x

x

Le ordinanze anticipatorie di condanna ed il processo societario

1. Introduzione

Nella disciplina sul nuovo processo societario di cognizione non è stata espressamente presa in considerazione dal legislatore delegato la possibilità che vengano adottate le ordinanze anticipatorie di condanna disciplinate espressamente negli artt. 186-bis, 186-ter e 186-quater, c.p.c. Dunque, particolarmente interessante è la questione problematica concernente la compatibilità di tali ordinanze con il rito societario di cognizione di cui agli artt. 2 ss., d.lgs. n. 5/2003. [1]

La questione merita di essere trattata e risolta alla luce di alcune preliminari precisazioni.

In primo luogo, va evidenziato che il processo societario a cognizione piena è suddiviso in due fasi: una fase a contraddittorio autogestito e una fase dinanzi al giudice. Nella fase preparatoria, il contraddittorio si articola direttamente tra le parti, senza alcun intervento del giudice. Essa ha inizio con la notificazione dell’atto di citazione e prosegue con una serie di ulteriori atti destinati alla fissazione del thema decidendum e del thema probandum. Tale fase termina con la notificazione dell’istanza di fissazione dell’udienza che, oltre a segnare il passaggio della causa dalla fase pre-trial alla fase trial, fa scattare, anche anticipatamente, le preclusioni mobili sul thema decidendum e thema probandum. La fase dinanzi al giudice ha inizio con la notificazione ed il deposito dell’istanza di fissazione dell’udienza nella cancelleria del Tribunale ad opera di una delle parti che intende porre fine alla fase preparatoria e si sviluppa, dapprima, attraverso il decreto di fissazione dell’udienza ai sensi dell’art. 12, d.lgs. n. 5/2003 (predisposto dal giudice relatore) e, poi, attraverso la successiva fase di istruzione, trattazione e discussione dinanzi al giudice collegiale. Non è mancato chi ha individuato con maggiore precisione e rigorosità le diverse fasi del processo societario [2]. Lo studio delle ordinanze anticipatorie di condanna e del loro rapporto con il processo societario, affinché sia chiaro e metodologicamente corretto, va affrontato alla luce delle diverse fasi che caratterizzano e contraddistinguono il nuovo rito.

In secondo luogo, un discorso unitario sul problema della compatibilità di tali ordinanze con il processo societario incontra degli ostacoli non facilmente superabili, né tantomeno necessari da compiere. Infatti, i diversi presupposti applicativi delle ordinanze in esame, l’improponibilità della domanda avente ad oggetto l’ordinanza decisionale di cui all’art. 186-quater prima della conclusione della fase istruttoria e la differente natura dei provvedimenti di cui agli artt. 186-bis e 186-ter rispetto a quella dell’art. 186-quater [3] sono alcuni dei motivi che depongono in favore di una trattazione per quanto possibile unitaria e, poi, tendenzialmente analitica del problema.

Premesso ciò, la questione in esame, già affrontata – succintamente o con più attenzione - nei diversi manuali o saggi di diritto processuale societario e di diritto processuale civile dai veri Maestri e Studiosi di procedura civile, nasce da alcuni semplici osservazioni.

Come già detto, il legislatore societario non ha introdotto alcuna disposizione che disciplini in modo espresso le ordinanze anticipatorie di condanna nel rito societario. Tuttavia, nel d.lgs. n. 5/2003 è previsto all’art. 1, comma 4, d.lgs. n. 5/2003 che <<per quanto non diversamente disciplinato dal presente decreto, si applicano le disposizioni del codice di procedura civile, in quanto compatibili>>. La previsione in esame contiene una valvola di chiusura della disciplina sul processo societario di notevole importanza sistematica il cui valore è ridotto o accresciuto dalla dottrina e dalla giurisprudenza in base all’importanza che le stesse attribuiscono ad un periodo contenuto nella Relazione illustrativa del decreto delegato processuale, secondo cui l’intenzione del legislatore societario è stata quella di costruire una normativa pressoché sempre autosufficiente. Infatti, laddove si dovesse ritenere che solo in via residuale si possa ricorrere alla disciplina sul processo civile la portata sistematica dell’art. 1, comma 4, d.lgs. n. 5/2003, avrebbe un valore ridotto rispetto a quella ricavabile dalla lettura del solo testo di legge.

Occorre a questo punto interrogarsi sull’eventuale trait d’union che lega il processo societario e le ordinanze anticipatorie di condanna.

E’ immediatamente percepibile il potenziale ruolo di accelerazione che tali ordinanze hanno nella definizione, totale o parziale, del procedimento. Dato che il d.lgs. n. 5/2003 mira ad accelerare la definizione delle controversie in materia societaria, commerciale e bancaria, vi è un elemento, anche se da solo debole, che accomuna i due punti focali del nostro discorso e che, sul piano funzionale, potrebbe renderli potenzialmente <<compatibili>>. Tuttavia, il dato strutturale differenziale tra rito societario e rito ordinario in cui sono collocate le ordinanze di cui agli artt. 186-bis ss., c.p.c., è di fondamentale importanza per la soluzione della questione.

2. Le ordinanze anticipatorie di condanna nella fase a contraddittorio autogestito del processo societario.

Analizzando le caratteristiche delle ordinanze anticipatorie di condanna e la struttura della fase preparatoria del processo societario vengono spontanee due ordini di considerazioni.

In primo luogo, l’ordinanza anticipatoria di condanna è pronunciata dal giudice (istruttore), mentre la fase preparatoria del processo societario è interamente affidata al contraddittorio autogestito delle parti. Quindi, si tratta di capire se nella fase di <<autogestione>> del rito societario, nel silenzio della legge, sia ammissibile un intervento del giudice per pronunciare sulla stessa.

In secondo luogo, l’ordinanza successiva alla chiusura dell’istruzione di cui all’art. 186-quater, c.p.c., non può essere presa in considerazione nella presente sede, posto che solo nella fase trial, che segue alla fase preparatoria, si avrà l’istruttoria. E’ evidente, dunque, l’incompatibilità di tale misura con la fase preparatoria del rito speciale, in cui si è ben lontani dall’esaurimento dell’istruttoria.

Premesso ciò, nel presente paragrafo verrà affrontata la questione dell’ammissibilità delle ordinanze di cui agli artt. 186-bis e 186-ter nella fase preparatoria del rito commerciale, con la precisazione che la soluzione di tale problema è importante anche per poter ricostruire correttamente il sistema delle preclusioni nel processo societario [4].

La fase di <<autogestione>>, in quanto riservata alle parti, non dovrebbe consentire l’intervento del giudice prima dell’istanza di fissazione dell’udienza [5]. Quindi, in tale fase, a prima facie andrebbe esclusa l’applicazione di tali ordinanze – che presuppongono, viceversa, la pronuncia di un giudice – [6].

Parte della dottrina e della giurisprudenza di merito non concorda con tale soluzione.

In primo luogo, è stato evidenziato che l’art. 2, comma 3, d.lgs. n. 5/2003 – introdotto dal decreto correttivo n. 37/2004 – è una disposizione che, regolando espressamente uno specifico subprocedimento per la concessione o la sospensione della provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo opposto, offre uno strumento processuale con ampie potenzialità operative, il cui utilizzo non può essere limitato irragionevolmente alla sola pronuncia dei provvedimenti di cui agli artt. 648 c.p.c. e 649 c.p.c. [7]. La dottrina dominante è dell’idea che il procedimento disciplinato nell’art. 2, 3 comma, d.lgs. n. 5/2003, possa essere utilizzato anche ai fini della concessione delle ordinanze provvisionali di condanna di cui agli artt. 186 bis e 186 ter, c.p.c. [8]. A sostegno di tale soluzione propende un ulteriore elemento di indubbia rilevanza che è il riconoscimento in capo ai provvedimenti dell’art. 648 e 649 c.p.c. della natura tecnicamente anticipatoria [9]

Tale soluzione non appare condivisibile. Il rito societario è stato strutturato affidando la fase preparatoria alle parti processuali. L’intervento del giudice non sembra possibile nella fase preparatoria se non in casi eccezionali, altrimenti l’interprete corre il rischio di andare oltre la lettera della legge e la lettura sistematica delle norme. Se si sostiene che l’art. 3, 2 comma, d.lgs. n. 5/2003, ha <<ampie potenzialità operative>> non si può non pervenire alla soluzione logica che il giudice ha ampie potenzialità operative nella fase preparatoria del rito societario. Ma non è così. La definizione del thema decidendum e probandum nella fase pre-trial è affidata alle parti e non sembra che si possa derogare, al di là di una valida norma derogatoria, a siffatto principio di carattere generale.

La strada da percorrere sembrerebbe allora un’altra. La legge n. 263 del 2005 [10] ha espressamente previsto, sia all’art. 186bis che all’art. 186ter, che <<se l’istanza è proposta fuori dall’udienza il giudice dispone la comparizione delle parti ed assegna il termine per le notificazioni>>. E’ stato sottolineato in dottrina che <<qualche ulteriore spunto per rivedere l’interpretazione delle norme del processo societario lo si può cogliere anche pensando alle minime modifiche apportate agli artt. 186 bis e 186 ter c.p.c., laddove si è previsto espressamente (ma forse non ve ne era bisogno) che se l’istanza di condanna è presentata fuori udienza, il giudice deve disporre la comparizione delle parti. Da tale innesto si potrebbe, con più forza, sostenere che ciò è possibile anche all’interno del processo societario, ancorché il legislatore abbia limitato una analoga previsione alle istanze ex artt. 648 e 649 c.p.c.>> [11].

Tale osservazione non consente di pervenire ad una soluzione diversa del problema. Se le prime applicazioni del processo societario hanno mostrato che non è possibile proporre in assoluto una netta distinzione tra fase a contraddittorio autogestito e fase dinanzi al giudice, tuttavia, non è nemmeno possibile arrivare a travisare il testo dell’art. 1, 4 comma, d.lgs. n. 5/2003 che, parlando di <<compatibilità>>, fa riferimento almeno alle caratteristiche essenziali del nuovo processo nei suoi rapporti col rito ordinario. L’intervento del giudice nella fase preparatoria del rito societario può trovare fondamento solo in una specifica previsione che lo consente. In conclusione, non solo non vi è compatibilità in base al rinvio dell’art. 1, comma 4, ma non vi è nemmeno la possibilità di un’applicazione in via analogica delle disposizioni codicistiche in esame alla fase a contraddittorio autogestito del rito societario. Sul punto solo il legislatore potrà dire altrimenti.

3. Le ordinanze anticipatorie di condanna nella fase trial del processo societario. Le ordinanze per il pagamento di somme non contestate (186-bis, c.p.c.) e l’ordinanza-ingiunzione (186-ter, c.p.c.).

L’applicabilità delle ordinanze anticipatorie di condanna nella fase trial del processo societario appare collegata al superamento di almeno due ostacoli di carattere tecnico: a) il limite preclusivo all’ammissibilità di nuove istanze a seguito della notificazione ed il deposito dell’istanza di fissazione dell’udienza; b) il giudice competente a decidere sulle ordinanze in esame.

Innanzitutto, occorre capire se la <<istanza di parte>> di cui all’art. 186-bis (e, dunque, da qui in poi anche di cui all’art. 186-ter, c.p.c.) può essere avanzata dopo la notificazione dell’istanza di fissazione dell’udienza. Parte della giurisprudenza di merito – dopo aver ritenuto applicabile le ordinanze in esame alla sola fase preparatoria del rito societario - ha sostenuto che il termine della notifica dell’istanza di fissazione dell’udienza costituisce il limite ultimo entro cui formulare le istanze in esame, posto che a seguito di questa le parti decadono dal potere di proporre eccezioni non rilevabili d’ufficio, di precisare e modificare le domande già proposte, di formulare ulteriori istanze istruttorie e di produrre nuovi documenti [12]. La soluzione, d’altronde, troverebbe conferma espressa anche nel dato letterale impiegato dal legislatore societario all’art. 9, 2 comma, in cui si parla di <<nota di precisazione delle conclusioni di cui all’art. 10, comma 1>>. In mancanza del deposito della nota di precisazione, restano ferme le conclusioni avanzate nel primo atto difensivo.

Parte della dottrina, viceversa, ha sostenuto che l’istanza di cui all’art. 186bis può essere presentata dopo l’istanza di fissazione dell’udienza, almeno nei casi in cui non si possa pervenire alla decisione della causa nella prima udienza fissata per la discussione [13].

Ulteriore questione problematica, laddove si ammetta l’applicabilità delle ordinanze nella fase trial del rito commerciale, è l’individuazione del giudice che dovrebbe decidere su di esse: il giudice relatore o il giudice collegiale? A ben vedere, la prima soluzione appare incompatibile con il rito societario, l’altra è eccessiva ed incompatibile con la disciplina codicistica. La prima è incompatibile con la disciplina del d.lgs. n. 5/2003 perché il giudice istruttore è una figura che non esiste nel rito societario (anche se va evidenziato che in dottrina si tendono ad eclissare eccessivamente alcune affinità tra la figura del giudice relatore e la figura del giudice istruttore). La seconda soluzione contrasta con le previsioni codicistiche che affidano la pronuncia sulle ordinanze anticipatorie di condanna (che restano comunque modificabili e revocabili) ad un solo giudice. D’altronde, la giurisprudenza di legittimità è orientata nel sostenere che l’emissione dell’ordinanza di condanna al pagamento di somme non contestate (art. 186-bis, c.p.c.) spetta alla competenza funzionale del giudice istruttore e perciò non può essere emessa dal giudice della decisione della causa. [14]

Dunque, mi pare che il vero problema sia quello di definire che cosa s’intenda per compatibilità. Come correttamente evidenziato da autorevole dottrina, il rinvio di cui all’art. 1, comma 4, d.lgs. n. 5/2003, <<non è né integrale, né automatico, ed il riferimento alla condizione di compatibilità non appare il frutto di un’inutile precisazione, in quando evidentemente, il legislatore delegato ha inteso subordinare il rinvio non solo alla incompatibilità in concreto tra i due ordini di norme (cioè tra i due modelli processuali), ciascuno di essi singolarmente preso, ma anche alla incompatibilità che deriva dalla diversità di struttura e di funzione dei due procedimenti, quello ordinario e quello societario>> [15].

Perciò, se la compatibilità viene intesa in termini assoluti, non è ammissibile tout court l’applicazione dell’art. 186-bis, c.p.c., al rito societario. Non è applicabile alla fase a <<contraddittorio autogestito>> perché, nel silenzio della legge, un intervento del giudice nella fase riservata alle parti non è possibile, salvo che l’interprete non voglia completamente stravolgere il disegno legislativo. Non è applicabile alla fase trial perché il d.lgs. n. 5/2003 non parla espressamente di giudice istruttore e perché rappresenterebbe una soluzione eccessiva ammettere che sulle ordinanze in esame si pronunci il giudice collegiale.

Laddove si aderisca ad una concezione meno rigorosa del concetto di compatibilità, si potrebbe procedere ad una verifica di <<compatibilità relativa a carattere generale>> volta ad appurare se ci siano incompatibilità sistematiche e funzionali superate le quali la norma processuale civile è applicabile al rito societario. Leggendo le norme di cui al d.lgs. n. 5/2003 è possibile suddividere il modello processuale societario in due sottofasi: una senza l’intervento del giudice (se non in casi eccezionali) e l’altra con l’intervento del giudice. Entrambe le fasi sono state strutturate al fine di rendere celere la definizione del processo societario. Sotto il profilo della compatibilità generale, la fase che consente di ospitare nel processo societario la disposizione dell’art. 186bis è certamente la fase trial. In questo secondo caso, si pone un problema – ovviamente da risolvere - di <<incompatibilità specifica>> che concerne in modo particolare il giudice competente a decidere sulla stessa e il limite preclusivo dettato dall’art. 10, 2 comma, d.lgs. n. 5/2003. Tuttavia, tali incompatibilità specifiche non mutano la struttura e la funzione generale della fase trial del processo societario e, quindi, del modello processuale nel suo complesso, che resta tale, salvo i necessari adattamenti.

Le due soluzioni appena illustrate – una più rigorosa (con cui si ritengono inapplicabili ad ogni fase del rito societario le ordinanze anticipatorie di condanna), l’altra meno (con cui si ritengono applicabili, entro gli ovvi limiti, nella sola fase dinanzi al giudice) – appaiono quelle maggiormente condivisibili. Infatti, è incoerente sostenere che nella fase preparatoria del rito societario, nel silenzio della legge (a differenza di quanto previsto nell’art. 3, comma 2, d.lgs. n. 5/2003) e in mancanza di un giudice, sia possibile ammettere l’applicazione delle ordinanze anticipatorie di condanna per poi negarne tout court l’applicazione nella fase apud judicem in base a motivi preclusivi, gli stessi che nel rito civile non ostacolano la pronuncia sulle ordinanze in esame.

Al di là della soluzione accolta, quattro, in sintesi, sono i modelli risolutivi della questione: 1) c’è chi sostiene la completa applicabilità delle ordinanze anticipatorie di condanna nel processo societario; 2) chi ne ammette la completa inapplicabilità; 3) chi ancora condivide l’applicabilità nella sola fase preparatoria (fino alla notificazione dell’istanza di fissazione dell’udienza) ed, infine, 4) chi le ritiene applicabili nella sola fase apud judicem.

In ogni caso, la presenza di un procedimento sommario quale quello introdotto con l’art. 19 dovrebbe, in concreto, far diminuire le ipotesi in ci può essere bisogno di provvedimenti anticipatori interinali [16].

4. (Segue): L’ordinanza post-istruttoria (art. 186-quater, c.p.c.).

L’art. 16, 5 comma, d.lgs. n. 5/2003 prevede che la decisione sia emessa <<a norma dell’art. 281sexies del codice di procedura civile>> [17], ovvero con pronuncia immediata al termine della discussione orale [18].

Dunque, quando il collegio, conclusa l’assunzione dei mezzi di prova, pronuncia nella stessa udienza sentenza con stesura a verbale non vi è alcun spazio applicativo per l’art. 186-quater [19]. Tuttavia, ben può accadere che il collegio, esaurita l’assunzione delle prove, fissi un’ulteriore udienza collegiale per la decisione o per ammettere uno strumento istruttorio deducibile d’ufficio. In tal caso, l’istanza di cui all’art. 186quater potrà essere richiesta direttamente all’udienza [20].



[1] Sul tema delle ordinanze anticipatorie di condanna nel processo societario, tra gli altri, Proto Pisani, La nuova disciplina del processo societario (note a prima lettura), in Foro it., 2003, V, 10; Vivaldi, Commento art. 16, in La riforma del diritto societario, a cura di Lo Cascio, I procedimenti (D.Lgs. 17 gennaio 2003), Milano, 2003, 172; Cecchella, Il nuovo rito ordinario per le liti societarie: un’anticipazione della riforma del processo civile, in www.judicium.it, par. 4; Trisorio Liuzzi, Il nuovo rito societario: il procedimento di primo grado davanti al tribunale, in www.judicium.it, par. 13; Ziino, Le nuove disposizioni sul processo societario (decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5). Il giudizio di primo grado, in www.judicium.it, par. 15; Ambrosio, Amendola, Nuovi procedimenti societari, Milano, 2004, 137; Carratta, sub Art. 2, Il nuovo processo societario, in Commentario diretto da Chiarloni, Bologna, 2004, 152; Arieta, De Santis, Diritto processuale societario, Padova, 2004, 274 ss.; Gasperini, sub. Art. 2, in Commentario dei processi societari, diretto da Arieta e De Santis, I, Roma-Salerno, 2007, 165; Iannicelli, sub art. 16, in Commentario dei processi societari, cit., 473 ss. e 488 ss.; Giorgetti, Il nuovo processo societario, a cura di D’Alessandro, Giorgetti, Santagata, Zumpano, Milano, 2006, 31; Briguglio, La riforma della società. Il processo, a cura di Sassani, Torino, 2003, 168; Fabiani, La partecipazione del giudice al processo societario, in www.judicium.it, par. 8.4; Dalfino, sub art. 2, I procedimenti in materia commerciale. Commento sistematico al D.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5 e successive modificazioni ed integrazioni, a cura di Costantino, Padova, 2005, 81; Didone, Il processo societario di cognizione, Milano, 2005, 83-84; Passarella, Processo civile e processo societario. Riti a confronto, Torino, 2006, 359 ss.

[2] Così, tra gli altri, Proto Pisani, Lezioni di diritto processuale civile, Napoli, 2006, 844, il quale distingue il processo societario in una fase preparatoria, che va dalla notifica dell’atto di citazione al deposito dell’istanza di fissazione dell’udienza e della nota contenente la precisazione delle conclusioni della controparte, una seconda fase che va dalla designazione del giudice relatore al deposito da parte del giudice relatore del decreto di fissazione dell’udienza ed, infine, la fase dell’udienza di discussione davanti al collegio, fase di trattazione, di eventuale istruzione e decisione della controversia

[3] Su tale ultimo punto, Proto Pisani, Lezioni, cit., 578, evidenzia che l’ordinanza disciplinata dall’art. 186-quater si differenzia dalle altre due regolate negli artt. 186-bis e 186-ter poiché si tratta di un provvedimento anticipatorio a cognizione piena e non sommaria posto che l’anticipazione consiste pressoché solo nella semplificazione delle forme del provvedimento. Inoltre, l’art. 186-quater regola un provvedimento tendenzialmente sostitutivo di una sentenza. A seguito della modifica introdotta con l’articolo 2 della legge 28 dicembre 2005, n.263, l’art. 186-quater, 4 comma, c.p.c., prevede che <<l’ordinanza acquista l’efficacia della sentenza impugnabile sull’oggetto dell’istanza se la parte intimata non manifesta entro trenta giorni dalla sua pronuncia in udienza o dalla comunicazione, con ricorso notificato all’altra parte e depositato in cancelleria, la volontà che sia pronunciata la sentenza>>. Quindi, il ruolo di tale ordinanza nella definizione del processo è stata ulteriormente rafforzata prevedendo, a differenza del passato, che l’ordinanza post-istruttoria acquista automaticamente l’efficacia della sentenza impugnabile sull’oggetto dell’istanza se la parte intimata non esprime la volontà che sia pronunciata la sentenza. Luiso, Diritto processuale civile, II, Milano, 2007, sottolinea che dalle ultime parole del primo comma dell’art. 186-quater, in base al quale <<con l’ordinanza il giudice provvede sulle spese processuali>>, si ricava che l’ordinanza deve potenzialmente essere sostitutiva di una sentenza definitiva. Per lo studio delle singole ordinanze si rinvia alla estesa letteratura sul tema.

[4] Infatti, laddove si dovesse ritenere che la parte interessata possa ottenere un provvedimento anticipatorio di condanna, senza essere costretta a presentare l’istanza di fissazione dell’udienza, la stessa potrebbe completare successivamente le proprie attività assertive o asseverative. Viceversa, se si dovesse ritenere che la parte interessata possa chiedere che il giudice si pronunci con ordinanza decisoria solo al momento della notificazione dell’istanza di fissazione dell’udienza ai sensi dell’art. 10 d.lgs. 5/2003, ne discenderebbe quale effetto preclusivo “generale” che tutte le parti decadrebbero <<dal potere di proporre nuove eccezioni, di precisare o modificare le domande o eccezioni già proposte, nonché di formulare nuove istanze istruttorie e depositare nuovi documenti>>.

[5] Si dichiara apertamente contrario ad ammettere in toto la pronuncia dei provvedimenti in questione nel rito commerciale Ziino, loc. ult. cit., per il quale «le nuove disposizioni non fanno alcun cenno alla possibilità di richiedere provvedimenti anticipatori di condanna e la loro concessione trova un rilevante ostacolo nel fatto che, nel processo ordinario di cognizione, questi provvedimenti sono emessi dal giudice istruttore, figura che non esiste nel processo societario».

Contrario ad ammettere in toto l’applicabilità dell’art. 186-ter, c.p.c., al processo societario, è anche Trib. Trento, ord. 24.02.2005, in www.associazionepreite.it, il quale ha sostenuto in primo luogo, che <<il legislatore del nuovo rito, al di fuori dei casi espressamente previsti, non ha inteso consentire l’adozione di ulteriori provvedimenti di condanna (anticipatori o meno) a cognizione sommaria, alla cui categoria appartiene l’ordinanza di ingiunzione ex art. 186-ter, c.p.c.>> ed <<in secondo luogo, anche la struttura del subprocedimento ex art. 186-ter, c.p.c., appare incompatibile con quella del nuovo rito speciale. Secondo il codice, l’ordinanza di ingiunzione viene pronunciata dal giudice istruttore in ogni stato del processo, su istanza di parte presentata fino al momento della precisazione delle conclusioni. E’ connaturale a questo modello che l’ordinanza sia pronunciata prima della fase decisoria, aperta dalla precisazione delle conclusioni, in conformità della funzione anticipatoria del provvedimento. Nel nuovo rito speciale, tuttavia, non esiste il giudice istruttore, svolgendosi la fase introduttiva e preparatoria del processo, con la fissazione del thema decidendum e probandum, al di fuori del contatto con il giudice adito, fino alla presentazione dell’istanza di fissazione dell’udienza di discussione, che fa scattare ogni preclusione assertiva ed istruttoria. Non è prevista la designazione di un magistrato ad hoc per la trattazione di istanze di condanna anticipatoria, come invece stabilisce l’art. 2, comma 3 (aggiunto dal D. Lgs. 37/2004), per l’adozione dei provvedimenti di cui agli artt. 648 (disposizione per molti versi ascrivibile all’ambito della tutela sommaria non cautelare) e 649 c.p.c. nelle cause di opposizione a decreto ingiuntivo introdotte col rito “societario”, ovvero ancora l’art. 24 per l’adozione dei provvedimenti cautelari in corso di causa. Inoltre, i poteri del giudice istruttore non sono attribuiti tout court al giudice relatore che redige il decreto ex art. 12, D. Lgs. cit. Potrebbe ipotizzarsi che l’ordinanza d’ingiunzione sia pronunciabile dal tribunale (in composizione collegiale o monocratica) nell’udienza di discussione di cui all’art. 16, ma a ciò osta la tendenziale attitudine, propria dell’udienza di discussione, a sfociare nella decisione della causa, essendo solo eventuale la fissazione di altra udienza, giustificata dalla necessità di assumere mezzi istruttori. In conclusione, l’art. 186-ter, c.p.c., va considerato incompatibile con le disposizioni del D. Lgs. 5/2003, cosicché l’istanza in esame dev’essere dichiarata inammissibile>>.

[6] In senso contrario, Trib. Udine, ord. 17.11.2004, in Giur. merito 2005, 5, 1146, il quale ha sostenuto che le istanze ex artt. 186 bis e ter, purché ne ricorrano i presupposti, possono essere formulate in qualunque fase del processo e <<fino al momento della precisazione delle conclusioni>>. Sicché, ha ritenuto inammissibili, in quanto tardivamente formulate, le istanze di cui agli art. 186 bis e ter c.p.c. proposte solo in sede di udienza di discussione della causa fissata ex art. 16 d.lgs. n. 5/2003. Secondo il giudice di merito, si deve ritenere che il termine ultimo della precisazione delle conclusioni corrisponde nel rito societario alla notifica dell’istanza di fissazione dell’udienza, posto che a seguito di questa le parti decadono dal potere di proporre eccezioni non rilevabili d’ufficio, di precisare e modificare le domande già proposte, di formulare ulteriori istanze istruttorie e di produrre nuovi documenti.

Aderendo a tale soluzione è possibile sostenere che un’istanza per la concessione dell’ordinanza di cui all’art. 186-bis proposta prima della notifica dell’istanza di fissazione dell’udienza non sarebbe concepibile nel processo societario se non in relazione alle ammissioni esplicite e ai fatti espressamente non contestati. Cfr. Didone, loc. ult. cit.

[7] Carratta, loc. ult. cit.

[8] Così, Giorgetti, Fase preparatoria e istanza di fissazione dell’udienza, cit., 31; Dalfino, loc. ult. cit.; Carratta, loc. ult. cit.; Cecchella, op. cit., par. 9; Gasperini, loc. ult. cit.

E’ evidente che, ammessa l’applicabilità delle ordinanze anticipatorie di condanna nella fase preparatoria del processo societario, residua comunque il problema del giudice competente a decidere su di esse. In merito, si potrebbe ritenere di estendere alla questione in esame le soluzioni proposte in dottrina sull’art. 2, 3 comma d.lgs. 5/2003, distinguendo tra chi ritiene che il giudice designato per i predetti provvedimenti sia un giudice ad hoc (designato dal presidente e che esaurisce il suo compito in tale pronuncia) e chi, viceversa, ritiene che la presentazione dell’istanza ai sensi dell’art. 2, 3 d.lgs. 5/2003 (e, quindi, degli artt. 186bis e 186ter), determini l’anticipazione della designazione del giudice relatore, con la conseguenza che il termine per il deposito del decreto di fissazione dell’udienza fissato dall’art. 12, 2 d.lgs. 5/2003 decorre da questa designazione. Iannicelli, op. cit, 474, ritiene invece che le ordinanze di cui si discute non possono essere pronunciate dal giudice relatore, ma dal collegio, poiché in base a quanto previsto nel d.lgs. n. 5/2003 è possibile investire unilateralmente il giudice nella fase preparatoria soltanto in casi tipici e tassativi.

[9] Gasperini, loc. ult. cit.. Sulla natura tecnicamente anticipatoria dei provvedimenti di cui agli artt. 648 e 649 c.p.c., tra gli altri, Carratta, Profili sistematici della tutela anticipatoria, Torino, 1997, 482 ss.

[10] <<Interventi correttivi alle modifiche in materia processuale civile introdotte con il decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 maggio 2005, n. 80, nonché ulteriori modifiche al codice di procedura civile e alle relative disposizioni di attuazione, al regolamento di cui al regio-decreto 17 agosto 1907, n. 642, al codice civile, alla legge 21 gennaio 1994, n. 53, e disposizioni in tema di diritto alla pensione di reversibilità del coniuge divorziato>>

[11] Così, Fabiani, in Postilla minima sul rito societario dopo la legge 28/12/2005 n. 263, in www.judicium.it

[12] Trib. Udine, ord. 17 dicembre 2004, cit.

[13] Didone, loc. ult. cit.; Briguglio, loc. ult. cit., ha sostenuto che <<nel corso dell’udienza di discussione, le quante volte da essa non possa trasmigrarsi direttamente alla sentenza, saranno richiedibili le misure anticipatorie ex art. 186bis e ter>>; Arieta, De Santis, loc. ult. cit., ritiene formulabili le ordinanze in esame anche all’udienza; Iannicelli, op. cit., 473.

[14] Cass., 22 gennaio 1998, n. 609, in Giust. civ. Mass. 1998, 132

[15] Arieta, De Santis, op. cit., 58.

[16] In tal senso, Briguglio, loc. ult. cit..

Per l’osservazione che sussiste eadem ratio ed ambito di applicazione tra il provvedimento ex art. 19, quello monitorio e l’ordinanza ex art. 186ter, Sassani-Tiscini, in Il nuovo processo societario, Prima lettura del d.lgs. n. 5 del 2003, in Giust. Civ., 2003, II, 52.

Di diverso avviso, Cavallini, Il procedimento sommario di cognizione nelle controversie societarie, in Relazione svolta nell’incontro di studio sul tema “I nuovi procedimenti in materia di diritto societario”, promosso dal Consiglio Superiore della Magistratura in Roma, nei giorni 3 – 5 giugno 2003, il quale sostiene che <<il procedimento sommario, così com’è delineato dall’art. 19, ha veramente poco a che vedere dal punto di vista sistematico con le già conosciute ed ampiamente studiate ordinanze anticipatorie di condanna di cui agli artt. 186 bis e ter e quater>>. L’A. prosegue sostenendo che <<il procedimento delineato nell’art. 19, proprio in quanto procedimento autonomo ed alternativo al processo ordinario a cognizione piena, non può appartenere per definizione alla c.d. tutela anticipatoria, in cui elementi strutturali comuni, pur nella vastità e soprattutto eterogeneità delle singole misure dettate dal legislatore in varie occasioni (nonché nel rischio di sovrapposizione con forme di tutela sommaria tipicamente cautelare, come l’art. 700 c.p.c., ove l’anticipazione degli effetti di una decisione di merito è una prerogativa strutturale costante anche se funzionalmente non esclusiva), possono essere ricondotti semplicemente a due: 1) l’attuale pendenza di un processo di cognizione al tempo della loro emanazione; 2) l’idoneità di fornire alla parte istante un’anticipazione degli effetti satisfattivi della sentenza di condanna, (per lo più) immediatamente esecutivi, o con esecutività provvisoria demandata a chiari parametri normativi (v. art. 186 ter)>>. Da tale premessa, ne consegue che l’istituto si vuole distinguere da qualsivoglia strumento di tutela anticipatoria conosciuto <<proprio perché, non presupponendo la pendenza di un ordinario processo di cognizione, non svolge alcuna funzione anticipatoria alla definizione “normale” di tale processo, assicurando al creditore–attore un’anticipata possibilità di procedere ad esecuzione forzata mediante un provvedimento immediatamente esecutivo sì, ma nel contempo necessariamente modificabile e revocabile lite pendente (financo e soprattutto per una diversa valutazione da parte del giudice dei presupposti di ammissibilità dell’ordinanza) ed inevitabilmente destinato ad esser assorbito dalla pronuncia di primo grado (si pensi, per tutti, all’art. 186 bis)…>>.

[17] Viene dunque ripetuto quanto già affermato a proposito del procedimento innanzi al tribunale in composizione monocratica. Sul punto, si v. le osservazioni di Montesano, Arieta, Trattato di diritto processuale civile, 1. Principi generali. Rito ordinario di cognizione, Padova, 2001, 1627 ss., spec. 1638; Liccardo, Le forme della decisione, in Nuovo processo civile e giudice unico. La giustizia civile tra crisi e riforme, Milano, 2000, 142.

[18] Arieta, De Santis, op. cit., 275. Per la stessa ragione, si esclude l’applicabilità dell’art. 184-quater anche nella fase decisoria. In quest’ultimo senso, Proto Pisani, La nuova disciplina del processo societario, cit., 10 ss.; Trisorio Liuzzi, op. cit., par. 14; Fabiani, op. cit., par. 8.4.

[19] Cfr. Iannicelli, op. cit., 489, il quale sostiene che <<in questa situazione non è individuabile un effetto anticipatorio che giustifichi l’ordinanza ex art. 184quater, poiché non sussiste alcuno iato tra chiusura dell’istruzione e decisione>>

[20] In tal senso, Metafora, La fase decisoria del processo commerciale di cognizione, in www.judicium.it, secondo cui <<Più in generale, può osservarsi che il problema della sovrapposizione della norma di cui all’art. 16 con la disposizione contenuta nell’art. 186 quater si pone solo quando il tribunale provveda in un’unica udienza a discutere la causa e a deciderla con sentenza c.d. contestuale. Non può escludersi tuttavia che il tribunale, per necessità istruttorie o per l’esigenza di predisporre un supplemento di discussione (ad es. a seguito del rilievo di questioni di rito e di merito rilevabili d’ufficio) differisca ad altra udienza la discussione e la contestuale pronuncia della sentenza, poiché sussistendo l’interesse all’anticipazione della decisione di merito all’esito dell’esaurimento della discussione, va conseguentemente ammessa la possibilità di emissione dell’ordinanza>>. Tuttavia, tale tesi non sembra applicabile al di fuori della fase decisoria, unica fase del rito societario in cui è ammissibile strutturalmente l’udienza. Indi per cui, va certamente esclusa l’applicazione dell’art. 186-quater nella fase preparatoria.

1. Introduzione

Nella disciplina sul nuovo processo societario di cognizione non è stata espressamente presa in considerazione dal legislatore delegato la possibilità che vengano adottate le ordinanze anticipatorie di condanna disciplinate espressamente negli artt. 186-bis, 186-ter e 186-quater, c.p.c. Dunque, particolarmente interessante è la questione problematica concernente la compatibilità di tali ordinanze con il rito societario di cognizione di cui agli artt. 2 ss., d.lgs. n. 5/2003. [1]

La questione merita di essere trattata e risolta alla luce di alcune preliminari precisazioni.

In primo luogo, va evidenziato che il processo societario a cognizione piena è suddiviso in due fasi: una fase a contraddittorio autogestito e una fase dinanzi al giudice. Nella fase preparatoria, il contraddittorio si articola direttamente tra le parti, senza alcun intervento del giudice. Essa ha inizio con la notificazione dell’atto di citazione e prosegue con una serie di ulteriori atti destinati alla fissazione del thema decidendum e del thema probandum. Tale fase termina con la notificazione dell’istanza di fissazione dell’udienza che, oltre a segnare il passaggio della causa dalla fase pre-trial alla fase trial, fa scattare, anche anticipatamente, le preclusioni mobili sul thema decidendum e thema probandum. La fase dinanzi al giudice ha inizio con la notificazione ed il deposito dell’istanza di fissazione dell’udienza nella cancelleria del Tribunale ad opera di una delle parti che intende porre fine alla fase preparatoria e si sviluppa, dapprima, attraverso il decreto di fissazione dell’udienza ai sensi dell’art. 12, d.lgs. n. 5/2003 (predisposto dal giudice relatore) e, poi, attraverso la successiva fase di istruzione, trattazione e discussione dinanzi al giudice collegiale. Non è mancato chi ha individuato con maggiore precisione e rigorosità le diverse fasi del processo societario [2]. Lo studio delle ordinanze anticipatorie di condanna e del loro rapporto con il processo societario, affinché sia chiaro e metodologicamente corretto, va affrontato alla luce delle diverse fasi che caratterizzano e contraddistinguono il nuovo rito.

In secondo luogo, un discorso unitario sul problema della compatibilità di tali ordinanze con il processo societario incontra degli ostacoli non facilmente superabili, né tantomeno necessari da compiere. Infatti, i diversi presupposti applicativi delle ordinanze in esame, l’improponibilità della domanda avente ad oggetto l’ordinanza decisionale di cui all’art. 186-quater prima della conclusione della fase istruttoria e la differente natura dei provvedimenti di cui agli artt. 186-bis e 186-ter rispetto a quella dell’art. 186-quater [3] sono alcuni dei motivi che depongono in favore di una trattazione per quanto possibile unitaria e, poi, tendenzialmente analitica del problema.

Premesso ciò, la questione in esame, già affrontata – succintamente o con più attenzione - nei diversi manuali o saggi di diritto processuale societario e di diritto processuale civile dai veri Maestri e Studiosi di procedura civile, nasce da alcuni semplici osservazioni.

Come già detto, il legislatore societario non ha introdotto alcuna disposizione che disciplini in modo espresso le ordinanze anticipatorie di condanna nel rito societario. Tuttavia, nel d.lgs. n. 5/2003 è previsto all’art. 1, comma 4, d.lgs. n. 5/2003 che <<per quanto non diversamente disciplinato dal presente decreto, si applicano le disposizioni del codice di procedura civile, in quanto compatibili>>. La previsione in esame contiene una valvola di chiusura della disciplina sul processo societario di notevole importanza sistematica il cui valore è ridotto o accresciuto dalla dottrina e dalla giurisprudenza in base all’importanza che le stesse attribuiscono ad un periodo contenuto nella Relazione illustrativa del decreto delegato processuale, secondo cui l’intenzione del legislatore societario è stata quella di costruire una normativa pressoché sempre autosufficiente. Infatti, laddove si dovesse ritenere che solo in via residuale si possa ricorrere alla disciplina sul processo civile la portata sistematica dell’art. 1, comma 4, d.lgs. n. 5/2003, avrebbe un valore ridotto rispetto a quella ricavabile dalla lettura del solo testo di legge.

Occorre a questo punto interrogarsi sull’eventuale trait d’union che lega il processo societario e le ordinanze anticipatorie di condanna.

E’ immediatamente percepibile il potenziale ruolo di accelerazione che tali ordinanze hanno nella definizione, totale o parziale, del procedimento. Dato che il d.lgs. n. 5/2003 mira ad accelerare la definizione delle controversie in materia societaria, commerciale e bancaria, vi è un elemento, anche se da solo debole, che accomuna i due punti focali del nostro discorso e che, sul piano funzionale, potrebbe renderli potenzialmente <<compatibili>>. Tuttavia, il dato strutturale differenziale tra rito societario e rito ordinario in cui sono collocate le ordinanze di cui agli artt. 186-bis ss., c.p.c., è di fondamentale importanza per la soluzione della questione.

2. Le ordinanze anticipatorie di condanna nella fase a contraddittorio autogestito del processo societario.

Analizzando le caratteristiche delle ordinanze anticipatorie di condanna e la struttura della fase preparatoria del processo societario vengono spontanee due ordini di considerazioni.

In primo luogo, l’ordinanza anticipatoria di condanna è pronunciata dal giudice (istruttore), mentre la fase preparatoria del processo societario è interamente affidata al contraddittorio autogestito delle parti. Quindi, si tratta di capire se nella fase di <<autogestione>> del rito societario, nel silenzio della legge, sia ammissibile un intervento del giudice per pronunciare sulla stessa.

In secondo luogo, l’ordinanza successiva alla chiusura dell’istruzione di cui all’art. 186-quater, c.p.c., non può essere presa in considerazione nella presente sede, posto che solo nella fase trial, che segue alla fase preparatoria, si avrà l’istruttoria. E’ evidente, dunque, l’incompatibilità di tale misura con la fase preparatoria del rito speciale, in cui si è ben lontani dall’esaurimento dell’istruttoria.

Premesso ciò, nel presente paragrafo verrà affrontata la questione dell’ammissibilità delle ordinanze di cui agli artt. 186-bis e 186-ter nella fase preparatoria del rito commerciale, con la precisazione che la soluzione di tale problema è importante anche per poter ricostruire correttamente il sistema delle preclusioni nel processo societario [4].

La fase di <<autogestione>>, in quanto riservata alle parti, non dovrebbe consentire l’intervento del giudice prima dell’istanza di fissazione dell’udienza [5]. Quindi, in tale fase, a prima facie andrebbe esclusa l’applicazione di tali ordinanze – che presuppongono, viceversa, la pronuncia di un giudice – [6].

Parte della dottrina e della giurisprudenza di merito non concorda con tale soluzione.

In primo luogo, è stato evidenziato che l’art. 2, comma 3, d.lgs. n. 5/2003 – introdotto dal decreto correttivo n. 37/2004 – è una disposizione che, regolando espressamente uno specifico subprocedimento per la concessione o la sospensione della provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo opposto, offre uno strumento processuale con ampie potenzialità operative, il cui utilizzo non può essere limitato irragionevolmente alla sola pronuncia dei provvedimenti di cui agli artt. 648 c.p.c. e 649 c.p.c. [7]. La dottrina dominante è dell’idea che il procedimento disciplinato nell’art. 2, 3 comma, d.lgs. n. 5/2003, possa essere utilizzato anche ai fini della concessione delle ordinanze provvisionali di condanna di cui agli artt. 186 bis e 186 ter, c.p.c. [8]. A sostegno di tale soluzione propende un ulteriore elemento di indubbia rilevanza che è il riconoscimento in capo ai provvedimenti dell’art. 648 e 649 c.p.c. della natura tecnicamente anticipatoria [9]

Tale soluzione non appare condivisibile. Il rito societario è stato strutturato affidando la fase preparatoria alle parti processuali. L’intervento del giudice non sembra possibile nella fase preparatoria se non in casi eccezionali, altrimenti l’interprete corre il rischio di andare oltre la lettera della legge e la lettura sistematica delle norme. Se si sostiene che l’art. 3, 2 comma, d.lgs. n. 5/2003, ha <<ampie potenzialità operative>> non si può non pervenire alla soluzione logica che il giudice ha ampie potenzialità operative nella fase preparatoria del rito societario. Ma non è così. La definizione del thema decidendum e probandum nella fase pre-trial è affidata alle parti e non sembra che si possa derogare, al di là di una valida norma derogatoria, a siffatto principio di carattere generale.

La strada da percorrere sembrerebbe allora un’altra. La legge n. 263 del 2005 [10] ha espressamente previsto, sia all’art. 186bis che all’art. 186ter, che <<se l’istanza è proposta fuori dall’udienza il giudice dispone la comparizione delle parti ed assegna il termine per le notificazioni>>. E’ stato sottolineato in dottrina che <<qualche ulteriore spunto per rivedere l’interpretazione delle norme del processo societario lo si può cogliere anche pensando alle minime modifiche apportate agli artt. 186 bis e 186 ter c.p.c., laddove si è previsto espressamente (ma forse non ve ne era bisogno) che se l’istanza di condanna è presentata fuori udienza, il giudice deve disporre la comparizione delle parti. Da tale innesto si potrebbe, con più forza, sostenere che ciò è possibile anche all’interno del processo societario, ancorché il legislatore abbia limitato una analoga previsione alle istanze ex artt. 648 e 649 c.p.c.>> [11].

Tale osservazione non consente di pervenire ad una soluzione diversa del problema. Se le prime applicazioni del processo societario hanno mostrato che non è possibile proporre in assoluto una netta distinzione tra fase a contraddittorio autogestito e fase dinanzi al giudice, tuttavia, non è nemmeno possibile arrivare a travisare il testo dell’art. 1, 4 comma, d.lgs. n. 5/2003 che, parlando di <<compatibilità>>, fa riferimento almeno alle caratteristiche essenziali del nuovo processo nei suoi rapporti col rito ordinario. L’intervento del giudice nella fase preparatoria del rito societario può trovare fondamento solo in una specifica previsione che lo consente. In conclusione, non solo non vi è compatibilità in base al rinvio dell’art. 1, comma 4, ma non vi è nemmeno la possibilità di un’applicazione in via analogica delle disposizioni codicistiche in esame alla fase a contraddittorio autogestito del rito societario. Sul punto solo il legislatore potrà dire altrimenti.

3. Le ordinanze anticipatorie di condanna nella fase trial del processo societario. Le ordinanze per il pagamento di somme non contestate (186-bis, c.p.c.) e l’ordinanza-ingiunzione (186-ter, c.p.c.).

L’applicabilità delle ordinanze anticipatorie di condanna nella fase trial del processo societario appare collegata al superamento di almeno due ostacoli di carattere tecnico: a) il limite preclusivo all’ammissibilità di nuove istanze a seguito della notificazione ed il deposito dell’istanza di fissazione dell’udienza; b) il giudice competente a decidere sulle ordinanze in esame.

Innanzitutto, occorre capire se la <<istanza di parte>> di cui all’art. 186-bis (e, dunque, da qui in poi anche di cui all’art. 186-ter, c.p.c.) può essere avanzata dopo la notificazione dell’istanza di fissazione dell’udienza. Parte della giurisprudenza di merito – dopo aver ritenuto applicabile le ordinanze in esame alla sola fase preparatoria del rito societario - ha sostenuto che il termine della notifica dell’istanza di fissazione dell’udienza costituisce il limite ultimo entro cui formulare le istanze in esame, posto che a seguito di questa le parti decadono dal potere di proporre eccezioni non rilevabili d’ufficio, di precisare e modificare le domande già proposte, di formulare ulteriori istanze istruttorie e di produrre nuovi documenti [12]. La soluzione, d’altronde, troverebbe conferma espressa anche nel dato letterale impiegato dal legislatore societario all’art. 9, 2 comma, in cui si parla di <<nota di precisazione delle conclusioni di cui all’art. 10, comma 1>>. In mancanza del deposito della nota di precisazione, restano ferme le conclusioni avanzate nel primo atto difensivo.

Parte della dottrina, viceversa, ha sostenuto che l’istanza di cui all’art. 186bis può essere presentata dopo l’istanza di fissazione dell’udienza, almeno nei casi in cui non si possa pervenire alla decisione della causa nella prima udienza fissata per la discussione [13].

Ulteriore questione problematica, laddove si ammetta l’applicabilità delle ordinanze nella fase trial del rito commerciale, è l’individuazione del giudice che dovrebbe decidere su di esse: il giudice relatore o il giudice collegiale? A ben vedere, la prima soluzione appare incompatibile con il rito societario, l’altra è eccessiva ed incompatibile con la disciplina codicistica. La prima è incompatibile con la disciplina del d.lgs. n. 5/2003 perché il giudice istruttore è una figura che non esiste nel rito societario (anche se va evidenziato che in dottrina si tendono ad eclissare eccessivamente alcune affinità tra la figura del giudice relatore e la figura del giudice istruttore). La seconda soluzione contrasta con le previsioni codicistiche che affidano la pronuncia sulle ordinanze anticipatorie di condanna (che restano comunque modificabili e revocabili) ad un solo giudice. D’altronde, la giurisprudenza di legittimità è orientata nel sostenere che l’emissione dell’ordinanza di condanna al pagamento di somme non contestate (art. 186-bis, c.p.c.) spetta alla competenza funzionale del giudice istruttore e perciò non può essere emessa dal giudice della decisione della causa. [14]

Dunque, mi pare che il vero problema sia quello di definire che cosa s’intenda per compatibilità. Come correttamente evidenziato da autorevole dottrina, il rinvio di cui all’art. 1, comma 4, d.lgs. n. 5/2003, <<non è né integrale, né automatico, ed il riferimento alla condizione di compatibilità non appare il frutto di un’inutile precisazione, in quando evidentemente, il legislatore delegato ha inteso subordinare il rinvio non solo alla incompatibilità in concreto tra i due ordini di norme (cioè tra i due modelli processuali), ciascuno di essi singolarmente preso, ma anche alla incompatibilità che deriva dalla diversità di struttura e di funzione dei due procedimenti, quello ordinario e quello societario>> [15].

Perciò, se la compatibilità viene intesa in termini assoluti, non è ammissibile tout court l’applicazione dell’art. 186-bis, c.p.c., al rito societario. Non è applicabile alla fase a <<contraddittorio autogestito>> perché, nel silenzio della legge, un intervento del giudice nella fase riservata alle parti non è possibile, salvo che l’interprete non voglia completamente stravolgere il disegno legislativo. Non è applicabile alla fase trial perché il d.lgs. n. 5/2003 non parla espressamente di giudice istruttore e perché rappresenterebbe una soluzione eccessiva ammettere che sulle ordinanze in esame si pronunci il giudice collegiale.

Laddove si aderisca ad una concezione meno rigorosa del concetto di compatibilità, si potrebbe procedere ad una verifica di <<compatibilità relativa a carattere generale>> volta ad appurare se ci siano incompatibilità sistematiche e funzionali superate le quali la norma processuale civile è applicabile al rito societario. Leggendo le norme di cui al d.lgs. n. 5/2003 è possibile suddividere il modello processuale societario in due sottofasi: una senza l’intervento del giudice (se non in casi eccezionali) e l’altra con l’intervento del giudice. Entrambe le fasi sono state strutturate al fine di rendere celere la definizione del processo societario. Sotto il profilo della compatibilità generale, la fase che consente di ospitare nel processo societario la disposizione dell’art. 186bis è certamente la fase trial. In questo secondo caso, si pone un problema – ovviamente da risolvere - di <<incompatibilità specifica>> che concerne in modo particolare il giudice competente a decidere sulla stessa e il limite preclusivo dettato dall’art. 10, 2 comma, d.lgs. n. 5/2003. Tuttavia, tali incompatibilità specifiche non mutano la struttura e la funzione generale della fase trial del processo societario e, quindi, del modello processuale nel suo complesso, che resta tale, salvo i necessari adattamenti.

Le due soluzioni appena illustrate – una più rigorosa (con cui si ritengono inapplicabili ad ogni fase del rito societario le ordinanze anticipatorie di condanna), l’altra meno (con cui si ritengono applicabili, entro gli ovvi limiti, nella sola fase dinanzi al giudice) – appaiono quelle maggiormente condivisibili. Infatti, è incoerente sostenere che nella fase preparatoria del rito societario, nel silenzio della legge (a differenza di quanto previsto nell’art. 3, comma 2, d.lgs. n. 5/2003) e in mancanza di un giudice, sia possibile ammettere l’applicazione delle ordinanze anticipatorie di condanna per poi negarne tout court l’applicazione nella fase apud judicem in base a motivi preclusivi, gli stessi che nel rito civile non ostacolano la pronuncia sulle ordinanze in esame.

Al di là della soluzione accolta, quattro, in sintesi, sono i modelli risolutivi della questione: 1) c’è chi sostiene la completa applicabilità delle ordinanze anticipatorie di condanna nel processo societario; 2) chi ne ammette la completa inapplicabilità; 3) chi ancora condivide l’applicabilità nella sola fase preparatoria (fino alla notificazione dell’istanza di fissazione dell’udienza) ed, infine, 4) chi le ritiene applicabili nella sola fase apud judicem.

In ogni caso, la presenza di un procedimento sommario quale quello introdotto con l’art. 19 dovrebbe, in concreto, far diminuire le ipotesi in ci può essere bisogno di provvedimenti anticipatori interinali [16].

4. (Segue): L’ordinanza post-istruttoria (art. 186-quater, c.p.c.).

L’art. 16, 5 comma, d.lgs. n. 5/2003 prevede che la decisione sia emessa <<a norma dell’art. 281sexies del codice di procedura civile>> [17], ovvero con pronuncia immediata al termine della discussione orale [18].

Dunque, quando il collegio, conclusa l’assunzione dei mezzi di prova, pronuncia nella stessa udienza sentenza con stesura a verbale non vi è alcun spazio applicativo per l’art. 186-quater [19]. Tuttavia, ben può accadere che il collegio, esaurita l’assunzione delle prove, fissi un’ulteriore udienza collegiale per la decisione o per ammettere uno strumento istruttorio deducibile d’ufficio. In tal caso, l’istanza di cui all’art. 186quater potrà essere richiesta direttamente all’udienza [20].



[1] Sul tema delle ordinanze anticipatorie di condanna nel processo societario, tra gli altri, Proto Pisani, La nuova disciplina del processo societario (note a prima lettura), in Foro it., 2003, V, 10; Vivaldi, Commento art. 16, in La riforma del diritto societario, a cura di Lo Cascio, I procedimenti (D.Lgs. 17 gennaio 2003), Milano, 2003, 172; Cecchella, Il nuovo rito ordinario per le liti societarie: un’anticipazione della riforma del processo civile, in www.judicium.it, par. 4; Trisorio Liuzzi, Il nuovo rito societario: il procedimento di primo grado davanti al tribunale, in www.judicium.it, par. 13; Ziino, Le nuove disposizioni sul processo societario (decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5). Il giudizio di primo grado, in www.judicium.it, par. 15; Ambrosio, Amendola, Nuovi procedimenti societari, Milano, 2004, 137; Carratta, sub Art. 2, Il nuovo processo societario, in Commentario diretto da Chiarloni, Bologna, 2004, 152; Arieta, De Santis, Diritto processuale societario, Padova, 2004, 274 ss.; Gasperini, sub. Art. 2, in Commentario dei processi societari, diretto da Arieta e De Santis, I, Roma-Salerno, 2007, 165; Iannicelli, sub art. 16, in Commentario dei processi societari, cit., 473 ss. e 488 ss.; Giorgetti, Il nuovo processo societario, a cura di D’Alessandro, Giorgetti, Santagata, Zumpano, Milano, 2006, 31; Briguglio, La riforma della società. Il processo, a cura di Sassani, Torino, 2003, 168; Fabiani, La partecipazione del giudice al processo societario, in www.judicium.it, par. 8.4; Dalfino, sub art. 2, I procedimenti in materia commerciale. Commento sistematico al D.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5 e successive modificazioni ed integrazioni, a cura di Costantino, Padova, 2005, 81; Didone, Il processo societario di cognizione, Milano, 2005, 83-84; Passarella, Processo civile e processo societario. Riti a confronto, Torino, 2006, 359 ss.

[2] Così, tra gli altri, Proto Pisani, Lezioni di diritto processuale civile, Napoli, 2006, 844, il quale distingue il processo societario in una fase preparatoria, che va dalla notifica dell’atto di citazione al deposito dell’istanza di fissazione dell’udienza e della nota contenente la precisazione delle conclusioni della controparte, una seconda fase che va dalla designazione del giudice relatore al deposito da parte del giudice relatore del decreto di fissazione dell’udienza ed, infine, la fase dell’udienza di discussione davanti al collegio, fase di trattazione, di eventuale istruzione e decisione della controversia

[3] Su tale ultimo punto, Proto Pisani, Lezioni, cit., 578, evidenzia che l’ordinanza disciplinata dall’art. 186-quater si differenzia dalle altre due regolate negli artt. 186-bis e 186-ter poiché si tratta di un provvedimento anticipatorio a cognizione piena e non sommaria posto che l’anticipazione consiste pressoché solo nella semplificazione delle forme del provvedimento. Inoltre, l’art. 186-quater regola un provvedimento tendenzialmente sostitutivo di una sentenza. A seguito della modifica introdotta con l’articolo 2 della legge 28 dicembre 2005, n.263, l’art. 186-quater, 4 comma, c.p.c., prevede che <<l’ordinanza acquista l’efficacia della sentenza impugnabile sull’oggetto dell’istanza se la parte intimata non manifesta entro trenta giorni dalla sua pronuncia in udienza o dalla comunicazione, con ricorso notificato all’altra parte e depositato in cancelleria, la volontà che sia pronunciata la sentenza>>. Quindi, il ruolo di tale ordinanza nella definizione del processo è stata ulteriormente rafforzata prevedendo, a differenza del passato, che l’ordinanza post-istruttoria acquista automaticamente l’efficacia della sentenza impugnabile sull’oggetto dell’istanza se la parte intimata non esprime la volontà che sia pronunciata la sentenza. Luiso, Diritto processuale civile, II, Milano, 2007, sottolinea che dalle ultime parole del primo comma dell’art. 186-quater, in base al quale <<con l’ordinanza il giudice provvede sulle spese processuali>>, si ricava che l’ordinanza deve potenzialmente essere sostitutiva di una sentenza definitiva. Per lo studio delle singole ordinanze si rinvia alla estesa letteratura sul tema.

[4] Infatti, laddove si dovesse ritenere che la parte interessata possa ottenere un provvedimento anticipatorio di condanna, senza essere costretta a presentare l’istanza di fissazione dell’udienza, la stessa potrebbe completare successivamente le proprie attività assertive o asseverative. Viceversa, se si dovesse ritenere che la parte interessata possa chiedere che il giudice si pronunci con ordinanza decisoria solo al momento della notificazione dell’istanza di fissazione dell’udienza ai sensi dell’art. 10 d.lgs. 5/2003, ne discenderebbe quale effetto preclusivo “generale” che tutte le parti decadrebbero <<dal potere di proporre nuove eccezioni, di precisare o modificare le domande o eccezioni già proposte, nonché di formulare nuove istanze istruttorie e depositare nuovi documenti>>.

[5] Si dichiara apertamente contrario ad ammettere in toto la pronuncia dei provvedimenti in questione nel rito commerciale Ziino, loc. ult. cit., per il quale «le nuove disposizioni non fanno alcun cenno alla possibilità di richiedere provvedimenti anticipatori di condanna e la loro concessione trova un rilevante ostacolo nel fatto che, nel processo ordinario di cognizione, questi provvedimenti sono emessi dal giudice istruttore, figura che non esiste nel processo societario».

Contrario ad ammettere in toto l’applicabilità dell’art. 186-ter, c.p.c., al processo societario, è anche Trib. Trento, ord. 24.02.2005, in www.associazionepreite.it, il quale ha sostenuto in primo luogo, che <<il legislatore del nuovo rito, al di fuori dei casi espressamente previsti, non ha inteso consentire l’adozione di ulteriori provvedimenti di condanna (anticipatori o meno) a cognizione sommaria, alla cui categoria appartiene l’ordinanza di ingiunzione ex art. 186-ter, c.p.c.>> ed <<in secondo luogo, anche la struttura del subprocedimento ex art. 186-ter, c.p.c., appare incompatibile con quella del nuovo rito speciale. Secondo il codice, l’ordinanza di ingiunzione viene pronunciata dal giudice istruttore in ogni stato del processo, su istanza di parte presentata fino al momento della precisazione delle conclusioni. E’ connaturale a questo modello che l’ordinanza sia pronunciata prima della fase decisoria, aperta dalla precisazione delle conclusioni, in conformità della funzione anticipatoria del provvedimento. Nel nuovo rito speciale, tuttavia, non esiste il giudice istruttore, svolgendosi la fase introduttiva e preparatoria del processo, con la fissazione del thema decidendum e probandum, al di fuori del contatto con il giudice adito, fino alla presentazione dell’istanza di fissazione dell’udienza di discussione, che fa scattare ogni preclusione assertiva ed istruttoria. Non è prevista la designazione di un magistrato ad hoc per la trattazione di istanze di condanna anticipatoria, come invece stabilisce l’art. 2, comma 3 (aggiunto dal D. Lgs. 37/2004), per l’adozione dei provvedimenti di cui agli artt. 648 (disposizione per molti versi ascrivibile all’ambito della tutela sommaria non cautelare) e 649 c.p.c. nelle cause di opposizione a decreto ingiuntivo introdotte col rito “societario”, ovvero ancora l’art. 24 per l’adozione dei provvedimenti cautelari in corso di causa. Inoltre, i poteri del giudice istruttore non sono attribuiti tout court al giudice relatore che redige il decreto ex art. 12, D. Lgs. cit. Potrebbe ipotizzarsi che l’ordinanza d’ingiunzione sia pronunciabile dal tribunale (in composizione collegiale o monocratica) nell’udienza di discussione di cui all’art. 16, ma a ciò osta la tendenziale attitudine, propria dell’udienza di discussione, a sfociare nella decisione della causa, essendo solo eventuale la fissazione di altra udienza, giustificata dalla necessità di assumere mezzi istruttori. In conclusione, l’art. 186-ter, c.p.c., va considerato incompatibile con le disposizioni del D. Lgs. 5/2003, cosicché l’istanza in esame dev’essere dichiarata inammissibile>>.

[6] In senso contrario, Trib. Udine, ord. 17.11.2004, in Giur. merito 2005, 5, 1146, il quale ha sostenuto che le istanze ex artt. 186 bis e ter, purché ne ricorrano i presupposti, possono essere formulate in qualunque fase del processo e <<fino al momento della precisazione delle conclusioni>>. Sicché, ha ritenuto inammissibili, in quanto tardivamente formulate, le istanze di cui agli art. 186 bis e ter c.p.c. proposte solo in sede di udienza di discussione della causa fissata ex art. 16 d.lgs. n. 5/2003. Secondo il giudice di merito, si deve ritenere che il termine ultimo della precisazione delle conclusioni corrisponde nel rito societario alla notifica dell’istanza di fissazione dell’udienza, posto che a seguito di questa le parti decadono dal potere di proporre eccezioni non rilevabili d’ufficio, di precisare e modificare le domande già proposte, di formulare ulteriori istanze istruttorie e di produrre nuovi documenti.

Aderendo a tale soluzione è possibile sostenere che un’istanza per la concessione dell’ordinanza di cui all’art. 186-bis proposta prima della notifica dell’istanza di fissazione dell’udienza non sarebbe concepibile nel processo societario se non in relazione alle ammissioni esplicite e ai fatti espressamente non contestati. Cfr. Didone, loc. ult. cit.

[7] Carratta, loc. ult. cit.

[8] Così, Giorgetti, Fase preparatoria e istanza di fissazione dell’udienza, cit., 31; Dalfino, loc. ult. cit.; Carratta, loc. ult. cit.; Cecchella, op. cit., par. 9; Gasperini, loc. ult. cit.

E’ evidente che, ammessa l’applicabilità delle ordinanze anticipatorie di condanna nella fase preparatoria del processo societario, residua comunque il problema del giudice competente a decidere su di esse. In merito, si potrebbe ritenere di estendere alla questione in esame le soluzioni proposte in dottrina sull’art. 2, 3 comma d.lgs. 5/2003, distinguendo tra chi ritiene che il giudice designato per i predetti provvedimenti sia un giudice ad hoc (designato dal presidente e che esaurisce il suo compito in tale pronuncia) e chi, viceversa, ritiene che la presentazione dell’istanza ai sensi dell’art. 2, 3 d.lgs. 5/2003 (e, quindi, degli artt. 186bis e 186ter), determini l’anticipazione della designazione del giudice relatore, con la conseguenza che il termine per il deposito del decreto di fissazione dell’udienza fissato dall’art. 12, 2 d.lgs. 5/2003 decorre da questa designazione. Iannicelli, op. cit, 474, ritiene invece che le ordinanze di cui si discute non possono essere pronunciate dal giudice relatore, ma dal collegio, poiché in base a quanto previsto nel d.lgs. n. 5/2003 è possibile investire unilateralmente il giudice nella fase preparatoria soltanto in casi tipici e tassativi.

[9] Gasperini, loc. ult. cit.. Sulla natura tecnicamente anticipatoria dei provvedimenti di cui agli artt. 648 e 649 c.p.c., tra gli altri, Carratta, Profili sistematici della tutela anticipatoria, Torino, 1997, 482 ss.

[10] <<Interventi correttivi alle modifiche in materia processuale civile introdotte con il decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 maggio 2005, n. 80, nonché ulteriori modifiche al codice di procedura civile e alle relative disposizioni di attuazione, al regolamento di cui al regio-decreto 17 agosto 1907, n. 642, al codice civile, alla legge 21 gennaio 1994, n. 53, e disposizioni in tema di diritto alla pensione di reversibilità del coniuge divorziato>>

[11] Così, Fabiani, in Postilla minima sul rito societario dopo la legge 28/12/2005 n. 263, in www.judicium.it

[12] Trib. Udine, ord. 17 dicembre 2004, cit.

[13] Didone, loc. ult. cit.; Briguglio, loc. ult. cit., ha sostenuto che <<nel corso dell’udienza di discussione, le quante volte da essa non possa trasmigrarsi direttamente alla sentenza, saranno richiedibili le misure anticipatorie ex art. 186bis e ter>>; Arieta, De Santis, loc. ult. cit., ritiene formulabili le ordinanze in esame anche all’udienza; Iannicelli, op. cit., 473.

[14] Cass., 22 gennaio 1998, n. 609, in Giust. civ. Mass. 1998, 132

[15] Arieta, De Santis, op. cit., 58.

[16] In tal senso, Briguglio, loc. ult. cit..

Per l’osservazione che sussiste eadem ratio ed ambito di applicazione tra il provvedimento ex art. 19, quello monitorio e l’ordinanza ex art. 186ter, Sassani-Tiscini, in Il nuovo processo societario, Prima lettura del d.lgs. n. 5 del 2003, in Giust. Civ., 2003, II, 52.

Di diverso avviso, Cavallini, Il procedimento sommario di cognizione nelle controversie societarie, in Relazione svolta nell’incontro di studio sul tema “I nuovi procedimenti in materia di diritto societario”, promosso dal Consiglio Superiore della Magistratura in Roma, nei giorni 3 – 5 giugno 2003, il quale sostiene che <<il procedimento sommario, così com’è delineato dall’art. 19, ha veramente poco a che vedere dal punto di vista sistematico con le già conosciute ed ampiamente studiate ordinanze anticipatorie di condanna di cui agli artt. 186 bis e ter e quater>>. L’A. prosegue sostenendo che <<il procedimento delineato nell’art. 19, proprio in quanto procedimento autonomo ed alternativo al processo ordinario a cognizione piena, non può appartenere per definizione alla c.d. tutela anticipatoria, in cui elementi strutturali comuni, pur nella vastità e soprattutto eterogeneità delle singole misure dettate dal legislatore in varie occasioni (nonché nel rischio di sovrapposizione con forme di tutela sommaria tipicamente cautelare, come l’art. 700 c.p.c., ove l’anticipazione degli effetti di una decisione di merito è una prerogativa strutturale costante anche se funzionalmente non esclusiva), possono essere ricondotti semplicemente a due: 1) l’attuale pendenza di un processo di cognizione al tempo della loro emanazione; 2) l’idoneità di fornire alla parte istante un’anticipazione degli effetti satisfattivi della sentenza di condanna, (per lo più) immediatamente esecutivi, o con esecutività provvisoria demandata a chiari parametri normativi (v. art. 186 ter)>>. Da tale premessa, ne consegue che l’istituto si vuole distinguere da qualsivoglia strumento di tutela anticipatoria conosciuto <<proprio perché, non presupponendo la pendenza di un ordinario processo di cognizione, non svolge alcuna funzione anticipatoria alla definizione “normale” di tale processo, assicurando al creditore–attore un’anticipata possibilità di procedere ad esecuzione forzata mediante un provvedimento immediatamente esecutivo sì, ma nel contempo necessariamente modificabile e revocabile lite pendente (financo e soprattutto per una diversa valutazione da parte del giudice dei presupposti di ammissibilità dell’ordinanza) ed inevitabilmente destinato ad esser assorbito dalla pronuncia di primo grado (si pensi, per tutti, all’art. 186 bis)…>>.

[17] Viene dunque ripetuto quanto già affermato a proposito del procedimento innanzi al tribunale in composizione monocratica. Sul punto, si v. le osservazioni di Montesano, Arieta, Trattato di diritto processuale civile, 1. Principi generali. Rito ordinario di cognizione, Padova, 2001, 1627 ss., spec. 1638; Liccardo, Le forme della decisione, in Nuovo processo civile e giudice unico. La giustizia civile tra crisi e riforme, Milano, 2000, 142.

[18] Arieta, De Santis, op. cit., 275. Per la stessa ragione, si esclude l’applicabilità dell’art. 184-quater anche nella fase decisoria. In quest’ultimo senso, Proto Pisani, La nuova disciplina del processo societario, cit., 10 ss.; Trisorio Liuzzi, op. cit., par. 14; Fabiani, op. cit., par. 8.4.

[19] Cfr. Iannicelli, op. cit., 489, il quale sostiene che <<in questa situazione non è individuabile un effetto anticipatorio che giustifichi l’ordinanza ex art. 184quater, poiché non sussiste alcuno iato tra chiusura dell’istruzione e decisione>>

[20] In tal senso, Metafora, La fase decisoria del processo commerciale di cognizione, in www.judicium.it, secondo cui <<Più in generale, può osservarsi che il problema della sovrapposizione della norma di cui all’art. 16 con la disposizione contenuta nell’art. 186 quater si pone solo quando il tribunale provveda in un’unica udienza a discutere la causa e a deciderla con sentenza c.d. contestuale. Non può escludersi tuttavia che il tribunale, per necessità istruttorie o per l’esigenza di predisporre un supplemento di discussione (ad es. a seguito del rilievo di questioni di rito e di merito rilevabili d’ufficio) differisca ad altra udienza la discussione e la contestuale pronuncia della sentenza, poiché sussistendo l’interesse all’anticipazione della decisione di merito all’esito dell’esaurimento della discussione, va conseguentemente ammessa la possibilità di emissione dell’ordinanza>>. Tuttavia, tale tesi non sembra applicabile al di fuori della fase decisoria, unica fase del rito societario in cui è ammissibile strutturalmente l’udienza. Indi per cui, va certamente esclusa l’applicazione dell’art. 186-quater nella fase preparatoria.