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Legittimo impedimento: davvero necessario un intervento della Corte Costituzionale?

Il 9 aprile 2010 è entrata in vigore la legge 7 aprile 2010 n. 51 recante “Disposizioni in materia di impedimento a comparire in udienza” il cui art. 1 riempie di contenuto la clausola generale contenuta nell’art. 420 ter c.p.p. - rubricato ”Impedimento a comparire dell’imputato o del difensore” - ove si menziona, appunto, il cosiddetto “legittimo impedimento” quale ipotesi idonea ad integrare una causa di “assoluta impossibilità di comparire” oltre al caso fortuito ed alla forza maggiore [Recita infatti il comma 1 dell’art. 420 ter c.p.p. “Quando l’imputato, anche se detenuto, non si presenta all’udienza e risulta che l’assenza e’ dovuta ad assoluta impossibilità di comparire per caso fortuito, forza maggiore o altro legittimo impedimento, il giudice, con ordinanza, anche d’ufficio, rinvia ad una nuova udienza e dispone che sia rinnovato l’avviso all’imputato, a norma dell’art. 419, comma 1”]; in particolare, costituisce legittimo impedimento per il Presidente del Consiglio dei Ministri “il concomitante esercizio di una o più delle attribuzioni previste dalle leggi o dai regolamenti e in particolare dagli articoli 5, 6 e 12 della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni, dagli articoli 2, 3 e 4 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 303, e successive modificazioni, e dal regolamento interno del Consiglio dei Ministri, di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 10 novembre 1993, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 268 del 15 novembre 1993, e successive modificazioni, delle relative attività preparatorie e consequenziali, nonché di ogni attività comunque coessenziale alle funzioni di Governo”.

Condivisibili ed attenti contributi dottrinali [MARINUCCI, Impedimento a comparire in giudizio del Presidente del Consiglio dei Ministri: davvero “legittimo”?, in www.forumcostituzionale.it del 25 marzo 2010; PACE, Il legittimo impedimento è incostituzionale, in La Repubblica del 08 febbraio 2010] hanno evidenziato i plurimi profili di illegittimità costituzionale della normativa appena varata non senza paventare degli escamotage esegetici finalizzati a superare i “lacci” posti al giudice penale dalla novella: si è così ritenuto che “la legge parla di «legittimo» impedimento, non d’impedimento «assoluto»… significa che un’interpretazione conforme a Costituzione può recuperare spazio alla discrezionalità del giudice, permettendogli di sindacare le ragioni addotte dalla presidenza del Consiglio, ed eventualmente di respingerle” [AINIS, Il rispetto della Costituzione ed il cappotto del Presidente, in Sole24Ore online del 08 aprile 2010].

In questo breve contributo si intende offrire, nelle more di un presumibile “interessamento” della Corte Costituzionale, un contributo tendente a valorizzare un “persistente” potere sindacatorio del giudice penale sulle “richieste” o attestazioni della Presidenza del Consiglio finalizzate all’applicazione della nuova normativa [Per vero, come sembra evidenziare MARINUCCI, op. cit., il giudicante sarebbe obbligato al rinvio soltanto nella ipotesi di “autocertificazione” prodotta dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri ex art. 1, comma 4, L. n. 51/2010 laddove nella ipotesi di cui al comma 3 (“Il giudice, su richiesta di parte, quando ricorrono le ipotesi di cui ai commi precedenti rinvia il processo ad altra udienza”) permarrebbe la discrezionalità del giudice nel disporre il rinvio ai sensi della disciplina generale ex art. 420 ter, comma 1, c.p.p.].

Al riguardo occorre considerare l’art. 8, L. n. 400/1988 rubricato “Vicepresidenti del Consiglio dei ministri” secondo cui “Il Presidente del Consiglio dei ministri può proporre al Consiglio dei ministri l’attribuzione ad uno o più ministri delle funzioni di Vicepresidente del Consiglio dei ministri. Ricorrendo questa ipotesi, in caso di assenza o impedimento temporaneo del Presidente del Consiglio dei ministri, la supplenza spetta al Vicepresidente o, qualora siano nominati più Vicepresidenti, al Vicepresidente più anziano secondo l’età. Quando non sia stato nominato il Vicepresidente del Consiglio dei ministri, la supplenza di cui al comma 1 spetta, in assenza di diversa disposizione da parte del Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro più anziano secondo l’età”. Parimenti, l’art. 1, comma 2, di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 10 novembre 1993 (richiamato integralmente dall’art. 1, L. n. 51/2010) dispone che “In caso di assenza o impedimento temporaneo del Presidente del Consiglio, le relative funzioni sono svolte, ai sensi dell’art. 8 della legge 23 agosto 1988, n. 400, dal vicepresidente del Consiglio; qualora vi siano più vicepresidenti, dal più anziano secondo l’età; in mancanza, dal Ministro più anziano per età”.

Tali previsioni legislative sembrano smentire intanto che il legittimo impedimento a comparire, per come configurato dalla novella in commento, possa essere considerato, anche nel caso di attestazione della Presidenza del Consiglio, quale “presunzione assoluta”: se la medesima normativa si premura di garantire la continuità della funzione di governo anche nei casi di absentia del Presidente, l’esercizio delle funzioni governative non potrà mai rappresentare - come esplicita l’art. 420 ter espressamente richiamato dalla nuova legge - una ipotesi di “assoluta impossibilità di comparire” (oltre al caso fortuito ed alla forza maggiore) o quantomeno occorrerà valutare caso per caso la specifica tipologia di attività impeditiva alla comparizione nel processo.

Potrebbe essere obiettato che la ratio della nuova disciplina non è quella di garantire la continuità nell’esercizio delle funzioni di governo (ammesso che l’essere presenti in udienza possa ledere tale esigenza) bensì quella di “consentire al Presidente del Consiglio dei Ministri e ai Ministri il sereno svolgimento delle funzioni loro attribuite dalla Costituzione e dalla legge” (art. 2, L. n. 51/2010): ma si tratterebbe allora di una sorta di “diritto alla felicità” per quei cittadini espletanti funzioni di governo che tuttavia appare risibile anche solo paventare giuridicamente.

Nel momento in cui il legittimo impedimento viene concretizzato nell’esercizio di una funzione normativamente regolamentata, di tale statuto di disciplina dovrà tenersi conto anche nella parte in cui si prevede che quella funzione attribuita ad una carica dello Stato possa essere espletata in supplenza.

Se le disposizioni sulle attribuzioni del Presidente del Consiglio contemplano un (fisiologico) “legittimo impedimento” all’esercizio della funzione governativa apportando garanzie sostitutive, non si vede come quelle stesse attribuzioni possano a loro volta costituire sempre e comunque causa di un legittimo impedimento ex art. 420 ter c.p.p..

I casi di assenza del Presidente o di suo impedimento temporaneo con la prescrizione di garanzie di continuità della funzione ad esso attribuita inibiscono ab initio ogni valutazione sulla idoneità dell’attività governativa a rappresentare (a prescindere) un impedimento legittimo a comparire in udienza: anzi, potrebbe affermarsi che gli impedimenti legati all’attività del Presidente del Consiglio non si appalesano mai legittimi ai sensi del codice di procedura penale poiché in questi casi l’assenza non sarebbe mai dovuta - per ripetere le parole del codice - ad una causa di “assoluta impossibilità a comparire”.

Invero, il richiamo ad opera della novella legislativa de qua dell’art. 420 ter c.p.p. e dunque del relativo statuto di disciplina porta comunque l’interprete a dover valutare se il legittimo impedimento (come anche il caso fortuito e la forza maggiore) integrino o meno una causa di configurazione dell’assenza dal processo come “dovuta ad assoluta impossibilità a comparire”: ebbene, se tale impossibilità viene parametrata al dispiegamento di funzioni governative ma non vulnerabili nel loro esercizio da una absentia del Presidente, non si vede come possa giungersi, sempre e comunque, a poter affermare che l’assenza processuale risulta sempre giustificata poichè dovuta ad una assoluta impossibilità di comparire.

Tale impossibilità, a ben vedere, non sussiste né sul piano giuridico né su quello naturalistico essendo previsto dalla stessa legislazione, appunto, un “legittimo impedimento” del Presidente del Consiglio alla svolgimento delle rispettive attività istituzionali.

Diverso sarebbe stato se il legislatore avesse configurato l’esercizio delle funzioni governative non tanto quali casi di legittimo impedimento bensì quali ipotesi normative di “forza maggiore” ovvero una sorta di factum principis di conio legale relegante sul piano dei “fatti” l’attività governativa del cittadino-Presidente del Consiglio non potendosi, allora, discettare su possibili funzioni di governo in absentia poiché trattandosi come “fatto” l’ipotesi considerata resterebbe per l’effetto preclusa una valutazione in diritto rectius delle norme sulla supplenza sopra indicate (ma in tal caso, ad ogni buon conto, il Capo dello Stato non si sarebbe potuto esimere da un rinvio).

Se nell’ambito dell’art. 420 ter, comma 1, c.p.p. occorre distinguere tra caso fortuito e forza maggiore da un lato e legittimo impedimento dall’altro, sembra che la differenza debba poggiare sul sostrato “pienamente” naturalistico dell’accadimento in un caso (mero fatto) mentre nell’altro (legittimo impedimento) sul suo essere il medesimo qualificato o “mediato” da una norma (fattispecie): un fatto può esistere o meno ma se si invoca un parametro di legittimità è perché v’è una disposizione normativa che sussume un fatto nell’ambito di una fattispecie legale.

Se allora appare corretto riempire di contenuto la clausola sul legittimo impedimento ex art. 420 ter c.p.p. con il richiamo di fattispecie legali (esercizio funzioni governative) le stesse dovranno tuttavia essere considerate nella totalità del rispettivo statuto di disciplina, non esclusi i precetti sull’esercizio dell’attività di governo in absentia del Presidente e rispettiva supplenza.

Il che, in definitiva, porta a rendere quantomeno problematica la concreta applicazione della novella legislativa.

Il 9 aprile 2010 è entrata in vigore la legge 7 aprile 2010 n. 51 recante “Disposizioni in materia di impedimento a comparire in udienza” il cui art. 1 riempie di contenuto la clausola generale contenuta nell’art. 420 ter c.p.p. - rubricato ”Impedimento a comparire dell’imputato o del difensore” - ove si menziona, appunto, il cosiddetto “legittimo impedimento” quale ipotesi idonea ad integrare una causa di “assoluta impossibilità di comparire” oltre al caso fortuito ed alla forza maggiore [Recita infatti il comma 1 dell’art. 420 ter c.p.p. “Quando l’imputato, anche se detenuto, non si presenta all’udienza e risulta che l’assenza e’ dovuta ad assoluta impossibilità di comparire per caso fortuito, forza maggiore o altro legittimo impedimento, il giudice, con ordinanza, anche d’ufficio, rinvia ad una nuova udienza e dispone che sia rinnovato l’avviso all’imputato, a norma dell’art. 419, comma 1”]; in particolare, costituisce legittimo impedimento per il Presidente del Consiglio dei Ministri “il concomitante esercizio di una o più delle attribuzioni previste dalle leggi o dai regolamenti e in particolare dagli articoli 5, 6 e 12 della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni, dagli articoli 2, 3 e 4 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 303, e successive modificazioni, e dal regolamento interno del Consiglio dei Ministri, di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 10 novembre 1993, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 268 del 15 novembre 1993, e successive modificazioni, delle relative attività preparatorie e consequenziali, nonché di ogni attività comunque coessenziale alle funzioni di Governo”.

Condivisibili ed attenti contributi dottrinali [MARINUCCI, Impedimento a comparire in giudizio del Presidente del Consiglio dei Ministri: davvero “legittimo”?, in www.forumcostituzionale.it del 25 marzo 2010; PACE, Il legittimo impedimento è incostituzionale, in La Repubblica del 08 febbraio 2010] hanno evidenziato i plurimi profili di illegittimità costituzionale della normativa appena varata non senza paventare degli escamotage esegetici finalizzati a superare i “lacci” posti al giudice penale dalla novella: si è così ritenuto che “la legge parla di «legittimo» impedimento, non d’impedimento «assoluto»… significa che un’interpretazione conforme a Costituzione può recuperare spazio alla discrezionalità del giudice, permettendogli di sindacare le ragioni addotte dalla presidenza del Consiglio, ed eventualmente di respingerle” [AINIS, Il rispetto della Costituzione ed il cappotto del Presidente, in Sole24Ore online del 08 aprile 2010].

In questo breve contributo si intende offrire, nelle more di un presumibile “interessamento” della Corte Costituzionale, un contributo tendente a valorizzare un “persistente” potere sindacatorio del giudice penale sulle “richieste” o attestazioni della Presidenza del Consiglio finalizzate all’applicazione della nuova normativa [Per vero, come sembra evidenziare MARINUCCI, op. cit., il giudicante sarebbe obbligato al rinvio soltanto nella ipotesi di “autocertificazione” prodotta dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri ex art. 1, comma 4, L. n. 51/2010 laddove nella ipotesi di cui al comma 3 (“Il giudice, su richiesta di parte, quando ricorrono le ipotesi di cui ai commi precedenti rinvia il processo ad altra udienza”) permarrebbe la discrezionalità del giudice nel disporre il rinvio ai sensi della disciplina generale ex art. 420 ter, comma 1, c.p.p.].

Al riguardo occorre considerare l’art. 8, L. n. 400/1988 rubricato “Vicepresidenti del Consiglio dei ministri” secondo cui “Il Presidente del Consiglio dei ministri può proporre al Consiglio dei ministri l’attribuzione ad uno o più ministri delle funzioni di Vicepresidente del Consiglio dei ministri. Ricorrendo questa ipotesi, in caso di assenza o impedimento temporaneo del Presidente del Consiglio dei ministri, la supplenza spetta al Vicepresidente o, qualora siano nominati più Vicepresidenti, al Vicepresidente più anziano secondo l’età. Quando non sia stato nominato il Vicepresidente del Consiglio dei ministri, la supplenza di cui al comma 1 spetta, in assenza di diversa disposizione da parte del Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro più anziano secondo l’età”. Parimenti, l’art. 1, comma 2, di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 10 novembre 1993 (richiamato integralmente dall’art. 1, L. n. 51/2010) dispone che “In caso di assenza o impedimento temporaneo del Presidente del Consiglio, le relative funzioni sono svolte, ai sensi dell’art. 8 della legge 23 agosto 1988, n. 400, dal vicepresidente del Consiglio; qualora vi siano più vicepresidenti, dal più anziano secondo l’età; in mancanza, dal Ministro più anziano per età”.

Tali previsioni legislative sembrano smentire intanto che il legittimo impedimento a comparire, per come configurato dalla novella in commento, possa essere considerato, anche nel caso di attestazione della Presidenza del Consiglio, quale “presunzione assoluta”: se la medesima normativa si premura di garantire la continuità della funzione di governo anche nei casi di absentia del Presidente, l’esercizio delle funzioni governative non potrà mai rappresentare - come esplicita l’art. 420 ter espressamente richiamato dalla nuova legge - una ipotesi di “assoluta impossibilità di comparire” (oltre al caso fortuito ed alla forza maggiore) o quantomeno occorrerà valutare caso per caso la specifica tipologia di attività impeditiva alla comparizione nel processo.

Potrebbe essere obiettato che la ratio della nuova disciplina non è quella di garantire la continuità nell’esercizio delle funzioni di governo (ammesso che l’essere presenti in udienza possa ledere tale esigenza) bensì quella di “consentire al Presidente del Consiglio dei Ministri e ai Ministri il sereno svolgimento delle funzioni loro attribuite dalla Costituzione e dalla legge” (art. 2, L. n. 51/2010): ma si tratterebbe allora di una sorta di “diritto alla felicità” per quei cittadini espletanti funzioni di governo che tuttavia appare risibile anche solo paventare giuridicamente.

Nel momento in cui il legittimo impedimento viene concretizzato nell’esercizio di una funzione normativamente regolamentata, di tale statuto di disciplina dovrà tenersi conto anche nella parte in cui si prevede che quella funzione attribuita ad una carica dello Stato possa essere espletata in supplenza.

Se le disposizioni sulle attribuzioni del Presidente del Consiglio contemplano un (fisiologico) “legittimo impedimento” all’esercizio della funzione governativa apportando garanzie sostitutive, non si vede come quelle stesse attribuzioni possano a loro volta costituire sempre e comunque causa di un legittimo impedimento ex art. 420 ter c.p.p..

I casi di assenza del Presidente o di suo impedimento temporaneo con la prescrizione di garanzie di continuità della funzione ad esso attribuita inibiscono ab initio ogni valutazione sulla idoneità dell’attività governativa a rappresentare (a prescindere) un impedimento legittimo a comparire in udienza: anzi, potrebbe affermarsi che gli impedimenti legati all’attività del Presidente del Consiglio non si appalesano mai legittimi ai sensi del codice di procedura penale poiché in questi casi l’assenza non sarebbe mai dovuta - per ripetere le parole del codice - ad una causa di “assoluta impossibilità a comparire”.

Invero, il richiamo ad opera della novella legislativa de qua dell’art. 420 ter c.p.p. e dunque del relativo statuto di disciplina porta comunque l’interprete a dover valutare se il legittimo impedimento (come anche il caso fortuito e la forza maggiore) integrino o meno una causa di configurazione dell’assenza dal processo come “dovuta ad assoluta impossibilità a comparire”: ebbene, se tale impossibilità viene parametrata al dispiegamento di funzioni governative ma non vulnerabili nel loro esercizio da una absentia del Presidente, non si vede come possa giungersi, sempre e comunque, a poter affermare che l’assenza processuale risulta sempre giustificata poichè dovuta ad una assoluta impossibilità di comparire.

Tale impossibilità, a ben vedere, non sussiste né sul piano giuridico né su quello naturalistico essendo previsto dalla stessa legislazione, appunto, un “legittimo impedimento” del Presidente del Consiglio alla svolgimento delle rispettive attività istituzionali.

Diverso sarebbe stato se il legislatore avesse configurato l’esercizio delle funzioni governative non tanto quali casi di legittimo impedimento bensì quali ipotesi normative di “forza maggiore” ovvero una sorta di factum principis di conio legale relegante sul piano dei “fatti” l’attività governativa del cittadino-Presidente del Consiglio non potendosi, allora, discettare su possibili funzioni di governo in absentia poiché trattandosi come “fatto” l’ipotesi considerata resterebbe per l’effetto preclusa una valutazione in diritto rectius delle norme sulla supplenza sopra indicate (ma in tal caso, ad ogni buon conto, il Capo dello Stato non si sarebbe potuto esimere da un rinvio).

Se nell’ambito dell’art. 420 ter, comma 1, c.p.p. occorre distinguere tra caso fortuito e forza maggiore da un lato e legittimo impedimento dall’altro, sembra che la differenza debba poggiare sul sostrato “pienamente” naturalistico dell’accadimento in un caso (mero fatto) mentre nell’altro (legittimo impedimento) sul suo essere il medesimo qualificato o “mediato” da una norma (fattispecie): un fatto può esistere o meno ma se si invoca un parametro di legittimità è perché v’è una disposizione normativa che sussume un fatto nell’ambito di una fattispecie legale.

Se allora appare corretto riempire di contenuto la clausola sul legittimo impedimento ex art. 420 ter c.p.p. con il richiamo di fattispecie legali (esercizio funzioni governative) le stesse dovranno tuttavia essere considerate nella totalità del rispettivo statuto di disciplina, non esclusi i precetti sull’esercizio dell’attività di governo in absentia del Presidente e rispettiva supplenza.

Il che, in definitiva, porta a rendere quantomeno problematica la concreta applicazione della novella legislativa.