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Condominio: disciplina delle obbligazioni concernenti le spese comuni e condominio apparente

Sommario:

1. Disciplina delle obbligazioni riguardanti le spese comuni.

2. Il condomino apparente.

1. Disciplina delle obbligazioni riguardanti le spese comuni.

In tema di ripartizione delle spese tra i condomini, le spese necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti comuni dell’edificio, per la prestazione dei servizi nell’interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza sono sostenute dai condomini, salvo diversa convenzione, in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno (articolo 1123, comma 1).

Tale valore si determina attraverso le c.d. tabelle millesimali che possono essere più di una; infatti quando alcune spese riguardano cose destinate a servire i condomini in misura diversa la ripartizione delle spese è proporzionale all’uso che ciascuno può farne (articolo 1123, comma 2).

Riguardo alla natura delle obbligazioni condominiali è sorta la questione se per le obbligazioni contratte dall’amministratore nell’interesse dei condomini sussista una responsabilità parziaria o solidale di questi ultimi.

L’orientamento maggioritario fino al 2008 (ad esempio, Cassazione n. 17563/2005) sosteneva che la responsabilità dei singoli condomini per le obbligazioni assunte dal condominio verso i terzi avesse natura solidale, considerato il principio generale stabilito dall’all’articolo 1294 codice civile nell’ipotesi in cui più soggetti siano obbligati per la stessa prestazione, principio che si riteneva non fosse derogato dal sopraccitato articolo 1123, il quale si sarebbe limitato a ripartire gli oneri tra i condomini e non nei rapporti con i terzi.

Secondo invece un orientamento minoritario (ad esempio Cassazione n. 8530/1996) la responsabilità dei condomini era regolata dal criterio della parziarietà: ai singoli condomini, anche nei rapporti esterni, andavano cioè imputate, in proporzione alle rispettive quote, le obbligazioni contratte nell’interesse del condominio, relativamente alle spese per la conservazione e per il godimento delle cose comuni, per la prestazione dei servizi nell’interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza.

Le Sezioni Unite della Cassazione dell’8 aprile 2008 n. 9148 hanno risolto tale contrasto, accogliendo proprio quest’ultimo orientamento.

Esse hanno dunque escluso l’applicabilità in questa materia della presunzione di solidarietà di cui all’articolo 1294 e, al contrario, hanno ritenuto che le obbligazioni dei condomini siano regolate da criteri simili a quelli dettati dagli articoli 752 e 1295 per le obbligazioni ereditarie, secondo cui al pagamento dei debiti ereditari i coeredi concorrono in misura proporzionale alle loro quote e l’obbligazione di uno dei condebitori in solido si ripartisce fra gli eredi in proporzione alle quote ereditarie: pertanto, secondo le Sezioni Unite, anche le obbligazioni assunte nell’interesse del condominio devono essere ripartite tra i singoli condomini in proporzione alle rispettive quote.

La pronuncia in esame ha evidenziato che nessuna specifica disposizione sancisce la natura solidale delle obbligazioni condominiali e che esse, benchè siano comuni, sono divisibili, in quanto obbligazioni concernenti il pagamento di una somma di denaro.

Secondo le Sezioni Unite la solidarietà non può giustificarsi in base all’unitarietà del gruppo dei condomini.

Il condominio infatti non sarebbe un ente di gestione né sarebbe titolare di un patrimonio autonomo, né di diritti e obbligazioni: si tratterebbe invece di una pluralità di soggetti che hanno dato pro quota un mandato con rappresentanza ad un amministratore, il quale non potrebbe vincolare i condomini superando i limiti delle sue attribuzioni e del mandato conferitogli in ragione delle quote di ciascuno.

Più recentemente la III Sezione della Cassazionecon la pronuncia n. 16920 del 21 luglio 2009, seguendo la linea interpretativa affermata dalle Sezioni Unite., ha ribadito la natura parziaria della responsabilità dei singoli condomini per le obbligazioni contratte dal condominio verso i terzi, precisando peraltro che si tratta di disciplina disponibile e dunque derogabile.

2. Il condomino apparente.

Problematica risulta l’individuazione del soggetto tenuto all’adempimento delle obbligazioni derivanti dalla titolarità dell’immobile nei casi in cui un soggetto, sostenendo gli oneri ed esercitando i diritti propri del condomino, si manifesti uti dominus, ingenerando nei terzi il relativo affidamento, pur essendo persona differente rispetto al proprietario effettivo: si tratta del c.d. condomino apparente.

In tale ipotesi ci si è chiesti se si debba applicare il principio dell’apparentia iuris, tutelando così l’affidamento ingenerato nei terzi, o se viceversa prevalga il regime di pubblicità attestata dai registri immobiliari.

Secondo un primo orientamento (ad esempio, Cassazione, sezione II, 20 marzo 1999, n. 2617) il venditore di un’unità immobiliare compresa nell’edificio condominiale doveva continuare a sostenere gli oneri condominiali, ove egli, successivamente al trasferimento della proprietà, avesse seguitato ad esercitare i diritti di condomino; la mancata consultazione dei pubblici registri e quindi il mancato accertamento, da parte dell’amministratore condominiale, dell’effettivo proprietario non erano ritenuti di ostacolo all’applicabilità del principio di apparenza.

Si sosteneva infatti che l’apparenza potesse essere fatta valere anche qualora la situazione apparente non coincidesse con la realtà, ove quest’ultima non venisse in rilievo direttamente, ma solo come presupposto di una fattispecie complessa rilevante autonomamente sul piano giuridico per giustificare l’errore del terzo in buona fede.

Questo indirizzo aveva come presupposto l’affermazione che il principio di apparenza e quello di pubblicità non fossero in rapporto di reciproca esclusione, potendosi verificare nella realtà fattuale, in presenza di circostanze univche, il superamento della situazione giuridica soggettiva risultante dai pubblici registri, acquistando la realtà apparente in tal modo rilevanza giuridica.

Un secondo orientamento affermava invece che il solo proprietario effettivo dell’immobile fosse obbligato al pagamento delle spese condominiali.

Le Sezioni Unite con la pronuncia n. 5035 dell’8 aprile 2002 sono intervenute a risolvere tale contrasto, aderendo a questo secondo orientamento e negando quindi l’applicabilità del principio dell’apparenza del diritto nei rapporti tra condominio e condomino.

Esse hanno sostenuto che l’azione giudiziaria di recupero dei crediti condominiali deve essere promossa dall’amministratore nei confronti del vero proprietario e non verso chi possa apparire tale.

Presupposto di tale affermazione è la considerazione dell’alternatività e complementarietà tra pubblicità ed apparenza, istituti rispondenti entrambi alla stessa ratio di tutela dei terzi in buona fede.

Secondo le Sezioni Unite la tutela dell’apparenza costituisce strumento complementare rispetto alla pubblicità: nei casi in cui la pubblicità si attui in modo pieno deve essere negata ogni autonoma tutela dell’apparenza, la quale non può ingiustamente avvantaggiare chi abbia consapevolmente trascurato la realtà delle cose.

L’amministratore che voglia agire giudizialmente per il recupero delle spese condominiali è quindi tenuto ad accertare diligentemente nei pubblici registri l’effettiva situazione giuridica.

Passivamente legittimato deve infatti ritenersi il vero proprietario, non anche chi possa apparire tale, difettando nei rapporti tra condominio e singoli partecipanti ad esso le condizioni per l’operatività del principio di apparenza, il quale è strumentale essenzialmente alla tutela dell’affidamento del terzo in buona fede, ed essendo il collegamento della legittimazione passiva all’effettiva titolarità della proprietà funzionale al rafforzamento e soddisfacimento del credito della gestione condominiale.

Diversa è invece l’ipotesi non contenziosa, cioè il caso in cui l’amministratore intraprenda un’iniziativa stragiudiziale: in questa ipotesi egli non è tenuto alla verifica nei registri immobiliari e può legittimamente rivolgere le proprie richieste anche nei confronti del condomino apparente.

I principi enunciati dalle Sezioni Unite sono stati seguiti dalla giurisprudenza successiva (ad esempio, Cass, sez. II, 31 marzo 2006, n. 7629), che ha pertanto disapplicato costantemente il principio dell’apparenza del diritto in materia di condominio apparente.

Sommario:

1. Disciplina delle obbligazioni riguardanti le spese comuni.

2. Il condomino apparente.

1. Disciplina delle obbligazioni riguardanti le spese comuni.

In tema di ripartizione delle spese tra i condomini, le spese necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti comuni dell’edificio, per la prestazione dei servizi nell’interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza sono sostenute dai condomini, salvo diversa convenzione, in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno (articolo 1123, comma 1).

Tale valore si determina attraverso le c.d. tabelle millesimali che possono essere più di una; infatti quando alcune spese riguardano cose destinate a servire i condomini in misura diversa la ripartizione delle spese è proporzionale all’uso che ciascuno può farne (articolo 1123, comma 2).

Riguardo alla natura delle obbligazioni condominiali è sorta la questione se per le obbligazioni contratte dall’amministratore nell’interesse dei condomini sussista una responsabilità parziaria o solidale di questi ultimi.

L’orientamento maggioritario fino al 2008 (ad esempio, Cassazione n. 17563/2005) sosteneva che la responsabilità dei singoli condomini per le obbligazioni assunte dal condominio verso i terzi avesse natura solidale, considerato il principio generale stabilito dall’all’articolo 1294 codice civile nell’ipotesi in cui più soggetti siano obbligati per la stessa prestazione, principio che si riteneva non fosse derogato dal sopraccitato articolo 1123, il quale si sarebbe limitato a ripartire gli oneri tra i condomini e non nei rapporti con i terzi.

Secondo invece un orientamento minoritario (ad esempio Cassazione n. 8530/1996) la responsabilità dei condomini era regolata dal criterio della parziarietà: ai singoli condomini, anche nei rapporti esterni, andavano cioè imputate, in proporzione alle rispettive quote, le obbligazioni contratte nell’interesse del condominio, relativamente alle spese per la conservazione e per il godimento delle cose comuni, per la prestazione dei servizi nell’interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza.

Le Sezioni Unite della Cassazione dell’8 aprile 2008 n. 9148 hanno risolto tale contrasto, accogliendo proprio quest’ultimo orientamento.

Esse hanno dunque escluso l’applicabilità in questa materia della presunzione di solidarietà di cui all’articolo 1294 e, al contrario, hanno ritenuto che le obbligazioni dei condomini siano regolate da criteri simili a quelli dettati dagli articoli 752 e 1295 per le obbligazioni ereditarie, secondo cui al pagamento dei debiti ereditari i coeredi concorrono in misura proporzionale alle loro quote e l’obbligazione di uno dei condebitori in solido si ripartisce fra gli eredi in proporzione alle quote ereditarie: pertanto, secondo le Sezioni Unite, anche le obbligazioni assunte nell’interesse del condominio devono essere ripartite tra i singoli condomini in proporzione alle rispettive quote.

La pronuncia in esame ha evidenziato che nessuna specifica disposizione sancisce la natura solidale delle obbligazioni condominiali e che esse, benchè siano comuni, sono divisibili, in quanto obbligazioni concernenti il pagamento di una somma di denaro.

Secondo le Sezioni Unite la solidarietà non può giustificarsi in base all’unitarietà del gruppo dei condomini.

Il condominio infatti non sarebbe un ente di gestione né sarebbe titolare di un patrimonio autonomo, né di diritti e obbligazioni: si tratterebbe invece di una pluralità di soggetti che hanno dato pro quota un mandato con rappresentanza ad un amministratore, il quale non potrebbe vincolare i condomini superando i limiti delle sue attribuzioni e del mandato conferitogli in ragione delle quote di ciascuno.

Più recentemente la III Sezione della Cassazionecon la pronuncia n. 16920 del 21 luglio 2009, seguendo la linea interpretativa affermata dalle Sezioni Unite., ha ribadito la natura parziaria della responsabilità dei singoli condomini per le obbligazioni contratte dal condominio verso i terzi, precisando peraltro che si tratta di disciplina disponibile e dunque derogabile.

2. Il condomino apparente.

Problematica risulta l’individuazione del soggetto tenuto all’adempimento delle obbligazioni derivanti dalla titolarità dell’immobile nei casi in cui un soggetto, sostenendo gli oneri ed esercitando i diritti propri del condomino, si manifesti uti dominus, ingenerando nei terzi il relativo affidamento, pur essendo persona differente rispetto al proprietario effettivo: si tratta del c.d. condomino apparente.

In tale ipotesi ci si è chiesti se si debba applicare il principio dell’apparentia iuris, tutelando così l’affidamento ingenerato nei terzi, o se viceversa prevalga il regime di pubblicità attestata dai registri immobiliari.

Secondo un primo orientamento (ad esempio, Cassazione, sezione II, 20 marzo 1999, n. 2617) il venditore di un’unità immobiliare compresa nell’edificio condominiale doveva continuare a sostenere gli oneri condominiali, ove egli, successivamente al trasferimento della proprietà, avesse seguitato ad esercitare i diritti di condomino; la mancata consultazione dei pubblici registri e quindi il mancato accertamento, da parte dell’amministratore condominiale, dell’effettivo proprietario non erano ritenuti di ostacolo all’applicabilità del principio di apparenza.

Si sosteneva infatti che l’apparenza potesse essere fatta valere anche qualora la situazione apparente non coincidesse con la realtà, ove quest’ultima non venisse in rilievo direttamente, ma solo come presupposto di una fattispecie complessa rilevante autonomamente sul piano giuridico per giustificare l’errore del terzo in buona fede.

Questo indirizzo aveva come presupposto l’affermazione che il principio di apparenza e quello di pubblicità non fossero in rapporto di reciproca esclusione, potendosi verificare nella realtà fattuale, in presenza di circostanze univche, il superamento della situazione giuridica soggettiva risultante dai pubblici registri, acquistando la realtà apparente in tal modo rilevanza giuridica.

Un secondo orientamento affermava invece che il solo proprietario effettivo dell’immobile fosse obbligato al pagamento delle spese condominiali.

Le Sezioni Unite con la pronuncia n. 5035 dell’8 aprile 2002 sono intervenute a risolvere tale contrasto, aderendo a questo secondo orientamento e negando quindi l’applicabilità del principio dell’apparenza del diritto nei rapporti tra condominio e condomino.

Esse hanno sostenuto che l’azione giudiziaria di recupero dei crediti condominiali deve essere promossa dall’amministratore nei confronti del vero proprietario e non verso chi possa apparire tale.

Presupposto di tale affermazione è la considerazione dell’alternatività e complementarietà tra pubblicità ed apparenza, istituti rispondenti entrambi alla stessa ratio di tutela dei terzi in buona fede.

Secondo le Sezioni Unite la tutela dell’apparenza costituisce strumento complementare rispetto alla pubblicità: nei casi in cui la pubblicità si attui in modo pieno deve essere negata ogni autonoma tutela dell’apparenza, la quale non può ingiustamente avvantaggiare chi abbia consapevolmente trascurato la realtà delle cose.

L’amministratore che voglia agire giudizialmente per il recupero delle spese condominiali è quindi tenuto ad accertare diligentemente nei pubblici registri l’effettiva situazione giuridica.

Passivamente legittimato deve infatti ritenersi il vero proprietario, non anche chi possa apparire tale, difettando nei rapporti tra condominio e singoli partecipanti ad esso le condizioni per l’operatività del principio di apparenza, il quale è strumentale essenzialmente alla tutela dell’affidamento del terzo in buona fede, ed essendo il collegamento della legittimazione passiva all’effettiva titolarità della proprietà funzionale al rafforzamento e soddisfacimento del credito della gestione condominiale.

Diversa è invece l’ipotesi non contenziosa, cioè il caso in cui l’amministratore intraprenda un’iniziativa stragiudiziale: in questa ipotesi egli non è tenuto alla verifica nei registri immobiliari e può legittimamente rivolgere le proprie richieste anche nei confronti del condomino apparente.

I principi enunciati dalle Sezioni Unite sono stati seguiti dalla giurisprudenza successiva (ad esempio, Cass, sez. II, 31 marzo 2006, n. 7629), che ha pertanto disapplicato costantemente il principio dell’apparenza del diritto in materia di condominio apparente.