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Trust di Garanzia a favore di una procedura concorsuale: una recente applicazione dell’istituto in ambito di garanzia per obbligazioni

A seguito dell’emanazione della legge 16 ottobre 1989 n. 364 con la quale è stata ratificata la Convenzione de L’Aja del 1 luglio 1985 sul riconoscimento dei trust, dal 1 gennaio 1992 in Italia si è assistito ad un costante aumento di trust cd. “interni”, ossia di rapporti giuridici i cui elementi soggettivi e oggettivi sono connessi al nostro territorio e al nostro ordinamento sebbene essi siano regolati da una legge straniera che attribuisce loro la qualifica di trust.

L’attenzione degli studiosi all’istituto e la sempre più frequente applicazione dello stesso nell’ambito “quotidiano” dei rapporti giuridici di cui la nostra società è permeata, non derivano tanto da uno sconsiderato spirito di esterofilia per uno strumento “straniero” e, ad un primo approccio, alquanto singolare, ma, al contrario, dal concreto riconoscimento del trust quale strumento idoneo in plurime situazioni, più idoneo di altri in alcune, a realizzare una maggior tutela di determinati interessi, giuridicamente rilevanti[1].

Anche nel caso in esame, come di seguito sarà meglio delineato, l’istituto del trust si è rilevato il miglior strumento per contemperare i contrapposti interessi, con assoluta garanzia delle pretese della curatela, e quale garanzia efficace non solo per la conservazione del credito, ma anche per una più celere tempistica nel realizzo con minor dispendio e sperpero di risorse.

1§ Il Trust in genere

Nella lingua inglese trust significa letteralmente “fiducia” ed esprime il concetto di affidamento. Si può dunque definire trust lo strumento programmatico per realizzare la protezione di posizioni giuridiche investendone un trustee, che ne diviene titolare per amministrarle e gestirle, secondo le disposizioni dell’atto istitutivo, per le finalità e per la durata ivi previste.

Nella Convenzione de L’Aja non si trova la definizione dell’istituto nella sua versione classica, ma di quell’istituto che a norma della Convenzione si intende per trust (ormai comunemente definito quale “trust amorfo”) che viene individuato in quei “rapporti giuridici istituiti da una persona, il disponente – con atto tra vivi o mortis causa – qualora dei beni siano posti sotto il controllo di un trustee nell’interesse di un beneficiario o per un fine determinato” [2]. Le caratteristiche minime del trust sono le seguenti:

a) i beni in trust costituiscono una massa distinta e non fanno parte del patrimonio del trustee

b) i beni in trust sono intestati a nome del trustee o di un’altra persona per conto del trustee

c) il trustee è investito del potere e onerato dell’obbligo, di cui deve rendere conto, di amministrare, gestire o disporre dei beni in conformità alle disposizioni del trust e secondo le norme imposte dalla legge al trustee.

Un trust non è un contratto, ma un programma contenuto in un atto unilaterale: colui che lo istituisce – il disponente - delinea un progetto, stabilisce i tempi e le modalità per il suo realizzo e individua il soggetto – il trustee – che dovrà porlo in essere, amministrando, gestendo e disponendo dei beni o dei diritti che al medesimo vengono trasferiti.

Attraverso l’istituzione del trust il disponente assoggetta la titolarità di alcuni beni propri al trustee, il quale deve gestirli secondo le disposizioni dell’atto istitutivo. L’atto può indicare i soggetti beneficiari che riceveranno i beni in trust, in un momento determinato o al verificarsi di uno evento specifico; oppure può prevedere il perseguimento di uno scopo. Attraverso il negozio di conferimento, il disponente si spoglia della titolarità personale dei beni trasferiti in trust, che escono dal patrimonio di questi, per entrare in quello segregato dei beni in trust, e non già nel patrimonio generale del trustee, che il trustee amministra in via separata ed autonoma rispetto a quelli personali.

Il trustee non è in alcun modo un mandatario del disponente, ma è il proprietario dei beni in trust, seppur così vincolati e con l’obbligo di rendere conto del proprio operato e di non disporne a titolo personale ovvero difformemente da quanto previsto nell’atto istitutivo.

I beni in trust non possono dunque essere aggrediti tout court da eventuali creditori del disponente[3], perché non si trovano più nel patrimonio di questi; né d’altro canto possono essere aggrediti dai creditori personali del trustee, perché mai sono entrati nel suo patrimonio personale, né infine da quelli dei beneficiari, nel cui patrimonio non sono ancora entrati e che possono al più vantare un mero diritto di credito nei confronti del trustee.

I Beneficiari del trust, a seconda dei diritti e della qualità loro attribuiti e con le limitazioni del caso, hanno pieni poteri di chiedere conto della gestione del trustee e di controllo del buon operato di questi. In un trust senza Beneficiari è invece previsto necessariamente un Guardiano che possa esercitare in ogni caso i diritti che spetterebbero ai beneficiari, qualora vi fossero, e spesso anche quelli che il Disponente si possa riservare, qualora così stabilito. In ogni caso, ed a prescindere dalla legge regolatrice e dalla categoria di trust in questione (da rilevarsi che i trust di scopo sono inammissibili per il diritto del Regno Unito, mentre sono adeguatamente ed esaustivamente regolamentati in altri ordinamenti Nordamericani o Off-shore), è pienamente ammissibile, qualora ritenuto utile, la previsione di una figura assimilabile al Guardiano alla quale rimettere convenzionalmente determinati poteri di controllo ed intervento relativamente al (mal)operato del trustee nonché a fini di preventivo e vincolante consenso per determinati atti.

Le peculiarità più rilevanti dell’istituto, in ogni caso, si rinvengono nella particolare poliedricità e dinamicità dello stesso: un trust può essere istituito per qualsiasi finalità, che sia ovviamente lecita e meritevole di tutela; i doveri del trustee possono essere multiformi e diversamente modulati, spaziando da una pregnante “ingessatura” ad una quasi assoluta discrezionalità; la segregazione del fondo in trust viene garantita, senza alcuna soluzione di continuità, anche nelle sue mutazioni od evoluzioni: la vendita o trasformazione di un bene in trust implica necessariamente ed immediatamente che il ricavato dalla stessa o il bene nel quale sia stato trasformato sia anch’esso in trust.

Una categoria che rileva nell’ambito delle diverse fattispecie di trust è quella dei c.d. trust autodichiarati, ovvero quei trust con i quali il titolare del diritto di proprietà segrega tale bene in trust, designando se stesso, disponente, quale trustee: nessun trasferimento ha luogo, ma solo l’apposizione del vincolo segregativo e di destinazione. L’atto istitutivo è un atto unilaterale con cui il Disponente enuncia al Trustee la finalità dell’affidamento e ne stabilisce le regole di base: la durata, i poteri del trustee, i beneficiari.

La finalità del trust è senza dubbio quella di separare le sorti di un determinato bene dalle vicende patrimoniali del suo titolare, trasferendone la proprietà ad un altro soggetto che ne diverrà proprietario, ma che, nel gestire tale bene, dovrà perseguire le finalità stabilite dal disponente. Le medesime finalità possono esser perseguite anche segregando tale bene nel proprio patrimonio: nel momento stesso nel quale il disponente dichiara che tale bene deve essere tenuto in trust, questi si spoglia tout court della propria veste e qualità di disponente assumendo quella di trustee. Ciò implica innanzitutto che è lo stesso disponente che si dichiara assoggettato a determinati doveri ed obblighi, impegnandosi quindi a sottoporsi al controllo ed ai diritti che così riconosce ai beneficiari. Si tratterà per lo più di assicurare l’utilizzo di un determinato bene o di determinate risorse finanziarie per un certo periodo di tempo per garantire il soddisfacimento di determinate esigenze.

Sulla base di questi presupposti, è evidente che la segregazione in trust di alcune utilità del patrimonio del disponente talvolta può essere sufficientemente realizzata anche a mezzo di un trust autodichiarato; la segregazione del fondo in trust rispetto al patrimonio personale del trustee può efficacemente avvenire allorché siano stati effettuati i debiti adempimenti di pubblicità tali da rendere il trust opponibile ai terzi.

2§ Il caso specifico, i diversi interessi e le possibili soluzioni

Come si evince dalle premesse dell’atto istitutivo[4], integralmente riportate nella nota di trascrizione, nel luglio 2008, una persona ha acquistato dal proprio fratello la restante quota, pari al 50% di un immobile, loro pervenuto per successione. L’atto di vendita prevedeva espressamente che il pagamento della quota, per € 100.000,00, era stato concordato dover avvenire entro la data del 31/12/2010.

Nel gennaio 2010, la s.a.s. del fratello venditore è stata dichiarata fallita e conseguentemente il fratello in proprio, del che la curatela del fallimento ha immediatamente provveduto a diffidare il compratore dal rimettere alcuna somma ad altri che alla curatela stessa.

A tale richiesta, l’acquirente rispondeva che per onorare il pagamento avrebbe dovuto mettere in vendita l’immobile.

Non è dato rilevare dagli atti se l’atto di vendita prevedesse una riserva di proprietà in favore del venditore sino al pagamento del prezzo ovvero l’ipoteca legale, ma si può presumibilmente desumere che ciò non vi fosse.

E’ di tutta evidenza, perché dichiarata, che il compratore ha interesse a vendere l’immobile, al fine di reperire le somme necessarie per far fronte al proprio debito, e ciò a prezzo di mercato, in maniera tale da far propria la differenza rispetto al dovuto.

La procedura, dal canto suo, ha interesse a ricevere la somma convenuta più che la retrocessione della proprietà compravenduta. Trattasi infatti della quota del 50% in comproprietà per successione ereditaria la cui vendita forzata, oltre a richiedere dispendio di tempo ed ingenti risorse economiche, è di incerto realizzo a causa proprio dell’oggetto della stessa.

A prescindere dal fatto che il termine a favore del compratore fosse ancora lontano da venire, la procedura ha sicuramente valutato la duplice prospettiva e le problematiche connesse: qualora avesse agito per riottenere la piena proprietà del bene, avrebbe potuto esperire azione revocatoria (salva quantomeno la prova della non congruità del prezzo e del consilium fraudis, che dagli atti parrebbe non potersi rilevare) ovvero di risoluzione per inadempimento, decorso inutilmente il termine. Solo a seguito del giudizio di merito – con i costi, i tempi ed rischi connessi – si sarebbe ritrovata a dover vendere una quota di un immobile in comunione ereditaria e, dunque, con le conseguenti implicazioni per la vendita di tali beni, quali, ad esempio, il necessario scioglimento della comunione a seguito della corretta attribuzione delle quote e così di beni specifici agli eredi, a tal punto oggetto dell’esecuzione forzata.

Qualora invece avesse deciso di agire per l’adempimento, trascorso inutilmente il termine, avrebbe potuto azionare direttamente il titolo nei confronti dell’acquirente e così agire in esecuzione sul bene nel suo intero, come sul resto del patrimonio del compratore.

A norma dell’art. 474 cod.proc.civ., il riconoscimento di debito risultante da una scrittura privata autenticata, quale l’atto di vendita, costituisce titolo esecutivo di per sé, del che certamente la soluzione per l’adempimento avrebbe risparmiato i tempi ed i costi della causa di risoluzione o in revocatoria, nonché, non di minor importanza, avrebbe comportato la possibilità di esecuzione tout court sull’intero immobile.

Qualsiasi soluzione si decidesse di adottare, dunque, oltre che più o meno lunga e sicuramente dispendiosa, era permeata in ogni caso delle problematiche di incertezza del realizzo della vendita forzata; certamente, tuttavia, i veri timori immediati della procedura erano che il compratore potesse nelle more vendere immobile senza provvedere al saldo del prezzo (volontariamente o per intervento di fattori esterni quali, ad esempio, la presenza di altri creditori). La procedura era consapevole che l’unico rimedio esperibile fosse la richiesta di un sequestro cautelare, ma questo era paventato incerto nella sua concessione (era a cura della procedura dimostrare il periculum in mora) e di fatto avrebbe potuto “influenzare” negativamente i possibili acquirenti.

3§ Il trust quale miglior strumento per il contemperamento dei contrapposti interessi

L’acquirente si è dimostrato collaborativo al fine di trovare una soluzione soddisfacente per entrambe le parti e, dunque, si è così aperto il ventaglio di ulteriori possibilità concesse dall’intervento adesivo del debitore.

Si sarebbe così pacificamente potuta ipotizzare una concessione di ipoteca volontaria a favore della procedura. Pur prescindendo dalle problematiche sottese alla concessione di tale garanzia – per lo più relative all’individuazione del soggetto a cui favore iscrivere la garanzia e delle limitazioni alla stessa – tale soluzione avrebbe potuto solo in parte risolvere gli aspetti di criticità delineati: pur assolvendo l’onere di garanzia nelle more della vendita, non vi era alcuna garanzia che l’acquirente si dovesse attivare per la vendita e, soprattutto, sarebbero perdurate tutte le altre problematiche relative all’eventualità di una successiva esecuzione per l’escussione della garanzia.

Il trust di seguito delineato si è così rivelato esser lo strumento più efficace per contemperare tutti i diversi interessi sottesi, come sarà di volta in volta evidenziato nella disamina approfondita delle diverse peculiarità del medesimo.

3.1. Gli aspetti salienti del trust

- Il Trustee

Con atto del 22 marzo 2010, a rogito Notaio Dott. R. Zaniboni, l’acquirente ha dichiarato di tenere l’immobile in oggetto, per intero, quale trustee del trust denominato “Trust di garanzia per il fallimento Aertecnica Sas”.

Con la trascrizione presso la competente Conservatoria Immobiliare – sulla quale si tornerà in argomento di seguito -, il disponente ha pertanto trascritto il vincolo con cui ha assoggettato un proprio bene – l’immobile nel suo intero, come risultante dal consolidamento delle due quote – alle disposizioni del trust, autoassoggettandosi alle stesse, quale trustee, e ciò con effetto erga omnes, se stesso compreso.

Il disponente, dunque, si è così impegnato a perseguire lo Scopo del trust, di cui in seguito, riconoscendo ed accettando di poter esser revocato dalla sua qualifica di trustee da parte del (solo) Curatore ed obbligandosi in tal caso a trasferire la proprietà del Fondo al trustee in sua vece nominando (art. 2 dell’atto di trust)

- Lo Scopo del trust

All’art. 1 del proprio atto istitutivo, il trust viene definito dichiaratamente di scopo, andando così espressamente e senza ombra di dubbio a delineare che le obbligazioni che il trustee deve perseguire sono esclusivamente indirizzate al perseguimento delle finalità in sé del trust, e non dei soggetti che dallo stesso siano in qualche modo avvantaggiati.

Non è questa la sede né vi sarebbe in alcun modo spazio per delineare esaustivamente le differenze, sostanziali e normative, tra i trust con beneficiari ed i trust di scopo. La differenza che in questo caso rileva è che nei primi il trustee deve perseguire l’interesse dei beneficiari secondo le finalità per le quali il trust sia stato istituito e, dunque, poter agire in qualsivoglia modo, più o meno discrezionale, purché a favore dei beneficiari, ai quali, a seconda del trust e della qualità della posizione beneficiaria, sono attribuiti diversi e pregnanti diritti e prerogative; nei trust di scopo, invece, quest’ultimo assurge quale unico elemento di indirizzo dell’operato del trustee, più o meno discrezionale che sia[5].

L’art. 4 dell’atto istitutivo, intitolato a “Lo Scopo del trust”, espressamente dichiara che lo stesso “persegue uno scopo di garanzia in quanto finalizzato ad assicurare alla Procedura Fallimentare l’incasso del Saldo Dovuto“ che nelle premesse individua quale definizione nel “… pagamento del prezzo di vendita dell’Immobile – il Fondo in Trust – pari ad Euro 100.000,00 … “.

Il medesimo art. 4 dell’atto istitutivo prosegue nel delineare quale sia la portata di tale garanzia, indicando che il vincolo che il Disponente imprime sul Fondo in trust sia tale per cui quest’ultimo non possa esser oggetto di nessun negozio giuridico a titolo di godimento, ma possa esser trasferito a terzi a qualsiasi titolo solo nel caso in cui la prestazione del cessionario sia pari al Saldo Dovuto, che deve essere rimesso nelle sole mani del Curatore.

- Le obbligazioni del trustee

Le obbligazioni principali del trustee in quanto tale sono dunque delineate nello scopo sopra indicato: il trustee – e dunque il Disponente, il debitore - innanzitutto si obbliga a non trasferire a terzi l’immobile costituente il Fondo in Trust (che si rammenta esser l’intero), a meno del pagamento di un corrispettivo pari alla cifra indicata, e questa da rimettersi a mani del Curatore.

Il pagamento non a mani del Curatore configura un inadempimento del trustee che è autonoma causa di responsabilità del trustee stesso, con gravose conseguenze di natura reintegratoria a titolo di responsabilità da parte del trustee e che potrebbe assurgere a natura rei persecutoria ai danni degli eventuali terzi acquirenti (non così tuttavia nel caso specifico, come in seguito meglio esaminato, dal momento che gli effetti nei confronti dei terzi acquirenti sono specificati – e così limitati – nell’atto).

Dopo aver definito quale “Avente Causa” “chiunque concluda contratti con il Trustee aventi ad oggetto il trasferimento dell’immobile” (art. 11 dell’atto istitutivo), tra gli obblighi del trustee vi è quello specifico di far comparire il Curatore “ … all’atto della sottoscrizione di qualsivoglia contratto avente ad oggetto l’immobile, anche se preliminare, qualora sia prevista la corresponsione di somme da parte dell’Avente Causa … in tal caso ogni somma deve essere obbligatoriamente rimessa dall’Avente Causa a mani del Curatore, fino alla concorrenza dell’ìimporto di Euro 100.000,00 … esclusivamente a titolo di quietanza delle somme ricevute …“.

In sostanza, l’acquirente rimane pieno proprietario dell’immobile in trust, sia personalmente – come espressamente indicato all’art. 16 dell’atto istitutivo – che nella propria qualità di trustee – come indicato al successivo art. 20 -, ma con il vincolo del trust che lo obbliga a determinati adempimenti, primo tra tutti quello di garanzia.

E’ pur vero che non vi è alcuna indicazione relativamente ad un obbligo del Disponente/Trustee di vendere, ma ciò è ricavabile inequivocabilmente dalle premesse e dalle finalità del trust stesso: nel momento nel quale il trustee dichiara di impegnarsi ad assicurare alla Procedura Fallimentare l’incasso del Saldo Dovuto, è di tutta evidenza che si impegna ad attivarsi a che tale incasso, qualora e nel momento in cui diventi esigibile, sia eseguito, e ciò garantendo a mezzo del Fondo in Trust.

Qualora il trustee non sia solerte, il primo rimedio per la procedura consiste nel fatto che il Curatore, nella propria qualità di Guardiano, può revocare il trustee nominandone un altro, oltre che eventualmente agire nei confronti del trustee revocato per propria responsabilità personale, qualora ravvisabile.

- L a legge regolatrice del trust

L’art. 7 dell’atto istitutivo espressamente prevede che il trust sia regolato dalla Legge di Jersey, Isole del Canale.

Tale previsione è essenziale ai fini del riconoscimento dell’istituto quale trust ai sensi de La Convenzione del L’Aja. Come espressamente indicato all’art. 6 della Convenzione, infatti, il trust è regolato dalla legge scelta dal Disponente, legge alla quale il successivo art. 8 rimette “ … la validità, l’interpretazione, gli effetti e l’amministrazione del trust … “ stabilendo che “ … in particolare tale legge disciplina:

a) la nomina, le dimissioni e la revoca dei trustee, la capacità di esercitare l’ufficio di trustee e la trasmissione delle funzioni di trustee;

b) i diritti e gli obblighi tra gli stessi trustee;

c) il diritto del trustee di delegare in tutto o in parte l’adempimento dei suoi obblighi o l’esercizio dei suoi poteri;

d) il potere del trustee di amministrare e di disporre dei beni in trust, di darli in garanzia e di acquisire nuovi beni;

e) il potere del trustee di effettuare investimenti;

f) i limiti relativi alla durata del trust e i poteri di accantonare il reddito;

g) i rapporti tra trustee e beneficiari, compresa la responsabilità personale del trustee nei confronti di questi ultimi;

h) la modifica o la cessazione del trust;

i) la distribuzione dei beni in trust;

l) l’obbligo del trustee di rendere conto della sua gestione.”

Qualora non sia stata scelta alcuna legge o la legge scelta non preveda l’istituto del trust o la categoria di trust in questione, l’art. 7 della Convenzione prevede che il trust sia regolato dalla legge con la quale ha collegamenti più stretti[6]; qualora la legge così individuata non preveda l’istituto del trust o la categoria di trust in questione, la Convenzione non si applica – e dunque il trust non è riconoscibile come tale.

E’ di tutta evidenza, dunque, che i redattori dell’atto istitutivo di trust abbiano dovuto scegliere ed indicare innanzitutto una legge regolatrice – straniera – che rendesse il trust riconoscibile quale tale, ai fini della Convenzione.

Tale operazione ermeneutica non era di per sé soddisfatta solo nell’indicazione di una legge che prevedesse il trust, ma anche di una legge che prevedesse la categoria di trust in esame.

Come sopra anticipato, infatti, la scelta dei redattori di questo atto di trust è stata nel senso di privilegiare lo scopo e finalità del medesimo più che gli interessi in sé di eventuali beneficiari.

Non tutti gli ordinamenti che prevedono e regolamentano l’istituto del trust prevedono anche i trust di scopo, primo tra tutti il Regno Unito[7].

Ai fini del valido ed efficace riconoscimento del trust in oggetto, dunque, è stata scelta la legge di Jersey che detta una pregnante ed esaustiva regolamentazione anche dei trust di scopo.

A tale legge, dunque, è rimesso non solo il riconoscimento del trust quale tale, ma anche la regolamentazione dei requisiti di validità.

Ecco che, dunque, a tal fine, l’atto di trust presenta alcune peculiarità da tali disposizioni dettate.

Senza ulteriormente dilungarsi sulle disposizioni particolari, è necessario evidenziarne alcune peculiarità. L’art. 12 della Trust (Jersey) Law 1984 (come da successive modificazioni, ultima delle quali intervenuta nel 2006)[8], prevede che un trust per uno scopo non charitable sia valido qualora disponga per la nomina di un Enforcer (Guardiano) e per la successione di questi qualora non via sia. I compiti dell’Enforcer consistono sostanzialmente nell’assicurare l’esecuzione del trust per quanto attiene ai suoi scopi non charitable (art.13 della Trust (Jersey) Law 1984).

L’atto istitutivo di trust, in definitiva, ha correttamente rimesso la propria regolamentazione ad una legge regolatrice appositamente e correttamente scelta dal Disponente in maniera tale che l’istituto sia riconoscibile quale trust e come tale possa spiegare i propri effetti.

Da una disamina del medesimo atto, si evince chiaramente che le disposizioni ritenute da tale legge essenziali sono state rispettate in quanto non solo è stata prevista la figura del Guardiano (enforcer), ma sono altresì state rispettate le prescrizioni aggiuntive in merito a tale figura, come di seguito evidenziando.

- Il Guardiano

All’atto istitutivo di trust ha partecipato anche il Curatore, quale Guardiano del trust, che ha accettato, e l’Avv. A. Tonelli, non tanto nella propria qualità di legale della procedura – di cui in seguito -, ma soprattutto per accettazione quale successivo Guardiano ad interim per il caso che in un qualsiasi momento e per qualsiasi causa fosse impossibile la copertura di tale ufficio da parte del Curatore.

E’ stato così soddisfatto un requisito necessario ed indispensabile ai fini della validità del trust stesso: il trust di scopo istituendo ha un suo Enforcer ed è sin da ora garantito che lo stesso non possa mai mancare. E’ altresì debitamente regolamentata la successione nell’ufficio di Guardiano.

L’art. 5 dell’atto istitutivo, infatti, prevede che l’ufficio di Guardiano sia ricoperto dal Curatore della Procedura pro-tempore e che questi possa esser revocato solo dal Giudice Delegato, che provvede contestualmente alla nomina del successore.

E’ indubbio che la scelta del Guardiano nella persona del Curatore sia stata dettata da una particolare attenzione ai soggetti a cui è indirizzata la garanzia, scopo del trust, e così dunque rimettendo nelle mani della Procedura, in persona del Curatore, i poteri di controllo sull’operato del trustee nell’esecuzione dello scopo. A prescindere da tale considerazione, la figura del guardiano avrebbe potuto esser individuata in qualsiasi altro soggetto, ovviamente terzo rispetto al trustee, ed è sin da ora da rilevarsi come tale ufficio non rientri di per sé nei compiti e doveri del Curatore.

Al Guardiano sono poi attribuiti altri poteri, specifici, alcuni relativi all’ufficio in sé, altri attinenti più alla propria qualità di Curatore che di Guardiano vero e proprio.

Tra questi ultimi deve annoverarsi il generico potere di esprimere la propria opinione su qualsiasi attività del trustee nonchè il pieno potere di porre il proprio veto a qualsiasi operazione o azione del trustee (art. 30 dell’atto istitutivo). Parimenti deve intendersi quale potere proprio l’obbligo del trustee di ottenere il suo preventivo consenso per l’accettazione di una proposta di vendita i cui termini di pagamento abbiano una scadenza successiva al 31/12/2010 (data di scadenza dell’obbligazione tra l’acquirente ed il fallimento) o tali modalità di pagamento non siano adeguatamente garantite (art. 14 dell’atto istitutivo).

Sono invece più poteri da Curatore la rimessa obbligatoria di qualsiasi somma a mani dello stesso, come indicato all’art. 13, dal momento che viene specificato come questi in tal caso intervenga solo ai fini di tale incasso ed “esclusivamente a titolo di quietanza delle somme ricevute”.

- La Durata del trust

L’art. 6 dell’atto istitutivo individua il termine del trust nella data in cui il Guardiano dichiari la cessazione del medesimo per “… la ricorrenza di uno fra i seguenti “Eventi”: 1) la Procedura Fallimentare ha incassato il Saldo Dovuto; 2) lo Scopo del Trust non è più di interesse della Procedura Fallimentare. In ogni caso il trust cessa il giorno della chiusura della Procedura Fallimentare (art. 6).

Vengono così individuati i limiti anche temporali della garanzia – che materialmente è limitata all’incasso della somma: la stessa dura fintanto che non venga meno l’interesse della Procedura all’incasso del prezzo, per qualsiasi causa ciò avvenga, che sia il saldo del prezzo altrimenti intervenuto (ad esempio direttamente da parte del debitore o di un terzo indipendentemente dalla cessione dell’immobile o la chiusura, per qualsiasi causa, della procedura fallimentare).

Intervenuto così il termine del trust, il residuo del presso incassato dalla vendita è integralmente riconosciuto a favore del Disponente/debitore.

- I diritti dei terzi acquirenti e l’opponibilità del trust ai terzi.

L’art. 15 dell’atto istitutivo espressamente reca la prescrizione che il vincolo di destinazione che sorge per effetto del presente trust autodichiarato è trascritto nella Conservatoria dei Pubblici Registri al fine di renderlo conoscibile ed opponibile ai Terzi.

Tale prescrizione potrebbe apparire per alcuni versi pleonastica: il regime di pubblicità necessaria relativo ai trasferimenti dei diritti aventi ad oggetto beni immobili rileva quale pubblicità/notizia a garanzia dei diritti dei terzi, con assoluta prevalenza dell’anteriorità delle trascrizioni. Per tacere dei casi in cui la “registrazione” nei registri fondiari sia addirittura costitutiva del diritto, come avviene nel sistema tavolare ove l’intavolazione è costitutiva del diritto reale, è di tutta evidenza come l’opponibilità ai terzi di un qualsiasi diritto su di un bene immobile richieda la trascrizione nei registri della Conservatoria immobiliare.

Rinviando al prosieguo gli aspetti peculiari della trascrizione e, in genere, della trascrivibilità degli atti di trust, è necessario esaminare nel caso di specie quali siano le precise limitazioni nei confronti dei terzi derivanti dal trust stesso.

Non è il caso di soffermarsi sui rapporti in genere tra il fondo in trust, il disponente, il trustee e qualsiasi avente causa da questi: il fisiologico effetto segregativo del trust rispetto al fondo è di per sé l’elemento chiave dell’istituto.

E’ di estremo interesse, invece, rilevare quali siano le limitazioni che il trust impone contro qualsiasi diversa disposizione del fondo e se e come le stesse siano opponibili ai

A seguito dell’emanazione della legge 16 ottobre 1989 n. 364 con la quale è stata ratificata la Convenzione de L’Aja del 1 luglio 1985 sul riconoscimento dei trust, dal 1 gennaio 1992 in Italia si è assistito ad un costante aumento di trust cd. “interni”, ossia di rapporti giuridici i cui elementi soggettivi e oggettivi sono connessi al nostro territorio e al nostro ordinamento sebbene essi siano regolati da una legge straniera che attribuisce loro la qualifica di trust.

L’attenzione degli studiosi all’istituto e la sempre più frequente applicazione dello stesso nell’ambito “quotidiano” dei rapporti giuridici di cui la nostra società è permeata, non derivano tanto da uno sconsiderato spirito di esterofilia per uno strumento “straniero” e, ad un primo approccio, alquanto singolare, ma, al contrario, dal concreto riconoscimento del trust quale strumento idoneo in plurime situazioni, più idoneo di altri in alcune, a realizzare una maggior tutela di determinati interessi, giuridicamente rilevanti[1].

Anche nel caso in esame, come di seguito sarà meglio delineato, l’istituto del trust si è rilevato il miglior strumento per contemperare i contrapposti interessi, con assoluta garanzia delle pretese della curatela, e quale garanzia efficace non solo per la conservazione del credito, ma anche per una più celere tempistica nel realizzo con minor dispendio e sperpero di risorse.

1§ Il Trust in genere

Nella lingua inglese trust significa letteralmente “fiducia” ed esprime il concetto di affidamento. Si può dunque definire trust lo strumento programmatico per realizzare la protezione di posizioni giuridiche investendone un trustee, che ne diviene titolare per amministrarle e gestirle, secondo le disposizioni dell’atto istitutivo, per le finalità e per la durata ivi previste.

Nella Convenzione de L’Aja non si trova la definizione dell’istituto nella sua versione classica, ma di quell’istituto che a norma della Convenzione si intende per trust (ormai comunemente definito quale “trust amorfo”) che viene individuato in quei “rapporti giuridici istituiti da una persona, il disponente – con atto tra vivi o mortis causa – qualora dei beni siano posti sotto il controllo di un trustee nell’interesse di un beneficiario o per un fine determinato” [2]. Le caratteristiche minime del trust sono le seguenti:

a) i beni in trust costituiscono una massa distinta e non fanno parte del patrimonio del trustee

b) i beni in trust sono intestati a nome del trustee o di un’altra persona per conto del trustee

c) il trustee è investito del potere e onerato dell’obbligo, di cui deve rendere conto, di amministrare, gestire o disporre dei beni in conformità alle disposizioni del trust e secondo le norme imposte dalla legge al trustee.

Un trust non è un contratto, ma un programma contenuto in un atto unilaterale: colui che lo istituisce – il disponente - delinea un progetto, stabilisce i tempi e le modalità per il suo realizzo e individua il soggetto – il trustee – che dovrà porlo in essere, amministrando, gestendo e disponendo dei beni o dei diritti che al medesimo vengono trasferiti.

Attraverso l’istituzione del trust il disponente assoggetta la titolarità di alcuni beni propri al trustee, il quale deve gestirli secondo le disposizioni dell’atto istitutivo. L’atto può indicare i soggetti beneficiari che riceveranno i beni in trust, in un momento determinato o al verificarsi di uno evento specifico; oppure può prevedere il perseguimento di uno scopo. Attraverso il negozio di conferimento, il disponente si spoglia della titolarità personale dei beni trasferiti in trust, che escono dal patrimonio di questi, per entrare in quello segregato dei beni in trust, e non già nel patrimonio generale del trustee, che il trustee amministra in via separata ed autonoma rispetto a quelli personali.

Il trustee non è in alcun modo un mandatario del disponente, ma è il proprietario dei beni in trust, seppur così vincolati e con l’obbligo di rendere conto del proprio operato e di non disporne a titolo personale ovvero difformemente da quanto previsto nell’atto istitutivo.

I beni in trust non possono dunque essere aggrediti tout court da eventuali creditori del disponente[3], perché non si trovano più nel patrimonio di questi; né d’altro canto possono essere aggrediti dai creditori personali del trustee, perché mai sono entrati nel suo patrimonio personale, né infine da quelli dei beneficiari, nel cui patrimonio non sono ancora entrati e che possono al più vantare un mero diritto di credito nei confronti del trustee.

I Beneficiari del trust, a seconda dei diritti e della qualità loro attribuiti e con le limitazioni del caso, hanno pieni poteri di chiedere conto della gestione del trustee e di controllo del buon operato di questi. In un trust senza Beneficiari è invece previsto necessariamente un Guardiano che possa esercitare in ogni caso i diritti che spetterebbero ai beneficiari, qualora vi fossero, e spesso anche quelli che il Disponente si possa riservare, qualora così stabilito. In ogni caso, ed a prescindere dalla legge regolatrice e dalla categoria di trust in questione (da rilevarsi che i trust di scopo sono inammissibili per il diritto del Regno Unito, mentre sono adeguatamente ed esaustivamente regolamentati in altri ordinamenti Nordamericani o Off-shore), è pienamente ammissibile, qualora ritenuto utile, la previsione di una figura assimilabile al Guardiano alla quale rimettere convenzionalmente determinati poteri di controllo ed intervento relativamente al (mal)operato del trustee nonché a fini di preventivo e vincolante consenso per determinati atti.

Le peculiarità più rilevanti dell’istituto, in ogni caso, si rinvengono nella particolare poliedricità e dinamicità dello stesso: un trust può essere istituito per qualsiasi finalità, che sia ovviamente lecita e meritevole di tutela; i doveri del trustee possono essere multiformi e diversamente modulati, spaziando da una pregnante “ingessatura” ad una quasi assoluta discrezionalità; la segregazione del fondo in trust viene garantita, senza alcuna soluzione di continuità, anche nelle sue mutazioni od evoluzioni: la vendita o trasformazione di un bene in trust implica necessariamente ed immediatamente che il ricavato dalla stessa o il bene nel quale sia stato trasformato sia anch’esso in trust.

Una categoria che rileva nell’ambito delle diverse fattispecie di trust è quella dei c.d. trust autodichiarati, ovvero quei trust con i quali il titolare del diritto di proprietà segrega tale bene in trust, designando se stesso, disponente, quale trustee: nessun trasferimento ha luogo, ma solo l’apposizione del vincolo segregativo e di destinazione. L’atto istitutivo è un atto unilaterale con cui il Disponente enuncia al Trustee la finalità dell’affidamento e ne stabilisce le regole di base: la durata, i poteri del trustee, i beneficiari.

La finalità del trust è senza dubbio quella di separare le sorti di un determinato bene dalle vicende patrimoniali del suo titolare, trasferendone la proprietà ad un altro soggetto che ne diverrà proprietario, ma che, nel gestire tale bene, dovrà perseguire le finalità stabilite dal disponente. Le medesime finalità possono esser perseguite anche segregando tale bene nel proprio patrimonio: nel momento stesso nel quale il disponente dichiara che tale bene deve essere tenuto in trust, questi si spoglia tout court della propria veste e qualità di disponente assumendo quella di trustee. Ciò implica innanzitutto che è lo stesso disponente che si dichiara assoggettato a determinati doveri ed obblighi, impegnandosi quindi a sottoporsi al controllo ed ai diritti che così riconosce ai beneficiari. Si tratterà per lo più di assicurare l’utilizzo di un determinato bene o di determinate risorse finanziarie per un certo periodo di tempo per garantire il soddisfacimento di determinate esigenze.

Sulla base di questi presupposti, è evidente che la segregazione in trust di alcune utilità del patrimonio del disponente talvolta può essere sufficientemente realizzata anche a mezzo di un trust autodichiarato; la segregazione del fondo in trust rispetto al patrimonio personale del trustee può efficacemente avvenire allorché siano stati effettuati i debiti adempimenti di pubblicità tali da rendere il trust opponibile ai terzi.

2§ Il caso specifico, i diversi interessi e le possibili soluzioni

Come si evince dalle premesse dell’atto istitutivo[4], integralmente riportate nella nota di trascrizione, nel luglio 2008, una persona ha acquistato dal proprio fratello la restante quota, pari al 50% di un immobile, loro pervenuto per successione. L’atto di vendita prevedeva espressamente che il pagamento della quota, per € 100.000,00, era stato concordato dover avvenire entro la data del 31/12/2010.

Nel gennaio 2010, la s.a.s. del fratello venditore è stata dichiarata fallita e conseguentemente il fratello in proprio, del che la curatela del fallimento ha immediatamente provveduto a diffidare il compratore dal rimettere alcuna somma ad altri che alla curatela stessa.

A tale richiesta, l’acquirente rispondeva che per onorare il pagamento avrebbe dovuto mettere in vendita l’immobile.

Non è dato rilevare dagli atti se l’atto di vendita prevedesse una riserva di proprietà in favore del venditore sino al pagamento del prezzo ovvero l’ipoteca legale, ma si può presumibilmente desumere che ciò non vi fosse.

E’ di tutta evidenza, perché dichiarata, che il compratore ha interesse a vendere l’immobile, al fine di reperire le somme necessarie per far fronte al proprio debito, e ciò a prezzo di mercato, in maniera tale da far propria la differenza rispetto al dovuto.

La procedura, dal canto suo, ha interesse a ricevere la somma convenuta più che la retrocessione della proprietà compravenduta. Trattasi infatti della quota del 50% in comproprietà per successione ereditaria la cui vendita forzata, oltre a richiedere dispendio di tempo ed ingenti risorse economiche, è di incerto realizzo a causa proprio dell’oggetto della stessa.

A prescindere dal fatto che il termine a favore del compratore fosse ancora lontano da venire, la procedura ha sicuramente valutato la duplice prospettiva e le problematiche connesse: qualora avesse agito per riottenere la piena proprietà del bene, avrebbe potuto esperire azione revocatoria (salva quantomeno la prova della non congruità del prezzo e del consilium fraudis, che dagli atti parrebbe non potersi rilevare) ovvero di risoluzione per inadempimento, decorso inutilmente il termine. Solo a seguito del giudizio di merito – con i costi, i tempi ed rischi connessi – si sarebbe ritrovata a dover vendere una quota di un immobile in comunione ereditaria e, dunque, con le conseguenti implicazioni per la vendita di tali beni, quali, ad esempio, il necessario scioglimento della comunione a seguito della corretta attribuzione delle quote e così di beni specifici agli eredi, a tal punto oggetto dell’esecuzione forzata.

Qualora invece avesse deciso di agire per l’adempimento, trascorso inutilmente il termine, avrebbe potuto azionare direttamente il titolo nei confronti dell’acquirente e così agire in esecuzione sul bene nel suo intero, come sul resto del patrimonio del compratore.

A norma dell’art. 474 cod.proc.civ., il riconoscimento di debito risultante da una scrittura privata autenticata, quale l’atto di vendita, costituisce titolo esecutivo di per sé, del che certamente la soluzione per l’adempimento avrebbe risparmiato i tempi ed i costi della causa di risoluzione o in revocatoria, nonché, non di minor importanza, avrebbe comportato la possibilità di esecuzione tout court sull’intero immobile.

Qualsiasi soluzione si decidesse di adottare, dunque, oltre che più o meno lunga e sicuramente dispendiosa, era permeata in ogni caso delle problematiche di incertezza del realizzo della vendita forzata; certamente, tuttavia, i veri timori immediati della procedura erano che il compratore potesse nelle more vendere immobile senza provvedere al saldo del prezzo (volontariamente o per intervento di fattori esterni quali, ad esempio, la presenza di altri creditori). La procedura era consapevole che l’unico rimedio esperibile fosse la richiesta di un sequestro cautelare, ma questo era paventato incerto nella sua concessione (era a cura della procedura dimostrare il periculum in mora) e di fatto avrebbe potuto “influenzare” negativamente i possibili acquirenti.

3§ Il trust quale miglior strumento per il contemperamento dei contrapposti interessi

L’acquirente si è dimostrato collaborativo al fine di trovare una soluzione soddisfacente per entrambe le parti e, dunque, si è così aperto il ventaglio di ulteriori possibilità concesse dall’intervento adesivo del debitore.

Si sarebbe così pacificamente potuta ipotizzare una concessione di ipoteca volontaria a favore della procedura. Pur prescindendo dalle problematiche sottese alla concessione di tale garanzia – per lo più relative all’individuazione del soggetto a cui favore iscrivere la garanzia e delle limitazioni alla stessa – tale soluzione avrebbe potuto solo in parte risolvere gli aspetti di criticità delineati: pur assolvendo l’onere di garanzia nelle more della vendita, non vi era alcuna garanzia che l’acquirente si dovesse attivare per la vendita e, soprattutto, sarebbero perdurate tutte le altre problematiche relative all’eventualità di una successiva esecuzione per l’escussione della garanzia.

Il trust di seguito delineato si è così rivelato esser lo strumento più efficace per contemperare tutti i diversi interessi sottesi, come sarà di volta in volta evidenziato nella disamina approfondita delle diverse peculiarità del medesimo.

3.1. Gli aspetti salienti del trust

- Il Trustee

Con atto del 22 marzo 2010, a rogito Notaio Dott. R. Zaniboni, l’acquirente ha dichiarato di tenere l’immobile in oggetto, per intero, quale trustee del trust denominato “Trust di garanzia per il fallimento Aertecnica Sas”.

Con la trascrizione presso la competente Conservatoria Immobiliare – sulla quale si tornerà in argomento di seguito -, il disponente ha pertanto trascritto il vincolo con cui ha assoggettato un proprio bene – l’immobile nel suo intero, come risultante dal consolidamento delle due quote – alle disposizioni del trust, autoassoggettandosi alle stesse, quale trustee, e ciò con effetto erga omnes, se stesso compreso.

Il disponente, dunque, si è così impegnato a perseguire lo Scopo del trust, di cui in seguito, riconoscendo ed accettando di poter esser revocato dalla sua qualifica di trustee da parte del (solo) Curatore ed obbligandosi in tal caso a trasferire la proprietà del Fondo al trustee in sua vece nominando (art. 2 dell’atto di trust)

- Lo Scopo del trust

All’art. 1 del proprio atto istitutivo, il trust viene definito dichiaratamente di scopo, andando così espressamente e senza ombra di dubbio a delineare che le obbligazioni che il trustee deve perseguire sono esclusivamente indirizzate al perseguimento delle finalità in sé del trust, e non dei soggetti che dallo stesso siano in qualche modo avvantaggiati.

Non è questa la sede né vi sarebbe in alcun modo spazio per delineare esaustivamente le differenze, sostanziali e normative, tra i trust con beneficiari ed i trust di scopo. La differenza che in questo caso rileva è che nei primi il trustee deve perseguire l’interesse dei beneficiari secondo le finalità per le quali il trust sia stato istituito e, dunque, poter agire in qualsivoglia modo, più o meno discrezionale, purché a favore dei beneficiari, ai quali, a seconda del trust e della qualità della posizione beneficiaria, sono attribuiti diversi e pregnanti diritti e prerogative; nei trust di scopo, invece, quest’ultimo assurge quale unico elemento di indirizzo dell’operato del trustee, più o meno discrezionale che sia[5].

L’art. 4 dell’atto istitutivo, intitolato a “Lo Scopo del trust”, espressamente dichiara che lo stesso “persegue uno scopo di garanzia in quanto finalizzato ad assicurare alla Procedura Fallimentare l’incasso del Saldo Dovuto“ che nelle premesse individua quale definizione nel “… pagamento del prezzo di vendita dell’Immobile – il Fondo in Trust – pari ad Euro 100.000,00 … “.

Il medesimo art. 4 dell’atto istitutivo prosegue nel delineare quale sia la portata di tale garanzia, indicando che il vincolo che il Disponente imprime sul Fondo in trust sia tale per cui quest’ultimo non possa esser oggetto di nessun negozio giuridico a titolo di godimento, ma possa esser trasferito a terzi a qualsiasi titolo solo nel caso in cui la prestazione del cessionario sia pari al Saldo Dovuto, che deve essere rimesso nelle sole mani del Curatore.

- Le obbligazioni del trustee

Le obbligazioni principali del trustee in quanto tale sono dunque delineate nello scopo sopra indicato: il trustee – e dunque il Disponente, il debitore - innanzitutto si obbliga a non trasferire a terzi l’immobile costituente il Fondo in Trust (che si rammenta esser l’intero), a meno del pagamento di un corrispettivo pari alla cifra indicata, e questa da rimettersi a mani del Curatore.

Il pagamento non a mani del Curatore configura un inadempimento del trustee che è autonoma causa di responsabilità del trustee stesso, con gravose conseguenze di natura reintegratoria a titolo di responsabilità da parte del trustee e che potrebbe assurgere a natura rei persecutoria ai danni degli eventuali terzi acquirenti (non così tuttavia nel caso specifico, come in seguito meglio esaminato, dal momento che gli effetti nei confronti dei terzi acquirenti sono specificati – e così limitati – nell’atto).

Dopo aver definito quale “Avente Causa” “chiunque concluda contratti con il Trustee aventi ad oggetto il trasferimento dell’immobile” (art. 11 dell’atto istitutivo), tra gli obblighi del trustee vi è quello specifico di far comparire il Curatore “ … all’atto della sottoscrizione di qualsivoglia contratto avente ad oggetto l’immobile, anche se preliminare, qualora sia prevista la corresponsione di somme da parte dell’Avente Causa … in tal caso ogni somma deve essere obbligatoriamente rimessa dall’Avente Causa a mani del Curatore, fino alla concorrenza dell’ìimporto di Euro 100.000,00 … esclusivamente a titolo di quietanza delle somme ricevute …“.

In sostanza, l’acquirente rimane pieno proprietario dell’immobile in trust, sia personalmente – come espressamente indicato all’art. 16 dell’atto istitutivo – che nella propria qualità di trustee – come indicato al successivo art. 20 -, ma con il vincolo del trust che lo obbliga a determinati adempimenti, primo tra tutti quello di garanzia.

E’ pur vero che non vi è alcuna indicazione relativamente ad un obbligo del Disponente/Trustee di vendere, ma ciò è ricavabile inequivocabilmente dalle premesse e dalle finalità del trust stesso: nel momento nel quale il trustee dichiara di impegnarsi ad assicurare alla Procedura Fallimentare l’incasso del Saldo Dovuto, è di tutta evidenza che si impegna ad attivarsi a che tale incasso, qualora e nel momento in cui diventi esigibile, sia eseguito, e ciò garantendo a mezzo del Fondo in Trust.

Qualora il trustee non sia solerte, il primo rimedio per la procedura consiste nel fatto che il Curatore, nella propria qualità di Guardiano, può revocare il trustee nominandone un altro, oltre che eventualmente agire nei confronti del trustee revocato per propria responsabilità personale, qualora ravvisabile.

- L a legge regolatrice del trust

L’art. 7 dell’atto istitutivo espressamente prevede che il trust sia regolato dalla Legge di Jersey, Isole del Canale.

Tale previsione è essenziale ai fini del riconoscimento dell’istituto quale trust ai sensi de La Convenzione del L’Aja. Come espressamente indicato all’art. 6 della Convenzione, infatti, il trust è regolato dalla legge scelta dal Disponente, legge alla quale il successivo art. 8 rimette “ … la validità, l’interpretazione, gli effetti e l’amministrazione del trust … “ stabilendo che “ … in particolare tale legge disciplina:

a) la nomina, le dimissioni e la revoca dei trustee, la capacità di esercitare l’ufficio di trustee e la trasmissione delle funzioni di trustee;

b) i diritti e gli obblighi tra gli stessi trustee;

c) il diritto del trustee di delegare in tutto o in parte l’adempimento dei suoi obblighi o l’esercizio dei suoi poteri;

d) il potere del trustee di amministrare e di disporre dei beni in trust, di darli in garanzia e di acquisire nuovi beni;

e) il potere del trustee di effettuare investimenti;

f) i limiti relativi alla durata del trust e i poteri di accantonare il reddito;

g) i rapporti tra trustee e beneficiari, compresa la responsabilità personale del trustee nei confronti di questi ultimi;

h) la modifica o la cessazione del trust;

i) la distribuzione dei beni in trust;

l) l’obbligo del trustee di rendere conto della sua gestione.”

Qualora non sia stata scelta alcuna legge o la legge scelta non preveda l’istituto del trust o la categoria di trust in questione, l’art. 7 della Convenzione prevede che il trust sia regolato dalla legge con la quale ha collegamenti più stretti[6]; qualora la legge così individuata non preveda l’istituto del trust o la categoria di trust in questione, la Convenzione non si applica – e dunque il trust non è riconoscibile come tale.

E’ di tutta evidenza, dunque, che i redattori dell’atto istitutivo di trust abbiano dovuto scegliere ed indicare innanzitutto una legge regolatrice – straniera – che rendesse il trust riconoscibile quale tale, ai fini della Convenzione.

Tale operazione ermeneutica non era di per sé soddisfatta solo nell’indicazione di una legge che prevedesse il trust, ma anche di una legge che prevedesse la categoria di trust in esame.

Come sopra anticipato, infatti, la scelta dei redattori di questo atto di trust è stata nel senso di privilegiare lo scopo e finalità del medesimo più che gli interessi in sé di eventuali beneficiari.

Non tutti gli ordinamenti che prevedono e regolamentano l’istituto del trust prevedono anche i trust di scopo, primo tra tutti il Regno Unito[7].

Ai fini del valido ed efficace riconoscimento del trust in oggetto, dunque, è stata scelta la legge di Jersey che detta una pregnante ed esaustiva regolamentazione anche dei trust di scopo.

A tale legge, dunque, è rimesso non solo il riconoscimento del trust quale tale, ma anche la regolamentazione dei requisiti di validità.

Ecco che, dunque, a tal fine, l’atto di trust presenta alcune peculiarità da tali disposizioni dettate.

Senza ulteriormente dilungarsi sulle disposizioni particolari, è necessario evidenziarne alcune peculiarità. L’art. 12 della Trust (Jersey) Law 1984 (come da successive modificazioni, ultima delle quali intervenuta nel 2006)[8], prevede che un trust per uno scopo non charitable sia valido qualora disponga per la nomina di un Enforcer (Guardiano) e per la successione di questi qualora non via sia. I compiti dell’Enforcer consistono sostanzialmente nell’assicurare l’esecuzione del trust per quanto attiene ai suoi scopi non charitable (art.13 della Trust (Jersey) Law 1984).

L’atto istitutivo di trust, in definitiva, ha correttamente rimesso la propria regolamentazione ad una legge regolatrice appositamente e correttamente scelta dal Disponente in maniera tale che l’istituto sia riconoscibile quale trust e come tale possa spiegare i propri effetti.

Da una disamina del medesimo atto, si evince chiaramente che le disposizioni ritenute da tale legge essenziali sono state rispettate in quanto non solo è stata prevista la figura del Guardiano (enforcer), ma sono altresì state rispettate le prescrizioni aggiuntive in merito a tale figura, come di seguito evidenziando.

- Il Guardiano

All’atto istitutivo di trust ha partecipato anche il Curatore, quale Guardiano del trust, che ha accettato, e l’Avv. A. Tonelli, non tanto nella propria qualità di legale della procedura – di cui in seguito -, ma soprattutto per accettazione quale successivo Guardiano ad interim per il caso che in un qualsiasi momento e per qualsiasi causa fosse impossibile la copertura di tale ufficio da parte del Curatore.

E’ stato così soddisfatto un requisito necessario ed indispensabile ai fini della validità del trust stesso: il trust di scopo istituendo ha un suo Enforcer ed è sin da ora garantito che lo stesso non possa mai mancare. E’ altresì debitamente regolamentata la successione nell’ufficio di Guardiano.

L’art. 5 dell’atto istitutivo, infatti, prevede che l’ufficio di Guardiano sia ricoperto dal Curatore della Procedura pro-tempore e che questi possa esser revocato solo dal Giudice Delegato, che provvede contestualmente alla nomina del successore.

E’ indubbio che la scelta del Guardiano nella persona del Curatore sia stata dettata da una particolare attenzione ai soggetti a cui è indirizzata la garanzia, scopo del trust, e così dunque rimettendo nelle mani della Procedura, in persona del Curatore, i poteri di controllo sull’operato del trustee nell’esecuzione dello scopo. A prescindere da tale considerazione, la figura del guardiano avrebbe potuto esser individuata in qualsiasi altro soggetto, ovviamente terzo rispetto al trustee, ed è sin da ora da rilevarsi come tale ufficio non rientri di per sé nei compiti e doveri del Curatore.

Al Guardiano sono poi attribuiti altri poteri, specifici, alcuni relativi all’ufficio in sé, altri attinenti più alla propria qualità di Curatore che di Guardiano vero e proprio.

Tra questi ultimi deve annoverarsi il generico potere di esprimere la propria opinione su qualsiasi attività del trustee nonchè il pieno potere di porre il proprio veto a qualsiasi operazione o azione del trustee (art. 30 dell’atto istitutivo). Parimenti deve intendersi quale potere proprio l’obbligo del trustee di ottenere il suo preventivo consenso per l’accettazione di una proposta di vendita i cui termini di pagamento abbiano una scadenza successiva al 31/12/2010 (data di scadenza dell’obbligazione tra l’acquirente ed il fallimento) o tali modalità di pagamento non siano adeguatamente garantite (art. 14 dell’atto istitutivo).

Sono invece più poteri da Curatore la rimessa obbligatoria di qualsiasi somma a mani dello stesso, come indicato all’art. 13, dal momento che viene specificato come questi in tal caso intervenga solo ai fini di tale incasso ed “esclusivamente a titolo di quietanza delle somme ricevute”.

- La Durata del trust

L’art. 6 dell’atto istitutivo individua il termine del trust nella data in cui il Guardiano dichiari la cessazione del medesimo per “… la ricorrenza di uno fra i seguenti “Eventi”: 1) la Procedura Fallimentare ha incassato il Saldo Dovuto; 2) lo Scopo del Trust non è più di interesse della Procedura Fallimentare. In ogni caso il trust cessa il giorno della chiusura della Procedura Fallimentare (art. 6).

Vengono così individuati i limiti anche temporali della garanzia – che materialmente è limitata all’incasso della somma: la stessa dura fintanto che non venga meno l’interesse della Procedura all’incasso del prezzo, per qualsiasi causa ciò avvenga, che sia il saldo del prezzo altrimenti intervenuto (ad esempio direttamente da parte del debitore o di un terzo indipendentemente dalla cessione dell’immobile o la chiusura, per qualsiasi causa, della procedura fallimentare).

Intervenuto così il termine del trust, il residuo del presso incassato dalla vendita è integralmente riconosciuto a favore del Disponente/debitore.

- I diritti dei terzi acquirenti e l’opponibilità del trust ai terzi.

L’art. 15 dell’atto istitutivo espressamente reca la prescrizione che il vincolo di destinazione che sorge per effetto del presente trust autodichiarato è trascritto nella Conservatoria dei Pubblici Registri al fine di renderlo conoscibile ed opponibile ai Terzi.

Tale prescrizione potrebbe apparire per alcuni versi pleonastica: il regime di pubblicità necessaria relativo ai trasferimenti dei diritti aventi ad oggetto beni immobili rileva quale pubblicità/notizia a garanzia dei diritti dei terzi, con assoluta prevalenza dell’anteriorità delle trascrizioni. Per tacere dei casi in cui la “registrazione” nei registri fondiari sia addirittura costitutiva del diritto, come avviene nel sistema tavolare ove l’intavolazione è costitutiva del diritto reale, è di tutta evidenza come l’opponibilità ai terzi di un qualsiasi diritto su di un bene immobile richieda la trascrizione nei registri della Conservatoria immobiliare.

Rinviando al prosieguo gli aspetti peculiari della trascrizione e, in genere, della trascrivibilità degli atti di trust, è necessario esaminare nel caso di specie quali siano le precise limitazioni nei confronti dei terzi derivanti dal trust stesso.

Non è il caso di soffermarsi sui rapporti in genere tra il fondo in trust, il disponente, il trustee e qualsiasi avente causa da questi: il fisiologico effetto segregativo del trust rispetto al fondo è di per sé l’elemento chiave dell’istituto.

E’ di estremo interesse, invece, rilevare quali siano le limitazioni che il trust impone contro qualsiasi diversa disposizione del fondo e se e come le stesse siano opponibili ai