x

x

Segnalazione antiriciclaggio: linea dura della Cassazione sulla discrezionalità del segnalante

Nota a Corte di Cassazione - Sezione Quinta Penale, Sentenza 24 settembre 2009, n. 23017
Questa recentissima sentenza della Cassazione Civile offre moltissimi spunti interessanti (anche se non tutti condivisibili) per un corretta ricostruzione degli obblighi di segnalazione antiriciclaggio.

La fattispecie concreta, in breve, era la seguente: presso un’unità funzionale di un intermediario finanziario erano stati emessi reiteratamente assegni di poco al di sotto del limite di venti milioni.

Astrattamente, quindi, si verteva in una delle ipotesi considerate dalla Banca d’Italia come parametro indicativo di un’operazione sospetta.

Il responsabile dell’unità, però, aveva tralasciato di inoltrare la segnalazione al responsabile antiriciclaggio perché, a suo dire, l’operazione non destava sospetti.

Tra le persone coinvolte nelle operazioni intercorrevano, infatti, già numerosi rapporti di tipo economico e, comunque, il contante utilizzato dal soggetto per le operazioni con ogni probabilità proveniva dalla vendita di un immobile di sua proprietà.

Tale spiegazione a primo acchito non era risultata soddisfacente e difatti la persona fisica responsabile dell’unità funzionale e la banca di appartenenza furono destinatari di un’ingiunzione di pagamento, in solido, per la sanzione amministrativa per omessa segnalazione dell’operazione sospetta di cui all’art. 5 D.L. 3 maggio 1991 n. 143, convertito nella legge 5 luglio 1991, n. 197, recante “Provvedimenti urgenti per limitare l’uso del contante e dei titoli al portatore nelle transazioni e prevenire l’utilizzazione del sistema finanziario a scopo di riciclaggio”.

Il Tribunale di Napoli, nel decidere in merito all’opposizione, annullò l’ingiunzione in questione sostenendo che, nel caso di specie, nessuna violazione della normativa era riscontrabile in capo alla persona fisica, posto che, “anche operazioni connotate da anomalie oggettive...potrebbero risultare giustificate e non sospette se guardate alla luce delle notizie sul cliente conosciute dall’intermediario”.

Secondo il Tribunale, quindi, anche un’operazione astrattamente anomala in base ai parametri della Banca d’Italia poteva non destare sospetti in base agli elementi conosciuti dall’operatore finanziario.

La Cassazione, però, investita della questione, ribalta la decisione, sostenendo che gli obblighi che gravano sulla singola persona fisica, titolare della dipendenza in cui materialmente viene posta in essere l’operazione, sono parzialmente diversi da quelli che gravano sulla struttura finanziaria nel suo complesso, che poi materialmente dovrà inoltrare la segnalazione.

Per vero, le dizioni contenute nei due commi dell’art. 3 l. 197 del 1991 non sono pienamente sovrapponibili.

Il primo comma afferma che “il titolare della dipendenza, dell’ufficio o di altro punto operativo ha l’obbligo di segnalare senza ritardo al titolare dell’attività o al legale rappresentante o a un suo delegato ogni operazione che per caratteristiche, entità, natura, o per qualsivoglia altra circostanza conosciuta a ragione delle funzioni esercitate, tenuto conto anche della capacità economica e dell’attività svolta dal soggetto cui è riferita, induca a ritenere, in base agli elementi a sua disposizione, che il danaro, i beni o le utilità oggetto delle operazioni medesime possano provenire dai delitti previsti dagli artt. 648-bis e 648-ter del codice penale”.

Il secondo comma è invece dedicato alla “seconda fase” della procedura, ovvero agli obblighi che gravano sulla struttura, e recita: “Il titolare dell’attività, il legale rappresentante o un suo delegato esamina le segnalazioni pervenutegli e, qualora le ritenga fondate tenendo conto dell’insieme degli elementi a sua disposizione, anche desumibili dall’archivio di cui all’art. 2 comma 1 (Archivio Unico Informatico nda), le trasmette senza ritardo, ove possibile prima di eseguire l’operazione, anche in via informatica o telematica, all’Ufficio Italiano Cambi senza alcuna indicazione dei nominativi dei segnalanti”.

La diversità dei termini usati nei due diversi commi dà la stura alla Cassazione per sostenere come il singolo operatore abbia una discrezionalità limitatissima in ordine alla decisione sull’inoltro delle segnalazioni.

“E’ del tutto evidente”, afferma la Cassazione, “che il potere di valutare le segnalazioni e di trasmetterle al questore solo se le ritenga fondante, in base all’insieme degli elementi a disposizione, spetta solo al titolare dell’attività; mentre il responsabile della dipendenza, come l’odierno resistente, ha un margine di discrezionalità più ridotto, dovendo segnalare ogni operazione che lo induca a ritenere che l’oggetto di essa possa provenire da reati attinenti al riciclaggio.

Anche nell’ambito di questo più ristretto margine di giudizio, il responsabile della dipendenza deve controllare, per vero, che sussistano elementi tali da far ritenere sospetta l’operazione; ma si tratta di elementi essenzialmente oggettivi stabiliti dalla stessa legge – caratteristiche, entità, natura o qualsivoglia altra circostanza oggettivamente significativa – o ulteriormente specificati dalla Banca d’Italia, laddove gli elementi (pur sempre di carattere oggettivo) riferibili al cliente, che pure il responsabile della dipendenza è pure tenuto a considerare, sono la capacità economica e l’attività svolta; ciò significa, evidentemente , che l’entità dell’operazione non può essere elevata a sospetto se risulta che il soggetto operante è dotato di alta capacità economica”.

In pratica, secondo l’opinione della Suprema Corte, la scelta sull’an della segnalazione spetterebbe solo alla banca in quanto tale, mentre il singolo sarebbe obbligato ad inoltrare alla propria banca ogni operazione che sia astrattamente sospetta. La valutazione sul reale sospetto spetterebbe, quindi, salvo rari casi (ad esempio quando vi sia assoluta certezza della regolarità dell’operazione), solo all’istituto di credito e non al singolo.

Il ragionamento della Cassazione, pur rigoroso, non convince però fino in fondo.

Vero è che la disposizione configura due tipi diversi di obblighi in capo al singolo e all’istituto di credito, e che solo quest’ultimo è titolare di un reale potere discrezionale.

Vero è, inoltre, che l’inoltro della segnalazione da parte del singolo non ha rilevanza esterna, ma è solo un’operazione propedeutica ad un’eventuale SOS; in pratica il singolo si limiterebbe a “chiedere” alla propria banca di verificare se l’operazione sia sospetta di riciclaggio; mentre la segnalazione che parte dalla banca è un atto a forte rilevanza esterna, perché attiva le autorità di controllo.

Ma non è men vero che la segnalazione di un’operazione non può essere mai attività “meccanica” e “vincolata”; la componente umana è essenziale nella valutazione dell’operazione, e da questo dato non si può prescindere, pena lo svilimento delle attività antiriciclaggio in una mera rilevazione di “anomalie”, magari generate da software a ciò preposti.

In pratica, se è vero, come comunemente si sostiene, che anche un’operazione prima facie regolarissima, può ingenerare sospetto nell’operatore, perché, data la sua conoscenza del cliente, trova “anomala” l’operazione se riferita alla normale operatività del cliente; deve essere vero anche il contrario. Per cui, anche un’operazione “sospetta”, al vaglio dell’operatore, può risultare pienamente giustificabile, sì da non dar luogo a segnalazione.

E se di norma questo tipo di operazione viene fatta dal responsabile antiriciclaggio (e quindi dall’istituto bancario), è necessario che anche i singoli, responsabili della dipendenza presso cui è stata posta in essere l’operazione, operino una prima valutazione; una sorta, mi si passi il termine, di “triage”, finalizzato a scremare un certo numero di operazioni che non meritano di essere vagliate dal sistema antiriciclaggio interno.

Altrimenti non si capisce perché la stessa legge dovrebbe parlare di circostanze, anche attinenti al soggetto che pone in essere l’operazione, idonee ad ingenerare sospetti; in altri termini è la stessa legge che pone in capo al singolo l’onere di valutare, seppur in prima battuta, l’operazione nel suo complesso; anche se il sospetto che impone di inoltrare la segnalazione al titolare può essere molto più tenue rispetto al sospetto (naturalmente più corposo) che fa scattare la SOS alle autorità preposte.

Altrimenti si potrebbe correre il rischio di avere la prima fase della procedura di segnalazione basata su parametri troppo oggettivi, in cui la valutazione del singolo si risolverebbe nel mero riscontro della compatibilità tra l’operazione posta in essere e gli “indici di anomalia” predisposti dalla Banca d’Italia; tale soluzione, inoltre, rischierebbe di intasare gli uffici antiriciclaggio della banca, destinatari di segnalazioni che possono essere palesemente inconsistenti, ma che, astrattamente, integrano gli estremi di un’operazione anomala.

Questa recentissima sentenza della Cassazione Civile offre moltissimi spunti interessanti (anche se non tutti condivisibili) per un corretta ricostruzione degli obblighi di segnalazione antiriciclaggio.

La fattispecie concreta, in breve, era la seguente: presso un’unità funzionale di un intermediario finanziario erano stati emessi reiteratamente assegni di poco al di sotto del limite di venti milioni.

Astrattamente, quindi, si verteva in una delle ipotesi considerate dalla Banca d’Italia come parametro indicativo di un’operazione sospetta.

Il responsabile dell’unità, però, aveva tralasciato di inoltrare la segnalazione al responsabile antiriciclaggio perché, a suo dire, l’operazione non destava sospetti.

Tra le persone coinvolte nelle operazioni intercorrevano, infatti, già numerosi rapporti di tipo economico e, comunque, il contante utilizzato dal soggetto per le operazioni con ogni probabilità proveniva dalla vendita di un immobile di sua proprietà.

Tale spiegazione a primo acchito non era risultata soddisfacente e difatti la persona fisica responsabile dell’unità funzionale e la banca di appartenenza furono destinatari di un’ingiunzione di pagamento, in solido, per la sanzione amministrativa per omessa segnalazione dell’operazione sospetta di cui all’art. 5 D.L. 3 maggio 1991 n. 143, convertito nella legge 5 luglio 1991, n. 197, recante “Provvedimenti urgenti per limitare l’uso del contante e dei titoli al portatore nelle transazioni e prevenire l’utilizzazione del sistema finanziario a scopo di riciclaggio”.

Il Tribunale di Napoli, nel decidere in merito all’opposizione, annullò l’ingiunzione in questione sostenendo che, nel caso di specie, nessuna violazione della normativa era riscontrabile in capo alla persona fisica, posto che, “anche operazioni connotate da anomalie oggettive...potrebbero risultare giustificate e non sospette se guardate alla luce delle notizie sul cliente conosciute dall’intermediario”.

Secondo il Tribunale, quindi, anche un’operazione astrattamente anomala in base ai parametri della Banca d’Italia poteva non destare sospetti in base agli elementi conosciuti dall’operatore finanziario.

La Cassazione, però, investita della questione, ribalta la decisione, sostenendo che gli obblighi che gravano sulla singola persona fisica, titolare della dipendenza in cui materialmente viene posta in essere l’operazione, sono parzialmente diversi da quelli che gravano sulla struttura finanziaria nel suo complesso, che poi materialmente dovrà inoltrare la segnalazione.

Per vero, le dizioni contenute nei due commi dell’art. 3 l. 197 del 1991 non sono pienamente sovrapponibili.

Il primo comma afferma che “il titolare della dipendenza, dell’ufficio o di altro punto operativo ha l’obbligo di segnalare senza ritardo al titolare dell’attività o al legale rappresentante o a un suo delegato ogni operazione che per caratteristiche, entità, natura, o per qualsivoglia altra circostanza conosciuta a ragione delle funzioni esercitate, tenuto conto anche della capacità economica e dell’attività svolta dal soggetto cui è riferita, induca a ritenere, in base agli elementi a sua disposizione, che il danaro, i beni o le utilità oggetto delle operazioni medesime possano provenire dai delitti previsti dagli artt. 648-bis e 648-ter del codice penale”.

Il secondo comma è invece dedicato alla “seconda fase” della procedura, ovvero agli obblighi che gravano sulla struttura, e recita: “Il titolare dell’attività, il legale rappresentante o un suo delegato esamina le segnalazioni pervenutegli e, qualora le ritenga fondate tenendo conto dell’insieme degli elementi a sua disposizione, anche desumibili dall’archivio di cui all’art. 2 comma 1 (Archivio Unico Informatico nda), le trasmette senza ritardo, ove possibile prima di eseguire l’operazione, anche in via informatica o telematica, all’Ufficio Italiano Cambi senza alcuna indicazione dei nominativi dei segnalanti”.

La diversità dei termini usati nei due diversi commi dà la stura alla Cassazione per sostenere come il singolo operatore abbia una discrezionalità limitatissima in ordine alla decisione sull’inoltro delle segnalazioni.

“E’ del tutto evidente”, afferma la Cassazione, “che il potere di valutare le segnalazioni e di trasmetterle al questore solo se le ritenga fondante, in base all’insieme degli elementi a disposizione, spetta solo al titolare dell’attività; mentre il responsabile della dipendenza, come l’odierno resistente, ha un margine di discrezionalità più ridotto, dovendo segnalare ogni operazione che lo induca a ritenere che l’oggetto di essa possa provenire da reati attinenti al riciclaggio.

Anche nell’ambito di questo più ristretto margine di giudizio, il responsabile della dipendenza deve controllare, per vero, che sussistano elementi tali da far ritenere sospetta l’operazione; ma si tratta di elementi essenzialmente oggettivi stabiliti dalla stessa legge – caratteristiche, entità, natura o qualsivoglia altra circostanza oggettivamente significativa – o ulteriormente specificati dalla Banca d’Italia, laddove gli elementi (pur sempre di carattere oggettivo) riferibili al cliente, che pure il responsabile della dipendenza è pure tenuto a considerare, sono la capacità economica e l’attività svolta; ciò significa, evidentemente , che l’entità dell’operazione non può essere elevata a sospetto se risulta che il soggetto operante è dotato di alta capacità economica”.

In pratica, secondo l’opinione della Suprema Corte, la scelta sull’an della segnalazione spetterebbe solo alla banca in quanto tale, mentre il singolo sarebbe obbligato ad inoltrare alla propria banca ogni operazione che sia astrattamente sospetta. La valutazione sul reale sospetto spetterebbe, quindi, salvo rari casi (ad esempio quando vi sia assoluta certezza della regolarità dell’operazione), solo all’istituto di credito e non al singolo.

Il ragionamento della Cassazione, pur rigoroso, non convince però fino in fondo.

Vero è che la disposizione configura due tipi diversi di obblighi in capo al singolo e all’istituto di credito, e che solo quest’ultimo è titolare di un reale potere discrezionale.

Vero è, inoltre, che l’inoltro della segnalazione da parte del singolo non ha rilevanza esterna, ma è solo un’operazione propedeutica ad un’eventuale SOS; in pratica il singolo si limiterebbe a “chiedere” alla propria banca di verificare se l’operazione sia sospetta di riciclaggio; mentre la segnalazione che parte dalla banca è un atto a forte rilevanza esterna, perché attiva le autorità di controllo.

Ma non è men vero che la segnalazione di un’operazione non può essere mai attività “meccanica” e “vincolata”; la componente umana è essenziale nella valutazione dell’operazione, e da questo dato non si può prescindere, pena lo svilimento delle attività antiriciclaggio in una mera rilevazione di “anomalie”, magari generate da software a ciò preposti.

In pratica, se è vero, come comunemente si sostiene, che anche un’operazione prima facie regolarissima, può ingenerare sospetto nell’operatore, perché, data la sua conoscenza del cliente, trova “anomala” l’operazione se riferita alla normale operatività del cliente; deve essere vero anche il contrario. Per cui, anche un’operazione “sospetta”, al vaglio dell’operatore, può risultare pienamente giustificabile, sì da non dar luogo a segnalazione.

E se di norma questo tipo di operazione viene fatta dal responsabile antiriciclaggio (e quindi dall’istituto bancario), è necessario che anche i singoli, responsabili della dipendenza presso cui è stata posta in essere l’operazione, operino una prima valutazione; una sorta, mi si passi il termine, di “triage”, finalizzato a scremare un certo numero di operazioni che non meritano di essere vagliate dal sistema antiriciclaggio interno.

Altrimenti non si capisce perché la stessa legge dovrebbe parlare di circostanze, anche attinenti al soggetto che pone in essere l’operazione, idonee ad ingenerare sospetti; in altri termini è la stessa legge che pone in capo al singolo l’onere di valutare, seppur in prima battuta, l’operazione nel suo complesso; anche se il sospetto che impone di inoltrare la segnalazione al titolare può essere molto più tenue rispetto al sospetto (naturalmente più corposo) che fa scattare la SOS alle autorità preposte.

Altrimenti si potrebbe correre il rischio di avere la prima fase della procedura di segnalazione basata su parametri troppo oggettivi, in cui la valutazione del singolo si risolverebbe nel mero riscontro della compatibilità tra l’operazione posta in essere e gli “indici di anomalia” predisposti dalla Banca d’Italia; tale soluzione, inoltre, rischierebbe di intasare gli uffici antiriciclaggio della banca, destinatari di segnalazioni che possono essere palesemente inconsistenti, ma che, astrattamente, integrano gli estremi di un’operazione anomala.