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Scienza processuale e politica

Estratto da "Il giusto processo criminale come teatro di verità e giustizia" - Filodiritto Editore - 2011 - www.filodirittoeditore.com
[Estratto da "Il giusto processo criminale come teatro di verità e giustizia" - Filodiritto Editore - 2011 - www.filodirittoeditore.com]

Il “giusto processo” non ammette discriminazioni tra imputati e neppure impunità collegate a scelte sovrane, così come disprezza ogni disciplina esaltante la difesa sociale e la violazione indiscriminata delle libertà. Esso, per ciò stesso, mira all’obiettività, poiché esso cerca i requisiti che vi debbono essere in ogni processo, quale che sia la contingenza politica, perché il suo esito possa ritenersi “giusto”.

Lo studioso, ancorché professionista o magistrato, nelle materie giuridiche innanzi al proprio sistema non può mai farsi accarezzare dalle lusinghe del potere politico o, per contro, indossare armi d’ogni sorta per rovesciare i governi. Nello studio vi è necessità di esprimere la propria coscienza e la conseguente indelebile esigenza di tutelare la propria dignità. Sicché la franchezza, ancorché cruda, non è mai da bandire. Ma tutto ciò non basta, poiché l’analisi del presente è sempre transitoria e, dunque, sempre parziale ab initio.

Dire ciò che si pensa è indispensabile, ma bisogna saper motivare i propri discorsi anche a chi verrà dopo di noi, se si avrà la fortuna d’essere letti (e con attenzione) almeno una volta specie da sconosciuti. Dunque, l’analisi teorica del processo, seppur non può non nascere da contingenze, deve prescindere da ciò che nel frattempo accade intorno ad essa. Ma ciò non già nel senso di non considerare o far propri gli eventi per quel che sono, ma nel senso più modesto di non ritenerli elementi esclusivi della propria critica.

Ecco perché lo studioso, quello vero, non potrà mai essere un vero politico. Egli se mai farà politica, la farà nel senso ampio di svolgere un’attività suggestiva di interventi normativi, ma non avrà e non dovrà avere un ruolo istituzionale significativo. Se ciò non sarà, la sua attività di studio coeva al ruolo politico rivestito sarà mera propaganda e, nei casi peggiori, pura ipocrisia.

Discorrere di diritto e soprattutto di diritto processuale penale senza ardore e passione è impresa vana, poiché non può non esservi scelta di valori essenziali. Ma tale concitazione non può mai lasciare il lume razionale. Ogni frase, ancorché emotiva e ironica, deve sempre essere vagliata e supportata criticamente. Lo sconforto così come la piena illusione d’aver raggiunto l’obiettivo non possono, del resto, essere i riferimenti essenziali dei propri ragionamenti.

Essere ottimisti assai spesso è infantile. Ma nel mondo delle sofferenze umane non si può non esserlo. Arrendersi o dire di arrendersi innanzi all’ingiustizia è sciocco e conduce alla disgregazione. Non bisogna mai banalizzare il tutto, ma neppure assolutizzare l’ingiustizia e l’abominio, per quanto atroci possano essere i fatti contestati da cui muove l’azione punitiva. Qui ciò che vale è il richiamo incessante ad un continuum tra il passato ed il futuro delle conoscenze, specie religiose, filosofiche, letterarie ed artistiche, sulle disgrazie umane per dare un contributo, seppur minimo, al miglioramento almeno spirituale dei nostri figli.

Sostenere scientificamente, seppur con cinismo o rassegnazione, che con il diritto si può squartare, abbrustolire e magiare l’uomo anche per fatti altrui e per puro compiacimento, è pura follia.

Il male si può fare, ma si può anche evitare. E’ su questa ovvia, ma bandita esigenza che il diritto si giustifica razionalmente. Amare o giustificare il sadismo e l’irresponsabilità burocratica, esaltando (seppur indirettamente) i valori politici del momento, non è analisi obiettiva, ma esaltazione inumana delle disgrazie altrui.

Lo studio giuridico è sì proteso all’astrattezza, ma anche alla pragmatica. Anche e soprattutto quando tutto appare perduto, per l’insorgere di guerre e di violenze inaudite ovvero per la disinvolta noncuranza e fragilità delle istituzioni, vi è l’esigenza di rinvenir e comunicar concetti capaci di spiegare per poter adeguatamente criticare e andare avanti verso il meglio.

La politica dispone della forza e la applica, ma senza la guida di un adeguato e scrupoloso studio proteso alla difesa dell’uomo e della sua dignità la sua azione non sarà mai giuridica.

[Estratto da "Il giusto processo criminale come teatro di verità e giustizia" - Filodiritto Editore - 2011 - www.filodirittoeditore.com]

Il “giusto processo” non ammette discriminazioni tra imputati e neppure impunità collegate a scelte sovrane, così come disprezza ogni disciplina esaltante la difesa sociale e la violazione indiscriminata delle libertà. Esso, per ciò stesso, mira all’obiettività, poiché esso cerca i requisiti che vi debbono essere in ogni processo, quale che sia la contingenza politica, perché il suo esito possa ritenersi “giusto”.

Lo studioso, ancorché professionista o magistrato, nelle materie giuridiche innanzi al proprio sistema non può mai farsi accarezzare dalle lusinghe del potere politico o, per contro, indossare armi d’ogni sorta per rovesciare i governi. Nello studio vi è necessità di esprimere la propria coscienza e la conseguente indelebile esigenza di tutelare la propria dignità. Sicché la franchezza, ancorché cruda, non è mai da bandire. Ma tutto ciò non basta, poiché l’analisi del presente è sempre transitoria e, dunque, sempre parziale ab initio.

Dire ciò che si pensa è indispensabile, ma bisogna saper motivare i propri discorsi anche a chi verrà dopo di noi, se si avrà la fortuna d’essere letti (e con attenzione) almeno una volta specie da sconosciuti. Dunque, l’analisi teorica del processo, seppur non può non nascere da contingenze, deve prescindere da ciò che nel frattempo accade intorno ad essa. Ma ciò non già nel senso di non considerare o far propri gli eventi per quel che sono, ma nel senso più modesto di non ritenerli elementi esclusivi della propria critica.

Ecco perché lo studioso, quello vero, non potrà mai essere un vero politico. Egli se mai farà politica, la farà nel senso ampio di svolgere un’attività suggestiva di interventi normativi, ma non avrà e non dovrà avere un ruolo istituzionale significativo. Se ciò non sarà, la sua attività di studio coeva al ruolo politico rivestito sarà mera propaganda e, nei casi peggiori, pura ipocrisia.

Discorrere di diritto e soprattutto di diritto processuale penale senza ardore e passione è impresa vana, poiché non può non esservi scelta di valori essenziali. Ma tale concitazione non può mai lasciare il lume razionale. Ogni frase, ancorché emotiva e ironica, deve sempre essere vagliata e supportata criticamente. Lo sconforto così come la piena illusione d’aver raggiunto l’obiettivo non possono, del resto, essere i riferimenti essenziali dei propri ragionamenti.

Essere ottimisti assai spesso è infantile. Ma nel mondo delle sofferenze umane non si può non esserlo. Arrendersi o dire di arrendersi innanzi all’ingiustizia è sciocco e conduce alla disgregazione. Non bisogna mai banalizzare il tutto, ma neppure assolutizzare l’ingiustizia e l’abominio, per quanto atroci possano essere i fatti contestati da cui muove l’azione punitiva. Qui ciò che vale è il richiamo incessante ad un continuum tra il passato ed il futuro delle conoscenze, specie religiose, filosofiche, letterarie ed artistiche, sulle disgrazie umane per dare un contributo, seppur minimo, al miglioramento almeno spirituale dei nostri figli.

Sostenere scientificamente, seppur con cinismo o rassegnazione, che con il diritto si può squartare, abbrustolire e magiare l’uomo anche per fatti altrui e per puro compiacimento, è pura follia.

Il male si può fare, ma si può anche evitare. E’ su questa ovvia, ma bandita esigenza che il diritto si giustifica razionalmente. Amare o giustificare il sadismo e l’irresponsabilità burocratica, esaltando (seppur indirettamente) i valori politici del momento, non è analisi obiettiva, ma esaltazione inumana delle disgrazie altrui.

Lo studio giuridico è sì proteso all’astrattezza, ma anche alla pragmatica. Anche e soprattutto quando tutto appare perduto, per l’insorgere di guerre e di violenze inaudite ovvero per la disinvolta noncuranza e fragilità delle istituzioni, vi è l’esigenza di rinvenir e comunicar concetti capaci di spiegare per poter adeguatamente criticare e andare avanti verso il meglio.

La politica dispone della forza e la applica, ma senza la guida di un adeguato e scrupoloso studio proteso alla difesa dell’uomo e della sua dignità la sua azione non sarà mai giuridica.