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Le deroghe al principio dell’accessorietà dell’azione civile

Nota a Corte di Cassazione, Sentenza 21 giugno 2010, n.14921
"Qualora, in sede penale, sia stata pronunciata in primo o in secondo grado la condanna, anche generica, alle restituzioni e al risarcimento dei danni cagionati dal reato a favore della parte civile, ed il giudice di appello o la corte di cassazione, nel dichiarare il reato estinto per amnistia o per prescrizione, decidano sull’impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili, una tale decisione, se la predetta condanna resta confermata, comportando necessariamente, quale suo indispensabile presupposto, l’affermazione della sussistenza del reato e della sua commissione da parte dell’imputato, dà luogo a giudicato civile, come tale vincolante in ogni altro giudizio tra le stesse parti, in cui si verta sulle conseguenze, anche diverse dalle restituzioni o dal risarcimento, derivanti dal fatto, la cui illiceità, ormai definitivamente stabilita, non può più essere messa in discussione."

La disamina del principio di diritto enunciato dalla Cassazione Civile, attraverso la massima suindicata, deve necessariamente partire dalla considerazione che, ai sensi dell’art. 538 c.p.p., quando pronuncia sentenza di condanna, il giudice decide sulla domanda per le restituzioni e il risarcimento del danno; infatti, ai sensi dell’art. 185 c.p., ogni reato obbliga il colpevole al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale.

Orbene, la prescrizione del reato (art. 157 c.p.) e l’amnistia (art. 151 c.p.), sono entrambe cause estintive della fattispecie criminosa; esse, dunque, determinando l’estinzione non solo della pena ma del reato stesso, privano il giudice penale del motivo fondante l’esercizio della sua giurisdizione.

In particolare, per quanto riguarda la prescrizione, la ratio viene tradizionalmente individuata nell’attenuarsi dell’interesse dello Stato alla punizione dei reati il cui disvalore sociale si sia affievolito per il trascorrere del tempo; inoltre, nell’ambito della concezione della pena in senso special-preventivo, potrebbe non apparire ragionevole applicare una misura rieducativa in circostanze oggettive e soggettive diverse da quelle rispetto alle quali sarebbe stata adeguata.

Sulla base di tali premesse, dovrà essere esaminata la decisione della Consulta con riferimento agli effetti di cui all’art. 654 c.p.p. al fine di valutare se, in caso di dichiarazione di estinzione del reato, il giudice penale debba comunque pronunciarsi sulle questioni civili o se, posta, in sede penale, l’accessorietà dell’azione civile vi sia una qualche preclusione.

In realtà, ai sensi dell’art. 578 c.p.p., nella ricorrenza di talune condizioni, l’attività processuale penale ben potrà spiegare i suoi effetti, in via autonoma, anche sulle questioni civili; tali condizioni sono: una pronuncia di una condanna in primo grado e la presenza in giudizio della parte civile.

La Corte di Cassazione, peraltro, ha costantemente sostenuto la necessità della ricorrenza di entrambe le suindicate condizioni, dichiarando che è illegittima la condanna dell’imputato al risarcimento dei danni in favore della parte civile pronunciata, in appello, come effetto della declaratoria di sopravvenuta estinzione del reato per prescrizione con la quale il giudice di secondo grado abbia riformato, su impugnazione del Pubblico Ministero, la sentenza di assoluzione di primo grado, in quanto la decisione sulle restituzioni e sul risarcimento del danno può essere adottata solo nel caso in cui, nel precedente grado di giudizio, sia stata affermata, con la sentenza di condanna, la responsabilità dell’imputato (Cass., Sez. 5, 11 marzo 2005 - 27 aprile 2005, n. 15640, CED 232133).

L’istituto disciplinato dall’art. 578 c.p.p. ha, invero, la finalità di evitare, quando vi sia stata condanna dell’imputato in primo grado e si verifichi l’estinzione del reato per prescrizione o per amnistia in grado di appello, che, in assenza di una impugnazione della parte civile, il capo della sentenza relativo alla azione risarcitoria acquisti efficacia di giudicato.

In tale ipotesi, il giudice dell’appello, nel prendere atto di una causa estintiva del reato verificatasi nelle more del giudizio di secondo grado, è comunque tenuto a pronunciarsi sull’azione civile.

Diverso è il caso dell’impugnazione della parte civile e del querelante, ai sensi dell’art. 576 c.p.p., contro una pronuncia di assoluzione in primo grado. In tal caso, infatti, il giudice di appello, nel dichiarare l’estinzione del reato per prescrizione o per amnistia su impugnazione, anche ai soli effetti civili, della sentenza di assoluzione ad opera della parte civile, può condannare l’imputato al risarcimento dei danni in favore di quest’ultima, essendo in tal caso consentito al giudice dell’impugnazione il potere di decidere sul capo della sentenza anche in mancanza di una precedente statuizione sul punto( Sentenza Cass. Pen. n. 17846 emessa il 19/03/2009).

Infatti, l’art. 576 c.p.p. costituisce una implicita eccezione alla regola dettata dall’art. 538 c.p.p., comma 1, che lega la decisione sulla domanda di risarcimento o di restituzione ad una sentenza di condanna. È stato, infatti, osservato che le condizioni stabilite dall’art. 578 c.p.p. perché il giudice dell’impugnazione debba pronunciarsi sulle statuizioni civili della sentenza, non sono applicabili quando appellante o ricorrente è la parte civile la quale, in virtù dell’autonomo potere di impugnazione che l’art. 576 c.p.p. le riconosce, ha il diritto ad una decisione incondizionata nel merito sulla sua domanda con possibile condanna dell’imputato al risarcimento dei danni o alle restituzioni.

Di conseguenza, un raffronto sul piano esegetico - sistematico delle disposizioni in materia impone di ritenere che le due norme in esame disciplinano differenti situazioni processuali e hanno ambiti di operatività diversificati: l’art. 578 c.p.p. trova applicazione quando con l’impugnazione per gli effetti penali, idonea ad impedire il formarsi del giudicato, non concorra una impugnazione per gli effetti civili, mentre l’art. 576 c.p.p. è applicabile nel caso opposto, cioè, nel caso di impugnazione della parte civile unita, o meno, a quella di altri legittimati.

Tale conclusione è in armonia con la ratio dell’art. 578 c.p.p. che non è quella di limitare il potere del Giudice di decidere sulla impugnazione della parte civile, ma quello di favorire questa ultima in presenza della estinzione del reato per amnistia o prescrizione, non costringendola, per motivi di economia processuale, a riproporre la sua domanda nella sede competente.

Peraltro, sia la pronuncia emessa ex artt. 578 che quella emessa 576 c.p.p. fanno stato tra le parti imponendo, per ciò solo, al Giudice penale, pur in presenza della causa estintiva, un esame approfondito di tutto quanto rilevi ai fini della responsabilità civile.

Le decisioni della Consulta che hanno affrontato l’argomento, infatti, risultano sostanzialmente univoche nel senso della riconosciuta incidenza delle valutazioni operate dal giudice penale sul materiale probatorio ai fini delle statuizioni civili (Sentenza Corte di Cassazione Penale n. 3284 del 25/11/2009).

Ciò comporterà la necessità che il Giudice di Appello effettui una valutazione approfondita dell’acquisito compendio probatorio, senza, peraltro, i legami dei canoni di economia processuale che impongono la declaratoria della causa di estinzione del reato quando la prova della innocenza non risulti ictu oculi.

Il Palazzo della Consulta, infine, ha più volte chiarito che i presupposti probatori per la pronuncia di una sentenza di proscioglimento per estinzione del reato sono diversi da quelli necessari per la conferma ex art. 578 cod. proc. pen. del capo di sentenza concernente gli interessi civili, poichè, nel primo caso, basta accertare la condizione negativa della non evidenza che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato, mentre, nel secondo caso, occorre accertare positivamente - ai soli fini civili - la sussistenza del reato e della responsabilità penale dell’imputato e inoltre del diritto al risarcimento, di tal che la motivazione che sorregge l’una decisione non può valere anche per l’altra.

"Qualora, in sede penale, sia stata pronunciata in primo o in secondo grado la condanna, anche generica, alle restituzioni e al risarcimento dei danni cagionati dal reato a favore della parte civile, ed il giudice di appello o la corte di cassazione, nel dichiarare il reato estinto per amnistia o per prescrizione, decidano sull’impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili, una tale decisione, se la predetta condanna resta confermata, comportando necessariamente, quale suo indispensabile presupposto, l’affermazione della sussistenza del reato e della sua commissione da parte dell’imputato, dà luogo a giudicato civile, come tale vincolante in ogni altro giudizio tra le stesse parti, in cui si verta sulle conseguenze, anche diverse dalle restituzioni o dal risarcimento, derivanti dal fatto, la cui illiceità, ormai definitivamente stabilita, non può più essere messa in discussione."

La disamina del principio di diritto enunciato dalla Cassazione Civile, attraverso la massima suindicata, deve necessariamente partire dalla considerazione che, ai sensi dell’art. 538 c.p.p., quando pronuncia sentenza di condanna, il giudice decide sulla domanda per le restituzioni e il risarcimento del danno; infatti, ai sensi dell’art. 185 c.p., ogni reato obbliga il colpevole al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale.

Orbene, la prescrizione del reato (art. 157 c.p.) e l’amnistia (art. 151 c.p.), sono entrambe cause estintive della fattispecie criminosa; esse, dunque, determinando l’estinzione non solo della pena ma del reato stesso, privano il giudice penale del motivo fondante l’esercizio della sua giurisdizione.

In particolare, per quanto riguarda la prescrizione, la ratio viene tradizionalmente individuata nell’attenuarsi dell’interesse dello Stato alla punizione dei reati il cui disvalore sociale si sia affievolito per il trascorrere del tempo; inoltre, nell’ambito della concezione della pena in senso special-preventivo, potrebbe non apparire ragionevole applicare una misura rieducativa in circostanze oggettive e soggettive diverse da quelle rispetto alle quali sarebbe stata adeguata.

Sulla base di tali premesse, dovrà essere esaminata la decisione della Consulta con riferimento agli effetti di cui all’art. 654 c.p.p. al fine di valutare se, in caso di dichiarazione di estinzione del reato, il giudice penale debba comunque pronunciarsi sulle questioni civili o se, posta, in sede penale, l’accessorietà dell’azione civile vi sia una qualche preclusione.

In realtà, ai sensi dell’art. 578 c.p.p., nella ricorrenza di talune condizioni, l’attività processuale penale ben potrà spiegare i suoi effetti, in via autonoma, anche sulle questioni civili; tali condizioni sono: una pronuncia di una condanna in primo grado e la presenza in giudizio della parte civile.

La Corte di Cassazione, peraltro, ha costantemente sostenuto la necessità della ricorrenza di entrambe le suindicate condizioni, dichiarando che è illegittima la condanna dell’imputato al risarcimento dei danni in favore della parte civile pronunciata, in appello, come effetto della declaratoria di sopravvenuta estinzione del reato per prescrizione con la quale il giudice di secondo grado abbia riformato, su impugnazione del Pubblico Ministero, la sentenza di assoluzione di primo grado, in quanto la decisione sulle restituzioni e sul risarcimento del danno può essere adottata solo nel caso in cui, nel precedente grado di giudizio, sia stata affermata, con la sentenza di condanna, la responsabilità dell’imputato (Cass., Sez. 5, 11 marzo 2005 - 27 aprile 2005, n. 15640, CED 232133).

L’istituto disciplinato dall’art. 578 c.p.p. ha, invero, la finalità di evitare, quando vi sia stata condanna dell’imputato in primo grado e si verifichi l’estinzione del reato per prescrizione o per amnistia in grado di appello, che, in assenza di una impugnazione della parte civile, il capo della sentenza relativo alla azione risarcitoria acquisti efficacia di giudicato.

In tale ipotesi, il giudice dell’appello, nel prendere atto di una causa estintiva del reato verificatasi nelle more del giudizio di secondo grado, è comunque tenuto a pronunciarsi sull’azione civile.

Diverso è il caso dell’impugnazione della parte civile e del querelante, ai sensi dell’art. 576 c.p.p., contro una pronuncia di assoluzione in primo grado. In tal caso, infatti, il giudice di appello, nel dichiarare l’estinzione del reato per prescrizione o per amnistia su impugnazione, anche ai soli effetti civili, della sentenza di assoluzione ad opera della parte civile, può condannare l’imputato al risarcimento dei danni in favore di quest’ultima, essendo in tal caso consentito al giudice dell’impugnazione il potere di decidere sul capo della sentenza anche in mancanza di una precedente statuizione sul punto( Sentenza Cass. Pen. n. 17846 emessa il 19/03/2009).

Infatti, l’art. 576 c.p.p. costituisce una implicita eccezione alla regola dettata dall’art. 538 c.p.p., comma 1, che lega la decisione sulla domanda di risarcimento o di restituzione ad una sentenza di condanna. È stato, infatti, osservato che le condizioni stabilite dall’art. 578 c.p.p. perché il giudice dell’impugnazione debba pronunciarsi sulle statuizioni civili della sentenza, non sono applicabili quando appellante o ricorrente è la parte civile la quale, in virtù dell’autonomo potere di impugnazione che l’art. 576 c.p.p. le riconosce, ha il diritto ad una decisione incondizionata nel merito sulla sua domanda con possibile condanna dell’imputato al risarcimento dei danni o alle restituzioni.

Di conseguenza, un raffronto sul piano esegetico - sistematico delle disposizioni in materia impone di ritenere che le due norme in esame disciplinano differenti situazioni processuali e hanno ambiti di operatività diversificati: l’art. 578 c.p.p. trova applicazione quando con l’impugnazione per gli effetti penali, idonea ad impedire il formarsi del giudicato, non concorra una impugnazione per gli effetti civili, mentre l’art. 576 c.p.p. è applicabile nel caso opposto, cioè, nel caso di impugnazione della parte civile unita, o meno, a quella di altri legittimati.

Tale conclusione è in armonia con la ratio dell’art. 578 c.p.p. che non è quella di limitare il potere del Giudice di decidere sulla impugnazione della parte civile, ma quello di favorire questa ultima in presenza della estinzione del reato per amnistia o prescrizione, non costringendola, per motivi di economia processuale, a riproporre la sua domanda nella sede competente.

Peraltro, sia la pronuncia emessa ex artt. 578 che quella emessa 576 c.p.p. fanno stato tra le parti imponendo, per ciò solo, al Giudice penale, pur in presenza della causa estintiva, un esame approfondito di tutto quanto rilevi ai fini della responsabilità civile.

Le decisioni della Consulta che hanno affrontato l’argomento, infatti, risultano sostanzialmente univoche nel senso della riconosciuta incidenza delle valutazioni operate dal giudice penale sul materiale probatorio ai fini delle statuizioni civili (Sentenza Corte di Cassazione Penale n. 3284 del 25/11/2009).

Ciò comporterà la necessità che il Giudice di Appello effettui una valutazione approfondita dell’acquisito compendio probatorio, senza, peraltro, i legami dei canoni di economia processuale che impongono la declaratoria della causa di estinzione del reato quando la prova della innocenza non risulti ictu oculi.

Il Palazzo della Consulta, infine, ha più volte chiarito che i presupposti probatori per la pronuncia di una sentenza di proscioglimento per estinzione del reato sono diversi da quelli necessari per la conferma ex art. 578 cod. proc. pen. del capo di sentenza concernente gli interessi civili, poichè, nel primo caso, basta accertare la condizione negativa della non evidenza che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato, mentre, nel secondo caso, occorre accertare positivamente - ai soli fini civili - la sussistenza del reato e della responsabilità penale dell’imputato e inoltre del diritto al risarcimento, di tal che la motivazione che sorregge l’una decisione non può valere anche per l’altra.