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E’ possibile proporre domanda di scioglimento della comunione legale in pendenza della causa di separazione personale?

Nota a Corte di Cassazione – Sezione Prima Civile, Sentenza 26 febbraio 2010 n. 4757
Con sentenza n. 4757 del 26 febbraio 2010 la prima sezione civile della Corte di Cassazione, mutando il proprio precedente indirizzo, ha stabilito che “il passaggio in giudicato della sentenza di separazione giudiziale (o di omologa di quella consensuale) non è condizione di procedibilità della domanda giudiziaria di scioglimento della comunione legale e relativa divisione dei beni, ma condizione dell’azione; di conseguenza, è sufficiente che tale condizione sussista al momento della pronuncia”.

Il perno normativo in materia è l’art. 191 c.c., che prevede tra le cause di scioglimento della comunione legale dei beni la separazione personale (giudiziale o consensuale), da cui si evince, pertanto, che lo scioglimento si verifica, ex nunc, al passaggio in giudicato della sentenza di separazione giudiziale o dal momento dell’omologazione di quella consensuale. Mentre non produce alcun effetto il provvedimento presidenziale di cui all’art. 708 c.p.c., che autorizza l’interruzione della convivenza tra i coniugi, data la sua funzione meramente provvisoria.

In passato, la Suprema Corte si era pronunciata costantemente nel senso dell’improponibilità della domanda di scioglimento della comunione legale e relativa divisione dei beni prima del passaggio in giudicato della pronuncia di separazione personale (si ricordano Cass. 7 marzo 1995 n. 2652; Cass. 23 giugno 1998 n. 6234; Cass. 18 settembre 1998 n. 9325; Cass. 25 marzo 2003 n. 4351; Cass. 6 ottobre 2005 n. 19442), qualificando pertanto tale giudicato come presupposto processuale o, meglio, condizione di procedibilità dell’azione.

In virtù di questo costante orientamento giurisprudenziale, per anticipare il momento di scioglimento della comunione ed evitare soprattutto che l’altro coniuge compisse atti idonei a pregiudicare le ragioni con riferimento ai beni destinati a cadere in comunione de residuo, l’unico rimedio esperibile era la proposizione della domanda volta ad ottenere la separazione giudiziale dei beni prevista dall’art. 193 c.c., non preclusa dalla pendenza del giudizio di separazione personale tra gli stessi coniugi, né dall’avvenuta pronuncia, da parte del presidente del tribunale, dei provvedimenti temporanei ed urgenti di cui all’art. 708 c.p.c., che la stessa Corte, in alcune delle sentenze poc’anzi citate, riteneva altresì non idonei a rendere procedibile la domanda.

Con la decisione che qui si annota, la Suprema Corte ha ritenuto di riesaminare la questione, sulla spinta soprattutto della particolare fattispecie ad essa sottopostagli, ovvero: introduzione del giudizio di scioglimento della comunione in pendenza della causa di separazione personale e relativa decisione di primo grado dopo il passaggio in giudicato della relativa sentenza di separazione personale.

In proposito, la Corte di Cassazione è partita dalla nota distinzione, che non trova riscontro nel codice di rito, ma viene seguita da giurisprudenza e dottrina, tra presupposti del processo e condizioni dell’azione.

I primi, dice la Corte, “attengono all’esistenza stessa del processo, nonché alla sua validità e procedibilità, e devono sussistere prima della proposizione della domanda”, e sono dunque la giurisdizione, la competenza e la legittimazione processuale; le condizioni dell’azione sono, invece, “i requisiti di fondatezza della domanda, necessari affinché l’azione possa raggiungere la finalità concreta cui essa è diretta. La mancanza delle condizioni dell’azione non esclude ab origine l’esistenza del processo, ma impedisce che questo si concluda con una pronuncia favorevole all’attore stesso”. Sono condizioni dell’azione l’interesse ad agire (art. 100 c.p.c.), la legittimazione ad agire e a contraddire (art. 81 c.p.c.) e l’esistenza del diritto.

Dunque, sulla scorta di questa distinzione e seguendo il proprio costante orientamento che afferma che lo scioglimento della comunione si perfeziona con il passaggio in giudicato della sentenza di separazione giudiziale (o l’omologa di quella consensuale, la Corte cita, in proposito, le sentenze n. 8643 del 1992 e n. 2944 del 2001), la Suprema Corte è giunta a qualificare come condizione dell’azione, e non più come presupposto processuale, il passaggio in giudicato della relativa sentenza, in quanto è sia “fatto costitutivo del diritto ad ottenere lo scioglimento e la conseguente divisione” sia “momento in cui sorge l’interesse ad agire, concreto ed attuale, volto allo scioglimento della comunione e alla divisione”.

In particolare, prosegue la Corte, “il passaggio in giudicato (o l’omologa), come elemento decisivo della vicenda costitutiva del diritto allo scioglimento della comunione legale, comporta che tale vicenda debba ritenersi compiutamente realizzata, con la conseguenza che l’eventuale carenza o incompletezza originaria diviene irrilevante, perché sostituita dalla realizzazione compiuta del fatto costitutivo del diritto azionato, e non può precludere la pronuncia di merito: ciò che sempre accade ove, nelle more del giudizio, si realizzi uno dei requisiti, prima carente o inesistente, previsto dalla legge per l’accoglimento di una domanda giudiziale”.

Pertanto, stando a quest’ultimo e recente orientamento della Cassazione, oggi è possibile proporre domanda di scioglimento della comunione legale e relativa divisione in pendenza della causa di separazione personale, con la speranza comunque che quest’ultima, e soprattutto quella giudiziale, termini prima della causa di scioglimento della comunione, perché altrimenti la domanda di scioglimento verrà dichiarata improponibile.

Con sentenza n. 4757 del 26 febbraio 2010 la prima sezione civile della Corte di Cassazione, mutando il proprio precedente indirizzo, ha stabilito che “il passaggio in giudicato della sentenza di separazione giudiziale (o di omologa di quella consensuale) non è condizione di procedibilità della domanda giudiziaria di scioglimento della comunione legale e relativa divisione dei beni, ma condizione dell’azione; di conseguenza, è sufficiente che tale condizione sussista al momento della pronuncia”.

Il perno normativo in materia è l’art. 191 c.c., che prevede tra le cause di scioglimento della comunione legale dei beni la separazione personale (giudiziale o consensuale), da cui si evince, pertanto, che lo scioglimento si verifica, ex nunc, al passaggio in giudicato della sentenza di separazione giudiziale o dal momento dell’omologazione di quella consensuale. Mentre non produce alcun effetto il provvedimento presidenziale di cui all’art. 708 c.p.c., che autorizza l’interruzione della convivenza tra i coniugi, data la sua funzione meramente provvisoria.

In passato, la Suprema Corte si era pronunciata costantemente nel senso dell’improponibilità della domanda di scioglimento della comunione legale e relativa divisione dei beni prima del passaggio in giudicato della pronuncia di separazione personale (si ricordano Cass. 7 marzo 1995 n. 2652; Cass. 23 giugno 1998 n. 6234; Cass. 18 settembre 1998 n. 9325; Cass. 25 marzo 2003 n. 4351; Cass. 6 ottobre 2005 n. 19442), qualificando pertanto tale giudicato come presupposto processuale o, meglio, condizione di procedibilità dell’azione.

In virtù di questo costante orientamento giurisprudenziale, per anticipare il momento di scioglimento della comunione ed evitare soprattutto che l’altro coniuge compisse atti idonei a pregiudicare le ragioni con riferimento ai beni destinati a cadere in comunione de residuo, l’unico rimedio esperibile era la proposizione della domanda volta ad ottenere la separazione giudiziale dei beni prevista dall’art. 193 c.c., non preclusa dalla pendenza del giudizio di separazione personale tra gli stessi coniugi, né dall’avvenuta pronuncia, da parte del presidente del tribunale, dei provvedimenti temporanei ed urgenti di cui all’art. 708 c.p.c., che la stessa Corte, in alcune delle sentenze poc’anzi citate, riteneva altresì non idonei a rendere procedibile la domanda.

Con la decisione che qui si annota, la Suprema Corte ha ritenuto di riesaminare la questione, sulla spinta soprattutto della particolare fattispecie ad essa sottopostagli, ovvero: introduzione del giudizio di scioglimento della comunione in pendenza della causa di separazione personale e relativa decisione di primo grado dopo il passaggio in giudicato della relativa sentenza di separazione personale.

In proposito, la Corte di Cassazione è partita dalla nota distinzione, che non trova riscontro nel codice di rito, ma viene seguita da giurisprudenza e dottrina, tra presupposti del processo e condizioni dell’azione.

I primi, dice la Corte, “attengono all’esistenza stessa del processo, nonché alla sua validità e procedibilità, e devono sussistere prima della proposizione della domanda”, e sono dunque la giurisdizione, la competenza e la legittimazione processuale; le condizioni dell’azione sono, invece, “i requisiti di fondatezza della domanda, necessari affinché l’azione possa raggiungere la finalità concreta cui essa è diretta. La mancanza delle condizioni dell’azione non esclude ab origine l’esistenza del processo, ma impedisce che questo si concluda con una pronuncia favorevole all’attore stesso”. Sono condizioni dell’azione l’interesse ad agire (art. 100 c.p.c.), la legittimazione ad agire e a contraddire (art. 81 c.p.c.) e l’esistenza del diritto.

Dunque, sulla scorta di questa distinzione e seguendo il proprio costante orientamento che afferma che lo scioglimento della comunione si perfeziona con il passaggio in giudicato della sentenza di separazione giudiziale (o l’omologa di quella consensuale, la Corte cita, in proposito, le sentenze n. 8643 del 1992 e n. 2944 del 2001), la Suprema Corte è giunta a qualificare come condizione dell’azione, e non più come presupposto processuale, il passaggio in giudicato della relativa sentenza, in quanto è sia “fatto costitutivo del diritto ad ottenere lo scioglimento e la conseguente divisione” sia “momento in cui sorge l’interesse ad agire, concreto ed attuale, volto allo scioglimento della comunione e alla divisione”.

In particolare, prosegue la Corte, “il passaggio in giudicato (o l’omologa), come elemento decisivo della vicenda costitutiva del diritto allo scioglimento della comunione legale, comporta che tale vicenda debba ritenersi compiutamente realizzata, con la conseguenza che l’eventuale carenza o incompletezza originaria diviene irrilevante, perché sostituita dalla realizzazione compiuta del fatto costitutivo del diritto azionato, e non può precludere la pronuncia di merito: ciò che sempre accade ove, nelle more del giudizio, si realizzi uno dei requisiti, prima carente o inesistente, previsto dalla legge per l’accoglimento di una domanda giudiziale”.

Pertanto, stando a quest’ultimo e recente orientamento della Cassazione, oggi è possibile proporre domanda di scioglimento della comunione legale e relativa divisione in pendenza della causa di separazione personale, con la speranza comunque che quest’ultima, e soprattutto quella giudiziale, termini prima della causa di scioglimento della comunione, perché altrimenti la domanda di scioglimento verrà dichiarata improponibile.