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Compartecipazione criminosa, questioni controverse

Abstract

Il presente lavoro, una volta esposte le diverse teorie in tema di responsabilità concorsuale, s’incentra sulla rilevanza penale della condotta dell’agente provocatore, sulla responsabilità penale dell’incensurato in tema di contravvenzione ex art. 707 c.p., da ultimo sulla distinzione tra attività del compartecipe e del favoreggiatore.

L’art. 110 c.p. nel prevedere espressamente che “quando più persone concorrono nel medesimo reato, ciascuna di essa soggiace alla pena stabilita” adotta, in tema di concorso di persone del reato, il c.d. modello unitario di responsabilità dei compartecipi, ove è indifferente, giusta la lettera della legge, il singolo apporto dato da ciascun concorrente.

L’attuale modello sostituisce il precedente, il c.d. modello differenziato accolto dal previgente Codice Zanardelli, ove, invece, assumeva rilievo il singolo contributo dato dal soggetto agente compartecipe alla economia della fattispecie di reato posta in essere in concorso.

Pur tuttavia una differenziazione delle singole condotte si riviene in tema di dosimetria della pena, posto che l’art. 114 c.p. legittima il giudice ad procedere ad una diminuzione di pena nei confronti di quel contributo dato dal singolo concorrente che abbia avuto una minima importanza nell’economia del reato.

Il Codice Rocco, in tema di partecipazione criminosa, contiene una disciplina alquanto esigua, con specifico riguardo ai criteri per individuare quando determinate condotte risultino o meno avvinte da un vincolo di compartecipazione.

Sul punto la dottrina più evoluta è pervenuta alla elaborazione di diverse teorie sul concorso di persone.

Secondo una prima teoria, definita dell’accessorietà, sussiste il concorso quando ad una condotta principale se ne aggiunge una accessoria, la quale si pone come strumentale rispetto a quella principale, si pensi a Tizio che fornisce a Caio uno strumento atto allo scasso al fine di compiere un furto.

A questa tesi si è obbiettato che, da una parte il concorso non si configura nei c.d. delitti ad esecuzione frazionata, si pensi a Tizio che impugna la pistola e Caio rubi il portafoglio; dall’altro si ritiene che il concorso non operi, nell’ambito dei reati propri, quando la condotta principale sia posta in essere non dal soggetto in possesso di una determinata qualifica soggettiva (intraneus) ma da un soggetto privo di tali qualifiche (extraneus).

Secondo un’altra teoria, avallata da una fetta della giurisprudenza di legittimità, definita teoria della fattispecie plurisoggettiva eventuale, dalla combinazione della norma di parte generale di cui all’art. 110 c.p. e di parte speciale presa di volta in volta in considerazione viene a crearsi una fattispecie nuova, distinta dalle altre, in grado di includere al suo interno una pluralità di condotte poste in essere dai soggetti agenti nell’ambito della compartecipazione criminosa.

Nello specifico il nesso di compartecipazione è dato dalla sussistenza di un fatto materiale, mentre le condotte ed i singoli apporti dei concorrenti si distinguono a seconda se siano tipici, quindi rientranti tra le modalità di condotta previste dalle norme di parte speciale, od atipici non disciplinati da alcuna fattispecie di reato.

Da ultimo autorevole dottrina, sulla scorta della teoria su esposta, ritiene che dalla combinazione dell’art. 110 c.p. con la norma di parte speciale non si crei una nuova fattispecie, bensì tante quanti sono i singoli apporti tipici od atipici dei singoli concorrenti, si parla in questa accezione di teoria della fattispecie plurisoggettiva differenziata.

La teoria della fattispecie plurisoggettiva, secondo autorevole dottrina, seppur abbia una importante valenza dal punto di vista logico formale, tuttavia, da un punto di vista eminentemente pratico, è stata posta in dubbio posto che, sul piano sostanziale, la disciplina positiva in tema di concorso non ha previsto i criteri cui dovrebbe attenersi l’interprete nell’individuare quando una condotta atipica assume rilevanza ai fini della partecipazione.

Si discute in dottrina ed in giurisprudenza sull’estensibilità delle norme sul concorso di persone all’attività posta in essere dal c.d. agente provocatore.

Con tale espressione si riferimento a quei soggetti che provocano la commissione di determinati reati al fine di assicurare i colpevoli alla giustizia e di acquisire fonti di prova che saranno utilizzate nei procedimenti penali.

L’orientamento prevalente della giurisprudenza e parte della dottrina fa rientrare l’attività posta in essere dall’agente provocatore tra le cause di giustificazione, in particolare nella scriminante dell’adempimento di un dovere ex art. 51 c.p.

La condotta dell’agente provocatore viene ad essere scriminata in presenza di una norma giuridica o di un ordine legittimo della pubblica autorità che prevedano, appunto, tale attività la quale deve essere di contenimento, controllo e di vigilanza.

Sul punto la Suprema Corte, con la pronuncia 14 gennaio 2008, n. 10695, afferma che “la scriminante dell’adempimento del dovere trova applicazione se la condotta dell’agente provocatore non si inserisca con rilevanza causale nell’iter criminis, ma intervenga in modo indiretto e marginale concretizzandosi prevalentemente in una attività di osservazione, di controllo e di contenimento delle azioni illecite altrui”.

Si ha responsabilità concorsuale quando l’attività del soggetto agente, nella specie il provocatore, sia rilevante, da un punto di vista eziologico, alla economia del reato, si pensi ad apporti di tipo materiale o ancora ad apporti di tipo morale che, sotto il profilo causale, determinano o istigano altri alla commissione di reati, anche al fine di trarre un lucro o una promessa di conseguire futuri vantaggi.

Con riguardo all’attività posta in essere dall’infiltrato, recentemente la Cassazione, con la sentenza 7 aprile 2011, n. 751, ha messo in rilievo come “l’attività dell’agente infiltrato, o sotto copertura, disciplinata da diverse disposizioni di legge (tra cui la legge n. 146/2006), è stata analizzata dalla giurisprudenza di questa Corte giungendo alla conclusione che non sono lecite le operazioni sotto copertura consistenti nell’incitamento o nell’induzione alla commissione di un reato da parte di un soggetto indagato, in quanto all’agente infiltrato non è consentito commettere azioni illecite diverse da quelle dichiarate non punibili e di quelle strettamente e strumentalmente connesse. Una simile condotta, oltre a determinare responsabilità penale dell’infiltrato, produce, quale ulteriore conseguenza, l’inutilizzabilità della prova conseguita e rende l’intero procedimento suscettibile di un giudizio di non equità ai sensi dell’art. 6 della Convenzione Edu”.

Con specifico riferimento alla punibilità dell’incensurato per il concorso nella contravvenzione ex art. 707 c.p., relativo al possesso ingiustificato di chiavi alterate o di grimaldelli, la giurisprudenza attualmente prevalente ammette la configurabilità del concorso dell’extraneus.

In particolare la partecipazione al reato dell’extraneus si riscontra quando il medesimo è consapevole del fatto che il soggetto agente sia in possesso delle qualità soggettive richieste dall’art. 707 c.p. nonché che sia in possesso degli strumenti, indicati nell’art. citato, atti ad offendere.

La condotta atipica dell’extraneus può quindi assumere rilevanza, ai sensi degli artt. 110 e 707 c.p., ai fini concorsuali quando la condotta medesima sia stata d’ausilio ed abbia favorito ed agevolato la condotta dell’intraneus.

La Cassazione nel 2006, con l’arresto 9 gennaio 2006, n. 3626, ha espressamente puntualizzato che “ Benchè…. l’art. 707 cod. pen. contempli un reato a soggetto attivo qualificato - giacchè la norma, stando alsuo tenore letterale, è applicabile solo a chi, essendo stato condannato per motivi di lucro, o per contravvenzioni concernenti la prevenzione di delitti contro il patrimonio, è colto nel possesso ingiustificato degli oggetti o strumenti previsti nello stesso articolo - non per questo è da escludersi la possibilità del concorso ad opera di chi non versi nelle condizioni soggettive e oggettive richieste dalla norma stessa; con la conseguenza che concorre nel reato chi, pure immune da precedenti penali, si accompagna a persona che sa essere stata già condannata per uno dei reati previsti dallo stesso art. 707 cod. pen. ed è consapevole degli oggetti o strumenti da essa detenuti per la possibilità che ha di servirsi di detti strumenti o, per precedenti intese, di aiutare il compagno a servirsene. Pertanto, in tema di possesso ingiustificato di chiavi alterate e grimaldelli, è sufficiente, ai fini della configurabilità del concorso nel reato, anche da parte di incensurati, la consapevole disponibilità concreta ed immediata, da parte di più persone, degli arnesi predetti, mentre si appalesa del tutto irrilevante che tali oggetti appartengano originariamente ad uno soltanto dei correi, giacchè occorre dare rilievo alla possibilità di questi di servirsene ovvero di aiutare il proprietario a servirsene”.

In giurisprudenza si controverte anche con riferimento alle modalità di condotta, in particolare, se, perché si configuri il concorso, la condotta principale debba essere posta in essere necessariamente dall’intraneus.

Secondo una prima impostazione la condotta principale deve essere eseguita, ai fini della compartecipazione dell’extraneus, dall’intraneus, posto che la contravvenzione ex art. 707 c.p. rientra nell’alveo dei reati propri.

Secondo altra impostazione, invece, facendo leva sulla teoria della fattispecie plurisoggettiva eventuale, ove non assumono rilevanza i singoli apporti dei compartecipi, la condotta principale può essere posta in essere anche dall’extraneus purchè la condotta dell’intraneus sia stata di rinforzo, di agevolazione, dal punto di vista eziologico, all’economia del reato.

Infine ci si è chiesti come si differenzi la condotta del compartecipe da quella del favoreggiatore.

Al riguardo gli artt. 378-379 c.p., disciplinanti i reati di favoreggiamento personale e reale, prevedono espressamente la loro operatività fuori dai casi di concorso; il reato di favoreggiamento si configura, quindi, secondo la lettera della norma, con la consumazione del reato presupposto.

Questo limite temporale, secondo una parte della dottrina e della giurisprudenza, si identifica nella cessazione del tentativo, nella consumazione del reato e nella cessazione della permanenza.

Se risulta abbastanza agevole per il giudice individuare il limite temporale, ove opera il favoreggiamento, con riferimento al tentativo o ai reati istantanei, determinati problemi sorgono con riguardo al reato permanente.

Secondo una prima tesi il favoreggiamento è da considerarsi come una fattispecie accessoria del reato presupposto ed opererebbe solo una volta che sia cessata la permanenza.

Altra tesi, invece, posto che il reato permanente è costituito da un momento iniziale, ove il reato è perfetto, e da un momento finale che coincide con la consumazione, ritiene che il favoreggiamento possa configurarsi fin dal momento iniziale purchè la condotta del soggetto sia di ausilio e non sia di rinforzo, di agevolamento o di incitamento all’altrui opera delittuosa, in quest’ultimo caso si configura, invece, il concorso di persone nel reato.

Sul punto, al fine di delineare un discrimen tra la condotta del concorrente e del favoreggiatore, efficacemente la Cassazione, con la pronuncia 9 aprile 1998, n. 1325, ha così statuito “la differenza tra concorso nel reato e favoreggiamento va individuata con riferimento all’elemento psicologico, dimodochè è ravvisabile il concorso nel reato presupposto se l’agente non si limiti ad aiutare taluno ad eludere le investigazioni dell’autorità ma partecipi con animus socii all’attività concorsuale del reato, adoperandosi in funzione essenziale, o comunque apprezzabile, in rapporto di causalità con l’evento”.

Abstract

Il presente lavoro, una volta esposte le diverse teorie in tema di responsabilità concorsuale, s’incentra sulla rilevanza penale della condotta dell’agente provocatore, sulla responsabilità penale dell’incensurato in tema di contravvenzione ex art. 707 c.p., da ultimo sulla distinzione tra attività del compartecipe e del favoreggiatore.

L’art. 110 c.p. nel prevedere espressamente che “quando più persone concorrono nel medesimo reato, ciascuna di essa soggiace alla pena stabilita” adotta, in tema di concorso di persone del reato, il c.d. modello unitario di responsabilità dei compartecipi, ove è indifferente, giusta la lettera della legge, il singolo apporto dato da ciascun concorrente.

L’attuale modello sostituisce il precedente, il c.d. modello differenziato accolto dal previgente Codice Zanardelli, ove, invece, assumeva rilievo il singolo contributo dato dal soggetto agente compartecipe alla economia della fattispecie di reato posta in essere in concorso.

Pur tuttavia una differenziazione delle singole condotte si riviene in tema di dosimetria della pena, posto che l’art. 114 c.p. legittima il giudice ad procedere ad una diminuzione di pena nei confronti di quel contributo dato dal singolo concorrente che abbia avuto una minima importanza nell’economia del reato.

Il Codice Rocco, in tema di partecipazione criminosa, contiene una disciplina alquanto esigua, con specifico riguardo ai criteri per individuare quando determinate condotte risultino o meno avvinte da un vincolo di compartecipazione.

Sul punto la dottrina più evoluta è pervenuta alla elaborazione di diverse teorie sul concorso di persone.

Secondo una prima teoria, definita dell’accessorietà, sussiste il concorso quando ad una condotta principale se ne aggiunge una accessoria, la quale si pone come strumentale rispetto a quella principale, si pensi a Tizio che fornisce a Caio uno strumento atto allo scasso al fine di compiere un furto.

A questa tesi si è obbiettato che, da una parte il concorso non si configura nei c.d. delitti ad esecuzione frazionata, si pensi a Tizio che impugna la pistola e Caio rubi il portafoglio; dall’altro si ritiene che il concorso non operi, nell’ambito dei reati propri, quando la condotta principale sia posta in essere non dal soggetto in possesso di una determinata qualifica soggettiva (intraneus) ma da un soggetto privo di tali qualifiche (extraneus).

Secondo un’altra teoria, avallata da una fetta della giurisprudenza di legittimità, definita teoria della fattispecie plurisoggettiva eventuale, dalla combinazione della norma di parte generale di cui all’art. 110 c.p. e di parte speciale presa di volta in volta in considerazione viene a crearsi una fattispecie nuova, distinta dalle altre, in grado di includere al suo interno una pluralità di condotte poste in essere dai soggetti agenti nell’ambito della compartecipazione criminosa.

Nello specifico il nesso di compartecipazione è dato dalla sussistenza di un fatto materiale, mentre le condotte ed i singoli apporti dei concorrenti si distinguono a seconda se siano tipici, quindi rientranti tra le modalità di condotta previste dalle norme di parte speciale, od atipici non disciplinati da alcuna fattispecie di reato.

Da ultimo autorevole dottrina, sulla scorta della teoria su esposta, ritiene che dalla combinazione dell’art. 110 c.p. con la norma di parte speciale non si crei una nuova fattispecie, bensì tante quanti sono i singoli apporti tipici od atipici dei singoli concorrenti, si parla in questa accezione di teoria della fattispecie plurisoggettiva differenziata.

La teoria della fattispecie plurisoggettiva, secondo autorevole dottrina, seppur abbia una importante valenza dal punto di vista logico formale, tuttavia, da un punto di vista eminentemente pratico, è stata posta in dubbio posto che, sul piano sostanziale, la disciplina positiva in tema di concorso non ha previsto i criteri cui dovrebbe attenersi l’interprete nell’individuare quando una condotta atipica assume rilevanza ai fini della partecipazione.

Si discute in dottrina ed in giurisprudenza sull’estensibilità delle norme sul concorso di persone all’attività posta in essere dal c.d. agente provocatore.

Con tale espressione si riferimento a quei soggetti che provocano la commissione di determinati reati al fine di assicurare i colpevoli alla giustizia e di acquisire fonti di prova che saranno utilizzate nei procedimenti penali.

L’orientamento prevalente della giurisprudenza e parte della dottrina fa rientrare l’attività posta in essere dall’agente provocatore tra le cause di giustificazione, in particolare nella scriminante dell’adempimento di un dovere ex art. 51 c.p.

La condotta dell’agente provocatore viene ad essere scriminata in presenza di una norma giuridica o di un ordine legittimo della pubblica autorità che prevedano, appunto, tale attività la quale deve essere di contenimento, controllo e di vigilanza.

Sul punto la Suprema Corte, con la pronuncia 14 gennaio 2008, n. 10695, afferma che “la scriminante dell’adempimento del dovere trova applicazione se la condotta dell’agente provocatore non si inserisca con rilevanza causale nell’iter criminis, ma intervenga in modo indiretto e marginale concretizzandosi prevalentemente in una attività di osservazione, di controllo e di contenimento delle azioni illecite altrui”.

Si ha responsabilità concorsuale quando l’attività del soggetto agente, nella specie il provocatore, sia rilevante, da un punto di vista eziologico, alla economia del reato, si pensi ad apporti di tipo materiale o ancora ad apporti di tipo morale che, sotto il profilo causale, determinano o istigano altri alla commissione di reati, anche al fine di trarre un lucro o una promessa di conseguire futuri vantaggi.

Con riguardo all’attività posta in essere dall’infiltrato, recentemente la Cassazione, con la sentenza 7 aprile 2011, n. 751, ha messo in rilievo come “l’attività dell’agente infiltrato, o sotto copertura, disciplinata da diverse disposizioni di legge (tra cui la legge n. 146/2006), è stata analizzata dalla giurisprudenza di questa Corte giungendo alla conclusione che non sono lecite le operazioni sotto copertura consistenti nell’incitamento o nell’induzione alla commissione di un reato da parte di un soggetto indagato, in quanto all’agente infiltrato non è consentito commettere azioni illecite diverse da quelle dichiarate non punibili e di quelle strettamente e strumentalmente connesse. Una simile condotta, oltre a determinare responsabilità penale dell’infiltrato, produce, quale ulteriore conseguenza, l’inutilizzabilità della prova conseguita e rende l’intero procedimento suscettibile di un giudizio di non equità ai sensi dell’art. 6 della Convenzione Edu”.

Con specifico riferimento alla punibilità dell’incensurato per il concorso nella contravvenzione ex art. 707 c.p., relativo al possesso ingiustificato di chiavi alterate o di grimaldelli, la giurisprudenza attualmente prevalente ammette la configurabilità del concorso dell’extraneus.

In particolare la partecipazione al reato dell’extraneus si riscontra quando il medesimo è consapevole del fatto che il soggetto agente sia in possesso delle qualità soggettive richieste dall’art. 707 c.p. nonché che sia in possesso degli strumenti, indicati nell’art. citato, atti ad offendere.

La condotta atipica dell’extraneus può quindi assumere rilevanza, ai sensi degli artt. 110 e 707 c.p., ai fini concorsuali quando la condotta medesima sia stata d’ausilio ed abbia favorito ed agevolato la condotta dell’intraneus.

La Cassazione nel 2006, con l’arresto 9 gennaio 2006, n. 3626, ha espressamente puntualizzato che “ Benchè…. l’art. 707 cod. pen. contempli un reato a soggetto attivo qualificato - giacchè la norma, stando alsuo tenore letterale, è applicabile solo a chi, essendo stato condannato per motivi di lucro, o per contravvenzioni concernenti la prevenzione di delitti contro il patrimonio, è colto nel possesso ingiustificato degli oggetti o strumenti previsti nello stesso articolo - non per questo è da escludersi la possibilità del concorso ad opera di chi non versi nelle condizioni soggettive e oggettive richieste dalla norma stessa; con la conseguenza che concorre nel reato chi, pure immune da precedenti penali, si accompagna a persona che sa essere stata già condannata per uno dei reati previsti dallo stesso art. 707 cod. pen. ed è consapevole degli oggetti o strumenti da essa detenuti per la possibilità che ha di servirsi di detti strumenti o, per precedenti intese, di aiutare il compagno a servirsene. Pertanto, in tema di possesso ingiustificato di chiavi alterate e grimaldelli, è sufficiente, ai fini della configurabilità del concorso nel reato, anche da parte di incensurati, la consapevole disponibilità concreta ed immediata, da parte di più persone, degli arnesi predetti, mentre si appalesa del tutto irrilevante che tali oggetti appartengano originariamente ad uno soltanto dei correi, giacchè occorre dare rilievo alla possibilità di questi di servirsene ovvero di aiutare il proprietario a servirsene”.

In giurisprudenza si controverte anche con riferimento alle modalità di condotta, in particolare, se, perché si configuri il concorso, la condotta principale debba essere posta in essere necessariamente dall’intraneus.

Secondo una prima impostazione la condotta principale deve essere eseguita, ai fini della compartecipazione dell’extraneus, dall’intraneus, posto che la contravvenzione ex art. 707 c.p. rientra nell’alveo dei reati propri.

Secondo altra impostazione, invece, facendo leva sulla teoria della fattispecie plurisoggettiva eventuale, ove non assumono rilevanza i singoli apporti dei compartecipi, la condotta principale può essere posta in essere anche dall’extraneus purchè la condotta dell’intraneus sia stata di rinforzo, di agevolazione, dal punto di vista eziologico, all’economia del reato.

Infine ci si è chiesti come si differenzi la condotta del compartecipe da quella del favoreggiatore.

Al riguardo gli artt. 378-379 c.p., disciplinanti i reati di favoreggiamento personale e reale, prevedono espressamente la loro operatività fuori dai casi di concorso; il reato di favoreggiamento si configura, quindi, secondo la lettera della norma, con la consumazione del reato presupposto.

Questo limite temporale, secondo una parte della dottrina e della giurisprudenza, si identifica nella cessazione del tentativo, nella consumazione del reato e nella cessazione della permanenza.

Se risulta abbastanza agevole per il giudice individuare il limite temporale, ove opera il favoreggiamento, con riferimento al tentativo o ai reati istantanei, determinati problemi sorgono con riguardo al reato permanente.

Secondo una prima tesi il favoreggiamento è da considerarsi come una fattispecie accessoria del reato presupposto ed opererebbe solo una volta che sia cessata la permanenza.

Altra tesi, invece, posto che il reato permanente è costituito da un momento iniziale, ove il reato è perfetto, e da un momento finale che coincide con la consumazione, ritiene che il favoreggiamento possa configurarsi fin dal momento iniziale purchè la condotta del soggetto sia di ausilio e non sia di rinforzo, di agevolamento o di incitamento all’altrui opera delittuosa, in quest’ultimo caso si configura, invece, il concorso di persone nel reato.

Sul punto, al fine di delineare un discrimen tra la condotta del concorrente e del favoreggiatore, efficacemente la Cassazione, con la pronuncia 9 aprile 1998, n. 1325, ha così statuito “la differenza tra concorso nel reato e favoreggiamento va individuata con riferimento all’elemento psicologico, dimodochè è ravvisabile il concorso nel reato presupposto se l’agente non si limiti ad aiutare taluno ad eludere le investigazioni dell’autorità ma partecipi con animus socii all’attività concorsuale del reato, adoperandosi in funzione essenziale, o comunque apprezzabile, in rapporto di causalità con l’evento”.