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Chi è il mediatore?

Il mediatore è un professionista della più varia estrazione che ha diverse competenze ed abilità.

Alcune sono senz’altro acquisibili[1], altre forse sono innate.

Quando si presenta alle parti afferma di essere un professionista che però svolgerà in quella sede il ruolo di mediatore.

C’è differenza tra i due ruoli?

C’è differenza qualora gli si chiedano pareri o decisioni. Perché il mediatore, a differenza del professionista, perlomeno quello che agisce in mediazione facilitativa[2], non decide, né suggerisce.

Al massimo il mediatore può, se ne ha la competenza, aiutare le partecipanti ad applicare alle soluzioni[3] che essi stessi hanno trovato, le condizioni valide per entrambi[4]; ma quest’attività è svolta da lui se non sono presenti i consulenti, diversamente saranno loro[5] a provvedere, così come del resto a stendere un eventuale accordo.

Non c’è invece differenza di ruoli, se parliamo di un professionista che riesce a porre il cliente davanti ad altri punti di vista, compreso quello della controparte indicandolo come una preziosa risorsa; se parliamo di un professionista che aiuta il cliente a modificare la percezione della realtà, senza giudicarla, ma solo per abbracciarne una più proficua.

Non c’è differenza di ruoli se parliamo di un professionista che sa spegnere le emozioni negative del cliente e che tenta di proteggerlo, nello stesso tempo, da un accordo poco soddisfacente.

Un professionista che lavori così è pure mediatore e di andare in mediazione forse non ha neppure bisogno.

Ma non sempre le cose si possono affrontare come si desidera.

Quando non si riesce o si va dal giudice, ma qui in due non si può vincere, o si va dal mediatore e qui, se non si vince in due, si va o si torna dal giudice.

Tanto vale quindi fare un tentativo: il mediatore non solo non attribuisce ragioni e torti, ma non segue nemmeno una logica stringente come è costretto a fare un giudice, fa scegliere alle parti la logica che preferiscono, ossia una logica consensuale.

Quel che gli importa è solo che le parti cerchino accordi solidi[6], efficienti, sensati ed omologabili.

In funzione di ciò mette in campo tutte le sue competenze e qualità: inizialmente detta la strategia, legge i fascicoli delle parti, prepara l’ambiente di mediazione (setting) in modo che le parti si sentano a proprio agio nonostante la questione che li divide, decide come articolare le fasi della procedura che è per sua natura flessibile.

Durante tutta la procedura si preoccupa poi sommamente di essere percepito come imparziale e non perde occasione per ribadire alle parti la riservatezza ed in certi momenti, anche la confidenzialità dell’incontro[7].

Sin dal primo approccio ha coscienza che si deve presentare in fretta e che deve fare una buona impressione, perché diversamente la mediazione è già finita prima ancora di cominciare.

Studia il linguaggio del corpo[8] dei partecipanti sin dalla prima stretta di mano, e poi il verbale ed il paraverbale: e ciò non perché abbia intenti manipolativi, ma perché ha bisogno di entrare in empatia, ossia di provare esattamente quel che loro sentono, se vuole riuscire a farli comunicare prima con lui e poi tra di loro, se vuole, in altri termini, che la loro comunicazione possa continuare nel tempo (in questo senso l’accordo è solo un adempimento formale).

Come cerca di spegnere le emozioni negative delle parti, senza giudicarle, il mediatore compie analogo processo su di sé: prende coscienza che ci sono minacce per la sua imparzialità[9], se capita, e non si abbatte, ma cerca di superarle; diversamente la mediazione andrà sospesa.

Ma il mediatore cerca di mettere in discussione anche la stessa mediazione: fa in modo che le parti verifichino se possono soddisfare meglio i loro interessi altrove, e se così è non li forza certo ad accordarsi.

Durante la procedura cerca poi di essere autorevole, ma non autoritario, anche quando detta le regole del gioco e cerca di farle rispettare.

Suscita con domande mirate gli interessi delle parti perché ha imparato che sono i bisogni, i desideri, le credenze ed i valori che motivano le posizioni degli uomini e non il contrario; perché sa che se non vengono soddisfatti i bisogni fondamentali, gli altri resteranno delle chimere; perché ha verificato sul campo che, trovato l’interesse, c’è una gamma di posizioni alternative che possono soddisfarlo; perché gli hanno insegnato che gli interessi possono essere anche opposti, ma pure differenti e comuni: che c’è, in altre parole, una buona possibilità di allargare la torta negoziale, ossia di conciliarli.

Sulle posizioni di partenza, al contrario, il mediatore non può lavorare perché sono opposte ed escludenti ed il giudice, infatti, in presenza di posizioni (ciò che le parti dicono di volere) non può che dare ragione all’uno o all’altro dei contendenti.

Come si fa a generare e lavorare sulle alternative che soddisfano gli interessi? Con delle tecniche di comunicazione creativa, ad esempio il Brainstorming o i 6 cappelli per pensare di Edward De Bono. Ogni tecnica di per sé è buona se nel caso concreto si rivela efficace.

Se alla fine si è collaborato bene insieme, parti e consulenti sceglieranno tra le opzioni negoziali, ossia tra le alternative che soddisfano il maggior numero di interessi delle parti.

I partecipanti alla mediazione avranno però ancora lo scrupolo di verificare se non ci siano soluzioni più valide, esternamente all’accordo e se quelle opzioni, possano, come dicevamo all’inizio, reggere all’applicazione dei filtri.

E tutti taglieranno insieme il traguardo da vincitori.

In sintesi il mediatore è un uomo possibilmente saggio che possiede la virtù dell’attenzione e dell’ascolto ed ha bisogno del professionista per dare una mano al futuro.



[1] Peraltro in merito alla formazione della mediatore si attende un nuovo decreto ministeriale.

[2] Che si limita a facilitare cioè la comunicazione delle parti in funzione dell’accordo.

[3] Che in mediazione si dicono “alternative” rispetto alle posizioni di partenza.

[4] Quelli che si definiscono “filtri”: legge, la regola dell’arte, ecc.

[5] O in difetto di competenza un esperto appositamente nominato.

[6] Globali, definitivi,incondizionati ed obbligatori.

[7] Nelle sessioni private.

[8] Sguardo, mimica, posizione, azione, gestione degli spazi, andatura ecc.

[9] Come le “triangolazioni” e gli ancoraggi negativi.

Il mediatore è un professionista della più varia estrazione che ha diverse competenze ed abilità.

Alcune sono senz’altro acquisibili[1], altre forse sono innate.

Quando si presenta alle parti afferma di essere un professionista che però svolgerà in quella sede il ruolo di mediatore.

C’è differenza tra i due ruoli?

C’è differenza qualora gli si chiedano pareri o decisioni. Perché il mediatore, a differenza del professionista, perlomeno quello che agisce in mediazione facilitativa[2], non decide, né suggerisce.

Al massimo il mediatore può, se ne ha la competenza, aiutare le partecipanti ad applicare alle soluzioni[3] che essi stessi hanno trovato, le condizioni valide per entrambi[4]; ma quest’attività è svolta da lui se non sono presenti i consulenti, diversamente saranno loro[5] a provvedere, così come del resto a stendere un eventuale accordo.

Non c’è invece differenza di ruoli, se parliamo di un professionista che riesce a porre il cliente davanti ad altri punti di vista, compreso quello della controparte indicandolo come una preziosa risorsa; se parliamo di un professionista che aiuta il cliente a modificare la percezione della realtà, senza giudicarla, ma solo per abbracciarne una più proficua.

Non c’è differenza di ruoli se parliamo di un professionista che sa spegnere le emozioni negative del cliente e che tenta di proteggerlo, nello stesso tempo, da un accordo poco soddisfacente.

Un professionista che lavori così è pure mediatore e di andare in mediazione forse non ha neppure bisogno.

Ma non sempre le cose si possono affrontare come si desidera.

Quando non si riesce o si va dal giudice, ma qui in due non si può vincere, o si va dal mediatore e qui, se non si vince in due, si va o si torna dal giudice.

Tanto vale quindi fare un tentativo: il mediatore non solo non attribuisce ragioni e torti, ma non segue nemmeno una logica stringente come è costretto a fare un giudice, fa scegliere alle parti la logica che preferiscono, ossia una logica consensuale.

Quel che gli importa è solo che le parti cerchino accordi solidi[6], efficienti, sensati ed omologabili.

In funzione di ciò mette in campo tutte le sue competenze e qualità: inizialmente detta la strategia, legge i fascicoli delle parti, prepara l’ambiente di mediazione (setting) in modo che le parti si sentano a proprio agio nonostante la questione che li divide, decide come articolare le fasi della procedura che è per sua natura flessibile.

Durante tutta la procedura si preoccupa poi sommamente di essere percepito come imparziale e non perde occasione per ribadire alle parti la riservatezza ed in certi momenti, anche la confidenzialità dell’incontro[7].

Sin dal primo approccio ha coscienza che si deve presentare in fretta e che deve fare una buona impressione, perché diversamente la mediazione è già finita prima ancora di cominciare.

Studia il linguaggio del corpo[8] dei partecipanti sin dalla prima stretta di mano, e poi il verbale ed il paraverbale: e ciò non perché abbia intenti manipolativi, ma perché ha bisogno di entrare in empatia, ossia di provare esattamente quel che loro sentono, se vuole riuscire a farli comunicare prima con lui e poi tra di loro, se vuole, in altri termini, che la loro comunicazione possa continuare nel tempo (in questo senso l’accordo è solo un adempimento formale).

Come cerca di spegnere le emozioni negative delle parti, senza giudicarle, il mediatore compie analogo processo su di sé: prende coscienza che ci sono minacce per la sua imparzialità[9], se capita, e non si abbatte, ma cerca di superarle; diversamente la mediazione andrà sospesa.

Ma il mediatore cerca di mettere in discussione anche la stessa mediazione: fa in modo che le parti verifichino se possono soddisfare meglio i loro interessi altrove, e se così è non li forza certo ad accordarsi.

Durante la procedura cerca poi di essere autorevole, ma non autoritario, anche quando detta le regole del gioco e cerca di farle rispettare.

Suscita con domande mirate gli interessi delle parti perché ha imparato che sono i bisogni, i desideri, le credenze ed i valori che motivano le posizioni degli uomini e non il contrario; perché sa che se non vengono soddisfatti i bisogni fondamentali, gli altri resteranno delle chimere; perché ha verificato sul campo che, trovato l’interesse, c’è una gamma di posizioni alternative che possono soddisfarlo; perché gli hanno insegnato che gli interessi possono essere anche opposti, ma pure differenti e comuni: che c’è, in altre parole, una buona possibilità di allargare la torta negoziale, ossia di conciliarli.

Sulle posizioni di partenza, al contrario, il mediatore non può lavorare perché sono opposte ed escludenti ed il giudice, infatti, in presenza di posizioni (ciò che le parti dicono di volere) non può che dare ragione all’uno o all’altro dei contendenti.

Come si fa a generare e lavorare sulle alternative che soddisfano gli interessi? Con delle tecniche di comunicazione creativa, ad esempio il Brainstorming o i 6 cappelli per pensare di Edward De Bono. Ogni tecnica di per sé è buona se nel caso concreto si rivela efficace.

Se alla fine si è collaborato bene insieme, parti e consulenti sceglieranno tra le opzioni negoziali, ossia tra le alternative che soddisfano il maggior numero di interessi delle parti.

I partecipanti alla mediazione avranno però ancora lo scrupolo di verificare se non ci siano soluzioni più valide, esternamente all’accordo e se quelle opzioni, possano, come dicevamo all’inizio, reggere all’applicazione dei filtri.

E tutti taglieranno insieme il traguardo da vincitori.

In sintesi il mediatore è un uomo possibilmente saggio che possiede la virtù dell’attenzione e dell’ascolto ed ha bisogno del professionista per dare una mano al futuro.



[1] Peraltro in merito alla formazione della mediatore si attende un nuovo decreto ministeriale.

[2] Che si limita a facilitare cioè la comunicazione delle parti in funzione dell’accordo.

[3] Che in mediazione si dicono “alternative” rispetto alle posizioni di partenza.

[4] Quelli che si definiscono “filtri”: legge, la regola dell’arte, ecc.

[5] O in difetto di competenza un esperto appositamente nominato.

[6] Globali, definitivi,incondizionati ed obbligatori.

[7] Nelle sessioni private.

[8] Sguardo, mimica, posizione, azione, gestione degli spazi, andatura ecc.

[9] Come le “triangolazioni” e gli ancoraggi negativi.