di tali continuativi utilizzi, si possa prendere in considerazione il maggior saldo registrato al di fuori del periodo di continuo utilizzo.

La norma, certamente non fornisce strumenti per la soluzione del caso e dunque l’interprete deve prendere posizione tra due possibili soluzioni conteggiare la CMS sul più elevato saldo registrato nel periodo continuativo di utilizzo o prendere in considerazione, a condizione che vi sia stato tale continuativo utilizzo, il maggior saldo registrato nel trimestre anche se al di fuori del periodo continuativo di utilizzo.

La soluzione più corretta parrebbe quella di consentire e di ritener lecita una clausola contrattuale che, fermo restando il periodo di continuo utilizzo, consenta il calcolo della CMS sul maggior utilizzo, anche se registratosi al di fuori del periodo stesso.

Con tale interpretazione, strettamente letterale, si riguadagna infatti il concetto, non esplicitato dal legislatore, che tale commissione, cosi come accadeva per la “vecchia” CMS, debba essere trimestrale e continui ad operare, come per il passato, con la sola ulteriore condizione che si registri ogni trimestre un periodo di conto affidato, passivo per un periodo continuativo, non inferiore a trenta giorni.

Diversamente e cioè abbandonando la nozione comune di CMS, si potrebbe ipotizzare, fatti salvi i problemi di usura, che ogni volta che si registri un periodo continuativo di utilizzo, non inferiore a trenta giorni, la banca abbia poi diritto di percepire tale commissione ed anche più di una volta al trimestre, ove si registrino due distinti periodi di utilizzo, non inferiori ai trenta giorni.

Ciò determinerebbe, in assenza di correttivi, un’incomprensibile disparità di trattamento tra clienti che operano nei limiti dei fidi accordati e quanti operino in situazioni di sconfinamento o addirittura in assenza di fido. Un possibile correttivo potrebbe esser rappresentato da un inasprimento dei tassi debitori per gli utilizzi allo scoperto o dall’introduzione nel contratto di penali per il caso di sconfinamento o di utilizzi in assenza di fido. In tali presupposti la nuova CMS nasce senza un sicuro fondamento economico e sempre più risulta frutto di un mero compromesso. E’ infatti da escludersi che la nuova CMS remuneri l’impegno della banca per la messa a disposizione del cliente di una riserva di credito o ristori gli oneri che deve sostenere la banca per essere in grado di affrontare una rapida espansione degli utilizzi.

Come si ricorderà, nel II disegno di decreto legge Bersani era originariamente previsto che:

“Sono nulle le clausole di massimo scoperto e le clausole comunque denominate che prevedono una remunerazione accordata alla banca per la messa a disposizione di fondi a favore del correntista indipendentemente dall’effettivo prelevamento della somma ovvero che prevedono una remunerazione accordata alla banca indipendentemente dalla effettiva durata del prelevamento della somma”.

La prevista nullità della CMS e delle commissioni per la messa a disposizione dei fondi venne poi attenuata dall’emendamento Lulli che faceva salve le clausole che prevedessero la predeterminazione del corrispettivo, unitamente al tasso debitore per le somme effettivamente utilizzate, con patto scritto, non rinnovabile tacitamente, in misura omnicomprensiva e proporzionale all’importo ed alla durata dell’affidamento richiesto dal cliente.

L’art.2 bis è, dunque, da considerare di diretta derivazione dall’emendamento Lulli.

Il primo comma dell’art .2 bis sancisce, nuove nullità per clausole che potrebbero esser introdotte nei contratti bancari di fido in c/c per recuperare, almeno in parte, la redditività, persa con la nuova regolamentazione della CMS.

Il presupposto di tali clausole è diverso: nel primo caso si parla di messa a disposizione dei fondi in conto corrente, indipendentemente dall’effettivo prelevamento.

Nel secondo caso di messa a disposizione di somme e dunque di concreto utilizzo delle stesse, indipendentemente dalla durata dell’utilizzo. La principale differenza tra le due tipologie di clausole consiste nel fatto che nelle clausole del primo tipo non è rilevante se poi in concreto vi sia un utilizzo delle somme; la remunerazione della banca costituisce il corrispettivo della riserva di credito che il cliente si è assicurato. Nelle clausole del secondo tipo vi deve essere comunque un utilizzo ma la remunerazione della banca è indipendente dall’effettiva durata dell’utilizzazione.

Clausole che perseguissero tali obbiettivi risulterebbero nulle ove non fosse prevista una predeterminazione del corrispettivo, con patto scritto, unitamente al tasso debitore, in misura omnicomprensiva e proporzionale all’importo ed alla durata dell’affidamento.

Tali commissioni sarebbero incompatibili con ogni altro tipo di commissione (istruttoria fidi, diritti di segreteria, ecc) e risultare del tutto trasparenti, con precisi obblighi di rendicontazione annuale a carico della banca, anche per quanto concerne l’effettivo utilizzo del fido. Va da sé, avuto riguardo all’omnicomprensività richiesta per le commissioni previste nel secondo comma dell’art 2 bis, che non potrà coesistere la nuova commissione di massimo scoperto con la commissione d’affidamento o con la commissione che preveda una remunerazione indipendentemente dall’effettiva durata dell’utilizzazione.

Dalla regolamentazione di tali clausole emerge un disfavore del legislatore che si traduce in penetranti obblighi di trasparenza ed in una particolare enfasi posta sulla necessità che vi sia sempre consapevolezza del cliente sulla portata di tali oneri.

La possibilità per il cliente di recedere è certamente una sottolineatura enfatica del legislatore in quanto tale facoltà del cliente è già stata normativizzata in altro contesto.

Il patto relativo a tali commissioni non potrebbe, poi, esser tacitamente rinnovato.

Bisogna premettere che per i fidi in conto corrente ( l’art.2 bis presuppone solo tale tipologia di fidi) per molti anni non sono state utilizzate e comunque non hanno costituito oggetto di specifici approfondimenti, le commissioni che remunerino, indipendentemente dall’utilizzo, la mera messa a disposizione dei fondi.La recente introduzione di tali clausole per i clienti “ al dettaglio” è stato frutto di impegni presi da alcune banche a conclusione di un procedimento avviato dal Garante per la concorrenza ed il mercato per ipotizzate pratiche commerciali scorrette connesse alla CMS. Commissioni di questo tipo sono, invece, molto diffuse per linee di credito c.d. committed, generalmente operanti nel medio/lungo periodo. L’impegno della banca a tenere a disposizione del cliente una riserva di credito ha un costo e tale costo, in caso di mancato utilizzo della riserva di credito, non verrebbe remunerato in alcun modo. Si potrebbe obbiettare che nei fidi in conto corrente questa riserva di credito abbia un carattere più precario che non nelle linee di credito committed ma tale valutazione, se si poteva ritenere giustificata nel passato, ha oggi ben poco valore in quanto la formalizzazione di un’apertura di credito in conto corrente, generalmente a tempo indeterminato, ha un carattere di stabilità notevole, rafforzata dalla giurisprudenza ( Cass.22.11.2000 n.15066 ; Cass 2.4.2005 n.6923 e Cass 7.3.2008 n.6186) che, facendo leva sulla buona fede contrattuale, ha stigmatizzato il c.d. recesso brutale, arbitrario ed imprevisto. Oggi le banche si trovano di fronte ad un bivio. Da una parte hanno la maggior parte dei contratti a tempo indeterminato; ciò comporta un risparmio in termini di evitate, ripetute contrattualizzazioni; si pensi al costo di dover gestire solo aperture di credito a tempo determinato, dall’altra, il fatto che le aperture di credito siano prevalentemente a tempo indeterminato porta con sé una serie di inconvenienti legati al fatto che le modifiche normative apportate allo jus variandi rendono molto difficile “ prezzare” correttamente i clienti.

Frequentemente accade che clienti, del tutto simili per profili di rischio e merito creditizio, abbiano,in concreto, condizioni molto divaricate per il solo fatto di aver stipulato i contratti in epoche diverse. Risulta profondamente illogico sotto il profilo economico trattare in modo diverso clienti analoghi solo per il fatto che gli stessi abbiano avviato i loro rapporti in epoche diverse, quando il mercato presentava condizioni diverse. Il legislatore e la Banca d’Italia devono considerare che gli obbiettivi di politica economica, volti a contenere gli oneri finanziari, mediante un raffreddamento dello jus variandi, possono comportare la singolare eterogenesi dei fini di indurre le banche ad abbandonare le aperture di credito a tempo indeterminato, facendosi carico del costo amministrativo di contrattualizzare, per ipotesi ogni anno, la conclusione di un’apertura di credito annuale, ma assicurandosi, in tal modo, la possibilità, ogni anno, di trattare con il cliente le condizioni, rapportandosi a quelle al momento vigenti sul mercato ed evitando che lo stock dei crediti concessi risulti non correttamente prezzato.

Tornando alle commissioni di affidamento e’ da ritenere che le banche ricorreranno in modo significativo a clausole della specie per recuperare redditività ma anche per remunerare, in modo adeguato e trasparente, la riserva di credito concessa.

In concreto sono ipotizzabili numerose clausole volte ad introdurre una commissione di affidamento.

Si può ipotizzare una commissione annuale, da pagare “spalmata” sui quattro trimestri e da conteggiare in misura proporzionale al fido accordato. Tale commissione potrebbe anche esser percepita quale up front con un solo addebito in connessione al momento in cui il fido sia divenuto operativo per il cliente.

Si può, ancora, ipotizzare che la commissione di affidamento venga, in concreto, ridotta o addirittura annullata ove il cliente raggiunga predeterminati volumi di utilizzo dei servizi offerti dalla banca.

Spesso capita che, per i motivi più diversi, in presenza di più banche affidanti ve ne sia qualcuna marginale, alla quale si ricorra solo…in caso di necessità, proprio quando, il venir meno della riserva di credito, accresce il profilo di rischio del cliente.

Parrebbe del tutto logico, per incentivare la relazione con il cliente, offrire a questi la possibilità di azzerare/ ridurre la commissione di affidamento al raggiungimento di predeterminati obbiettivi, che dimostrino la non marginalità della relazione.

Così atteggiata la commissione di affidamento diverrebbe in realtà una commissione per il mancato utilizzo del fido. Soprattutto per i clienti non al dettaglio la commissione potrebbe avere l’ulteriore funzione di programmare i rapporti con la banca, consentendo di modulare i costi ed i ricavi sulla base dell’insieme dei rapporti intercorrenti. E’ da prevedere che le banche, in larga misura, rinunceranno alla nuova CMS, divenuta ben poco profittevole e preferiranno, quale strumento per correttamente prezzare l’allocazione del credito, stabilizzando i ricavi o la commissione per il mancato utilizzo del fido o per il mancato raggiungimento dei volumi programmati, per incentivare la relazione con il cliente.

La Banca d’Italia, nella bozza di Istruzioni sulla nuova trasparenza, ricavabile sul sito tra i documenti offerti in consultazione, pare voglia scoraggiare l’inserimento della nuova CMS o di clausole similari nei contratti di apertura di credito destinati ai clienti al dettaglio. Valutando tali clausole ”particolarmente ed intrinsecamente complesse” dispone che tali clausole siano specificamente spiegate nel foglio informativo in modo da chiarirne l’impatto economico anche mediante esempi.

Proseguendo l’esame degli elementi richiesti dalla norma per una valida clausola d’affidamento si può osservare una certa enfasi del legislatore là dove prevede che il corrispettivo debba essere predeterminato, con patto scritto.

Giova ricordare che l’art.117, IV° comma del TUB. dispone già la forma scritta per ogni prezzo e condizione applicabile ad un contratto bancario e dunque, il richiamo al patto scritto per le commissioni della specie non costituisce certamente una novità.

Si è a lungo discusso su quale sia il significato dell’inciso che vorrebbe non solo la predeterminazione della commissione di affidamento ma anche che ciò avvenga ”unitamente al tasso debitore, per le somme effettivamente utilizzate”.

E’ da ritenere che nel contratto debbano esser valorizzati tanto il tasso che la commissione di affidamento ma che gli stessi non debbano esser cumulati in un’unica indicazione numerica.

E’ da ritenersi ormai definitivamente acquisito che gli interessi remunerano gli utilizzi e la commissione di affidamento , che prescinde dagli utilizzi, remunera la riserva di credito. Entrambi sono costi che il cliente sosterrà ma in cambio di beni diversi.

Se esaminiamo, poi, ciò che è previsto, in sede di rendicontazione annuale per il cliente, vediamo che la commissione dovrà essere “ specificamente evidenziata” e vi dovrà essere anche “ l’indicazione dell’effettivo utilizzo avvenuto nello stesso periodo”.

La specifica evidenziazione porterebbe ad escludere un cumulo tra tasso e commissione in sede di contrattualizzazione quando, in sede di rendicontazione tali dati debbono essere forniti in modo distinto. Risulta davvero problematico esplorare la ratio del prescritto divieto di tacito rinnovo della clausola che preveda tali commissioni. E’ evidente la volontà del legislatore di far sì che il cliente abbia una specifica consapevolezza dei costi e che dunque debba esprimere in modo formale il proprio accordo perché le commissioni siano corrisposte al di là di quanto originariamente previsto e pattuito. Si pongono a questo punto non pochi problemi interpretativi in riferimento alla rinnovabilità tacita del patto.

Il concetto di rinnovabilità presuppone un contratto/ una clausola contrattuale a tempo determinato per il quale sia previsto nel contratto o dalla legge l’automatica rinnovazione, ove non intervengano specifici fatti volti ad inibire il perdurare degli effetti del contratto o della clausola. Nel nostro caso la legge intende impedire il tacito rinnovo della clausola volta a disciplinare commissioni in favore della banca.

Il portato della norma resta oscuro in quanto la prassi bancaria non registra l’adozione di clausole volte a determinare prezzi od altre condizioni economiche per i clienti che abbiano una durata inferiore alla durata, eventualmente fissata, per il contratto di credito e che comunque siano tacitamente rinnovabili.

Anche ipotizzando un’apertura di credito a tempo determinato è difficilmente ipotizzabile un tacito rinnovo dell’apertura di credito in quanto, normalmente, la scadenza del termine determinerà l’esaurirsi del contratto e renderà immediatamente esigibile la restituzione delle somme utilizzate dal cliente.

Va poi considerato che i contratti bancari sono ormai divenuti, da tempo, contratti formali; la forma scritta è richiesta, dall’art.117 ,III° del TUB, a pena di nullità.

In presenza di contratti formali nessun valore può più avere un comportamento concludente, quale sarebbe appunto il rinnovo tacito del contratto e dunque anche della clausola relativa alla commissione di affidamento..

Sotto questo profilo dunque la non rinnovabilità tacita delle clausole relative alla commissione di affidamento non rappresenta un elemento di novità; per i contratti formali non opera, comunque, il rinnovo tacito dell’intero contratto o di una sua clausola.

E’ del tutto evidente che il rinnovo del patto, che preveda una remunerazione per la messa a disposizione dei fondi o per il mancato utilizzo del credito, non si pone, neppure in astratto, nel caso di apertura di credito a tempo indeterminato.

Se fosse prevista una commissione di affidamento annuale per tutta la durata dell’affidamento, fino a quando permanesse l’apertura di credito, di anno in anno o di trimestre in trimestre, la banca avrebbe diritto di percepire la commissione.

Tale commissione non sarebbe più dovuta, solo in caso di recesso dall’apertura di credito, operata dalla banca o dal cliente e ciò anche nel caso in cui la banca non avesse conseguito il recupero del proprio credito.

Con il recesso infatti viene meno il rapporto di affidamento cui è collegata la relativa commissione, in senso conforme la giurisprudenza ( App. Lecce 27.6.2000 in Contratti, 2001, 374 e Trib. Milano 4.7.2002 , in B.B.T.C., 2003, II, 452) per quanto concerne il venir meno del diritto della banca a percepire la CMS, dopo la revoca del fido.

E’ da valutare come si possa conciliare una remunerazione, per ipotesi annuale, della messa a disposizione dei fondi con la possibilità che la banca ha di recedere unilateralmente dal contratto.

Tutto dipende dalla connotazione funzionale che si intende dare alla commissione. Non essendo ipotizzabile il venir meno della facoltà di recedere dal contratto a tempo indeterminato sembrerebbe equo prevedere che, ove la banca eserciti tale facoltà, debba riaccreditare, in tutto o in parte, il corrispettivo percepito in corso d’anno/ trimestre per la messa a disposizione dei fondi.

Esaminiamo da ultimo il tema, peraltro molto rilevante, della inclusione o meno della commissione di affidamento nel calcolo del TEG. Nel documento, offerto in consultazione dalla Banca d’Italia sul proprio sito INTERNET, riguardante le nuove Istruzioni per la rilevazione dei tassi effettivi globali medi, condotta ai sensi della legge n.108 del 7.3.1996 e previsto l’inserimento della nuova CMS e degli oneri sostitutivi nel calcolo del tasso, in conformità di quanto previsto dalla legge n.2 del 28.1.2009. La materia ha dei margini di opinabilità in quanto, come ci insegna il recente passato, almeno per le banche, le istruzioni dettate dalla Banca d’Italia per la rilevazione del tasso effettivo globale medio ai sensi della legge sull’usura hanno una impropria valenza interpretativa/ integrativa della normativa, così come si è potuto vedere per quanto concerne la conteggiabilità, ai fini del TEG, della CMS e degli interessi di mora.

La posizione della Banca d’ Italia non pare condivisibile in quanto il IV comma dell’art.644 c.p. prevede che per la determinazione del tasso di interesse usurario si tiene conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate alla erogazione del credito.

Mentre la nuova CMS è certamente una commissione collegata “ alla erogazione” del credito non altrettanto può dirsi per la commissione di affidamento in quanto tale commissione è dovuta , a prescindere dall’erogazione del credito e per il solo fatto che il cliente goda di una riserva di credito rappresentata da uno stabile “accordato”. Diversamente opinando la nozione di erogazione perderebbe ogni collegamento con l’utilizzo del credito disponibile venendo a coincidere con la stessa messa a disposizione del fido in conto corrente. Nel codice , agli artt. 1842 e ss, emerge chiaramente la distinzione tra messa a disposizione dei fondi ed il loro utilizzo, distinzione che, ora, la Banca d’Italia, in un contesto oltretutto penalistico e di stretta interpretazione, tende a parificare con gravi conseguenze.

Una lettura sistematica dell’art.2 bis della legge 2/2009 avrebbe dovuto portare ad altra valutazione circa la conteggi abilità, ai fini del TEG, delle commissioni di affidamento.

Il comma II dell’art.2 bis stabilisce, infatti, che” le commissioni e le provvigioni derivanti dalle clausole, comunque denominate, che prevedano una remunerazione.., dipendente dall’effettiva durata dell’utilizzazione dei fondi da parte del cliente, siano rilevanti” ai fini dell’usura. Una interpretazione sistematica dell’art.2 bis non può non rilevare come il legislatore abbia creato, nel micro sistema della norma, una precisa distinzione di possibili commissioni, individuando: quella per la messa a disposizione dei fondi, indipendentemente dall’effettivo prelevamento, una diversa commissione o tipologia di commissioni per la messa a disposizione delle somme, indipendentemente dall’effettiva durata dell’utilizzazione ed infine, commissioni dipendenti ( quale è appunto la nuova commissione di massimo scoperto) dall’effettiva durata dell’utilizzazione dei fondi. Solo quest’ultima tipologia di commissioni è rilevante ai fini del TEG. Pare dunque che le distinzioni contenute nell’art.2 bis tra i vari tipi di possibili commissioni abbiano avuto proprio la funzione di individuare quali di queste fossero connesse all’erogazione del credito e quali alla concessione dell’affidamento..

Sul punto è da condividere quanto considera Ferro Luzzi (Ci risiamo a proposito dell’usura e della commissione di massimo scoperto in Giur.

Comm, 2006, I, 671 e ss) circa il fatto che ( la CMS) “ può apparire un pagamento, una attribuzione patrimoniale difficilmente giustificabile sul piano giuridico, in particolare causale, se non si coglie l’autonomo valore economico innanzitutto, ma anche giuridico, della disponibilità ( del fido ) in sé prima ed indipendentemente dall’utilizzo.”. Coerente con quanto considerato circa l’estraneità delle commissioni di affidamento al TEG è la previsione di un periodo transitorio di applicazione di tassi soglia individuati sulle basi delle vecchie rilevazioni del tasso effettivo globale medio, finchè gli stessi non verranno effettuati tenendo conto delle nuove disposizioni. Ciò fa presumere che si sia in presenza di una modifica della normativa relativa all’usura. Le modifiche non riguardano tanto l’inclusione della nuova CMS nel TEG ; lo Jus novum, se mai, è da individuare nel dettato che specifica quali siano le commissioni connesse all’erogazione del credito e quali siano estranee all’erogazione del credito e dunque non determinanti al fine dell’individuazione del tasso di interesse usurario. Il terzo comma dell’art.2 bis, prevede, in fine, che i contratti di conto corrente ed i contratti che disciplinano gli affidamenti in conto corrente siano adeguati alle nuove disposizioni entro 150 giorni dalla data di entrata in vigore della legge e dunque : entro il 28.6.2009. La previsione di un periodo transitorio così lungo sottolinea l’importanza delle modifiche apportate, che avranno un forte impatto economico sui ricavi delle banche e ricorda quanto già previsto dalla L. n.154 del 1992, che consentiva nell’arco di 120 giorni, l’adeguamento e la fissazione del importo massimo garantito per le fideiussioni omnibus per importo illimitato. Il legislatore ha ben tenuto presente come la normativa introdotta venga ad incidere su contratti di massa molto diffusi ed abbia quindi optato per l’introduzione di un periodo transitorio, sufficientemente ampio, ancorchè, come vedremo, non perfettamente correlato alle intrinseche esigenze delle banche.

Impropriamente il terzo comma dell’art.2 bis parla di “ obbligo” di adeguamento dei contratti in essere; a ben considerare non vi è alcun obbligo ma , se mai, l’onere per le banche di procedere all’adeguamento dei contratti in essere, per evitare che la clausola, relativa alla commissione di massimo scoperto, venga travolta, senza l’introduzione di possibili correttivi ( nuova CMS, commissione di affidamento, ecc).

Il mancato adeguamento dei contratti in essere comporterà, in base ai consueti principi che regolano la successione nel tempo delle leggi, l’inefficacia ex nunc della veccia CMS, a partire dal 28.6.2009. Per le clausole che regolano la “vecchia” CMS, contenute nei preesistenti contratti, la sopravvenuta nullità non potrà, ovviamente incidere sugli effetti prodotti dalla clausola prima dell’entrata in vigore della legge, ma impedirà che tale clausola produca ulteriori effetti.

Sotto questo profilo, dunque, i contratti esauriti, prima dell’entrata in vigore della L. n.2/2009, in nessun modo verranno incisi dalle nuove disposizioni. E’ dunque da escludere che i ricavi, nel tempo percepiti dalle banche, in applicazione della “vecchia” CMS, saranno suscettibili di azione per la ripetizione dell’indebito pagamento .

E’ comunque probabile che l’attenzione riservata dai media alla riforma della CMS possa dare origine, comunque, ad un contenzioso diffuso in riferimento agli intervenuti addebiti della CMS nel decennio. In tale prospettiva giova ricordare che la” vecchia” CMS era perfettamente legittima se è dovuta intervenire una legge per disciplinarla in modo diverso da quello che risultava dalle prassi contrattuali. Tuttavia le clausole che disciplinavano la “ vecchia” CMS non sempre risultano conformi alle coeve disposizioni di legge sulla trasparenza bancaria.

Anche prima dell’intervento della L. 2/2009 ad aversi una valida clausola di CMS era necessario che la stessa fosse pubblicizzata sui fogli informativi, pattuita per iscritto, che fosse escluso ogni rinvio agli usi e che nel contratto fossero indicati in modo trasparente le modalità di calcolo. Per quanto concerne i contratti, stipulati nel periodo transitorio e dunque successivamente al 28.1.2009, si pongono delicati problemi per i quali la norma non fornisce dirette soluzioni.

Osserviamo che ben difficilmente i contratti stipulati nell’immediatezza dell’entrata in vigore della L. n.2/2009 risulteranno già adeguati alle nuove disposizioni.

La presenza in tali contratti di una clausola volta a disciplinare la “ vecchia” CMS comporta la nullità genetica di tale clausola, per contrasto al disposto dell’art.2 bis e l’impossibilità per le banche di avvalersi del periodo transitorio e della facoltà di adeguamento, riservata solo ai contratti in corso alla data di entrata in vigore della legge ma non anche ai contratti stipulati dopo l’entrata in vigore della legge.

In tali, inevitabili situazioni, è del tutto preferibile rinegoziare con il cliente un nuovo contratto, già reso coerente con le nuove disposizioni. Costituirebbe invece un errore avvalersi dello jus variandi, esercitabile solo in presenza di una clausola validamente stipulata. Per i contratti in corso alla data del 28.1.2009 non si porrà alcun problema per l’addebito della CMS relativa al primo trimestre 2009 in quanto le clausole relative alla “vecchia” CMS saranno ultrattive. Qualche problema si porrà in relazione all’addebito della CMS in relazione al secondo trimestre 2009 in quanto le clausole che disciplinano la “ vecchia” CMS prevedono che tale commissione sia regolata e percepita su base trimestrale.

Tale circostanza, peraltro ben nota, avrebbe potuto indurre il legislatore a far esaurire il periodo transitorio con la conclusione del secondo trimestre, rendendo in tal modo incontestabile il diritto a percepire la CMS anche per il secondo trimestre.

Si presentano, ora, diverse opzioni interpretative per quanto concerne l’addebitabilità della commissione nel secondo trimestre, opzioni che risultano certamente influenzate da possibili diversi approcci alla clausola relativa alla CMS.

Secondo una prima interpretazione sarebbe possibile addebitare anche nel secondo trimestre la CMS, calcolata sulla punta massimo di utilizzo registrata nel lasso di tempo compreso tra il I° Aprile ed il 27.6.2009. E’ infatti del tutto evidente come, ai fini del conteggio della CMS, non si possa prendere in considerazione le punte di utilizzo massime che venissero registrate in conto corrente in data 29 e 30 giugno 2009 in quanto a queste date sarebbe pienamente operante la nullità sopravvenuta delle vecchie clausole relative alla CMS.

Dal 28 giugno infatti le clausole relative alla “vecchia” CMS non sarebbero più operanti e dunque la commissione sarebbe percepibile, anche dopo tale data, ma a condizione tuttavia che il diritto a percepire la commissione sia maturato prima di tale data.

Ora è decisivo prendere posizione sulla funzione della trimestralità della CMS.

La trimestralizzazione della commissione potrebbe esser valorizzata quale mera modalità e commisurazione del pagamento ( dovuto non più di una volta a trimestre) e dunque dovuta anche in caso di un trimestre incompleto. Per contro, il trimestre potrebbe esser valorizzato quale elemento temporale il cui decorso per intero costituisca uno dei presupposti del sorgere del diritto della banca.

In giurisprudenza non si rinvengono precedenti che affermino il buon diritto della banca a percepire la commissione di massimo scoperto anche in relazione ad un trimestre non compiuto perche , prima del suo decorso, sia intervenuto, per ipotesi, il recesso della banca dall’apertura di credito. La prassi è sicuramente in questo senso e tuttavia negli operatori non vi è una chiara consapevolezza del perché la banca possa percepire tale commissione in riferimento, diversamente da quanto pattuito, al più elevato saldo registrato sul c/c in un arco temporale inferiore al trimestre. Probabilmente entra in gioco il convincimento che, ove fosse proseguito per tutto il trimestre il rapporto contrattuale, la CMS, in concreto conteggiata a carico del cliente,non sarebbe potuto esser superiore a quella che si sarebbe potuto conteggiare a fine trimestre.

Nel caso dei contratti in corso pare, invece, che non si possa conteggiare la CMS in quanto, per effetto della nullità della clausola,sopraggiunta a far tempo dal 28.6.2009, non si possano più verificare tutte le circostanze che la clausola di CMS presupponeva.

E’, poi, di tutta evidenza che le banche si avvarranno dello jus variandi per adeguare i contratti in corso alle nuove previsioni normative, ciò comporterà, come vedremo, che, fatto salvo il diritto di recesso da parte del cliente, i contratti risulteranno adeguati, dopo che sarà decorso il preavviso di 30 giorni, che comincerà a decorrere dalla ricezione, da parte del cliente, della proposta di modifica unilaterale del contratto. Ciò comporterà per i contratti, che saranno stati adeguati, necessariamente nell’arco di una pluralità di giorni, in relazione ai diversi tempi di spedizione e ricezione, ma comunque prima del 28.6.2009, che la clausola relativa alla vecchia CMS venga sostituita da altra clausola che introduca la nuova CMS o altre possibili commissioni, pure previste dall’art.2 bis. Con la sostituzione/ abolizione della clausola, volta a regolare la “ vecchia” CMS, è ben difficile ipotizzare un addebito a tale titolo, in riferimento proprio al trimestre in cui sia intervenuta la modifica contrattuale. Se così non fosse, ove la banca, in sostituzione della “ vecchia” CMS introducesse una commissione di affidamento, da percepire, per ipotesi, trimestralmente, in proporzione all’accordato, si raggiungerebbe il singolare risultato di un duplice addebito, giustificabile solo ipotizzando la coesistenza della vecchia e della nuova clausola.

La Cassazione, con sentenza del 10.5.2005 n. 9747, in Giust. Civ., I, 108 ha statuito che “ qualora , nel corso di esecuzione di un rapporto contrattuale sopravvenga una norma che sancisce la nullità di un contratto ovvero di una clausola contrattuale, la sanzione di nullità incide sul rapporto contrattuale non consentendo al contratto di produrre ulteriori effetti”. Sarebbe davvero singolare che la fase transitoria di rinegoziazione ed adeguamento del contratto potesse consentire, anche per il secondo trimestre, l’ultrattività della clausola relativa alla CMS. Il periodo transitorio ha solo il limitato fine di ritardare la nullità sopravvenuta affinche la clausola, ancora valida, possa costituire oggetto di jus variandi.

Ove non fosse stato previsto il periodo transitorio e fosse stata comminata la nullità della clausola relativa alla CMS le banche non avrebbero potuto esercitare lo jus variandi per sostituire la clausola, colpita da nullità, ancorchè sopraggiunta.

L’esercizio dello jus variandi quanto ad una clausola presuppone comunque la validità della clausola che si intende modificare in quanto la nullità èdi per sé insanabile.

Può dunque ritenersi che il legislatore abbia operato una scelta consapevole e non casuale nel fissare la scadenza del termine ultimo per adeguare i contratti prima del compimento del secondo trimestre. La situazione della vecchia CMS è diversa da quella introdotta dalla L. n.154 del 1992 per quanto riguardava la nullità sopravvenuta delle clausole contrattuali che, per la determinazione dei tassi di interesse, rinviavano agli usi. E’ infatti evidente che gli interessi maturano giorno per giorno mentre la CMS in riferimento ad un arco temporale di un trimestre e per quanto concerne il secondo trimestre 2009, prima che sia interamente trascorso sarà non solo sopraggiunta la nullità della clausola ma questa sarà stata, verosimilmente, sostituita da altra.

Il legislatore con il III° comma dell’art.2 bis ha favorito l’adeguamento dei contratti in corso mediante lo strumento dello jus variandi, previsto dall’art.118 del TUB.

A tal fine è previsto espressamente che “l’obbligo” di adeguamento dei contratti in corso costituisca, ex lege, giustificato motivo per l’esercizio dello jus variandi da parte delle banche.

In mancanza di tale specifica previsione, l’intervento del legislatore, avuto riguardo alla sua significatività, anche in termini economici, avrebbe comunque potuto costituire un giustificato motivo per l’esercizio dello jus variandi ma, in tale ipotesi, sarebbe stato sempre possibile una diversa valutazione da parte del giudice circa la ricorrenza o meno del giustificato motivo.

Opportunamente dunque la norma ha voluto eliminare, in radice, ogni possibilità di contestazione circa la sussistenza o meno del giustificato motivo.

Lo jus variandi potrà essere esercitato certamente per riconfigurare la clausola relativa alla commissione di massimo scoperto ai nuovi requisiti richiesti a pena di nullità.

E’ interessante notare che in tale ipotesi lo jus variandi avrà ad oggetto non tanto le condizioni economiche dei contratti ma la riscrittura del regolamento contrattuale.

Il legislatore non dubita minimamente della possibilità di modificare in via unilaterale lo stesso dettato contrattuale. Ciò da un punto di vista sistematico rende non più sostenibile l’assunto di quanti, ivi compreso il Ministero dello Sviluppo Economico (vedi la nota del 21.2.2007 con cui il Ministero ha fornito, tra l’altro, dei non meglio precisati “ chiarimenti” sul novellato art.118 del TUB), pongono limitazioni all’esercizio dello jus variandi, che non trovano riscontro nel disposto testuale e cadono in contraddizione con quanto, invece, previsto nel codice del consumo circa lo jus variandi nei contratti, che hanno ad oggetto la prestazione di servizi finanziari, sia pur a tempo indeterminato.

Si pone a questo punto il problema se le banche, in alternativa all’introduzione di modifiche regolamentari, tali da legittimare il permanere della nuova CMS, possano rinunciare alla CMS ed introdurre altre commissioni, conformi a quelle ipotizzate nel I° comma dell’art.2 bis. Sul punto non avrei alcun dubbio in quanto ritengo non meritevole di accoglimento le pur autorevoli opinioni di quanti ritengono che lo jus variandi non possa comportare l’introduzione di nuove clausole e dunque di nuove commissioni.

Nel recente documento di consultazione, prodotto dalla Banca d’Italia in tema di trasparenza bancaria, per quanto concerne lo jus variandi, per la prima volta, andando di contrario avviso con le tuttora vigenti istruzioni ed.2003, la Banca d’ Italia esclude che con l’esercizio dello jus variandi si possano introdurre nuove clausole.

Sul piano normativo non è intervenuta alcuna modifica che giustifichi questa nuova presa di posizione della Banca d’Italia che risulta contraddittoria con quanto oggi prevede l’art.2 bis dove chiaramente lo jus variandi è ritenuto strumento idoneo per introdurre nel contratto nuove clausole contrattuali. E’ opportuno che si acquisisca la consapevolezza che la distinzione tra jus variandi degli aspetti economici del contratto e dei profili normativi non ha un saldo fondamento concettuale proprio perché ogni modifica economica passa, in modo più o meno significativo, per la riscrittura di una regola.

Soprattutto con riferimento ai contratti di massa a tempo indeterminato lo jus variandi, in un quadro quale è quello attuale di trasparenza, di obbligo al rispetto della buona fede contrattuale e di ampia tutela dei clienti, che, in qualsiasi momento possono recedere senza penalizzazioni, rappresenta una vera e propria necessità imprenditoriale e ogni ulteriore contenimento e limitazione dello jus variandi non farebbe altro che scoraggiare la conclusione di contratti a tempo indeterminato, che rappresentano un bene per le imprese, quale strumento per il contenimento dei costi amministrativi, connessi alla conclusione dei contratti ma un bene anche per i clienti in quanto consente loro di godere di un effetto trascinamento delle condizioni pattuite.

Lo jus variandi infatti per i limiti normativi connessi alla necessità che vi sia, per il suo esercizio, un giustificato motivo, ha un effetto di stabilizzazione e di raffreddamento dei costi bancari.

Al di là dell’esigenza di adeguare i contratti in corso a quanto disposto dall’art. 2 bis si pone da ultimo il problema se il giustificato motivo ex lege riguardi solo la riformulazione della clausola relativa alla CMS o anche l’introduzione, in sostituzione di detta clausola di una delle commissioni alternative.

Il terzo comma dell’art. 2 bis non si limita alla sola CMS ma più in generale parla di adeguamento alle disposizioni (tutte) del presente articolo. Diverso è invece il discorso nel caso in cui, in alternativa o in combinazione con le modifiche da apportare alla clausola relativa alla CMS, si intenda variare, in senso sfavorevole per i clienti, altre voci di costo. Se ad esempio si intendesse maggiorare i tassi di interesse non si potrebbe invocare un giustificato motivo ex lege a fondamento dell’esercizio dello jus variandi ma si dovrebbe indicare il motivo che giustifichi la variazione. A ben considerare il giustificato motivo, suscettibile di sindacazione da parte del giudice, potrebbe proprio esser individuato nel factum principis costituito dall’entrata in vigore della norma in questione. Il venir meno di importanti ricavi, si pensi ad esempio alla inapplicabilità della nuova CMS agli extrafido, potrebbe, infatti, giustificare un inasprimento dei tassi o l’introduzione di altre forme di penalizzazione.