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Breve commento allo schema di disegno di legge di modifica del Decreto 231

Lo schema di disegno di legge in commento, riportato in calce, è stato presentato in un incontro promosso dall’AREL in data 7 luglio 2010.

1. Le tre novità principali

1.1. L’eliminazione dell’inversione dell’onere della prova nell’ipotesi di reato dell’apicale

L’art. 6 viene riscritto “in positivo”: non più “l’ente non risponde se prova che …”, ma “l’ente risponde se…”.

Questa riformulazione, con tutta evidenza, elimina l’inversione dell’onere della prova a carico dell’ente: sarà il pubblico ministero a dover dimostrare la colpa organizzativa.

Trattasi di presa di posizione netta nei confronti dell’attuale formulazione, che, secondo molti (tra i quali chi scrive), è ai limiti dell’illegittimità costituzionale.

Tale riscrittura dovrebbe poi portare ad una riconsiderazione della tesi oggi prevalente, secondo cui l’art 6 configura la possibilità di non applicazione della sanzione in presenza – dimostrata dall’ente – di un fatto impeditivo (e non costitutivo della sua responsabilità): l’adozione e l’attuazione del Modello.

Sul punto basti per ora citare il seguente passo motivazionale dell’ordinanza del GIP del Tribunale di Napoli (26 giugno 2007):

Ed è proprio l’esplicita previsione dell’inversione dell’onere della prova che induce a ritenere il reato già perfetto e completo in tutti i suoi elementi costitutivi allorquando ricorrano le condizioni di cui all’art. 5: reato commesso nell’interesse o a vantaggio dell’ente da parte di soggetto che rivesta al suo interno una posizione apicale. Diversamente opinando, la prova dell’elemento costitutivo dell’illecito dovrebbe essere fornita, secondo le ordinarie regole, dall’accusa, mentre aver attribuito l’onere probatorio della sussistenza delle ridette condizioni alla persona giuridica ne evidenzia la loro natura di elemento impeditivo e cioè di elemento idoneo a paralizzare le conseguenze giuridiche connesse alla sussistenza degli elementi costitutivi dell’illecito.

Ovviamente la tesi dell’illegittimità costituzionale dell’inversione dell’onere della prova ex art 6 si fonda sulla ritenuta natura sostanzialmente penale della responsabilità dell’ente, la quale potrebbe peraltro riverberare effetti analoghi sul potere di archiviazione diretta del PM e sullo stesso regime di prescrizione ex art 22.

Lo stesso Giudice equiparava – contra legem - l’onere della prova ex art 6 con quello ex art 7:

Viceversa, nel caso di reato commesso da sottoposto, la responsabilità dell’ente resta esclusa dall’adozione, ante factum, di idonei ed efficaci modelli di organizzazione e, stando alla lettera della norma, sembrerebbe che l’onere della prova della mancata adozione e della inefficace attuazione dei medesimi graverebbe, viceversa, sull’accusa, non essendo riprodotta la locuzione "l’ente non risponde se prova". Siffatta conclusione non appare, invero, condivisibile, posto che, poiché la valutazione che il giudice dovrà compiere sul modello è identica in entrambe le fattispecie (sia che il reato sia commesso da soggetto apicale, sia che sia commesso da sottoposto) e comporta una disamina del suo contenuto – sotto il profilo dell’idoneità – e della sua attuazione – sotto il profilo dell’efficacia – sarà indubbiamente interesse dell’ente che al riguardo risulta obiettivamente dotato di maggiori poteri conoscitivi dimostrare, in ambedue i casi, l’adozione di idonei strumenti comportamentali ma soprattutto dimostrarne l’efficace attuazione attraverso l’effettiva e costante implementazione del modello, così validamente interloquendo sull’istanza di coercizione ovvero sulla contestazione formulata.

Secondo il testo che si propone sarà quindi il pubblico ministero, tra l’altro, a dover dimostrare che il reato è stato commesso dagli apicali senza elusione fraudolenta.

1.2 Definizione di ente di piccole dimensioni

Sono gli enti che per due esercizi consecutivi non hanno superato due dei limiti indicati dall’art 2435 bis c.c. (Bilancio in forma abbreviata):

- Totale dell’attivo dello stato patrimoniale: 4.400.000 euro

- Ricavi delle vendite e delle prestazioni: 8.800.000 euro

- Dipendenti occupati in media durante l’esercizio: 50 unità

In tali enti le funzioni di Organismo di vigilanza potranno essere svolte o da un soggetto interno adeguatamente indipendente o con altre modalità che andranno individuate dal successivo regolamento.

Insomma viene eliminata la soluzione, oggi ammissibile ma per nulla soddisfacente, dell’organo dirigente che esercita pure funzioni di controllo.

1.3 Certificazione del Modello

Trattasi di aspetto fondamentale della proposta, i cui contenuti dovranno essere stabiliti con regolamento del Mingiustizia.

Il principio è netto: la certificazione del Modello determina l’esclusione di responsabilità dell’ente.

Ma non assoluto: “sempre che il modello concretamente attuato corrisponda al modello certificato e non siano sopravvenute (ndr: dopo la certificazione) significative violazioni delle prescrizioni che abbiano reso manifesta la lacuna organizzativa causa del reato per cui si procede.

Possono essere certificate anche singole procedure (evidentemente quelle che presidiano le attività considerate maggiormente rischiose), anche nel corso del processo di adozione del modello.

Questa disposizione consente di ottenere l’esclusione di responsabilità nelle ipotesi in cui il reato venga commesso mentre la società si sta dotando di un modello [Sulla questione dell’inesigibilità dell’adozione del Modello per circostanze non imputabili all’ente, sia consentito il rinvio all’articolo dello scrivente: L’inesigibilità dell’adozione e attuazione del modello organizzativo, in www.reatisocietari.it, 18 febbraio 2009].

Se il modello è certificato non si applicano, di regola, le sanzioni interdittive in sede cautelare.

Si precisa che il certificatore esercita funzioni private, seppur sotto il controllo della pubblica autorità. Pertanto, non rivestendo qualifiche pubblicistiche non è tenuto all’obbligo di denuncia di reati all’AG (con correlativa responsabilità penale in caso di omissione).

La falsa attestazione di idoneità del modello da parte del certificatore è punita con la reclusione da 6 mesi a tre anni: trattasi di reato di danno, in quanto deve sussistere l’effettivo conseguimento di un ingiusto profitto [Va rilevato che la dazione di denaro al certificatore da parte del management della società costituirebbe un caso paradigmatico di corruzione tra privati, allo stato comunque non rilevante penalmente].

La falsa attestazione sui presupposti di idoneità [Espressione a dire il vero non chiarissima] del modello anche a titolo di colpa grave, è punita con la sospensione fino a 2 anni o con l’interdizione dell’attività di certificazione.

2. Altri aspetti di rilievo

Il d.d.l. sostanzialmente recepisce a livello normativo la best practice e alcune indicazioni giurisprudenziali:

- L’ODV deve essere dotato di mezzi, anche finanziari, adeguati;

- i Modelli devono dar conto dell’effettiva organizzazione dell’ente e dell’eventuale esistenza di un’attività di direzione e coordinamento;

- nei modelli devono risultare i criteri utilizzati nella loro redazione;

- la c.d. mappatura dei rischi di reato deve indicare la misura e la descrizione del tipo di rischio individuato;

- il modello deve dar conto dei rapporti tra l’ODV e gli altri organi dell’ente;

- il modello deve prevedere modalità di informazione, da parte dell’ODV, sulla sua adeguatezza e sulla sua attuazione.

L’ultimo punto non chiarisce chi siano i destinatari dell’informazione da parte dell’ODV.

Se, come peraltro è stato affermato in sede di presentazione del d.d.l., si tratta dei terzi e del pubblico in generale, la disposizione, a stretto rigore, non risponde a finalità preventive, ma di immagine di c.d. good citizenship [Un adempimento di questo tipo – ma teoricamente presidiato da risposta lato sensu sanzionatoria - è previsto nel Regolamento dei Mercati di Borsa Italiana, secondo il quale l’emittente quotato nel segmento STAR deve inviare a Borsa Italiana un’attestazione sull’adeguatezza e osservanza del modello organizzativo da parte dell’organismo di Vigilanza o dell’organo dirigente preposto a tale funzione].

3. Il d.lg. 231 in prospettiva

I profili di criticità della normativa sono molteplici ed evidenziati in numerose occasioni.

Innanzitutto il novero dei reati-presupposto è disomogeneo, contemplando reati “estremamente patologici” e difficilmente riconducibili ad attività di impresa.

D’altro canto mancano all’appello reati contigui al “nocciolo duro” del d.lg. 231: inadempimento e frode nelle pubbliche forniture; turbativa d’asta; usura; reati tributari; esercizio abusivo di attività bancaria e finanziaria; trattamento illecito di dati personali.

Per non parlare della Illustre Scomparsa, la corruzione tra privati, che avrebbe dovuto essere inserita nel codice penale e richiamata nel d.lg. 231 sulla base della delega contenuta nella Comunitaria 2007, inutilmente scaduta nell’aprile 2009.

Inoltre bisognerebbe porre rimedio ad alcune mancanze di coordinamento che sembrano condurre verso esclusioni irragionevoli: ci si riferisce al reato di falso in prospetto, prima disciplinato dall’art 2623 c.c. e oggi – successivamente alla Riforma del risparmio – dall’art 173 bis T.U.F., non richiamato dall’art 25 ter d.lg. 231.

Lo stesso dicasi per le false dichiarazioni del revisore e per l’impedito controllo del revisore che non sono più richiamati nell’art 25 ter, in quanto spostati ratione materiae nel d.lg. n. 39/2010 sulla revisione legale dei conti.

Il quadro sanzionatorio andrebbe ripensato [Tale raccomandazione è già stata formalizzata nella bozza di d.d.l. della Commissione Greco]: si pensi tra l’altro al cumulo di responsabilità in materia di market abuse, peraltro di recente “salvato” dalla stessa Corte di Cassazione. Il regime di prescrizione dell’illecito dell’ente andrebbe disciplinato secono le regole penalistiche, superando l’attuale disposto di cui all’art. 22 [In questo senso esprime perplessità la stessa Relazione della Commissione Lattanzi].

Andrebbe chiarito il criterio oggettivo di imputazione nel caso di reati colposi.

La giurisprudenza sta superando con disinvoltura un profilo applicativo che potrebbe invece cozzare con il principio di stretta legalità: ci si riferisce alla compatibilità del criterio dell’interesse con la natura colposa del reato.

Se – come è già stato fatto nella (peraltro notevole) sentenza sul noto caso Truck Center – si lega l’interesse alla condotta violativa della normativa antinfortunistica (da cui sia derivato l’evento morte/lesione), in buona sostanza si va ad affermare la responsabilità dell’ente in relazione ad un reato diverso dall’omicidio/lesioni colpose: appunto la contravvenzione prevista nel T.U. sicurezza.

E se, per ipotesi, quella condotta non fosse punita penalmente, ma fosse caratterizzata da colpa generica (tipicamente: per violazione dell’art 2087 c.c.), l’ente verrebbe punito in relazione ad un fatto non costituente reato.

Infine, sulla scia della recente normativa sammarinese, si potrebbe chiarire che l’ODV non ha un obbligo giuridico di impedire il reato altrui.

Insomma, è giunto il momento, magari in occasione del decimo compleanno del decreto, di porre mano a modifiche sistematiche che consentano di mantenere quel plauso che in più consessi, anche internazionali, viene riservato alla “legge 231”.



Art. 1

(Modifiche al decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231)

1. Al decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) L’articolo 6 è sostituito dal seguente:

«Articolo 6 - Soggetti in posizione apicale e modelli di organizzazione dell’ente.

1. Se il reato è stato commesso dalle persone indicate nell’articolo 5, comma 1, lettera a), l’ente risponde se:

a) l’organo dirigente non ha adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi;

b) il compito di vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei modelli e di curare il loro aggiornamento non è stato affidato a un organismo dell’ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo, nonché di mezzi, anche finanziari, adeguati;

c) l’organismo di vigilanza di cui alla lettera b) non ha correttamente esercitato tale vigilanza e cura;

d) le persone hanno commesso il reato senza aver eluso fraudolentemente i modelli di organizzazione e di gestione.

2. I modelli di cui alla lettera a) del comma 1, devono:

a) dar conto della effettiva organizzazione dell’ente in rapporto all’estensione dei poteri delegati e all’eventuale esistenza di una attività di direzione e coordinamento, nonché far risultare i criteri utilizzati in sede di progettazione e di definizione dei contenuti del modello;

b) individuare le attività nel cui ambito possono essere commessi reati, valutando la misura e il tipo di tale rischio in rapporto ai reati per i quali il modello è predisposto;

c) prevedere specifici protocolli diretti a programmare la formazione e l’attuazione delle decisioni dell’ente in relazione ai reati da prevenire;

d) individuare modalità di gestione delle risorse finanziarie idonee ad impedire la commissione dei reati;

e) prevedere adeguati flussi informativi ed obblighi di informazione nei confronti dell’organismo di vigilanza di cui al comma 1, lettera b), nonché dar conto dei rapporti del medesimo organismo di vigilanza con gli organi dirigenti e di controllo dell’ente e con l’eventuale organo cui partecipano i soci o gli associati all’ente;

f) introdurre un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello;

g) prevedere modalità di informazione, da parte dell’organismo di vigilanza di cui al comma 1, lettera b), sull’ adeguatezza del modello e sulla sua efficace attuazione.

3. Negli enti di piccole dimensioni, i compiti indicati nella lettera b), del comma 1, possono essere svolti da un soggetto interno all’ente dotato di adeguate garanzie di indipendenza, direttamente o secondo le modalità previste con il regolamento di cui all’articolo 7-bis, comma 4. Ai fini del presente comma sono qualificati enti di piccole dimensioni i soggetti che, per due esercizi consecutivi, non hanno superato due dei limiti indicati dal primo comma dell’articolo 2435-bis del codice civile.

4. È comunque disposta la confisca del profitto che l’ente ha tratto dal reato, anche nella forma per equivalente.»

b) dopo l’ articolo 7 sono inseriti i seguenti:

«Art. 7-bis -(Certifìcazione del modello preventivo)

1. In caso di regolare certificazione di idoneità del modello preventivo secondo le modalità stabilite nel regolamento previsto al comma 4, è esclusa la responsabilità dell’ente, sempre che il modello concretamente attuato corrisponda al modello certificato e non siano sopravvenute significative violazioni delle prescrizioni che abbiano reso manifesta la lacuna organizzativa causa del reato per cui si procede.

2. La certificazione può anche:

a) riguardare singole procedure;

b) attestare l’idoneità delle procedure in corso per l’impianto dei modelli preventivi dei reati. In tal caso la certificazione, in attesa di quella finale, ha efficacia provvisoria, escludendo la responsabilità dell’ente solo per il tempo necessario all’impianto dei modelli e nei limiti in cui risulti espressione certa della volontà dell’ente medesimo di prevenire il fatto di reato rilevante.

3. Nel caso di modello certificato non si applicano, a titolo di misura cautelare, le sanzioni interdittive di cui all’articolo 9, comma 2, salvo che non ricorrano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza.

4. Con regolamento emanato ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, il Ministro della giustizia definisce i criteri generali per la certificazione di idoneità dei modelli, in particolare determinando il loro contenuto e le modalità di rilascio della certificazione, nonché l’efficacia a questa attribuita e la periodicità del rinnovo, tenendo conto anche dei codici di comportamento redatti dalle associazioni rappresentative degli enti. Il medesimo regolamento individua inoltre i soggetti pubblici o privati che possono rilasciare la certificazione di idoneità, nonché le caratteristiche soggettive e i requisiti patrimoniali, di indipendenza e di professionalità di cui essi devono disporre, prevedendo a tal fine l’istituzione, presso il Ministero della Giustizia, di un elenco dei soggetti abilitati. I soggetti abilitati sono sottoposti, relativamente all’attività di rilascio delle certificazioni, alla vigilanza del Ministero, secondo le modalità definite dal regolamento.»

Art. 2.

(Funzioni del certificatore. Abuso)

1. Il certificatore dei modelli preventivi del reato, di cui all’articolo 7-bis del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, e successive modificazioni, esercita funzioni private sotto il controllo della pubblica autorità.

2. Il certificatore che, con abuso dei poteri o violazione dei doveri inerenti alle sue funzioni, dichiarando falsamente la idoneità del modello preventivo dei reati da cui dipende la responsabilità dell’ ente, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto profitto o arreca ad altri un danno ingiusto è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.

3. Fuori dei casi previsti dal comma 2, il certificatore che, con attestazione non conforme al vero, dichiari consapevolmente o con colpa grave che sussistono i presupposti dell’idoneità del modello è sanzionato con la sospensione fino a due anni dall’attività di certificazione e, nei casi più gravi, con l’interdizione definitiva.»

Lo schema di disegno di legge in commento, riportato in calce, è stato presentato in un incontro promosso dall’AREL in data 7 luglio 2010.

1. Le tre novità principali

1.1. L’eliminazione dell’inversione dell’onere della prova nell’ipotesi di reato dell’apicale

L’art. 6 viene riscritto “in positivo”: non più “l’ente non risponde se prova che …”, ma “l’ente risponde se…”.

Questa riformulazione, con tutta evidenza, elimina l’inversione dell’onere della prova a carico dell’ente: sarà il pubblico ministero a dover dimostrare la colpa organizzativa.

Trattasi di presa di posizione netta nei confronti dell’attuale formulazione, che, secondo molti (tra i quali chi scrive), è ai limiti dell’illegittimità costituzionale.

Tale riscrittura dovrebbe poi portare ad una riconsiderazione della tesi oggi prevalente, secondo cui l’art 6 configura la possibilità di non applicazione della sanzione in presenza – dimostrata dall’ente – di un fatto impeditivo (e non costitutivo della sua responsabilità): l’adozione e l’attuazione del Modello.

Sul punto basti per ora citare il seguente passo motivazionale dell’ordinanza del GIP del Tribunale di Napoli (26 giugno 2007):

Ed è proprio l’esplicita previsione dell’inversione dell’onere della prova che induce a ritenere il reato già perfetto e completo in tutti i suoi elementi costitutivi allorquando ricorrano le condizioni di cui all’art. 5: reato commesso nell’interesse o a vantaggio dell’ente da parte di soggetto che rivesta al suo interno una posizione apicale. Diversamente opinando, la prova dell’elemento costitutivo dell’illecito dovrebbe essere fornita, secondo le ordinarie regole, dall’accusa, mentre aver attribuito l’onere probatorio della sussistenza delle ridette condizioni alla persona giuridica ne evidenzia la loro natura di elemento impeditivo e cioè di elemento idoneo a paralizzare le conseguenze giuridiche connesse alla sussistenza degli elementi costitutivi dell’illecito.

Ovviamente la tesi dell’illegittimità costituzionale dell’inversione dell’onere della prova ex art 6 si fonda sulla ritenuta natura sostanzialmente penale della responsabilità dell’ente, la quale potrebbe peraltro riverberare effetti analoghi sul potere di archiviazione diretta del PM e sullo stesso regime di prescrizione ex art 22.

Lo stesso Giudice equiparava – contra legem - l’onere della prova ex art 6 con quello ex art 7:

Viceversa, nel caso di reato commesso da sottoposto, la responsabilità dell’ente resta esclusa dall’adozione, ante factum, di idonei ed efficaci modelli di organizzazione e, stando alla lettera della norma, sembrerebbe che l’onere della prova della mancata adozione e della inefficace attuazione dei medesimi graverebbe, viceversa, sull’accusa, non essendo riprodotta la locuzione "l’ente non risponde se prova". Siffatta conclusione non appare, invero, condivisibile, posto che, poiché la valutazione che il giudice dovrà compiere sul modello è identica in entrambe le fattispecie (sia che il reato sia commesso da soggetto apicale, sia che sia commesso da sottoposto) e comporta una disamina del suo contenuto – sotto il profilo dell’idoneità – e della sua attuazione – sotto il profilo dell’efficacia – sarà indubbiamente interesse dell’ente che al riguardo risulta obiettivamente dotato di maggiori poteri conoscitivi dimostrare, in ambedue i casi, l’adozione di idonei strumenti comportamentali ma soprattutto dimostrarne l’efficace attuazione attraverso l’effettiva e costante implementazione del modello, così validamente interloquendo sull’istanza di coercizione ovvero sulla contestazione formulata.

Secondo il testo che si propone sarà quindi il pubblico ministero, tra l’altro, a dover dimostrare che il reato è stato commesso dagli apicali senza elusione fraudolenta.

1.2 Definizione di ente di piccole dimensioni

Sono gli enti che per due esercizi consecutivi non hanno superato due dei limiti indicati dall’art 2435 bis c.c. (Bilancio in forma abbreviata):

- Totale dell’attivo dello stato patrimoniale: 4.400.000 euro

- Ricavi delle vendite e delle prestazioni: 8.800.000 euro

- Dipendenti occupati in media durante l’esercizio: 50 unità

In tali enti le funzioni di Organismo di vigilanza potranno essere svolte o da un soggetto interno adeguatamente indipendente o con altre modalità che andranno individuate dal successivo regolamento.

Insomma viene eliminata la soluzione, oggi ammissibile ma per nulla soddisfacente, dell’organo dirigente che esercita pure funzioni di controllo.

1.3 Certificazione del Modello

Trattasi di aspetto fondamentale della proposta, i cui contenuti dovranno essere stabiliti con regolamento del Mingiustizia.

Il principio è netto: la certificazione del Modello determina l’esclusione di responsabilità dell’ente.

Ma non assoluto: “sempre che il modello concretamente attuato corrisponda al modello certificato e non siano sopravvenute (ndr: dopo la certificazione) significative violazioni delle prescrizioni che abbiano reso manifesta la lacuna organizzativa causa del reato per cui si procede.

Possono essere certificate anche singole procedure (evidentemente quelle che presidiano le attività considerate maggiormente rischiose), anche nel corso del processo di adozione del modello.

Questa disposizione consente di ottenere l’esclusione di responsabilità nelle ipotesi in cui il reato venga commesso mentre la società si sta dotando di un modello [Sulla questione dell’inesigibilità dell’adozione del Modello per circostanze non imputabili all’ente, sia consentito il rinvio all’articolo dello scrivente: L’inesigibilità dell’adozione e attuazione del modello organizzativo, in www.reatisocietari.it, 18 febbraio 2009].

Se il modello è certificato non si applicano, di regola, le sanzioni interdittive in sede cautelare.

Si precisa che il certificatore esercita funzioni private, seppur sotto il controllo della pubblica autorità. Pertanto, non rivestendo qualifiche pubblicistiche non è tenuto all’obbligo di denuncia di reati all’AG (con correlativa responsabilità penale in caso di omissione).

La falsa attestazione di idoneità del modello da parte del certificatore è punita con la reclusione da 6 mesi a tre anni: trattasi di reato di danno, in quanto deve sussistere l’effettivo conseguimento di un ingiusto profitto [Va rilevato che la dazione di denaro al certificatore da parte del management della società costituirebbe un caso paradigmatico di corruzione tra privati, allo stato comunque non rilevante penalmente].

La falsa attestazione sui presupposti di idoneità [Espressione a dire il vero non chiarissima] del modello anche a titolo di colpa grave, è punita con la sospensione fino a 2 anni o con l’interdizione dell’attività di certificazione.

2. Altri aspetti di rilievo

Il d.d.l. sostanzialmente recepisce a livello normativo la best practice e alcune indicazioni giurisprudenziali:

- L’ODV deve essere dotato di mezzi, anche finanziari, adeguati;

- i Modelli devono dar conto dell’effettiva organizzazione dell’ente e dell’eventuale esistenza di un’attività di direzione e coordinamento;

- nei modelli devono risultare i criteri utilizzati nella loro redazione;

- la c.d. mappatura dei rischi di reato deve indicare la misura e la descrizione del tipo di rischio individuato;

- il modello deve dar conto dei rapporti tra l’ODV e gli altri organi dell’ente;

- il modello deve prevedere modalità di informazione, da parte dell’ODV, sulla sua adeguatezza e sulla sua attuazione.

L’ultimo punto non chiarisce chi siano i destinatari dell’informazione da parte dell’ODV.

Se, come peraltro è stato affermato in sede di presentazione del d.d.l., si tratta dei terzi e del pubblico in generale, la disposizione, a stretto rigore, non risponde a finalità preventive, ma di immagine di c.d. good citizenship [Un adempimento di questo tipo – ma teoricamente presidiato da risposta lato sensu sanzionatoria - è previsto nel Regolamento dei Mercati di Borsa Italiana, secondo il quale l’emittente quotato nel segmento STAR deve inviare a Borsa Italiana un’attestazione sull’adeguatezza e osservanza del modello organizzativo da parte dell’organismo di Vigilanza o dell’organo dirigente preposto a tale funzione].

3. Il d.lg. 231 in prospettiva

I profili di criticità della normativa sono molteplici ed evidenziati in numerose occasioni.

Innanzitutto il novero dei reati-presupposto è disomogeneo, contemplando reati “estremamente patologici” e difficilmente riconducibili ad attività di impresa.

D’altro canto mancano all’appello reati contigui al “nocciolo duro” del d.lg. 231: inadempimento e frode nelle pubbliche forniture; turbativa d’asta; usura; reati tributari; esercizio abusivo di attività bancaria e finanziaria; trattamento illecito di dati personali.

Per non parlare della Illustre Scomparsa, la corruzione tra privati, che avrebbe dovuto essere inserita nel codice penale e richiamata nel d.lg. 231 sulla base della delega contenuta nella Comunitaria 2007, inutilmente scaduta nell’aprile 2009.

Inoltre bisognerebbe porre rimedio ad alcune mancanze di coordinamento che sembrano condurre verso esclusioni irragionevoli: ci si riferisce al reato di falso in prospetto, prima disciplinato dall’art 2623 c.c. e oggi – successivamente alla Riforma del risparmio – dall’art 173 bis T.U.F., non richiamato dall’art 25 ter d.lg. 231.

Lo stesso dicasi per le false dichiarazioni del revisore e per l’impedito controllo del revisore che non sono più richiamati nell’art 25 ter, in quanto spostati ratione materiae nel d.lg. n. 39/2010 sulla revisione legale dei conti.

Il quadro sanzionatorio andrebbe ripensato [Tale raccomandazione è già stata formalizzata nella bozza di d.d.l. della Commissione Greco]: si pensi tra l’altro al cumulo di responsabilità in materia di market abuse, peraltro di recente “salvato” dalla stessa Corte di Cassazione. Il regime di prescrizione dell’illecito dell’ente andrebbe disciplinato secono le regole penalistiche, superando l’attuale disposto di cui all’art. 22 [In questo senso esprime perplessità la stessa Relazione della Commissione Lattanzi].

Andrebbe chiarito il criterio oggettivo di imputazione nel caso di reati colposi.

La giurisprudenza sta superando con disinvoltura un profilo applicativo che potrebbe invece cozzare con il principio di stretta legalità: ci si riferisce alla compatibilità del criterio dell’interesse con la natura colposa del reato.

Se – come è già stato fatto nella (peraltro notevole) sentenza sul noto caso Truck Center – si lega l’interesse alla condotta violativa della normativa antinfortunistica (da cui sia derivato l’evento morte/lesione), in buona sostanza si va ad affermare la responsabilità dell’ente in relazione ad un reato diverso dall’omicidio/lesioni colpose: appunto la contravvenzione prevista nel T.U. sicurezza.

E se, per ipotesi, quella condotta non fosse punita penalmente, ma fosse caratterizzata da colpa generica (tipicamente: per violazione dell’art 2087 c.c.), l’ente verrebbe punito in relazione ad un fatto non costituente reato.

Infine, sulla scia della recente normativa sammarinese, si potrebbe chiarire che l’ODV non ha un obbligo giuridico di impedire il reato altrui.

Insomma, è giunto il momento, magari in occasione del decimo compleanno del decreto, di porre mano a modifiche sistematiche che consentano di mantenere quel plauso che in più consessi, anche internazionali, viene riservato alla “legge 231”.



Art. 1

(Modifiche al decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231)

1. Al decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) L’articolo 6 è sostituito dal seguente:

«Articolo 6 - Soggetti in posizione apicale e modelli di organizzazione dell’ente.

1. Se il reato è stato commesso dalle persone indicate nell’articolo 5, comma 1, lettera a), l’ente risponde se:

a) l’organo dirigente non ha adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi;

b) il compito di vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei modelli e di curare il loro aggiornamento non è stato affidato a un organismo dell’ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo, nonché di mezzi, anche finanziari, adeguati;

c) l’organismo di vigilanza di cui alla lettera b) non ha correttamente esercitato tale vigilanza e cura;

d) le persone hanno commesso il reato senza aver eluso fraudolentemente i modelli di organizzazione e di gestione.

2. I modelli di cui alla lettera a) del comma 1, devono:

a) dar conto della effettiva organizzazione dell’ente in rapporto all’estensione dei poteri delegati e all’eventuale esistenza di una attività di direzione e coordinamento, nonché far risultare i criteri utilizzati in sede di progettazione e di definizione dei contenuti del modello;

b) individuare le attività nel cui ambito possono essere commessi reati, valutando la misura e il tipo di tale rischio in rapporto ai reati per i quali il modello è predisposto;

c) prevedere specifici protocolli diretti a programmare la formazione e l’attuazione delle decisioni dell’ente in relazione ai reati da prevenire;

d) individuare modalità di gestione delle risorse finanziarie idonee ad impedire la commissione dei reati;

e) prevedere adeguati flussi informativi ed obblighi di informazione nei confronti dell’organismo di vigilanza di cui al comma 1, lettera b), nonché dar conto dei rapporti del medesimo organismo di vigilanza con gli organi dirigenti e di controllo dell’ente e con l’eventuale organo cui partecipano i soci o gli associati all’ente;

f) introdurre un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello;

g) prevedere modalità di informazione, da parte dell’organismo di vigilanza di cui al comma 1, lettera b), sull’ adeguatezza del modello e sulla sua efficace attuazione. >Lo schema di disegno di legge in commento, riportato in calce, è stato presentato in un incontro promosso dall’AREL in data 7 luglio 2010.

1. Le tre novità principali

1.1. L’eliminazione dell’inversione dell’onere della prova nell’ipotesi di reato dell’apicale

L’art. 6 viene riscritto “in positivo”: non più “l’ente non risponde se prova che …”, ma “l’ente risponde se…”.

Questa riformulazione, con tutta evidenza, elimina l’inversione dell’onere della prova a carico dell’ente: sarà il pubblico ministero a dover dimostrare la colpa organizzativa.

Trattasi di presa di posizione netta nei confronti dell’attuale formulazione, che, secondo molti (tra i quali chi scrive), è ai limiti dell’illegittimità costituzionale.

Tale riscrittura dovrebbe poi portare ad una riconsiderazione della tesi oggi prevalente, secondo cui l’art 6 configura la possibilità di non applicazione della sanzione in presenza – dimostrata dall’ente – di un fatto impeditivo (e non costitutivo della sua responsabilità): l’adozione e l’attuazione del Modello.

Sul punto basti per ora citare il seguente passo motivazionale dell’ordinanza del GIP del Tribunale di Napoli (26 giugno 2007):

Ed è proprio l’esplicita previsione dell’inversione dell’onere della prova che induce a ritenere il reato già perfetto e completo in tutti i suoi elementi costitutivi allorquando ricorrano le condizioni di cui all’art. 5: reato commesso nell’interesse o a vantaggio dell’ente da parte di soggetto che rivesta al suo interno una posizione apicale. Diversamente opinando, la prova dell’elemento costitutivo dell’illecito dovrebbe essere fornita, secondo le ordinarie regole, dall’accusa, mentre aver attribuito l’onere probatorio della sussistenza delle ridette condizioni alla persona giuridica ne evidenzia la loro natura di elemento impeditivo e cioè di elemento idoneo a paralizzare le conseguenze giuridiche connesse alla sussistenza degli elementi costitutivi dell’illecito.

Ovviamente la tesi dell’illegittimità costituzionale dell’inversione dell’onere della prova ex art 6 si fonda sulla ritenuta natura sostanzialmente penale della responsabilità dell’ente, la quale potrebbe peraltro riverberare effetti analoghi sul potere di archiviazione diretta del PM e sullo stesso regime di prescrizione ex art 22.

Lo stesso Giudice equiparava – contra legem - l’onere della prova ex art 6 con quello ex art 7:

Viceversa, nel caso di reato commesso da sottoposto, la responsabilità dell’ente resta esclusa dall’adozione, ante factum, di idonei ed efficaci modelli di organizzazione e, stando alla lettera della norma, sembrerebbe che l’onere della prova della mancata adozione e della inefficace attuazione dei medesimi graverebbe, viceversa, sull’accusa, non essendo riprodotta la locuzione "l’ente non risponde se prova". Siffatta conclusione non appare, invero, condivisibile, posto che, poiché la valutazione che il giudice dovrà compiere sul modello è identica in entrambe le fattispecie (sia che il reato sia commesso da soggetto apicale, sia che sia commesso da sottoposto) e comporta una disamina del suo contenuto – sotto il profilo dell’idoneità – e della sua attuazione – sotto il profilo dell’efficacia – sarà indubbiamente interesse dell’ente che al riguardo risulta obiettivamente dotato di maggiori poteri conoscitivi dimostrare, in ambedue i casi, l’adozione di idonei strumenti comportamentali ma soprattutto dimostrarne l’efficace attuazione attraverso l’effettiva e costante implementazione del modello, così validamente interloquendo sull’istanza di coercizione ovvero sulla contestazione formulata.

Secondo il testo che si propone sarà quindi il pubblico ministero, tra l’altro, a dover dimostrare che il reato è stato commesso dagli apicali senza elusione fraudolenta.

1.2 Definizione di ente di piccole dimensioni

Sono gli enti che per due esercizi consecutivi non hanno superato due dei limiti indicati dall’art 2435 bis c.c. (Bilancio in forma abbreviata):

- Totale dell’attivo dello stato patrimoniale: 4.400.000 euro

- Ricavi delle vendite e delle prestazioni: 8.800.000 euro

- Dipendenti occupati in media durante l’esercizio: 50 unità

In tali enti le funzioni di Organismo di vigilanza potranno essere svolte o da un soggetto interno adeguatamente indipendente o con altre modalità che andranno individuate dal successivo regolamento.

Insomma viene eliminata la soluzione, oggi ammissibile ma per nulla soddisfacente, dell’organo dirigente che esercita pure funzioni di controllo.

1.3 Certificazione del Modello

Trattasi di aspetto fondamentale della proposta, i cui contenuti dovranno essere stabiliti con regolamento del Mingiustizia.

Il principio è netto: la certificazione del Modello determina l’esclusione di responsabilità dell’ente.

Ma non assoluto: “sempre che il modello concretamente attuato corrisponda al modello certificato e non siano sopravvenute (ndr: dopo la certificazione) significative violazioni delle prescrizioni che abbiano reso manifesta la lacuna organizzativa causa del reato per cui si procede.

Possono essere certificate anche singole procedure (evidentemente quelle che presidiano le attività considerate maggiormente rischiose), anche nel corso del processo di adozione del modello.

Questa disposizione consente di ottenere l’esclusione di responsabilità nelle ipotesi in cui il reato venga commesso mentre la società si sta dotando di un modello [Sulla questione dell’inesigibilità dell’adozione del Modello per circostanze non imputabili all’ente, sia consentito il rinvio all’articolo dello scrivente: L’inesigibilità dell’adozione e attuazione del modello organizzativo, in www.reatisocietari.it, 18 febbraio 2009].

Se il modello è certificato non si applicano, di regola, le sanzioni interdittive in sede cautelare.

Si precisa che il certificatore esercita funzioni private, seppur sotto il controllo della pubblica autorità. Pertanto, non rivestendo qualifiche pubblicistiche non è tenuto all’obbligo di denuncia di reati all’AG (con correlativa responsabilità penale in caso di omissione).

La falsa attestazione di idoneità del modello da parte del certificatore è punita con la reclusione da 6 mesi a tre anni: trattasi di reato di danno, in quanto deve sussistere l’effettivo conseguimento di un ingiusto profitto [Va rilevato che la dazione di denaro al certificatore da parte del management della società costituirebbe un caso paradigmatico di corruzione tra privati, allo stato comunque non rilevante penalmente].

La falsa attestazione sui presupposti di idoneità [Espressione a dire il vero non chiarissima] del modello anche a titolo di colpa grave, è punita con la sospensione fino a 2 anni o con l’interdizione dell’attività di certificazione.

2. Altri aspetti di rilievo

Il d.d.l. sostanzialmente recepisce a livello normativo la best practice e alcune indicazioni giurisprudenziali:

- L’ODV deve essere dotato di mezzi, anche finanziari, adeguati;

- i Modelli devono dar conto dell’effettiva organizzazione dell’ente e dell’eventuale esistenza di un’attività di direzione e coordinamento;

- nei modelli devono risultare i criteri utilizzati nella loro redazione;

- la c.d. mappatura dei rischi di reato deve indicare la misura e la descrizione del tipo di rischio individuato;

- il modello deve dar conto dei rapporti tra l’ODV e gli altri organi dell’ente;

- il modello deve prevedere modalità di informazione, da parte dell’ODV, sulla sua adeguatezza e sulla sua attuazione.

L’ultimo punto non chiarisce chi siano i destinatari dell’informazione da parte dell’ODV.

Se, come peraltro è stato affermato in sede di presentazione del d.d.l., si tratta dei terzi e del pubblico in generale, la disposizione, a stretto rigore, non risponde a finalità preventive, ma di immagine di c.d. good citizenship [Un adempimento di questo tipo – ma teoricamente presidiato da risposta lato sensu sanzionatoria - è previsto nel Regolamento dei Mercati di Borsa Italiana, secondo il quale l’emittente quotato nel segmento STAR deve inviare a Borsa Italiana un’attestazione sull’adeguatezza e osservanza del modello organizzativo da parte dell’organismo di Vigilanza o dell’organo dirigente preposto a tale funzione].

3. Il d.lg. 231 in prospettiva

I profili di criticità della normativa sono molteplici ed evidenziati in numerose occasioni.

Innanzitutto il novero dei reati-presupposto è disomogeneo, contemplando reati “estremamente patologici” e difficilmente riconducibili ad attività di impresa.

D’altro canto mancano all’appello reati contigui al “nocciolo duro” del d.lg. 231: inadempimento e frode nelle pubbliche forniture; turbativa d’asta; usura; reati tributari; esercizio abusivo di attività bancaria e finanziaria; trattamento illecito di dati personali.

Per non parlare della Illustre Scomparsa, la corruzione tra privati, che avrebbe dovuto essere inserita nel codice penale e richiamata nel d.lg. 231 sulla base della delega contenuta nella Comunitaria 2007, inutilmente scaduta nell’aprile 2009.

Inoltre bisognerebbe porre rimedio ad alcune mancanze di coordinamento che sembrano condurre verso esclusioni irragionevoli: ci si riferisce al reato di falso in prospetto, prima disciplinato dall’art 2623 c.c. e oggi – successivamente alla Riforma del risparmio – dall’art 173 bis T.U.F., non richiamato dall’art 25 ter d.lg. 231.

Lo stesso dicasi per le false dichiarazioni del revisore e per l’impedito controllo del revisore che non sono più richiamati nell’art 25 ter, in quanto spostati ratione materiae nel d.lg. n. 39/2010 sulla revisione legale dei conti.

Il quadro sanzionatorio andrebbe ripensato [Tale raccomandazione è già stata formalizzata nella bozza di d.d.l. della Commissione Greco]: si pensi tra l’altro al cumulo di responsabilità in materia di market abuse, peraltro di recente “salvato” dalla stessa Corte di Cassazione. Il regime di prescrizione dell’illecito dell’ente andrebbe disciplinato secono le regole penalistiche, superando l’attuale disposto di cui all’art. 22 [In questo senso esprime perplessità la stessa Relazione della Commissione Lattanzi].

Andrebbe chiarito il criterio oggettivo di imputazione nel caso di reati colposi.

La giurisprudenza sta superando con disinvoltura un profilo applicativo che potrebbe invece cozzare con il principio di stretta legalità: ci si riferisce alla compatibilità del criterio dell’interesse con la natura colposa del reato.

Se – come è già stato fatto nella (peraltro notevole) sentenza sul noto caso Truck Center – si lega l’interesse alla condotta violativa della normativa antinfortunistica (da cui sia derivato l’evento morte/lesione), in buona sostanza si va ad affermare la responsabilità dell’ente in relazione ad un reato diverso dall’omicidio/lesioni colpose: appunto la contravvenzione prevista nel T.U. sicurezza.

E se, per ipotesi, quella condotta non fosse punita penalmente, ma fosse caratterizzata da colpa generica (tipicamente: per violazione dell’art 2087 c.c.), l’ente verrebbe punito in relazione ad un fatto non costituente reato.

Infine, sulla scia della recente normativa sammarinese, si potrebbe chiarire che l’ODV non ha un obbligo giuridico di impedire il reato altrui.

Insomma, è giunto il momento, magari in occasione del decimo compleanno del decreto, di porre mano a modifiche sistematiche che consentano di mantenere quel plauso che in più consessi, anche internazionali, viene riservato alla “legge 231”.



Art. 1

(Modifiche al decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231)

1. Al decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) L’articolo 6 è sostituito dal seguente:

«Articolo 6 - Soggetti in posizione apicale e modelli di organizzazione dell’ente.

1. Se il reato è stato commesso dalle persone indicate nell’articolo 5, comma 1, lettera a), l’ente risponde se:

a) l’organo dirigente non ha adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi;

b) il compito di vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei modelli e di curare il loro aggiornamento non è stato affidato a un organismo dell’ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo, nonché di mezzi, anche finanziari, adeguati;

c) l’organismo di vigilanza di cui alla lettera b) non ha correttamente esercitato tale vigilanza e cura;

d) le persone hanno commesso il reato senza aver eluso fraudolentemente i modelli di organizzazione e di gestione.

2. I modelli di cui alla lettera a) del comma 1, devono:

a) dar conto della effettiva organizzazione dell’ente in rapporto all’estensione dei poteri delegati e all’eventuale esistenza di una attività di direzione e coordinamento, nonché far risultare i criteri utilizzati in sede di progettazione e di definizione dei contenuti del modello;

b) individuare le attività nel cui ambito possono essere commessi reati, valutando la misura e il tipo di tale rischio in rapporto ai reati per i quali il modello è predisposto;

c) prevedere specifici protocolli diretti a programmare la formazione e l’attuazione delle decisioni dell’ente in relazione ai reati da prevenire;

d) individuare modalità di gestione delle risorse finanziarie idonee ad impedire la commissione dei reati;

e) prevedere adeguati flussi informativi ed obblighi di informazione nei confronti dell’organismo di vigilanza di cui al comma 1, lettera b), nonché dar conto dei rapporti del medesimo organismo di vigilanza con gli organi dirigenti e di controllo dell’ente e con l’eventuale organo cui partecipano i soci o gli associati all’ente;

f) introdurre un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello;

g) prevedere modalità di informazione, da parte dell’organismo di vigilanza di cui al comma 1, lettera b), sull’ adeguatezza del modello e sulla sua efficace attuazione.

3. Negli enti di piccole dimensioni, i compiti indicati nella lettera b), del comma 1, possono essere svolti da un soggetto interno all’ente dotato di adeguate garanzie di indipendenza, direttamente o secondo le modalità previste con il regolamento di cui all’articolo 7-bis, comma 4. Ai fini del presente comma sono qualificati enti di piccole dimensioni i soggetti che, per due esercizi consecutivi, non hanno superato due dei limiti indicati dal primo comma dell’articolo 2435-bis del codice civile.

4. È comunque disposta la confisca del profitto che l’ente ha tratto dal reato, anche nella forma per equivalente.»

b) dopo l’ articolo 7 sono inseriti i seguenti:

«Art. 7-bis -(Certifìcazione del modello preventivo)

1. In caso di regolare certificazione di idoneità del modello preventivo secondo le modalità stabilite nel regolamento previsto al comma 4, è esclusa la responsabilità dell’ente, sempre che il modello concretamente attuato corrisponda al modello certificato e non siano sopravvenute significative violazioni delle prescrizioni che abbiano reso manifesta la lacuna organizzativa causa del reato per cui si procede.

2. La certificazione può anche:

a) riguardare singole procedure;

b) attestare l’idoneità delle procedure in corso per l’impianto dei modelli preventivi dei reati. In tal caso la certificazione, in attesa di quella finale, ha efficacia provvisoria, escludendo la responsabilità dell’ente solo per il tempo necessario all’impianto dei modelli e nei limiti in cui risulti espressione certa della volontà dell’ente medesimo di prevenire il fatto di reato rilevante.

3. Nel caso di modello certificato non si applicano, a titolo di misura cautelare, le sanzioni interdittive di cui all’articolo 9, comma 2, salvo che non ricorrano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza.

4. Con regolamento emanato ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, il Ministro della giustizia definisce i criteri generali per la certificazione di idoneità dei modelli, in particolare determinando il loro contenuto e le modalità di rilascio della certificazione, nonché l’efficacia a questa attribuita e la periodicità del rinnovo, tenendo conto anche dei codici di comportamento redatti dalle associazioni rappresentative degli enti. Il medesimo regolamento individua inoltre i soggetti pubblici o privati che possono rilasciare la certificazione di idoneità, nonché le caratteristiche soggettive e i requisiti patrimoniali, di indipendenza e di professionalità di cui essi devono disporre, prevedendo a tal fine l’istituzione, presso il Ministero della Giustizia, di un elenco dei soggetti abilitati. I soggetti abilitati sono sottoposti, relativamente all’attività di rilascio delle certificazioni, alla vigilanza del Ministero, secondo le modalità definite dal regolamento.»

Art. 2.

(Funzioni del certificatore. Abuso)

1. Il certificatore dei modelli preventivi del reato, di cui all’articolo 7-bis del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, e successive modificazioni, esercita funzioni private sotto il controllo della pubblica autorità.

2. Il certificatore che, con abuso dei poteri o violazione dei doveri inerenti alle sue funzioni, dichiarando falsamente la idoneità del modello preventivo dei reati da cui dipende la responsabilità dell’ ente, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto profitto o arreca ad altri un danno ingiusto è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.

3. Fuori dei casi previsti dal comma 2, il certificatore che, con attestazione non conforme al vero, dichiari consapevolmente o con colpa grave che sussistono i presupposti dell’idoneità del modello è sanzionato con la sospensione fino a due anni dall’attività di certificazione e, nei casi più gravi, con l’interdizione definitiva.»