x

x

Licenziamento del cassiere infedele da parte del datore di lavoro con l’ausilio dell’investigatore privato

Il fascino dell’investigazione non ha confini. Ormai possiamo tutti definirci, a torto o a ragione dei provetti detective. Analizziamo, commentiamo fatti di cronaca, ci sforziamo di ricostruire a posteriori scene del crimine accomunate in parte da suggestive immagini cinematografiche; non resistiamo a scommettere sull’autore del delitto, nel tentativo, spesso infruttuoso, di risolvere un caso “criminale” o anche un furto. Ciò potrà realizzarsi laddove tra amici e per mero spirito ludico ci mascheriamo da Sherlock Holmes equipaggiati con lente di ingrandimento. Diversamente, la realtà ci dice che si tratta di professione non accessibile a tutti. In vero, è notorio che, per diventare investigatori privati occorre una autorizzazione di Pubblica Sicurezza e si privilegiano soggetti i quali abbiamo avuto un trascorso nelle forze di polizia poi occorre dotarsi di tanta pazienza e di tanto sacrificio per addivenire verosimilmente alla risoluzione di qualche caso con soddisfazione.

In generale, l’uso degli “indagatori” nel mondo del lavoro trova legittimamente dei limiti. Basti ricordare per tutti lo statuto dei lavoratori, Legge 300 del 20 maggio 1970 contenente Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento, che all’articolo 2 stabilisce che:

“Il datore di lavoro può impiegare le guardie particolari giurate, di cui agli articoli 133 e seguenti del testo unico approvato con regio decreto 18 giugno 1931, numero 773, soltanto per scopi di tutela del patrimonio aziendale.

Le guardie giurate non possono contestare ai lavoratori azioni o fatti diversi da quelli che attengono alla tutela del patrimonio aziendale.

E’ fatto divieto al datore di lavoro di adibire alla vigilanza sull’attività lavorativa le guardie di cui al primo comma, le quali non possono accedere nei locali dove si svolge tale attività, durante lo svolgimento della stessa, se non eccezionalmente per specifiche e motivate esigenze attinenti ai compiti di cui al primo comma.

In caso di inosservanza da parte di una guardia particolare giurata delle disposizioni di cui al presente articolo, l’Ispettorato del lavoro ne promuove presso il questore la sospensione dal servizio, salvo il provvedimento di revoca della licenza da parte del prefetto nei casi più gravi”

Inoltre l’articolo 6 conferma e chiarisce ulteriormente che:

“Le visite personali di controllo sul lavoratore sono vietate fuorché nei casi in cui siano indispensabili ai fini della tutela del patrimonio aziendale, in relazione alla qualità degli strumenti di lavoro o delle materie prime o dei prodotti.

In tali casi le visite personali potranno essere effettuate soltanto a condizione che siano eseguite all’uscita dei luoghi di lavoro, che siano salvaguardate la dignità e la riservatezza del lavoratore e che avvengano con l’applicazione di sistemi di selezione automatica riferiti alla collettività o a gruppi di lavoratori.

Le ipotesi nelle quali possono essere disposte le visite personali, nonché, ferme restando le condizioni di cui al secondo comma del presente articolo, le relative modalità debbono essere concordate dal datore di lavoro con le rappresentanze sindacali aziendali oppure, in mancanza di queste, con la commissione interna. In difetto di accordo, su istanza del datore di lavoro, provvede l’Ispettorato del lavoro.

Contro i provvedimenti dell’Ispettorato del lavoro di cui al precedente comma, il datore di lavoro, le rappresentanze sindacali aziendali o, in mancanza di queste, la commissione interna, oppure i sindacati dei lavoratori di cui al successivo articolo 19 possono ricorrere, entro 30 giorni dalla comunicazione del provvedimento, al Ministro per il lavoro e la previdenza sociale.”

Dunque, è lapalissiano che i controlli sul personale o l’utilizzo di guardie giurate o di investigatori privati come il caso che andremo a trattare è giustificato solo in presenza di motivate ragioni idonee a salvaguardare il patrimonio aziendale. Inoltre un possibile controllo sul personale deve essere concordato tra le parti in causa, ovverosia tra il datore di lavoro e le rappresentanze sindacali.

Ciò premesso, andiamo a sviscerare quanto accaduto ad un lavoratore, poi licenziato, in merito ad alcune irregolarità di cassa da questi commesse, consistenti nella mancata registrazione di alcune vendite.

Il datore di lavoro, avendo rilevato gli ammanchi ha fatto ricorso ad investigatori privati per verificare e quindi chiarire se quel subordinato effettivamente aveva omesso registrazioni delle operazioni di cassa, citando i detective quali testimoni nella lite proposta dal prestatore infedele che aveva impugnato il licenziamento successivamente intimatogli.

Il lavoratore, non soddisfatto della sentenza di appello che confermava il suo licenziamento, adiva il giudice di legittimità. A sostegno del suo ricorso insisteva sul fatto che la corte d’appello aveva erroneamente ammesso l’utilizzo di una agenzia investigativa ingaggiata dal datore di lavoro per provare in giudizio la mancata registrazione fiscale di diverse operazioni omesse, lamentando appunto la violazione degli articoli 2 e 3 della Legge 20 maggio 1970 n. 300, sopra menzionata.

Di diverso avviso il datore di lavoro il quale riteneva che nel caso in questione l’utilizzo degli investigatori privati era generato e divenuto necessario proprio in virtù di operazioni fiscali contrarie alla legge e di rilievo penale poste in essere dal cassiere dell’azienda e, in quanto tale, preposto alla tutela del patrimonio.

La tesi difensiva del datore di lavoro veniva accolta e la Corte di Cassazione, con la sentenza nr.12489 depositata l’8 giugno 2011, rigettava il ricorso, condannando il lavoratore anche alle spese, ribadendo tra l’altro che: “il controllo per mezzo di agenzia investigativa è lecito, qualora, come nel caso di specie, il controllo non investa l’inadempimento dell’obbligazione, ma i comportamenti del dipendente, aventi autonoma rilevanza rispetto al contenuto dell’obbligazione del lavoratore ed integranti violazioni di tipo fiscale ed anche penale”. Inoltre “i dipendenti dell’agenzia investigativa sentiti come testi devono ritenersi ammissibili ed attendibili non avendo gli stessi alcun interesse diretto alla controversia”.

A parere dello scrivente, è il caso di poter affermare con ragionevolezza che lo statuto dei lavoratori non può e non deve essere ostacolo all’accertamento di circostanze di rilievo penale. Le giustificazioni sopra addotte dal lavoratore licenziato pur nell’esercizio del diritto di difesa sono da ritenersi destituite di fondamento perché pretestuose.

Per concludere, il cassiere infedele paga anche le spese del giudizio e il licenziamento deve ritenersi legittimo sulla base degli esiti a cui sono pervenuti gli investigatori privati.

Il fascino dell’investigazione non ha confini. Ormai possiamo tutti definirci, a torto o a ragione dei provetti detective. Analizziamo, commentiamo fatti di cronaca, ci sforziamo di ricostruire a posteriori scene del crimine accomunate in parte da suggestive immagini cinematografiche; non resistiamo a scommettere sull’autore del delitto, nel tentativo, spesso infruttuoso, di risolvere un caso “criminale” o anche un furto. Ciò potrà realizzarsi laddove tra amici e per mero spirito ludico ci mascheriamo da Sherlock Holmes equipaggiati con lente di ingrandimento. Diversamente, la realtà ci dice che si tratta di professione non accessibile a tutti. In vero, è notorio che, per diventare investigatori privati occorre una autorizzazione di Pubblica Sicurezza e si privilegiano soggetti i quali abbiamo avuto un trascorso nelle forze di polizia poi occorre dotarsi di tanta pazienza e di tanto sacrificio per addivenire verosimilmente alla risoluzione di qualche caso con soddisfazione.

In generale, l’uso degli “indagatori” nel mondo del lavoro trova legittimamente dei limiti. Basti ricordare per tutti lo statuto dei lavoratori, Legge 300 del 20 maggio 1970 contenente Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento, che all’articolo 2 stabilisce che:

“Il datore di lavoro può impiegare le guardie particolari giurate, di cui agli articoli 133 e seguenti del testo unico approvato con regio decreto 18 giugno 1931, numero 773, soltanto per scopi di tutela del patrimonio aziendale.

Le guardie giurate non possono contestare ai lavoratori azioni o fatti diversi da quelli che attengono alla tutela del patrimonio aziendale.

E’ fatto divieto al datore di lavoro di adibire alla vigilanza sull’attività lavorativa le guardie di cui al primo comma, le quali non possono accedere nei locali dove si svolge tale attività, durante lo svolgimento della stessa, se non eccezionalmente per specifiche e motivate esigenze attinenti ai compiti di cui al primo comma.

In caso di inosservanza da parte di una guardia particolare giurata delle disposizioni di cui al presente articolo, l’Ispettorato del lavoro ne promuove presso il questore la sospensione dal servizio, salvo il provvedimento di revoca della licenza da parte del prefetto nei casi più gravi”

Inoltre l’articolo 6 conferma e chiarisce ulteriormente che:

“Le visite personali di controllo sul lavoratore sono vietate fuorché nei casi in cui siano indispensabili ai fini della tutela del patrimonio aziendale, in relazione alla qualità degli strumenti di lavoro o delle materie prime o dei prodotti.

In tali casi le visite personali potranno essere effettuate soltanto a condizione che siano eseguite all’uscita dei luoghi di lavoro, che siano salvaguardate la dignità e la riservatezza del lavoratore e che avvengano con l’applicazione di sistemi di selezione automatica riferiti alla collettività o a gruppi di lavoratori.

Le ipotesi nelle quali possono essere disposte le visite personali, nonché, ferme restando le condizioni di cui al secondo comma del presente articolo, le relative modalità debbono essere concordate dal datore di lavoro con le rappresentanze sindacali aziendali oppure, in mancanza di queste, con la commissione interna. In difetto di accordo, su istanza del datore di lavoro, provvede l’Ispettorato del lavoro.

Contro i provvedimenti dell’Ispettorato del lavoro di cui al precedente comma, il datore di lavoro, le rappresentanze sindacali aziendali o, in mancanza di queste, la commissione interna, oppure i sindacati dei lavoratori di cui al successivo articolo 19 possono ricorrere, entro 30 giorni dalla comunicazione del provvedimento, al Ministro per il lavoro e la previdenza sociale.”

Dunque, è lapalissiano che i controlli sul personale o l’utilizzo di guardie giurate o di investigatori privati come il caso che andremo a trattare è giustificato solo in presenza di motivate ragioni idonee a salvaguardare il patrimonio aziendale. Inoltre un possibile controllo sul personale deve essere concordato tra le parti in causa, ovverosia tra il datore di lavoro e le rappresentanze sindacali.

Ciò premesso, andiamo a sviscerare quanto accaduto ad un lavoratore, poi licenziato, in merito ad alcune irregolarità di cassa da questi commesse, consistenti nella mancata registrazione di alcune vendite.

Il datore di lavoro, avendo rilevato gli ammanchi ha fatto ricorso ad investigatori privati per verificare e quindi chiarire se quel subordinato effettivamente aveva omesso registrazioni delle operazioni di cassa, citando i detective quali testimoni nella lite proposta dal prestatore infedele che aveva impugnato il licenziamento successivamente intimatogli.

Il lavoratore, non soddisfatto della sentenza di appello che confermava il suo licenziamento, adiva il giudice di legittimità. A sostegno del suo ricorso insisteva sul fatto che la corte d’appello aveva erroneamente ammesso l’utilizzo di una agenzia investigativa ingaggiata dal datore di lavoro per provare in giudizio la mancata registrazione fiscale di diverse operazioni omesse, lamentando appunto la violazione degli articoli 2 e 3 della Legge 20 maggio 1970 n. 300, sopra menzionata.

Di diverso avviso il datore di lavoro il quale riteneva che nel caso in questione l’utilizzo degli investigatori privati era generato e divenuto necessario proprio in virtù di operazioni fiscali contrarie alla legge e di rilievo penale poste in essere dal cassiere dell’azienda e, in quanto tale, preposto alla tutela del patrimonio.

La tesi difensiva del datore di lavoro veniva accolta e la Corte di Cassazione, con la sentenza nr.12489 depositata l’8 giugno 2011, rigettava il ricorso, condannando il lavoratore anche alle spese, ribadendo tra l’altro che: “il controllo per mezzo di agenzia investigativa è lecito, qualora, come nel caso di specie, il controllo non investa l’inadempimento dell’obbligazione, ma i comportamenti del dipendente, aventi autonoma rilevanza rispetto al contenuto dell’obbligazione del lavoratore ed integranti violazioni di tipo fiscale ed anche penale”. Inoltre “i dipendenti dell’agenzia investigativa sentiti come testi devono ritenersi ammissibili ed attendibili non avendo gli stessi alcun interesse diretto alla controversia”.

A parere dello scrivente, è il caso di poter affermare con ragionevolezza che lo statuto dei lavoratori non può e non deve essere ostacolo all’accertamento di circostanze di rilievo penale. Le giustificazioni sopra addotte dal lavoratore licenziato pur nell’esercizio del diritto di difesa sono da ritenersi destituite di fondamento perché pretestuose.

Per concludere, il cassiere infedele paga anche le spese del giudizio e il licenziamento deve ritenersi legittimo sulla base degli esiti a cui sono pervenuti gli investigatori privati.