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La nuova disciplina civile e amministrativa introdotta dalla legge n. 99/2009, dal d.l. n. 135/2009 e dalla legge Reguzzoni-Versace. Made in Italy, design e novità processuali

Sintesi della relazione tenuta al convegno "Made in Italy, denominazioni d’origine, marchi e brevetti: la proprietà industriale che cambia", Università di Parma, 27 maggio 2010
1. Il Governo rinnova la delega per la revisione del Codice della Proprietà Industriale: un anno di tempo per varare le nuove norme

Dopo un iter parlamentare lunghissimo, che ha avuto inizio nell’estate 2008 ed ha comportato due letture alla camera dei Deputati e due al Senato, il 15 agosto 2009 è finalmente diventato legge il «pacchetto anticontraffazione», frutto dell’attività di un Gruppo di Lavoro insediato dall’Alto Commissario per la Lotta alla Contraffazione pochi mesi prima della sua soppressione. Le norme che riguardano la proprietà industriale sono contenute negli artt. 15-19 della legge 23 luglio 2009, n. 99, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale il 31 luglio 2009.

In realtà il testo approvato è molto diverso da quello originario approntato dall’Alto Commissario, e non si può dire che sia cambiato in meglio. E’ comunque rimasta, anche se in un testo meno preciso di quello inizialmente proposto, la delega per la revisione del Codice della Proprietà Industriale, che il Governo ha un anno di tempo per esercitare.

Come è noto, la revisione del Codice era stata prevista già al momento del suo varo: l’art. 2 della legge n. 306/2004 stabiliva infatti che «entro un anno dall’entrata in vigore dei decreti legislativi» emanati in base alla delega per la predisposizione del Codice «il governo può adottare, previo parere delle competenti commissioni parlamentari, disposizioni correttive o integrative dei decreti legislativi medesimi». L’idea era cioè che il nuovo Codice avesse un anno di «rodaggio», per verificare se erano necessari mutamenti o adattamenti. Ed in effetti una Commissione di esperti – della quale, anche in questo caso, faceva parte l’Avv. Prof. Cesare Galli – era stata insediata già nel luglio 2005 e prima della fine dell’anno aveva predisposto un ampio articolato che non si limitava alla correzione degli errori materiali contenuti nel Codice ed al recupero di alcune disposizioni che erano «saltate» in occasione del varo del Codice (ed in particolare della priorità interna e della nuova disciplina delle invenzioni dei ricercatori universitari), ma aveva operato un approfondito ripensamento delle norme del Codice, nella prospettiva di rafforzare e rendere più efficace la protezione dei diritti di proprietà industriale, considerata elemento chiave per la competitività dell’«azienda Italia», in particolare attraverso una definizione sempre più precisa della contraffazione come comprensiva di ogni forma di parassitismo e l’adeguamento e il coordinamento dei diversi strumenti giuridici – civili, penali ed amministrativi – per contrastarla. Tuttavia, nonostante la tempestiva conclusione dei lavori ad opera della Commissione, il provvedimento si arenava nel corso dei passaggi agli uffici legislativi dei vari Ministeri competenti e il termine previsto per l’esercizio della delega scadeva il 19 marzo 2006 senza essere rinnovato. Le uniche norme predisposte dalla Commissione ad entrare effettivamente in vigore erano così quelle riconducibili all’attuazione della Direttiva n. 48/2004/C.E. (la cosiddetta Direttiva «Enforcement»), varate col d.lgs. 16 marzo 2006, n. 140, che hanno tra l’altro introdotto la sanzione della reversione degli utili del contraffattore.

La nuova delega, ancorché meno specifica di quella ipotizzata dal progetto dell’Alto Commissario (che indicava espressamente tra i criteri da seguire quello di «rafforzare e rendere più efficace la protezione dei diritti di proprietà industriale, in particolare contro il parassitismo, anche sul piano processuale, inserendo anche una norma espressa relativa ai presupposti per la protezione dei segni distintivi non registrati ed alla disciplina ad essi applicabile»), prevede comunque che l’intervento riguardi non soltanto le disposizioni di carattere sostanziale, ma anche quelle processuali, il che dovrebbe scongiurare i rischi di pronunce d’incostituzionalità analoghe a quelle che si sono abbattute sul Codice proprio per questa ragione. Tra gli altri criteri, degni di nota sono quelli della «controriforma» della disciplina delle invenzioni dei dipendenti delle Università e delle istituzioni pubbliche di ricerca, con l’attribuzione alle istituzioni di appartenenza del diritto al brevetto.

Un coordinamento sarà necessario anche rispetto al Regolamento di attuazione del Codice, attualmente in corso di rielaborazione dopo che il testo predisposto era stato bocciato lo scorso anno dal Consiglio di Stato. E’ dunque auspicabile che nel procedimento di elaborazione normativa venga coinvolto il comitato normativo istituito dal nuovo Direttore Generale dell’U.I.B.M. e della Lotta alla Contraffazione Avv. Loredana Gulino in seno al tavolo di confronto con le imprese ed i soggetti privati.

2. Le novità del Codice già entrate in vigore: la priorità interna, il nuovo regime transitorio del design e le norme processuali. Superati i rischi di incostituzionalità per i processi in corso

Oltre a rinnovare la delega per la revisione del Codice, la legge 23 luglio 2009, n. 99, ha già introdotto direttamente una serie di innovazioni, in gran parte sempre derivanti dal progetto dell’Alto Commissario. Sul piano civilistico, particolarmente significativa appare l’introduzione della cosiddetta «priorità interna», ossia della possibilità di rivendicare la priorità di una domanda di brevetto italiano anche in una successiva domanda di brevetto egualmente depositata nel nostro Paese. Già originariamente previsto nell’art. 4 del Codice dedicato alla priorità, dal quale era stato però rimosso su suggerimento del Consiglio di Stato solo per ragioni di carattere sistematico, essendo evidente che la «priorità interna» non ha nulla a che vedere con il generale istituto della rivendicazione di priorità disciplinato da tale norma, e va invece inquadrato come un istituto speciale applicabile unicamente alle invenzioni ed ai modelli di utilità e cioè alle creazioni intellettuali a contenuto tecnologico. Con la nuova norma l’istituto della priorità interna viene collocato più correttamente nell’art. 47 del Codice, di cui costituisce il comma 4°, con l’espressa avvertenza che la domanda successiva deve avere riguardo ad elementi già contenuti nella domanda di cui si rivendica la priorità. In tal modo viene aperta anche nel nostro Paese un’importante possibilità, già riconosciuta nei principali ordinamenti stranieri, mettendo quindi anche sotto questo profilo il sistema brevettuale italiano in condizione di competere ad armi pari a livello internazionale.

Egualmente significativa è l’abrogazione dell’art. 3 del D.M. 3 ottobre 2007, ossia della norma, molto criticata (cfr. IP_LAW_GALLI Newsletter, Dicembre 2007/Gennaio 2008), che specificava che «la decadenza del diritto di proprietà industriale» comminata nelle ipotesi di «ritardo del pagamento della quinta annualità per il brevetto per invenzione industriale (e) del secondo quinquennio per il brevetto per modello di utilità e per la registrazione di disegno o modello» e di «mancata o tardiva presentazione dell’istanza di proroga di cui all’art. 238 del decreto legislativo n. 30/2005, riferita al secondo quinquennio dei disegni e modelli» operasse «dalla data del deposito della relativa domanda», ossia retroattivamente, mentre il principio generale in materia di decadenza dei diritti di proprietà industriale – e vale anzi a distinguere questo istituto dalla nullità – è quello per cui la decadenza produce i suoi effetti dal momento in cui si verifica la situazione che vi ha dato causa. E dunque l’abrogazione di questa disposizione implica la riaffermazione di tale principio generale.

Ancora più importanti sul piano pratico sono le modifiche apportate agli artt. 120, 122 e 134 del Codice. Il nuovo testo dell’art. 120 contempla la facoltà per il giudice di disporre la sospensione della causa di nullità o di contraffazione promosse sulla base di titoli non ancora concessi sino a quando l’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi abbia provveduto sulla domanda stessa di concessione. Benché infatti già anteriormente la norma prevedeva che l’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi esaminasse la domanda di concessione implicata nella causa con precedenza rispetto alle domande presentate in data anteriore, la causa poteva comunque giungere in decisione prima che l’U.I.B.M. avesse provveduto. L’art. 122 precisa ora che a dover essere trasmessi all’U.I.B.M. sono gli atti introduttivi e le sentenze dei soli giudizi relativi ai «titoli» di proprietà industriale, ossia per i diritti che sorgono con un atto amministrativo di registrazione o di brevettazione, escludendo espressamente quest’onere per i diritti rimanenti, rispetto ai quali tale trasmissione sarebbe del tutto inutile. Infine all’art. 134 del Codice è stata riformulata disposizione sulla competenza delle Sezioni Specializzate in materia di Proprietà Industriale e Intellettuale per tener conto comma della sentenza della Corte Costituzionale n. 170/2007, che ha giudicato illegittima l’applicazione alle cause industrialistiche del cosiddetto rito societario, che proprio in questi giorni è stato definitivamente cancellato.

Anche se apparentemente minori, queste modifiche processuali sono in realtà della massima importanza, perché hanno offerto al legislatore il destro di prevedere un regime transitorio che rende applicabili le norme modificate anche ai processi in corso. In tal modo è stato sventato il rischio di una possibile declaratoria d’incostituzionalità di tali disposizioni – che avrebbe avuto conseguenze gravissime, in particolare per le cause instaurate davanti alle Sezioni Specializzate per ragioni di connessione impropria e per i giudizi in grado di appello, rischiando di riportarli in primo grado per consentire l’intervento del Pubblico Ministero –, in quanto adottate nel Codice pur in assenza di una delega all’adozione di innovazioni processuali, come in effetti la Corte Costituzionale ha in effetti già ritenuto, con la sua sentenza n. 112 del 14/24 aprile 2008, in relazione alla disposizione dell’art. 235 C.P.I. (cfr. IP_LAW_GALLI Newsletter, settembre 2008). Proprio in relazione a questa pronuncia, sempre in via di regime transitorio la legge … ha riscritto la norma dichiarata costituzionalmente illegittima, prevedendo che «Le controversie in grado d’appello nelle materie di cui all’articolo 134 iniziate dopo l’entrata in vigore del presente codice, restano devolute alla cognizione delle sezioni specializzate di cui al decreto legislativo 27 giugno 2003, n. 168, anche se il giudizio di primo grado o il giudizio arbitrale sono iniziati o si sono svolti secondo le norme precedentemente in vigore, a meno che non sia già intervenuta nell’ambito di essi una pronuncia sulla competenza» (art. 245, comma 2 C.P.I., mentre al comma 3° una regola analoga è stabilita per i reclami e i giudizi di merito a seguito dei provvedimenti cautelari cominciati prima dell’istituzione delle Sezioni specializzate). Ciò significa che in queste cause d’appello non dovrà essere dichiarata l’incompetenza del Giudice adito e che quindi tali cause non dovranno essere reinstaurate davanti ai Giudici che sarebbero stati competenti secondo le ordinarie regole di competenza, con rilevanti vantaggi in termini di risparmi di costi e di economia processuale. Vi è solo da notare l’errore materiale consistente nell’uso del maschile «essi» in luogo del femminile «esse» alla fine della norma: è infatti evidente che, perché la prescrizione abbia un senso, la già intervenuta pronuncia sulla competenza che lascia le cause in appello alla competenza dei Giudici determinati in base alle norme ordinarie, anziché affidarle alle Sezioni Specializzate, dev’essere intervenuta appunto nelle «controversie in grado d’appello», e non certo nei corrispondenti giudizi di primo grado.

Più discutibile è la riscrittura della disposizione transitoria in materia di diritto d’autore sulle opere dell’industrial design (art. 239 C.P.I.). La nuova norma, infatti, «corregge il tiro» solo in parte, poiché ammette espressamente alla protezione di diritto d’autore anche le opere create prima del 19 aprile 2001 (data dell’entrata in vigore della norma che ha introdotto per la prima volta in Italia la protezione di diritto d’autore del design dotato di valore artistico), ma accorda al contempo la facoltà di continuare a copiare tali opere a tutti gli imitatori che possano dimostrare di aver iniziato la loro attività egualmente prima di tale data. La norma prevede peraltro che l’attività degli imitatori possa proseguire solo «nei limiti del preuso», ossia senza eccedere i livelli (verosimilmente, anche quantitativi) che essa aveva prima del 19 aprile 2001: e ritengo che si possa sostenere che sia l’imitatore a dover provare sia il preuso, che è il fondamento del suo diritto di continuare a copiare, sia questo livello quantitativo anteriore, che ne costituisce la misura.

Anche la nuova norma, peraltro, deve ritenersi sub iudice. Il Tribunale di Milano ha infatti rivolto alla Corte di Giustizia C.E. una richiesta d’interpretazione pregiudiziale della Direttiva n. 98/71/C.E. proprio relativamente al regime transitorio della protezione di diritto d’autore del design e implicitamente dunque anche sulla compatibilità con essa di una norma come questa.

La questione è stata discussa davanti ai Giudici comunitari il 22 aprile scorso e si è ora in attesa del deposito delle conclusioni dell’Avvocato Generale e poi della sentenza.

3. Le nuove sanzioni penali e amministrative: luci e ombre

La legge n. 99/2009 è intervenuta anche sull’apparato sanzionatorio penale e amministrativo della contraffazione, anche se in modo meno felice. Mentre infatti il testo iniziale del disegno di legge riprendeva quasi alla lettera le disposizioni, coerenti e coordinate, previste dal «pacchetto anticontraffazione» dell’Alto Commissario, la prima lettura al Senato le ha largamente stravolte.

Ad essere stato conservato, almeno in parte, è essenzialmente l’aumento delle sanzioni, che vanno ora da sei mesi a tre anni di reclusione per i segni distintivi e

1. Il Governo rinnova la delega per la revisione del Codice della Proprietà Industriale: un anno di tempo per varare le nuove norme

Dopo un iter parlamentare lunghissimo, che ha avuto inizio nell’estate 2008 ed ha comportato due letture alla camera dei Deputati e due al Senato, il 15 agosto 2009 è finalmente diventato legge il «pacchetto anticontraffazione», frutto dell’attività di un Gruppo di Lavoro insediato dall’Alto Commissario per la Lotta alla Contraffazione pochi mesi prima della sua soppressione. Le norme che riguardano la proprietà industriale sono contenute negli artt. 15-19 della legge 23 luglio 2009, n. 99, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale il 31 luglio 2009.

In realtà il testo approvato è molto diverso da quello originario approntato dall’Alto Commissario, e non si può dire che sia cambiato in meglio. E’ comunque rimasta, anche se in un testo meno preciso di quello inizialmente proposto, la delega per la revisione del Codice della Proprietà Industriale, che il Governo ha un anno di tempo per esercitare.

Come è noto, la revisione del Codice era stata prevista già al momento del suo varo: l’art. 2 della legge n. 306/2004 stabiliva infatti che «entro un anno dall’entrata in vigore dei decreti legislativi» emanati in base alla delega per la predisposizione del Codice «il governo può adottare, previo parere delle competenti commissioni parlamentari, disposizioni correttive o integrative dei decreti legislativi medesimi». L’idea era cioè che il nuovo Codice avesse un anno di «rodaggio», per verificare se erano necessari mutamenti o adattamenti. Ed in effetti una Commissione di esperti – della quale, anche in questo caso, faceva parte l’Avv. Prof. Cesare Galli – era stata insediata già nel luglio 2005 e prima della fine dell’anno aveva predisposto un ampio articolato che non si limitava alla correzione degli errori materiali contenuti nel Codice ed al recupero di alcune disposizioni che erano «saltate» in occasione del varo del Codice (ed in particolare della priorità interna e della nuova disciplina delle invenzioni dei ricercatori universitari), ma aveva operato un approfondito ripensamento delle norme del Codice, nella prospettiva di rafforzare e rendere più efficace la protezione dei diritti di proprietà industriale, considerata elemento chiave per la competitività dell’«azienda Italia», in particolare attraverso una definizione sempre più precisa della contraffazione come comprensiva di ogni forma di parassitismo e l’adeguamento e il coordinamento dei diversi strumenti giuridici – civili, penali ed amministrativi – per contrastarla. Tuttavia, nonostante la tempestiva conclusione dei lavori ad opera della Commissione, il provvedimento si arenava nel corso dei passaggi agli uffici legislativi dei vari Ministeri competenti e il termine previsto per l’esercizio della delega scadeva il 19 marzo 2006 senza essere rinnovato. Le uniche norme predisposte dalla Commissione ad entrare effettivamente in vigore erano così quelle riconducibili all’attuazione della Direttiva n. 48/2004/C.E. (la cosiddetta Direttiva «Enforcement»), varate col d.lgs. 16 marzo 2006, n. 140, che hanno tra l’altro introdotto la sanzione della reversione degli utili del contraffattore.

La nuova delega, ancorché meno specifica di quella ipotizzata dal progetto dell’Alto Commissario (che indicava espressamente tra i criteri da seguire quello di «rafforzare e rendere più efficace la protezione dei diritti di proprietà industriale, in particolare contro il parassitismo, anche sul piano processuale, inserendo anche una norma espressa relativa ai presupposti per la protezione dei segni distintivi non registrati ed alla disciplina ad essi applicabile»), prevede comunque che l’intervento riguardi non soltanto le disposizioni di carattere sostanziale, ma anche quelle processuali, il che dovrebbe scongiurare i rischi di pronunce d’incostituzionalità analoghe a quelle che si sono abbattute sul Codice proprio per questa ragione. Tra gli altri criteri, degni di nota sono quelli della «controriforma» della disciplina delle invenzioni dei dipendenti delle Università e delle istituzioni pubbliche di ricerca, con l’attribuzione alle istituzioni di appartenenza del diritto al brevetto.

Un coordinamento sarà necessario anche rispetto al Regolamento di attuazione del Codice, attualmente in corso di rielaborazione dopo che il testo predisposto era stato bocciato lo scorso anno dal Consiglio di Stato. E’ dunque auspicabile che nel procedimento di elaborazione normativa venga coinvolto il comitato normativo istituito dal nuovo Direttore Generale dell’U.I.B.M. e della Lotta alla Contraffazione Avv. Loredana Gulino in seno al tavolo di confronto con le imprese ed i soggetti privati.

2. Le novità del Codice già entrate in vigore: la priorità interna, il nuovo regime transitorio del design e le norme processuali. Superati i rischi di incostituzionalità per i processi in corso

Oltre a rinnovare la delega per la revisione del Codice, la legge 23 luglio 2009, n. 99, ha già introdotto direttamente una serie di innovazioni, in gran parte sempre derivanti dal progetto dell’Alto Commissario. Sul piano civilistico, particolarmente significativa appare l’introduzione della cosiddetta «priorità interna», ossia della possibilità di rivendicare la priorità di una domanda di brevetto italiano anche in una successiva domanda di brevetto egualmente depositata nel nostro Paese. Già originariamente previsto nell’art. 4 del Codice dedicato alla priorità, dal quale era stato però rimosso su suggerimento del Consiglio di Stato solo per ragioni di carattere sistematico, essendo evidente che la «priorità interna» non ha nulla a che vedere con il generale istituto della rivendicazione di priorità disciplinato da tale norma, e va invece inquadrato come un istituto speciale applicabile unicamente alle invenzioni ed ai modelli di utilità e cioè alle creazioni intellettuali a contenuto tecnologico. Con la nuova norma l’istituto della priorità interna viene collocato più correttamente nell’art. 47 del Codice, di cui costituisce il comma 4°, con l’espressa avvertenza che la domanda successiva deve avere riguardo ad elementi già contenuti nella domanda di cui si rivendica la priorità. In tal modo viene aperta anche nel nostro Paese un’importante possibilità, già riconosciuta nei principali ordinamenti stranieri, mettendo quindi anche sotto questo profilo il sistema brevettuale italiano in condizione di competere ad armi pari a livello internazionale.

Egualmente significativa è l’abrogazione dell’art. 3 del D.M. 3 ottobre 2007, ossia della norma, molto criticata (cfr. IP_LAW_GALLI Newsletter, Dicembre 2007/Gennaio 2008), che specificava che «la decadenza del diritto di proprietà industriale» comminata nelle ipotesi di «ritardo del pagamento della quinta annualità per il brevetto per invenzione industriale (e) del secondo quinquennio per il brevetto per modello di utilità e per la registrazione di disegno o modello» e di «mancata o tardiva presentazione dell’istanza di proroga di cui all’art. 238 del decreto legislativo n. 30/2005, riferita al secondo quinquennio dei disegni e modelli» operasse «dalla data del deposito della relativa domanda», ossia retroattivamente, mentre il principio generale in materia di decadenza dei diritti di proprietà industriale – e vale anzi a distinguere questo istituto dalla nullità – è quello per cui la decadenza produce i suoi effetti dal momento in cui si verifica la situazione che vi ha dato causa. E dunque l’abrogazione di questa disposizione implica la riaffermazione di tale principio generale.

Ancora più importanti sul piano pratico sono le modifiche apportate agli artt. 120, 122 e 134 del Codice. Il nuovo testo dell’art. 120 contempla la facoltà per il giudice di disporre la sospensione della causa di nullità o di contraffazione promosse sulla base di titoli non ancora concessi sino a quando l’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi abbia provveduto sulla domanda stessa di concessione. Benché infatti già anteriormente la norma prevedeva che l’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi esaminasse la domanda di concessione implicata nella causa con precedenza rispetto alle domande presentate in data anteriore, la causa poteva comunque giungere in decisione prima che l’U.I.B.M. avesse provveduto. L’art. 122 precisa ora che a dover essere trasmessi all’U.I.B.M. sono gli atti introduttivi e le sentenze dei soli giudizi relativi ai «titoli» di proprietà industriale, ossia per i diritti che sorgono con un atto amministrativo di registrazione o di brevettazione, escludendo espressamente quest’onere per i diritti rimanenti, rispetto ai quali tale trasmissione sarebbe del tutto inutile. Infine all’art. 134 del Codice è stata riformulata disposizione sulla competenza delle Sezioni Specializzate in materia di Proprietà Industriale e Intellettuale per tener conto comma della sentenza della Corte Costituzionale n. 170/2007, che ha giudicato illegittima l’applicazione alle cause industrialistiche del cosiddetto rito societario, che proprio in questi giorni è stato definitivamente cancellato.

Anche se apparentemente minori, queste modifiche processuali sono in realtà della massima importanza, perché hanno offerto al legislatore il destro di prevedere un regime transitorio che rende applicabili le norme modificate anche ai processi in corso. In tal modo è stato sventato il rischio di una possibile declaratoria d’incostituzionalità di tali disposizioni – che avrebbe avuto conseguenze gravissime, in particolare per le cause instaurate davanti alle Sezioni Specializzate per ragioni di connessione impropria e per i giudizi in grado di appello, rischiando di riportarli in primo grado per consentire l’intervento del Pubblico Ministero –, in quanto adottate nel Codice pur in assenza di una delega all’adozione di innovazioni processuali, come in effetti la Corte Costituzionale ha in effetti già ritenuto, con la sua sentenza n. 112 del 14/24 aprile 2008, in relazione alla disposizione dell’art. 235 C.P.I. (cfr. IP_LAW_GALLI Newsletter, settembre 2008). Proprio in relazione a questa pronuncia, sempre in via di regime transitorio la legge … ha riscritto la norma dichiarata costituzionalmente illegittima, prevedendo che «Le controversie in grado d’appello nelle materie di cui all’articolo 134 iniziate dopo l’entrata in vigore del presente codice, restano devolute alla cognizione delle sezioni specializzate di cui al decreto legislativo 27 giugno 2003, n. 168, anche se il giudizio di primo grado o il giudizio arbitrale sono iniziati o si sono svolti secondo le norme precedentemente in vigore, a meno che non sia già intervenuta nell’ambito di essi una pronuncia sulla competenza» (art. 245, comma 2 C.P.I., mentre al comma 3° una regola analoga è stabilita per i reclami e i giudizi di merito a seguito dei provvedimenti cautelari cominciati prima dell’istituzione delle Sezioni specializzate). Ciò significa che in queste cause d’appello non dovrà essere dichiarata l’incompetenza del Giudice adito e che quindi tali cause non dovranno essere reinstaurate davanti ai Giudici che sarebbero stati competenti secondo le ordinarie regole di competenza, con rilevanti vantaggi in termini di risparmi di costi e di economia processuale. Vi è solo da notare l’errore materiale consistente nell’uso del maschile «essi» in luogo del femminile «esse» alla fine della norma: è infatti evidente che, perché la prescrizione abbia un senso, la già intervenuta pronuncia sulla competenza che lascia le cause in appello alla competenza dei Giudici determinati in base alle norme ordinarie, anziché affidarle alle Sezioni Specializzate, dev’essere intervenuta appunto nelle «controversie in grado d’appello», e non certo nei corrispondenti giudizi di primo grado.

Più discutibile è la riscrittura della disposizione transitoria in materia di diritto d’autore sulle opere dell’industrial design (art. 239 C.P.I.). La nuova norma, infatti, «corregge il tiro» solo in parte, poiché ammette espressamente alla protezione di diritto d’autore anche le opere create prima del 19 aprile 2001 (data dell’entrata in vigore della norma che ha introdotto per la prima volta in Italia la protezione di diritto d’autore del design dotato di valore artistico), ma accorda al contempo la facoltà di continuare a copiare tali opere a tutti gli imitatori che possano dimostrare di aver iniziato la loro attività egualmente prima di tale data. La norma prevede peraltro che l’attività degli imitatori possa proseguire solo «nei limiti del preuso», ossia senza eccedere i livelli (verosimilmente, anche quantitativi) che essa aveva prima del 19 aprile 2001: e ritengo che si possa sostenere che sia l’imitatore a dover provare sia il preuso, che è il fondamento del suo diritto di continuare a copiare, sia questo livello quantitativo anteriore, che ne costituisce la misura.

Anche la nuova norma, peraltro, deve ritenersi sub iudice. Il Tribunale di Milano ha infatti rivolto alla Corte di Giustizia C.E. una richiesta d’interpretazione pregiudiziale della Direttiva n. 98/71/C.E. proprio relativamente al regime transitorio della protezione di diritto d’autore del design e implicitamente dunque anche sulla compatibilità con essa di una norma come questa.

La questione è stata discussa davanti ai Giudici comunitari il 22 aprile scorso e si è ora in attesa del deposito delle conclusioni dell’Avvocato Generale e poi della sentenza.

3. Le nuove sanzioni penali e amministrative: luci e ombre

La legge n. 99/2009 è intervenuta anche sull’apparato sanzionatorio penale e amministrativo della contraffazione, anche se in modo meno felice. Mentre infatti il testo iniziale del disegno di legge riprendeva quasi alla lettera le disposizioni, coerenti e coordinate, previste dal «pacchetto anticontraffazione» dell’Alto Commissario, la prima lettura al Senato le ha largamente stravolte.

Ad essere stato conservato, almeno in parte, è essenzialmente l’aumento delle sanzioni, che vanno ora da sei mesi a tre anni di reclusione per i segni distintivi e