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L’esame di stato per l’abilitazione all’esercizio professionale

Annotazioni e questioni aperte in merito alla cittadinanza

Sommario

1.Introduzione

2.Cenni storici

3.Questioni aperte

4. Note bibliografiche

Introduzione

In linea di principio l’esame di stato, la quale trattazione rientra nel più ampio diritto amministrativo, può essere distinto in tre tipologie: “scolastico” che è finalizzato a garantire le pari opportunità dei candidati a prescindere dall’ente educativo di provenienza; “professionale” «mediante il quale lo Stato attraverso un accertamento sulle idoneità tecniche del soggetto, mira da un lato al controllo di determinate professioni, alle quali è riconosciuta particolare importanza, d’altro canto a verificare direttamente le capacità e le qualità dei suddetti professionisti» [1], poi ci sarebbe una modalità “mista” che implica l’accertamento da parte di una commissione specifica ma che non prevede l’istituzione di un albo, es. per l’abilitazione di insegnante, di patente nautica, di perito agrario, che quindi non godono di un proprio ordine professionale [2].

Alcuni Ordini, oltre all’Albo, dispongono di certi elenchi di praticanti, i quali iscritti, seppur non potendo riconoscersi come membri effettivi, comunque ne rappresentano un contributo importante ai fini della formazione del futuro professionista. Presso l’Ordine Forense, tali praticanti si devono relazionare «con relazioni e documentazioni» [3] direttamente al Consiglio dell’Ordine che delibera sull’iscrizione all’elenco.

Cenni storici

Il regime di abilitazione professionale assunse contorni diversi in relazione alle specifiche competenze di ogni categoria professionale. Per quanto riguarda le professioni forensi «la L. 07.07.1901 n. 283 prevedeva un’abilitazione al patrocinio concessa con decreto in camera di consiglio dal Tribunale da cui dipendeva la Pretura presso cui l’aspirante patrocinatore intendeva esercitare, purché fosse fornito di taluni titoli di studio oppure, anche se privo, avesse già esercitato per cinque anni» [4], tali norme furono riformate dal RD 20.09.22 n. 1316, dal RD 06.09.23 n. 1920 che aggiungeva il parere vincolante del Consiglio di Disciplina dei procuratori, dalla L. 28.06.28 n. 1415: «da queste statuizioni risulta che almeno per taluni patrocinatori coloro che esercitano tale attività hanno dovuto ottenere prima l’abilitazione e poi hanno dovuto essere riconosciuti meritevoli» [5].

Secondo il Saitta «l’introduzione di un esame di stato fu richiesto per la prima volta dal programma politico del Partito Popolare Italiano» [6], proposto e sancito definitivamente nel 1923 con la riforma Gentile, perchè si voleva ottenere il riconoscimento e la parificazione delle scuole private cattoliche rispetto a quella pubblica, secondo altri, invece, si voleva, tramite un rigido sistema di selezione, avviare alle professioni tradizionali coloro che fossero dotati di spiccate capacità intellettive, mentre i meno capaci erano reindirizzati verso mestieri più pratici [7]. «La disciplina delle professioni ebbe un certo inquadramento unitario nel codice civile del 1942 e cioè quelle il cui svolgimento è condizionato all’iscrizione in appositi albi ed elenchi imposti dal legislatore ordinario, con correlativa costituzione del monopolio previsto dall’art. 2231 c.c.» [8].

Il RDL 27.01.44 n. 51 art. 1 sospendeva per l’anno corrente la sessione degli esami di stato per alcune categorie professionali e disponeva all’art. 2 il rilascio di un certificato fornito dall’Università ai fini dell’abilitazione. Tali disposizioni furono prorogate almeno fino alla L. 08.12.56 n.1378 che, in ossequio al dettato costituzionale, ristabilì gli esami di stato per le professioni liberali. Il sistema di valutazione di stato nella Repubblica, così come quello fascista, era costituito da tre fasi: «un’abilitazione iniziale, un esercizio professionale e il giudizio di un organo pubblico valutando il comportamento sotto il profilo della meritevolezza» [9]. Si evince, però, che tanto il RD 06.09.23 n. 1920 quanto la L. 08.12.56 n. 1378 non osservavano i nuovi principi repubblicani in quanto “non prevedono un esame […] ma l’accertamento d’idoneità, non già all’esercizio professionale ma dell’avvenuto esercizio professionale» [10].

Per tali ragioni, negli anni successivi alla promulgazione della Costituzione, l’esame di stato assunse una configurazione cd. ad “effetto plurimo”, nella quale cioè il termine del ciclo di studi coincideva con quello per l’abilitazione professionale [11]. Quindi l’esame di laurea, almeno prima della riforma del 1956 (con l’eccezione degli istituti tecnici e magistrali, cfr. L. 06.03.58 n. 184 e l. 05.04.69 n. 119), rappresentava a tutti gli effetti “un esame professionale” che serviva ad accertare «il grado di preparazione culturale» [12], prima ancora di ottenere l’iscrizione all’albo. Del resto la sentenza della Corte Costituzionale del 22.12.1980 sancì che «l’art. 33 co. V Cost. prevedeva l’esame di laurea come atto terminale degli studi universitari per l’abilitazione all’esercizio professionale» [13].

La giurisprudenza «ha escluso che l’art. 33 co.V abbia posto una riserva di legge in ordine alla determinazione delle prove» [14]. È interessante notare che «l’esame di stato non può essere imposto per attività professionali artistiche o di ricerca o di produzione scientifica» [15]. Il termine “Stato” si riferisce al «regime di responsabilità sociale che grava su tale attività» [16] nonché alla composizione delle commissioni esaminatrici che non includono membri afferenti a rappresentanze esclusive di quella professione.

Questioni aperte sull’esame di Stato

L’esame di Stato non è da confondere con l“abilitazione di Stato” con il quale «si vuole indicare l’atto conclusivo di un procedimento amministrativo» [17]. L’abilitazione, tuttavia, ha un’accezione limitata in quanto disciplinata in regime di monopolio. Circa l’opportunità di preservare le funzioni dell’ordine in tale regime, occorre ammettere che mentre l’art. 4 Cost. impone a tutti i cittadini il dovere al lavoro, d’altro canto il regime di monopolio di fatto limita tale diritto.

La premura del legislatore riguarda più le ipotesi di abuso del diritto anziché quelle di adempimento. Ci si riferisce, in particolare, alle norme di diritto penale quali ad es. il segreto professionale (art. 622 c.p.), la fedeltà di patrocinio (art. 380 c.p.), la falsità di perizia (art. 373 c.p.), il rifiuto di uffici legalmente dovuti (art. 366 c.p.), l’omissione di referto (art. 365 c.p.), etc. Si evince il carattere limitante sull’autonomia e sulla libertà individuale. Forse ereditando l’orientamento dello Stato Fascista che tendeva a ridurre l’autonomia professionale rispetto al potere delle corporazioni.

Non tutte le professioni sono disciplinate in regime di monopolio. Il Predieri, infatti, afferma che «l’attività professionale che richiede l’esame di stato sia solo quella per la quale il professionista agisce in regime di monopolio legale, cioè in quella situazione costituita dalla legge la quale vieta ad ogni soggetto all’infuori di quelli determinati di produrre o scambiare un determinato bene o servizio, non solo nei confronti di terzi ma anche dalla parte alla quale il soggetto è legato da contratto di prestazione d’opera che non può compiere direttamente quei determinati atti o svolgere quella determinata attività che solo chi esercita la professione nei modi dovuti può compiere e svolgere» [18]. «È chiaro che anche il dirigente, l’imprenditore, il funzionario, l’impiegato esercitano un’attività intellettuale, senza per questo esercitare una professione» [19], che «non potrebbe essere imposta come un esame di tipo corporativo, ad es. da parte dell’Ordine» [20].

Il requisito fondamentale per accedere all’esame di stato, non sempre scontato, è la cittadinanza. Il legislatore ha, infatti, previsto che il diritto di svolgere una data professione spetti solo ad alcuni, mentre il diritto al lavoro è esteso a tutti. Da tale normativa, tuttavia, sono da fare eccezione per i rimpatriati dall’estero che hanno potuto esercitare la professione anche senza aver sostenuto il relativo esame di stato ma dimostrando di aver esercitato per almeno un periodo di tempo (cfr. art. 28 04.03.1952 n. 137 e art. 2 l. 25.07.1971 n. 568). Si ravviserebbe, d’altro canto, un ulteriore danno nei confronti degli stranieri che diversamente dovrebbero sostenere un doppio esame di stato.

La stessa Corte Cost., tuttavia, ammette la possibilità di un diverso trattamento tra cittadini e stranieri (sentenze 1970 n. 174 e 1974 n. 244) ma allora come si concilia l’accesso all’esercizio professionale con il principio della libertà professionale (sentenza 1979 n. 54)? Nell’ambiente giuridico, ad es., la direttiva della Corte di giustizia europea 22.03.1977 n. 77/249 ha ammesso la possibilità per gli avvocati provenienti da altri paesi, ma rimanendo sempre in ambito CEE, di effettuare prestazioni solo di tipo occasionale, “condizionato dal previo riconoscimento dell’equipollenza dei titoli di studio» [21] dei rispettivi paesi. Rimane comunque la difficoltà da parte di extracomunitari di accedere all’esame di stato e quindi di conseguenza all’esercizio della professione.

Note

[1] Minnella M., s.v. Professioni, arti e mestieri (esercizio abusivo di), in Enciplopedia giuridica, Roma, Treccani, 1989, p. 1.

[2] Fontana G., s.v. Art. 33, in Bifulco R., Celotto A., Olivetti A., Commentario alla Costituzione, 2006, Torino, Utet, pp. 675-698, p. 693.

[3] Piscione, P., Ordini e collegi professionali, Milano, Giuffrè, 1959, p. 75.

[4] Predieri A., Annotazioni sull’esame di stato e l’esercizio professionale, in “Giurisprudenza costituzionale”, 1963, pp. 507-519, p. 514.

[5] Ibid.

[6] Ivi, p. 513.

[7] Saitta N., s.v. Esame di stato, in Enciclopedia del diritto, 1966, vol XV, Milano, p. 333.

[8] Predieri A., op. cit., p.510.

[9] Ivi, p. 515.

[10] Ivi, p. 516.

[11] Rossi G., s.v. Esame di stato, Enciclopedia giuridica, Roma, Treccani, 1989, p. 3.

[12] Catelani A., Gli ordini e i collegi professionali nel diritto pubblico, Giuffrè, Milano, 1976, p. 146.

[13] Sentenza Corte Costituzionale, 22.12.1980 “Giustizia costituzionale”, 1980, pp. 1424-1530, p. 1528.

[14] Fontana G., op. cit., p. 693.

[15] Predieri A., op. cit., p. 513.

[16] Chialà C., Equipollenti nazionali ed esteri all’esame di stato per le professioni di avvocato e procuratore, “Giurisprudenza costituzionale”, 1980, pp. 1514-1523, p. 1515.

[17] Minnella M., op. cit., p. 1.

[18] Predieri A., op. cit., p. 508.

[19] Ivi, p. 510.

[20] Ibid.

[21] Chialà C., op. cit., p. 1522.

Sommario

1.Introduzione

2.Cenni storici

3.Questioni aperte

4. Note bibliografiche

Introduzione

In linea di principio l’esame di stato, la quale trattazione rientra nel più ampio diritto amministrativo, può essere distinto in tre tipologie: “scolastico” che è finalizzato a garantire le pari opportunità dei candidati a prescindere dall’ente educativo di provenienza; “professionale” «mediante il quale lo Stato attraverso un accertamento sulle idoneità tecniche del soggetto, mira da un lato al controllo di determinate professioni, alle quali è riconosciuta particolare importanza, d’altro canto a verificare direttamente le capacità e le qualità dei suddetti professionisti» [1], poi ci sarebbe una modalità “mista” che implica l’accertamento da parte di una commissione specifica ma che non prevede l’istituzione di un albo, es. per l’abilitazione di insegnante, di patente nautica, di perito agrario, che quindi non godono di un proprio ordine professionale [2].

Alcuni Ordini, oltre all’Albo, dispongono di certi elenchi di praticanti, i quali iscritti, seppur non potendo riconoscersi come membri effettivi, comunque ne rappresentano un contributo importante ai fini della formazione del futuro professionista. Presso l’Ordine Forense, tali praticanti si devono relazionare «con relazioni e documentazioni» [3] direttamente al Consiglio dell’Ordine che delibera sull’iscrizione all’elenco.

Cenni storici

Il regime di abilitazione professionale assunse contorni diversi in relazione alle specifiche competenze di ogni categoria professionale. Per quanto riguarda le professioni forensi «la L. 07.07.1901 n. 283 prevedeva un’abilitazione al patrocinio concessa con decreto in camera di consiglio dal Tribunale da cui dipendeva la Pretura presso cui l’aspirante patrocinatore intendeva esercitare, purché fosse fornito di taluni titoli di studio oppure, anche se privo, avesse già esercitato per cinque anni» [4], tali norme furono riformate dal RD 20.09.22 n. 1316, dal RD 06.09.23 n. 1920 che aggiungeva il parere vincolante del Consiglio di Disciplina dei procuratori, dalla L. 28.06.28 n. 1415: «da queste statuizioni risulta che almeno per taluni patrocinatori coloro che esercitano tale attività hanno dovuto ottenere prima l’abilitazione e poi hanno dovuto essere riconosciuti meritevoli» [5].

Secondo il Saitta «l’introduzione di un esame di stato fu richiesto per la prima volta dal programma politico del Partito Popolare Italiano» [6], proposto e sancito definitivamente nel 1923 con la riforma Gentile, perchè si voleva ottenere il riconoscimento e la parificazione delle scuole private cattoliche rispetto a quella pubblica, secondo altri, invece, si voleva, tramite un rigido sistema di selezione, avviare alle professioni tradizionali coloro che fossero dotati di spiccate capacità intellettive, mentre i meno capaci erano reindirizzati verso mestieri più pratici [7]. «La disciplina delle professioni ebbe un certo inquadramento unitario nel codice civile del 1942 e cioè quelle il cui svolgimento è condizionato all’iscrizione in appositi albi ed elenchi imposti dal legislatore ordinario, con correlativa costituzione del monopolio previsto dall’art. 2231 c.c.» [8].

Il RDL 27.01.44 n. 51 art. 1 sospendeva per l’anno corrente la sessione degli esami di stato per alcune categorie professionali e disponeva all’art. 2 il rilascio di un certificato fornito dall’Università ai fini dell’abilitazione. Tali disposizioni furono prorogate almeno fino alla L. 08.12.56 n.1378 che, in ossequio al dettato costituzionale, ristabilì gli esami di stato per le professioni liberali. Il sistema di valutazione di stato nella Repubblica, così come quello fascista, era costituito da tre fasi: «un’abilitazione iniziale, un esercizio professionale e il giudizio di un organo pubblico valutando il comportamento sotto il profilo della meritevolezza» [9]. Si evince, però, che tanto il RD 06.09.23 n. 1920 quanto la L. 08.12.56 n. 1378 non osservavano i nuovi principi repubblicani in quanto “non prevedono un esame […] ma l’accertamento d’idoneità, non già all’esercizio professionale ma dell’avvenuto esercizio professionale» [10].

Per tali ragioni, negli anni successivi alla promulgazione della Costituzione, l’esame di stato assunse una configurazione cd. ad “effetto plurimo”, nella quale cioè il termine del ciclo di studi coincideva con quello per l’abilitazione professionale [11]. Quindi l’esame di laurea, almeno prima della riforma del 1956 (con l’eccezione degli istituti tecnici e magistrali, cfr. L. 06.03.58 n. 184 e l. 05.04.69 n. 119), rappresentava a tutti gli effetti “un esame professionale” che serviva ad accertare «il grado di preparazione culturale» [12], prima ancora di ottenere l’iscrizione all’albo. Del resto la sentenza della Corte Costituzionale del 22.12.1980 sancì che «l’art. 33 co. V Cost. prevedeva l’esame di laurea come atto terminale degli studi universitari per l’abilitazione all’esercizio professionale» [13].

La giurisprudenza «ha escluso che l’art. 33 co.V abbia posto una riserva di legge in ordine alla determinazione delle prove» [14]. È interessante notare che «l’esame di stato non può essere imposto per attività professionali artistiche o di ricerca o di produzione scientifica» [15]. Il termine “Stato” si riferisce al «regime di responsabilità sociale che grava su tale attività» [16] nonché alla composizione delle commissioni esaminatrici che non includono membri afferenti a rappresentanze esclusive di quella professione.

Questioni aperte sull’esame di Stato

L’esame di Stato non è da confondere con l“abilitazione di Stato” con il quale «si vuole indicare l’atto conclusivo di un procedimento amministrativo» [17]. L’abilitazione, tuttavia, ha un’accezione limitata in quanto disciplinata in regime di monopolio. Circa l’opportunità di preservare le funzioni dell’ordine in tale regime, occorre ammettere che mentre l’art. 4 Cost. impone a tutti i cittadini il dovere al lavoro, d’altro canto il regime di monopolio di fatto limita tale diritto.

La premura del legislatore riguarda più le ipotesi di abuso del diritto anziché quelle di adempimento. Ci si riferisce, in particolare, alle norme di diritto penale quali ad es. il segreto professionale (art. 622 c.p.), la fedeltà di patrocinio (art. 380 c.p.), la falsità di perizia (art. 373 c.p.), il rifiuto di uffici legalmente dovuti (art. 366 c.p.), l’omissione di referto (art. 365 c.p.), etc. Si evince il carattere limitante sull’autonomia e sulla libertà individuale. Forse ereditando l’orientamento dello Stato Fascista che tendeva a ridurre l’autonomia professionale rispetto al potere delle corporazioni.

Non tutte le professioni sono disciplinate in regime di monopolio. Il Predieri, infatti, afferma che «l’attività professionale che richiede l’esame di stato sia solo quella per la quale il professionista agisce in regime di monopolio legale, cioè in quella situazione costituita dalla legge la quale vieta ad ogni soggetto all’infuori di quelli determinati di produrre o scambiare un determinato bene o servizio, non solo nei confronti di terzi ma anche dalla parte alla quale il soggetto è legato da contratto di prestazione d’opera che non può compiere direttamente quei determinati atti o svolgere quella determinata attività che solo chi esercita la professione nei modi dovuti può compiere e svolgere» [18]. «È chiaro che anche il dirigente, l’imprenditore, il funzionario, l’impiegato esercitano un’attività intellettuale, senza per questo esercitare una professione» [19], che «non potrebbe essere imposta come un esame di tipo corporativo, ad es. da parte dell’Ordine» [20].

Il requisito fondamentale per accedere all’esame di stato, non sempre scontato, è la cittadinanza. Il legislatore ha, infatti, previsto che il diritto di svolgere una data professione spetti solo ad alcuni, mentre il diritto al lavoro è esteso a tutti. Da tale normativa, tuttavia, sono da fare eccezione per i rimpatriati dall’estero che hanno potuto esercitare la professione anche senza aver sostenuto il relativo esame di stato ma dimostrando di aver esercitato per almeno un periodo di tempo (cfr. art. 28 04.03.1952 n. 137 e art. 2 l. 25.07.1971 n. 568). Si ravviserebbe, d’altro canto, un ulteriore danno nei confronti degli stranieri che diversamente dovrebbero sostenere un doppio esame di stato.

La stessa Corte Cost., tuttavia, ammette la possibilità di un diverso trattamento tra cittadini e stranieri (sentenze 1970 n. 174 e 1974 n. 244) ma allora come si concilia l’accesso all’esercizio professionale con il principio della libertà professionale (sentenza 1979 n. 54)? Nell’ambiente giuridico, ad es., la direttiva della Corte di giustizia europea 22.03.1977 n. 77/249 ha ammesso la possibilità per gli avvocati provenienti da altri paesi, ma rimanendo sempre in ambito CEE, di effettuare prestazioni solo di tipo occasionale, “condizionato dal previo riconoscimento dell’equipollenza dei titoli di studio» [21] dei rispettivi paesi. Rimane comunque la difficoltà da parte di extracomunitari di accedere all’esame di stato e quindi di conseguenza all’esercizio della professione.

Note

[1] Minnella M., s.v. Professioni, arti e mestieri (esercizio abusivo di), in Enciplopedia giuridica, Roma, Treccani, 1989, p. 1.

[2] Fontana G., s.v. Art. 33, in Bifulco R., Celotto A., Olivetti A., Commentario alla Costituzione, 2006, Torino, Utet, pp. 675-698, p. 693.

[3] Piscione, P., Ordini e collegi professionali, Milano, Giuffrè, 1959, p. 75.

[4] Predieri A., Annotazioni sull’esame di stato e l’esercizio professionale, in “Giurisprudenza costituzionale”, 1963, pp. 507-519, p. 514.

[5] Ibid.

[6] Ivi, p. 513.

[7] Saitta N., s.v. Esame di stato, in Enciclopedia del diritto, 1966, vol XV, Milano, p. 333.

[8] Predieri A., op. cit., p.510.

[9] Ivi, p. 515.

[10] Ivi, p. 516.

[11] Rossi G., s.v. Esame di stato, Enciclopedia giuridica, Roma, Treccani, 1989, p. 3.

[12] Catelani A., Gli ordini e i collegi professionali nel diritto pubblico, Giuffrè, Milano, 1976, p. 146.

[13] Sentenza Corte Costituzionale, 22.12.1980 “Giustizia costituzionale”, 1980, pp. 1424-1530, p. 1528.

[14] Fontana G., op. cit., p. 693.

[15] Predieri A., op. cit., p. 513.

[16] Chialà C., Equipollenti nazionali ed esteri all’esame di stato per le professioni di avvocato e procuratore, “Giurisprudenza costituzionale”, 1980, pp. 1514-1523, p. 1515.

[17] Minnella M., op. cit., p. 1.

[18] Predieri A., op. cit., p. 508.

[19] Ivi, p. 510.

[20] Ibid.

[21] Chialà C., op. cit., p. 1522.