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Autotrasporti: omicidio colposo e responsabilità del datore di lavoro in concorso con il conducente

Il panorama in materia di lavoro e legislazione sociale è vasto e articolato ed è facile incorrere in ripetizioni o qualunquismi. Pur tuttavia, sussistono patologie gravi e altisonanti, espressioni di condotte penalmente rilevanti che nascono nell’ambito di un rapporto di lavoro ma che “investono” altri individui pur estranei a quel contratto.

Mi riferisco a ipotesi di omicidio colposo che causano incidenti stradali, per inosservanze della disciplina sulla sicurezza stradale (ad esempio, per mancato rispetto dell’orario di lavoro e per omissioni sistematiche anche da parte del datore di lavoro).

Prima di addentrarmi nella discussione sul tema, occorre, senza presunzione alcuna, sfiorare, per una corretta individuazione del caso che andrò a trattare, il concetto di reato e nello specifico quelle fattispecie penalmente rilevanti che vedono protagonisti il datore di lavoro e il prestatore d’opera in virtù di un comportamento umano volontario che si concretizza in un’azione o omissione tesa a ledere un bene tutelato giuridicamente, da cui discende ex lege l’irrogazione di una pena.

Secondo quanto stabilito dalla nostra carta costituzionale nell’articolo 27, la responsabilità penale è personale. La natura strettamente personale del reato, implica che nessuno può essere considerato responsabile per un fatto compiuto da altre persone (fatte salve le ipotesi introdotte dal Decreto Legislativo n. 231del 8 giugno 2001 sulla responsabilità da reato degli enti collettivi). Ma, per aversi reato, occorre necessariamente che si concretizzino alcune delle seguenti circostanze:

- comportamento volontario del soggetto attivo, quale autore del reato;

- sussistenza dell’elemento psicologico del dolo o della colpa;

- nesso di causalità, quale legame con il comportamento attivo del soggetto che agisce al verificarsi dell’evento lesivo;

- assenza di cause scriminanti, cioè tipiche condizioni che potrebbero determinare il mutamento del comportamento da illecito a lecito;

Poi, per la condotta del soggetto agente, i reati possono distinguersi in:

- reati commissivi strutturati da un comportamento positivo, ovvero attivo e consapevole del soggetto agente che provoca una lesione a un bene tutelato giuridicamente;

- reati omissivi regolati a seguito di una condotta negativa del soggetto agente il quale commette reato per omissione e con il suo comportamento contravviene a indicate disposizioni

Particolare attenzione va posta su quanto dispone il secondo comma dell’articolo 40 codice penale “non impedire un evento, che si aveva l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”. Sull’onda del significato e della rilevanza giuridica di tale assunto ecco di seguito e a solo titolo esemplificativo un fatto atto di rilievo penale.

Un conducente di un tir, assunto con contratto a tempo indeterminato con la qualifica di autista 3 livello super, guidatore peraltro esperto, è avezzo a superare il limite giornaliero di durata per chi guida ovvero le 9 ore e per ben due volte alla settimana il limite di 10 ore. Questa sua prestazione, eccessiva, gli procura per ovvi motivi una occultata stanchezza, apparentemente superata dall’assunzione di caffè, l’uno dopo l’altro. L’infelice tentativo di tenersi sveglio si rivelerà presto infausto, eppure la necessità di giungere a destinazione nel più breve tempo possibile, quale atto impositivo del suo datore di lavoro, particolarmente incurante, resta un impegno preminente.

In effetti, un brutto dì, quell’autista, preso da un improvviso colpo di sonno, perde il controllo dell’autocarro di proprietà della ditta per cui lavora e provoca un incidente mortale, finendo la sua corsa sulla carreggiata opposta al suo senso di marcia, impattando violentemente con due autovetture che sopraggiungono. Nell’urto violento gli occupanti delle due autovetture muoiono sul colpo mentre il conducente del tir, miracolosamente, rimane illeso. Interviene sul posto la Polizia stradale per i rilievi del caso, sono assunte le prime sommarie informazioni testimoniali e il medesimo autista viene sentito in merito.

Dalle dichiarazioni da questi rese emerge che l’interessato cerca di trovare infondate giustificazioni su una presunta stanchezza sopravvenuta, salvo poi asserire che è sottoposto a turni di guida assolutamente intolleranti; poi aggiunge che questa sua condotta è comunque pretesa dal suo datore di lavoro e che è la condizione senza la quale rischia il licenziamento. A tal punto, raccolte le informazioni necessarie, rilevati i dati dal cronotachigrafo, i tempi di guida e i riposi, risulta accertata la responsabilità del conducente del tir. Ma personale della Polizia stradale va ben oltre e appunta l’attenzione sulla causa dell’evento e nel ruolo avuto nel fatto anche dal datore di lavoro dell’autista.

In effetti, una volta identificato il responsabile di quella (ditta) e datore di lavoro, l’organo accertatore trasmette la “notitia criminis” all’Autorità giudiziaria e ipotizza il reato di omicidio colposo in concorso (articolo 589 comma 2 del codice penale), aggravato per la violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale e in questo caso nondimeno per la prevenzione degli infortuni sul lavoro. Altresì, la Polizia stradale contesta le violazioni al codice della strada all’autotrasportatore, quale trasgressore, e alla ditta nella persona del legale rappresentante pro tempore, quale obbligato solidale.

Questi i fatti.

Ora esaminiamo l’iter logico argomentativo su cui l’organo accertatore è addivenuto all’ipotesi di concorso nell’omicidio colposo da parte dell’autista e del datore di lavoro. Il primo, quale autore materiale resosi responsabile del reato per imprudenza, negligenza e soprattutto inosservanza dei tempi guida e di riposo nel caso in esame; il secondo, invece, nella sua qualità rivestita e in ragione del suo status in quanto aveva l’obbligo giuridico di interessarsi e assicurarsi che i viaggi si svolgessero nel pieno rispetto della normativa di riferimento sui tempi di guida; secondo quanto disciplinato dall’articolo 2087 del codice civile e per finire per quanto disciplinato dal Codice della Strada.

Tale è la responsabilità del datore di lavoro in concorso con il suo dipendente in ragione del fatto che quell’evento era certamente prevedibile; in vero l’assenza di controllo da parte del titolare dell’impresa di autotrasporti sulla corretta osservanza delle norme poste a tutela del prestatore d’opera, il ricorso eccessivo ad ore di guida è di per se causa sufficiente del fatto. L’inosservanza di quell’obbligo giuridico, tipico del datore di lavoro si concretizza in conseguenza della sua omissione, quale rapporto di causalità tra la condotta tenuta dall’autista e il conseguente reato di omicidio colposo. L’imposizione di ritmi esagerati di guida sono ascrivibili al datore di lavoro e appunto per questo la sua condotta si lega indiscutibilmente quale nesso di relazione causale con l’evento prodottosi.

“Un incidente mortale, determinato dalla stanchezza, perché non sono stati osservati i tempi massimi di guida dei conducenti loro sottoposti, creando così condizioni tali da rendere “prevedibile” il verificarsi di incidenti, determinati da colpi di sonno o da inefficienza fisica del conducente” (Corte di Cassazione, Sezione Quarta - Sentenza 12 maggio 2010, n. 21810), non può essere attribuito esclusivamente al dipendente di un’azienda di autotrasporti, qualora la condotta omissiva del datore di lavoro nella verifica delle condizioni psico fisiche dei propri dipendenti, nell’uso dei mezzi e della loro efficienza è già in se prevedibile causa di sinistri stradali e infortuni sul lavoro.

Appare evidente in fatto e in diritto una concorrente responsabilità nel reato sopra narrato.

Se non bastasse, al di là dei giudizi di merito e legittimità sull’argomento, occorre ricordare che in tema di sicurezza tutti siamo considerati soggetti attivi e tenuti ad osservare le norme poste a presidio della sicurezza stradale, sia per evitare di essere sottoposti a provvedimenti afflittivi, sia per prendere coscienza consapevolmente dell’importanza della vita umana evitando il più possibile l’insorgenza di prevedibili eventi, in seguito irrimediabili.

Il panorama in materia di lavoro e legislazione sociale è vasto e articolato ed è facile incorrere in ripetizioni o qualunquismi. Pur tuttavia, sussistono patologie gravi e altisonanti, espressioni di condotte penalmente rilevanti che nascono nell’ambito di un rapporto di lavoro ma che “investono” altri individui pur estranei a quel contratto.

Mi riferisco a ipotesi di omicidio colposo che causano incidenti stradali, per inosservanze della disciplina sulla sicurezza stradale (ad esempio, per mancato rispetto dell’orario di lavoro e per omissioni sistematiche anche da parte del datore di lavoro).

Prima di addentrarmi nella discussione sul tema, occorre, senza presunzione alcuna, sfiorare, per una corretta individuazione del caso che andrò a trattare, il concetto di reato e nello specifico quelle fattispecie penalmente rilevanti che vedono protagonisti il datore di lavoro e il prestatore d’opera in virtù di un comportamento umano volontario che si concretizza in un’azione o omissione tesa a ledere un bene tutelato giuridicamente, da cui discende ex lege l’irrogazione di una pena.

Secondo quanto stabilito dalla nostra carta costituzionale nell’articolo 27, la responsabilità penale è personale. La natura strettamente personale del reato, implica che nessuno può essere considerato responsabile per un fatto compiuto da altre persone (fatte salve le ipotesi introdotte dal Decreto Legislativo n. 231del 8 giugno 2001 sulla responsabilità da reato degli enti collettivi). Ma, per aversi reato, occorre necessariamente che si concretizzino alcune delle seguenti circostanze:

- comportamento volontario del soggetto attivo, quale autore del reato;

- sussistenza dell’elemento psicologico del dolo o della colpa;

- nesso di causalità, quale legame con il comportamento attivo del soggetto che agisce al verificarsi dell’evento lesivo;

- assenza di cause scriminanti, cioè tipiche condizioni che potrebbero determinare il mutamento del comportamento da illecito a lecito;

Poi, per la condotta del soggetto agente, i reati possono distinguersi in:

- reati commissivi strutturati da un comportamento positivo, ovvero attivo e consapevole del soggetto agente che provoca una lesione a un bene tutelato giuridicamente;

- reati omissivi regolati a seguito di una condotta negativa del soggetto agente il quale commette reato per omissione e con il suo comportamento contravviene a indicate disposizioni

Particolare attenzione va posta su quanto dispone il secondo comma dell’articolo 40 codice penale “non impedire un evento, che si aveva l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”. Sull’onda del significato e della rilevanza giuridica di tale assunto ecco di seguito e a solo titolo esemplificativo un fatto atto di rilievo penale.

Un conducente di un tir, assunto con contratto a tempo indeterminato con la qualifica di autista 3 livello super, guidatore peraltro esperto, è avezzo a superare il limite giornaliero di durata per chi guida ovvero le 9 ore e per ben due volte alla settimana il limite di 10 ore. Questa sua prestazione, eccessiva, gli procura per ovvi motivi una occultata stanchezza, apparentemente superata dall’assunzione di caffè, l’uno dopo l’altro. L’infelice tentativo di tenersi sveglio si rivelerà presto infausto, eppure la necessità di giungere a destinazione nel più breve tempo possibile, quale atto impositivo del suo datore di lavoro, particolarmente incurante, resta un impegno preminente.

In effetti, un brutto dì, quell’autista, preso da un improvviso colpo di sonno, perde il controllo dell’autocarro di proprietà della ditta per cui lavora e provoca un incidente mortale, finendo la sua corsa sulla carreggiata opposta al suo senso di marcia, impattando violentemente con due autovetture che sopraggiungono. Nell’urto violento gli occupanti delle due autovetture muoiono sul colpo mentre il conducente del tir, miracolosamente, rimane illeso. Interviene sul posto la Polizia stradale per i rilievi del caso, sono assunte le prime sommarie informazioni testimoniali e il medesimo autista viene sentito in merito.

Dalle dichiarazioni da questi rese emerge che l’interessato cerca di trovare infondate giustificazioni su una presunta stanchezza sopravvenuta, salvo poi asserire che è sottoposto a turni di guida assolutamente intolleranti; poi aggiunge che questa sua condotta è comunque pretesa dal suo datore di lavoro e che è la condizione senza la quale rischia il licenziamento. A tal punto, raccolte le informazioni necessarie, rilevati i dati dal cronotachigrafo, i tempi di guida e i riposi, risulta accertata la responsabilità del conducente del tir. Ma personale della Polizia stradale va ben oltre e appunta l’attenzione sulla causa dell’evento e nel ruolo avuto nel fatto anche dal datore di lavoro dell’autista.

In effetti, una volta identificato il responsabile di quella (ditta) e datore di lavoro, l’organo accertatore trasmette la “notitia criminis” all’Autorità giudiziaria e ipotizza il reato di omicidio colposo in concorso (articolo 589 comma 2 del codice penale), aggravato per la violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale e in questo caso nondimeno per la prevenzione degli infortuni sul lavoro. Altresì, la Polizia stradale contesta le violazioni al codice della strada all’autotrasportatore, quale trasgressore, e alla ditta nella persona del legale rappresentante pro tempore, quale obbligato solidale.

Questi i fatti.

Ora esaminiamo l’iter logico argomentativo su cui l’organo accertatore è addivenuto all’ipotesi di concorso nell’omicidio colposo da parte dell’autista e del datore di lavoro. Il primo, quale autore materiale resosi responsabile del reato per imprudenza, negligenza e soprattutto inosservanza dei tempi guida e di riposo nel caso in esame; il secondo, invece, nella sua qualità rivestita e in ragione del suo status in quanto aveva l’obbligo giuridico di interessarsi e assicurarsi che i viaggi si svolgessero nel pieno rispetto della normativa di riferimento sui tempi di guida; secondo quanto disciplinato dall’articolo 2087 del codice civile e per finire per quanto disciplinato dal Codice della Strada.

Tale è la responsabilità del datore di lavoro in concorso con il suo dipendente in ragione del fatto che quell’evento era certamente prevedibile; in vero l’assenza di controllo da parte del titolare dell’impresa di autotrasporti sulla corretta osservanza delle norme poste a tutela del prestatore d’opera, il ricorso eccessivo ad ore di guida è di per se causa sufficiente del fatto. L’inosservanza di quell’obbligo giuridico, tipico del datore di lavoro si concretizza in conseguenza della sua omissione, quale rapporto di causalità tra la condotta tenuta dall’autista e il conseguente reato di omicidio colposo. L’imposizione di ritmi esagerati di guida sono ascrivibili al datore di lavoro e appunto per questo la sua condotta si lega indiscutibilmente quale nesso di relazione causale con l’evento prodottosi.

“Un incidente mortale, determinato dalla stanchezza, perché non sono stati osservati i tempi massimi di guida dei conducenti loro sottoposti, creando così condizioni tali da rendere “prevedibile” il verificarsi di incidenti, determinati da colpi di sonno o da inefficienza fisica del conducente” (Corte di Cassazione, Sezione Quarta - Sentenza 12 maggio 2010, n. 21810), non può essere attribuito esclusivamente al dipendente di un’azienda di autotrasporti, qualora la condotta omissiva del datore di lavoro nella verifica delle condizioni psico fisiche dei propri dipendenti, nell’uso dei mezzi e della loro efficienza è già in se prevedibile causa di sinistri stradali e infortuni sul lavoro.

Appare evidente in fatto e in diritto una concorrente responsabilità nel reato sopra narrato.

Se non bastasse, al di là dei giudizi di merito e legittimità sull’argomento, occorre ricordare che in tema di sicurezza tutti siamo considerati soggetti attivi e tenuti ad osservare le norme poste a presidio della sicurezza stradale, sia per evitare di essere sottoposti a provvedimenti afflittivi, sia per prendere coscienza consapevolmente dell’importanza della vita umana evitando il più possibile l’insorgenza di prevedibili eventi, in seguito irrimediabili.