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Imprenditori, imprese ed IPR: spunti di riflessione

Relazione tenuta al convegno "Il futuro della proprietà intellettuale", Università di Parma, 22 ottobre 2010
E’ ormai ovvio osservare come soltanto l’offerta di prodotti e servizi innovativi consenta alle aziende italiane di rimanere con successo in un mercato internazionale aperto alla concorrenza di aziende che operano a costi sostanzialmente inferiori.

E’ altrettanto ovvio ritenere che la differenziazione sia la chiave di successo delle imprese e che in un mercato protetto da diritti di proprietà intellettuale (IPR) la competitività delle aziende possa essere raggiunta e mantenuta in modo più stabile.

Ognuno di noi ha ormai assimilato il fatto che la differenziazione può essere raggiunta soltanto attraverso l’innovazione e che i vantaggi ottenuti possono essere mantenuti soltanto se protetti in termini di proprietà intellettuale (know-how, copyright, marchi, design e brevetti).

Siamo tentati dalla semplificazione per la quale le aziende italiane sanno proteggersi in termini di marchio ed in termini di design per mantenere il vantaggio su ciò che di più prezioso le nostre imprese producono: oggetti unici dalla bella forma. Concentrarsi in termini di protezione su marchi e design trascurando brevetti e know-how sarebbe un errore. Gli strumenti di protezione offerti dalla proprietà intellettuale debbono essere utilizzati in parallelo. Possiamo qui chiederci perché marchi e design siano più popolari dei brevetti: nel caso di marchi e design l’oggetto della protezione è immediatamente noto mentre non lo è nel caso dei brevetti. Analogamente, le differenze fra propri marchi e design e quelli precedenti o quelli dei terzi sono immediatamente percepibili. Non lo sono le differenze fra i propri brevetti e la prior art o i brevetti (o i prodotti e processi) dei terzi.

D’altra parte, rimane vero che, pur nella comune natura di diritto di esclusiva, esiste una differenza sostanziale: in termini di comunicazione, il destinatario del marchio e del “disegno” è il consumatore, mentre il destinatario del brevetto è l’imprenditore.

L’Italia, fra l’altro, ha una pratica solo recente di notifica della prior art in relazione alle proprie domande di brevetto. Esperienze di questo tipo erano state fatte solo da aziende che avevano esteso i propri brevetti nei paesi con esame di merito. Le aziende con un portafoglio brevettuale solo italiano non avevano potuto sviluppare la cultura del paragonare i propri progressi tecnici con quanto noto e così valutare le differenze prodotte dai propri sviluppi. Tale ricerca di anteriorità ed il successivo esame preventivo sono invece da tempo caratteristica di alcuni paesi europei fra i quali la Germania.

Inoltre i costi di marchi e design sono facilmente rapportati ai vantaggi attesi, non altrettanto nel caso dei brevetti che sono di lettura meno immediata. Gli istituti comunitari nei casi di marchio e design ne hanno in particolare diminuito i costi e semplificato la gestione.

Nei brevetti europei (EP) le imprese italiane rivelano una attività significativa. E tuttavia, se nei marchi e disegni comunitari il rapporto DE/IT è circa 2/1, nei brevetti EP tale rapporto è superiore a 6/1.

Il brevetto “business driven”

Chiunque abbia contribuito alla stesura di un brevetto sa che l’espressione “ne vale la pena?” ha in questo caso un significato ben preciso. L’analisi dei propri risultati in relazione ai mezzi utilizzati, la necessaria differenziazione rispetto all’arte nota e la verifica se la protezione probabilmente ottenibile corrisponda ad un reale vantaggio competitivo, e quindi ad un valore, richiede comprensione delle esigenze del business, dei contenuti tecnici e delle possibilità (e dei limiti) che lo strumento brevettuale offre (aspetto legale).

Un brevetto, alla fine, protegge la soluzione di un problema tecnico. Se tale soluzione è di interesse al business in quanto ne rappresenta un vantaggio competitivo essa vale il costo della sua protezione tanto più se le soluzioni alternative non siano ritenute equivalenti dal punto di vista della qualità dei prodotti (o processi, metodi e servizi) interessati.

Il processo logico seguito nell’identificazione di un’invenzione brevettabile “business driven” parte dal bisogno del mercato, lo traduce in problema tecnico e ne definisce la soluzione in quanto essa non sia nota nell’arte. La definizione di tale soluzione con linguaggio che ricostruisca il vantaggio competitivo nel modo più ampio possibile va oltre la mera lettura o riproduzione dei dati tecnici. Non è possibile fare un buon brevetto prescindendo dalla conoscenza del business e degli obiettivi dell’imprenditore. La relazione fra problema tecnico risolto (o risultato ottenuto) e la sua soluzione (i mezzi di cui si costituisce tale soluzione) in quanto “svelata” costituisce il cuore (il “gist”) dell’invenzione o, se si vuole, l’idea di soluzione. Questa, si badi bene, non è svelata necessariamente prima che la soluzione si concretizzi. Nelle “problem inventions”, nelle quali la corretta percezione del problema o la percezione di un nuovo problema indicano in modo ovvio la soluzione, l’idea di soluzione corrisponde a tale percezione. Si ribadisce che la sola determinazione della differenza (incremento?) fra la soluzione che è oggetto dell’invenzione e le soluzioni offerte dall’arte nota per affrontare lo stesso (o un analogo) problema tecnico non consente di apprezzare l’invenzione se non in presenza del contestuale apprezzamento dei risultati ottenuti. A titolo meramente esemplificativo, poiché i casi da menzionare sarebbero innumerevoli, in un brevetto di qualche decina di anni or sono, in campo fotografico, si descriveva l’effetto dell’utilizzo di un gruppo etile (-C2H5), in luogo di un gruppo metile (-CH3), come sostituente in meta rispetto ad un ossidrile in un copulante formatore di colore (era un copulante avente come nucleo un idrossi fenile). Il nuovo copulante, in una carta fotografica a colori, originava immagini colorate stabili non altrimenti ottenibili. Il risultato tecnico era eclatante in quanto ad una minima variazione nel componente chimico corrispondeva una sorprendente variazione applicativa. In assenza di una licenza sotto il corrispondente brevetto i concorrenti non avrebbero potuto fabbricare e vendere una carta fotografica a colori senza problemi di degradazione per scolorimento delle immagini per esposizione alla luce.

L’invenzione come vantaggio competitivo

Ai fini aziendali, una volta identificata l’invenzione come soluzione di un problema tecnico, le domande a cui l’imprenditore deve rispondere sono: l’ uso in esclusiva dell’invenzione brevettata darebbe alla mia azienda un vantaggio competitivo? E se un concorrente avesse accesso a tale vantaggio competitivo la sua conduzione del business migliorerebbe? Migliorerebbero i suoi prodotti o servizi? Migliorerebbe il suo modo di produrre? Lo stesso concorrente non potrebbe raggiungere certi risultati senza impiegare la mia invenzione? Se al momento non ci sono alternative quanto tempo passerà perché se ne sviluppi qualcuna altrettanto efficace? Sono domande di questo tipo che portano a capire se l’invenzione valga i costi della sua protezione brevettuale.

Leva e Dinamiche

Entrando in un mercato ad alta intensità di brevetti, un’azienda si troverà nella necessità di evitare i brevetti altrui e sviluppare proprie soluzioni. Sono spesso disponibili licenze che permettono di evitare costi di sviluppo e, eventualmente, costi di litigio. L’inizio di un business sarà dunque cauto e probabilmente lento. Le dinamiche cambieranno se e quando lo sviluppo in proprio abbia portato a soluzioni nuove che corrispondano ad un vantaggio competitivo percepito come tale dai concorrenti di dimensioni maggiori. Se la soluzione che interessa il concorrente è brevettata almeno in un suo paese di riferimento, la dimensione del concorrente è a tutto vantaggio dell’azienda che ha sviluppato la soluzione nuova o migliore. La dimensione gioca a favore del piccolo che ha un brevetto di interesse al grande. La leva non è altro che il rapporto dimensionale grande/piccolo: con una leva uguale a 10 ogni punto percentuale in royalty sul fatturato del più grande corrisponde al 10% del fatturato del piccolo. Con una leva uguale a 100 ogni punto percentuale in royalty corrisponde al 100% di tale fatturato. In questo senso il brevetto è uno strumento adatto alle piccole imprese che siano innovative.

Attraverso licenze la piccola impresa entra quindi spesso nei business ad alta tecnologia come distributrice di prodotti sviluppati e fabbricati da aziende più grandi. L’esercizio di tali licenze o rapporti di distribuzione nell’ambito del proprio business sono spesso la premessa per sviluppare in proprio soluzioni a loro volta brevettate. Lo stare a contatto con i clienti e con gli utilizzatori offre occasioni di percepire esigenze irrisolte dei consumatori e quindi di sviluppare soluzioni tecniche che possano risolverle. E’ importante che la piccola impresa brevetti tali propri sviluppi e mantenga sui brevetti ottenuti una sua autonomia di azione. La piccola azienda dovrà infatti decidere se dare una licenza contro denaro, contro licenze incrociate, esclusive, semiesclusive, non esclusive o, addirittura, se litigare. Tali decisioni potranno influenzare il futuro delle aziende in modo strategico,o potranno essere l’occasione per la valorizzazione di asset che nelle mani di terzi più attrezzati avrebbero tutt’altro valore:. le varie opzioni non si escludono necessariamente fra di loro. Il problema è quello di essere pronti con una strategia predefinita e di essere affiancati da organizzazioni (studi brevettuali e/o legali) in grado di offrire consigli competenti e realistici. Altre dinamiche sono in relazione al contesto competitivo inteso in senso lato ad includere i fornitori: ad esempio se l’azienda considerata è nel campo tessile e un suo brevetto riguarda un processo produttivo, il vantaggio competitivo che ad esso si associa è perso se il fornitore che ha messo a punto il macchinario lo può vendere anche ai terzi concorrenti, con ciò inducendo l’uso del processo brevettato senza la necessità di un permesso o licenza dell’azienda.

Valore

Un’ulteriore considerazione da fare è la seguente: i diritti di proprietà intellettuale di un’azienda corrispondono a gran parte del suo valore. Possiamo chiederci quale sarebbe il valore di tali diritti se essi fossero di terzi. Maggiore è il business, reale o prospettato, del terzo interessato (paesi x business/paese) maggiore è il valore di tali IPR, sia presi nel loro insieme, sia presi per sottoinsiemi. E’ ovvio che tale maggior valore è proporzionale all’estensione territoriale della copertura associata a tali diritti. In termini di valore oltre che in termini di mero vantaggio competitivo è essenziale che i diritti di proprietà intellettuale siano spendibili nel maggior numero di paesi possibile, soprattutto in quelli più rilevanti sul piano del business. Non solo in Europa (in tutta Europa), ma anche, per esempio, in Brasile, Cina, Corea, India, Russia e USA. E’ infine comprensibile che un diritto, per essere spendibile in un paese, debba essere in una lingua nella disponibilità del destinatario del diritto nel paese considerato.

Mentre i diritti di marchio, design, copyright e know-how hanno minime esigenze di “traduzione” i brevetti hanno proprio in Europa esigenze abnormi di traduzione che si trasformano per i vari paesi (le imprese di quel paese) e per l’intera comunità, in costi e complicazioni che costituiscono un vero e proprio svantaggio competitivo.

Se si considera tuttavia che i destinatari dei brevetti e della loro lettura sono gli imprenditori, o chi per loro, si capisce come le esigenze di traduzione debbano essere drasticamente semplificate. A ciascun imprenditore una soluzione per la quale ogni impresa europea (diversa da quelle di lingua inglese) che estenda i propri brevetti in un altro paese europeo sia costretta ad una traduzione in inglese parrebbe una situazione senz’altro accettabile. Rimarrebbe un vantaggio sulle imprese di lingua inglese che potrebbe essere controbilanciato in qualche modo per esempio con le tasse.

Conclusione

Le imprese hanno trovato recentemente alcuni strumenti che facilitano la loro vita. Per darne alcuni esempi, il marchio e il disegno comunitari, la ricerca di anteriorità sui brevetti Italiani, il know-how difeso come tale, il codice unico della proprietà industriale e il relativo regolamento che allarga tra l’altro la possibilità di agire in via di urgenza anche per l’accertamento della non contraffazione e per ottenere consulenze tecniche di ufficio.

Il legislatore italiano ha dunque tenuto in conto le esigenze delle imprese che innovano. Qui si citano alcuni obiettivi per il prossimo futuro:

(i) il brevetto EU a costi contenuti;

(ii) la protezione delle invenzioni brevettate o del know-how di processo estesa ai prodotti importati se fabbricati con il brevetto con inversione dell’onere della prova;

(iii) il marchio di forma e l’applicabilità ad esso del secondary meaning

(iv) l’armonizzazione del design a livello internazionale (ad es. periodo di grazia).

In termini generali occorre ridurre i costi, semplificare, eliminare barriere alla protezione. A questo fine sarebbero auspicabili ulteriori occasioni di incontro con un coinvolgimento esteso a tutti gli imprenditori piccoli e grandi.

E’ ormai ovvio osservare come soltanto l’offerta di prodotti e servizi innovativi consenta alle aziende italiane di rimanere con successo in un mercato internazionale aperto alla concorrenza di aziende che operano a costi sostanzialmente inferiori.

E’ altrettanto ovvio ritenere che la differenziazione sia la chiave di successo delle imprese e che in un mercato protetto da diritti di proprietà intellettuale (IPR) la competitività delle aziende possa essere raggiunta e mantenuta in modo più stabile.

Ognuno di noi ha ormai assimilato il fatto che la differenziazione può essere raggiunta soltanto attraverso l’innovazione e che i vantaggi ottenuti possono essere mantenuti soltanto se protetti in termini di proprietà intellettuale (know-how, copyright, marchi, design e brevetti).

Siamo tentati dalla semplificazione per la quale le aziende italiane sanno proteggersi in termini di marchio ed in termini di design per mantenere il vantaggio su ciò che di più prezioso le nostre imprese producono: oggetti unici dalla bella forma. Concentrarsi in termini di protezione su marchi e design trascurando brevetti e know-how sarebbe un errore. Gli strumenti di protezione offerti dalla proprietà intellettuale debbono essere utilizzati in parallelo. Possiamo qui chiederci perché marchi e design siano più popolari dei brevetti: nel caso di marchi e design l’oggetto della protezione è immediatamente noto mentre non lo è nel caso dei brevetti. Analogamente, le differenze fra propri marchi e design e quelli precedenti o quelli dei terzi sono immediatamente percepibili. Non lo sono le differenze fra i propri brevetti e la prior art o i brevetti (o i prodotti e processi) dei terzi.

D’altra parte, rimane vero che, pur nella comune natura di diritto di esclusiva, esiste una differenza sostanziale: in termini di comunicazione, il destinatario del marchio e del “disegno” è il consumatore, mentre il destinatario del brevetto è l’imprenditore.

L’Italia, fra l’altro, ha una pratica solo recente di notifica della prior art in relazione alle proprie domande di brevetto. Esperienze di questo tipo erano state fatte solo da aziende che avevano esteso i propri brevetti nei paesi con esame di merito. Le aziende con un portafoglio brevettuale solo italiano non avevano potuto sviluppare la cultura del paragonare i propri progressi tecnici con quanto noto e così valutare le differenze prodotte dai propri sviluppi. Tale ricerca di anteriorità ed il successivo esame preventivo sono invece da tempo caratteristica di alcuni paesi europei fra i quali la Germania.

Inoltre i costi di marchi e design sono facilmente rapportati ai vantaggi attesi, non altrettanto nel caso dei brevetti che sono di lettura meno immediata. Gli istituti comunitari nei casi di marchio e design ne hanno in particolare diminuito i costi e semplificato la gestione.

Nei brevetti europei (EP) le imprese italiane rivelano una attività significativa. E tuttavia, se nei marchi e disegni comunitari il rapporto DE/IT è circa 2/1, nei brevetti EP tale rapporto è superiore a 6/1.

Il brevetto “business driven”

Chiunque abbia contribuito alla stesura di un brevetto sa che l’espressione “ne vale la pena?” ha in questo caso un significato ben preciso. L’analisi dei propri risultati in relazione ai mezzi utilizzati, la necessaria differenziazione rispetto all’arte nota e la verifica se la protezione probabilmente ottenibile corrisponda ad un reale vantaggio competitivo, e quindi ad un valore, richiede comprensione delle esigenze del business, dei contenuti tecnici e delle possibilità (e dei limiti) che lo strumento brevettuale offre (aspetto legale).

Un brevetto, alla fine, protegge la soluzione di un problema tecnico. Se tale soluzione è di interesse al business in quanto ne rappresenta un vantaggio competitivo essa vale il costo della sua protezione tanto più se le soluzioni alternative non siano ritenute equivalenti dal punto di vista della qualità dei prodotti (o processi, metodi e servizi) interessati.

Il processo logico seguito nell’identificazione di un’invenzione brevettabile “business driven” parte dal bisogno del mercato, lo traduce in problema tecnico e ne definisce la soluzione in quanto essa non sia nota nell’arte. La definizione di tale soluzione con linguaggio che ricostruisca il vantaggio competitivo nel modo più ampio possibile va oltre la mera lettura o riproduzione dei dati tecnici. Non è possibile fare un buon brevetto prescindendo dalla conoscenza del business e degli obiettivi dell’imprenditore. La relazione fra problema tecnico risolto (o risultato ottenuto) e la sua soluzione (i mezzi di cui si costituisce tale soluzione) in quanto “svelata” costituisce il cuore (il “gist”) dell’invenzione o, se si vuole, l’idea di soluzione. Questa, si badi bene, non è svelata necessariamente prima che la soluzione si concretizzi. Nelle “problem inventions”, nelle quali la corretta percezione del problema o la percezione di un nuovo problema indicano in modo ovvio la soluzione, l’idea di soluzione corrisponde a tale percezione. Si ribadisce che la sola determinazione della differenza (incremento?) fra la soluzione che è oggetto dell’invenzione e le soluzioni offerte dall’arte nota per affrontare lo stesso (o un analogo) problema tecnico non consente di apprezzare l’invenzione se non in presenza del contestuale apprezzamento dei risultati ottenuti. A titolo meramente esemplificativo, poiché i casi da menzionare sarebbero innumerevoli, in un brevetto di qualche decina di anni or sono, in campo fotografico, si descriveva l’effetto dell’utilizzo di un gruppo etile (-C2H5), in luogo di un gruppo metile (-CH3), come sostituente in meta rispetto ad un ossidrile in un copulante formatore di colore (era un copulante avente come nucleo un idrossi fenile). Il nuovo copulante, in una carta fotografica a colori, originava immagini colorate stabili non altrimenti ottenibili. Il risultato tecnico era eclatante in quanto ad una minima variazione nel componente chimico corrispondeva una sorprendente variazione applicativa. In assenza di una licenza sotto il corrispondente brevetto i concorrenti non avrebbero potuto fabbricare e vendere una carta fotografica a colori senza problemi di degradazione per scolorimento delle immagini per esposizione alla luce.

L’invenzione come vantaggio competitivo

Ai fini aziendali, una volta identificata l’invenzione come soluzione di un problema tecnico, le domande a cui l’imprenditore deve rispondere sono: l’ uso in esclusiva dell’invenzione brevettata darebbe alla mia azienda un vantaggio competitivo? E se un concorrente avesse accesso a tale vantaggio competitivo la sua conduzione del business migliorerebbe? Migliorerebbero i suoi prodotti o servizi? Migliorerebbe il suo modo di produrre? Lo stesso concorrente non potrebbe raggiungere certi risultati senza impiegare la mia invenzione? Se al momento non ci sono alternative quanto tempo passerà perché se ne sviluppi qualcuna altrettanto efficace? Sono domande di questo tipo che portano a capire se l’invenzione valga i costi della sua protezione brevettuale.

Leva e Dinamiche

Entrando in un mercato ad alta intensità di brevetti, un’azienda si troverà nella necessità di evitare i brevetti altrui e sviluppare proprie soluzioni. Sono spesso disponibili licenze che permettono di evitare costi di sviluppo e, eventualmente, costi di litigio. L’inizio di un business sarà dunque cauto e probabilmente lento. Le dinamiche cambieranno se e quando lo sviluppo in proprio abbia portato a soluzioni nuove che corrispondano ad un vantaggio competitivo percepito come tale dai concorrenti di dimensioni maggiori. Se la soluzione che interessa il concorrente è brevettata almeno in un suo paese di riferimento, la dimensione del concorrente è a tutto vantaggio dell’azienda che ha sviluppato la soluzione nuova o migliore. La dimensione gioca a favore del piccolo che ha un brevetto di interesse al grande. La leva non è altro che il rapporto dimensionale grande/piccolo: con una leva uguale a 10 ogni punto percentuale in royalty sul fatturato del più grande corrisponde al 10% del fatturato del piccolo. Con una leva uguale a 100 ogni punto percentuale in royalty corrisponde al 100% di tale fatturato. In questo senso il brevetto è uno strumento adatto alle piccole imprese che siano innovative.

Attraverso licenze la piccola impresa entra quindi spesso nei business ad alta tecnologia come distributrice di prodotti sviluppati e fabbricati da aziende più grandi. L’esercizio di tali licenze o rapporti di distribuzione nell’ambito del proprio business sono spesso la premessa per sviluppare in proprio soluzioni a loro volta brevettate. Lo stare a contatto con i clienti e con gli utilizzatori offre occasioni di percepire esigenze irrisolte dei consumatori e quindi di sviluppare soluzioni tecniche che possano risolverle. E’ importante che la piccola impresa brevetti tali propri sviluppi e mantenga sui brevetti ottenuti una sua autonomia di azione. La piccola azienda dovrà infatti decidere se dare una licenza contro denaro, contro licenze incrociate, esclusive, semiesclusive, non esclusive o, addirittura, se litigare. Tali decisioni potranno influenzare il futuro delle aziende in modo strategico,o potranno essere l’occasione per la valorizzazione di asset che nelle mani di terzi più attrezzati avrebbero tutt’altro valore:. le varie opzioni non si escludono necessariamente fra di loro. Il problema è quello di essere pronti con una strategia predefinita e di essere affiancati da organizzazioni (studi brevettuali e/o legali) in grado di offrire consigli competenti e realistici. Altre dinamiche sono in relazione al contesto competitivo inteso in senso lato ad includere i fornitori: ad esempio se l’azienda considerata è nel campo tessile e un suo brevetto riguarda un processo produttivo, il vantaggio competitivo che ad esso si associa è perso se il fornitore che ha messo a punto il macchinario lo può vendere anche ai terzi concorrenti, con ciò inducendo l’uso del processo brevettato senza la necessità di un permesso o licenza dell’azienda.

Valore

Un’ulteriore considerazione da fare è la seguente: i diritti di proprietà intellettuale di un’azienda corrispondono a gran parte del suo valore. Possiamo chiederci quale sarebbe il valore di tali diritti se essi fossero di terzi. Maggiore è il business, reale o prospettato, del terzo interessato (paesi x business/paese) maggiore è il valore di tali IPR, sia presi nel loro insieme, sia presi per sottoinsiemi. E’ ovvio che tale maggior valore è proporzionale all’estensione territoriale della copertura associata a tali diritti. In termini di valore oltre che in termini di mero vantaggio competitivo è essenziale che i diritti di proprietà intellettuale siano spendibili nel maggior numero di paesi possibile, soprattutto in quelli più rilevanti sul piano del business. Non solo in Europa (in tutta Europa), ma anche, per esempio, in Brasile, Cina, Corea, India, Russia e USA. E’ infine comprensibile che un diritto, per essere spendibile in un paese, debba essere in una lingua nella disponibilità del destinatario del diritto nel paese considerato.

Mentre i diritti di marchio, design, copyright e know-how hanno minime esigenze di “traduzione” i brevetti hanno proprio in Europa esigenze abnormi di traduzione che si trasformano per i vari paesi (le imprese di quel paese) e per l’intera comunità, in costi e complicazioni che costituiscono un vero e proprio svantaggio competitivo.

Se si considera tuttavia che i destinatari dei brevetti e della loro lettura sono gli imprenditori, o chi per loro, si capisce come le esigenze di traduzione debbano essere drasticamente semplificate. A ciascun imprenditore una soluzione per la quale ogni impresa europea (diversa da quelle di lingua inglese) che estenda i propri brevetti in un altro paese europeo sia costretta ad una traduzione in inglese parrebbe una situazione senz’altro accettabile. Rimarrebbe un vantaggio sulle imprese di lingua inglese che potrebbe essere controbilanciato in qualche modo per esempio con le tasse.

Conclusione

Le imprese hanno trovato recentemente alcuni strumenti che facilitano la loro vita. Per darne alcuni esempi, il marchio e il disegno comunitari, la ricerca di anteriorità sui brevetti Italiani, il know-how difeso come tale, il codice unico della proprietà industriale e il relativo regolamento che allarga tra l’altro la possibilità di agire in via di urgenza anche per l’accertamento della non contraffazione e per ottenere consulenze tecniche di ufficio.

Il legislatore italiano ha dunque tenuto in conto le esigenze delle imprese che innovano. Qui si citano alcuni obiettivi per il prossimo futuro:

(i) il brevetto EU a costi contenuti;

(ii) la protezione delle invenzioni brevettate o del know-how di processo estesa ai prodotti importati se fabbricati con il brevetto con inversione dell’onere della prova;

(iii) il marchio di forma e l’applicabilità ad esso del secondary meaning

(iv) l’armonizzazione del design a livello internazionale (ad es. periodo di grazia).

In termini generali occorre ridurre i costi, semplificare, eliminare barriere alla protezione. A questo fine sarebbero auspicabili ulteriori occasioni di incontro con un coinvolgimento esteso a tutti gli imprenditori piccoli e grandi.